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"Contro il Paese non si governa: faremo le riforme senza conflitti"
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Tremonti: dialogo con PD e sindacati per uscire dalla crisi

Una legislatura «costituente».
Una legislatura di «decantazione».
Tra un Aspen a Parigi per discutere con Trichet della crisi dei mercati e un vertice a Villa San Martino per parlare con Berlusconi della squadra di governo, Giulio Tremonti delinea scenari «virtuosi» per la nuova fase politica che sta per cominciare.

Il ministro del Tesoro in pectore ostenta molta prudenza, perché «la crisi finanziaria è molto grave», e perché gli effetti sull’economia reale e sulla finanza pubblica «saranno inevitabili».
Ma proprio per questo, il professore che tra qualche giorno tornerà nella stanza dei bottoni di Via XX Settembre è il primo a sapere che la sfida delle riforme si potrà vincere solo «insieme», e non «contro» il Paese.

«Una cosa è sicura - ragiona in queste ore Tremonti - sarà fondamentale fare la riforma costituzionale con il contributo dell’opposizione, sarà fondamentale trovare una
piattaforma condivisa con Regioni e Comuni, e sarà ancora più fondamentale rimettere in moto l’economia con il consenso delle parti sociali...».

Questo, secondo quello che Berlusconi considera il suo «genio dei numeri», dovrà essere il «metodo di governo» che caratterizza la nuova legislatura.
Sembrano lontani i proclami trionfalistici e i propositi bellicosi del 1994 e del 2001, quando ancora «non si facevano prigionieri».
Sembra esaurita la stagione del bipolarismo muscolare che da quindici anni paralizza il Paese. L’idea è che possa cominciare un ciclo di bipartitismo...

Sull’architettura istituzionale la maggioranza terrà aperto il dialogo con l’opposizione, e sulla politica economica non getterà alle ortiche la concertazione.
Questo vuol dire fare la riforma costituzionale cercando di coinvolgere il centrosinistra.
Per Tremonti, Veltroni ha fatto una «buona campagna elettorale»: il massimo possibile, nelle condizioni date, che vedono comunque anche nel Pd un «evidente deficit di strumentazione culturale nel comprendere quello che sta succedendo nella società italiana».
Ma la sinistra riformista è pur sempre una realtà positiva e un elemento di innovazione nel Paese, e dunque il confronto è giusto e necessario.

Lo stesso discorso vale per gli amministratori locali, con i quali una «politica dell’ascolto» sarà essenziale, per arrivare a un federalismo fiscale che non sfasci l’unità nazionale.
E a maggior ragione un analogo «soft landing» dalla pessima congiuntura dei prossimi mesi sarà opportuno nella gestione delle riduzioni fiscali e dei tagli di spesa, così come nella revisione degli assetti contrattuali: su ciascuno di questi nodi che il prossimo governo dovrà sciogliere servirà la ricerca di un accordo con i sindacati.
«Per essere chiari - dice il professore - nessuno di noi è ansioso di rifare battaglie epocali come quella sull’articolo 18...».

Ecco perché, sorprendendo molti osservatori, né il Pdl né la Lega hanno voluto cavalcare l’affondo del presidente uscente di Confindustria contro CGIL, CISL e UIL.
Al contrario: con una buona dose di realpolitik, l’intero centrodestra ha addirittura criticato i toni «troppo esasperati» della requisitoria di Montezemolo.
Non perché Epifani, Bonanni e Angeletti non abbiano in effetti qualche responsabilità, nel declino del Sistema-Italia di questi anni.
Ma piuttosto perché, in questo momento così difficile sul piano internazionale e sul piano interno, nel quale la geografia della sinistra è stata completamente ridisegnata con la desertificazione della sua componente più radicale, «non c’è bisogno di infiammare i conflitti».
Saranno gli stessi sindacati confederali, in piena crisi di rappresentanza politica e di consistenza numerica, ad avere interesse a non far saltare i tavoli del confronto.

Sulle ali del successo del suo libro «La paura e la speranza», che in campagna elettorale ha fornito una ridefìnizione ideologica alla piattaforma culturale neo-populista del Cavaliere, Tremonti compie così l’ennesima metamorfosi.
Non più solo Colbert, ora vira su Talleyrand.
Ideologo della «nuova destra» non più mercatista, incarna adesso la «strategia dell’attenzione» che il Pdl sembra voler seguire nella legislatura che sta per cominciare.
In questa strategia del neo-ministro del Tesoro non c’è posto neanche per uno scontro frontale con la Banca d’Italia: «Guardate che io non ho mica voluto attaccare il governatore, con le mie parole sul piano anti-crisi del Financial Stability Forum. Sono amico ed ho stima di Draghi: figurarsi se in un momento del genere vado a cercare un conflitto personale con Via Nazionale».

Quello che Tremonti ci tiene a chiarire, è che la sua critica ai «65 punti» per contrastare il Big Crash della finanza globale non configura in nessun modo un potenziale «conflitto istituzionale» tra il nuovo governo e la Banca d’Italia.

«Io - riflette il Profesore - resto convinto che la crisi sia molto grave, e che i suoi effetti negativi sono tutt’altro che esauriti. Penso quindi quello che pensano tutti: la ricetta indicata dallo Stability Forum, che non è «il piano Draghi» come qualcuno pensa, è un modo vecchio di rispondere a problemi del tutto nuovi. Lo stesso Trichet, all’Aspen, ha fatto un intervento molto duro e molto serio, e non a caso non ha mai citato quel documento. Qui c’è un problema di fondo che andrà chiarito: la Northern Rock è stata nazionalizzata, ci sono Banche Centrali che stanno comprando dalle banche commerciali pezzi di portafoglio marci e li stanno scambiando con titoli del debito pubblico buoni. Questi, in linea di massima, mi sembrano aiuti di Stato. Io non entro nel merito, ma vorrei sapere se sono legittimi o no. Ancora: abbiamo la moneta più forte del mondo e paghiamo il costo più alto sul mercato dei cambi. Vorrei sapere perché non emettiamo titoli europei, prestiti per finanziare infrastrutture o progetti energetici. Tutto qui».

Dunque, nessuna polemica con Draghi.
Quanto alla battuta sull’aspirina, Tremonti taglia corto: «Lasciamo perdere, così mi fate querelare dalla Bayer...». E’ il nuovo Tremonti: non vuole più litigare con nessuno.

Massimo Giannini

Fonte > La Repubblica


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