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"Gli architetti di sinistra hanno mangiato le città"
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Penati: "Troppi casermoni senz’anima nei quartieri operai"

Tempi duri per gli architetti. Nel pieno della polemica sui grattacieli, dopo le sortite di Adriano Celentano e di Silvio Berlusconi, ieri è sceso in campo un nuovo «esternatore». Fuoco amico da sinistra. Intervistato da Klaus Davi, Filippo Penati, 56 anni, cresciuto nelle file del Pci a Sesto San Giovanni, la Stalingrado d’Italia, per anni sindaco della più forte enclave operaia, attuale presidente per il Pd della Provincia di areafalk01g.jpgMilano, ha attaccato i suoi ex compagni architetti: «Penso che certi architetti di sinistra abbiano distrutto i quartieri operai delle grandi città italiane. Se dipendesse da me, li costringerei a vivere nelle case che hanno costruito nei quartieri per la povera gente, case e quartieri pensati in maniera sbagliata. Le città hanno bisogno di un sogno. Ed è stato sbagliato affidarlo alla casta degli architetti».

E ancora. «Meglio i geometri degli architetti. L’effetto di queste deturpazioni è che il Paese sta diventando sempre più provinciale e arruola per ripiego solo gli architetti stranieri». Fine dell’etica del quartiere antagonista, rivalutazione alla Leonardo Benevolo dei geometri piccolo-borghesi, tutti villette e balconcini. Insomma, quanto c’è di più neodemocratico!

Ma a cosa si riferisce Penati? Pensa forse a interventi tanto discussi come il Corviale a Roma, lo Zen a Palermo, la Bicocca a Milano? Risposta: «No, io mi rifaccio alla mia esperienza personale. A Sesto vivevo in una casa di plastica: terribile! Sempre a Sesto penso a quei casermoni d’edilizia popolare senz’anima. Magari sono ricercati come disegno ma non hanno un solo balcone. Sono luoghi di alienazione». Addio vecchie case di ringhiera, addio alle povere ma ben più socializzanti “Coree” (così si chiamavano nella Milano le casette di periferia, servitù delle fabbriche) ma chi sarebbero stati i colpevoli di tale scempio? Penati, in piena fase autocritica, non esita ad ammettere le responsabilità delle giunte di centrosinistra.

Quanto ai nomi degli architetti di sinistra, dopo alcune esitazioni («a Davi ho detto “anche quelli di sinistra”») fa un esempio: «il Collettivo architettura Milano». Sorprendente! Rewind. Si chiamavano Giorgio Morpurgo, Giò Vercelloni, Alessandro Tutino, Novella Sansoni e Drugman, un gruppo comunista doc, molto omogeneo e molto impegnato. Architetti tutta falce e martello, con solidi legami politici. Fu loro, non a caso, il progetto della sede del Pci in via Volturno. E ancora. L’architetto Novella Sansoni, ora scomparsa, ha occupato per il Pci la poltrona di presidente della Provincia sulla quale siede Penati.

Mani rosse sulla città? «Incredibile», ride di gusto alla piega che sta prendendo la polemica, Pierluigi Nicolin, professore di composizione architettonica al Politecnico, «finalmente qualcuno lo ammette: la commistione tra architettura e politica c’è stata sopratutto a sinistra. Tanto è vero che per anni i nostri grandi architetti non allineati, da Aldo Rossi a Renzo Piano, per lavorare sono andati all’estero». L’architetto Alberico Belgioioso, docente al Politecnico di progettazione architettonica e urbana, confessa invece di «essere alquanto sconcertato» dall’uscita di Penati. Dal famoso studio di suo padre, Lodovico e di Rogers e Peressutti («erano del partito d’azione, non comunisti!») uscì il progetto del Gratosoglio, uno di quegli enormi quartieri popolari (Gallaratese, Stadera, Comasina) dove vennero trasferiti gli operai. Interventi che hanno cambiato, negli anni 60-70, il volto della città. «Quartieri monoclasse nei quali per forza si perde l’individualità. Ma da almeno da 30 anni abbiamo capito quali errori erano stati fatti», dice Belgioioso.

Dibattito vecchio per una città dove non ci sono più fabbriche, tantomeno operai. «Penati farebbe meglio a occuparsi dei grattacieli che Luigi Zunino con Renzo Piano stanno facendo a Sesto nell’ex area Falck», rilancia Alberico Belgioioso, architetto che non ama le torri e rivendica a Celentano il diritto di parlare. Resta l’elogio dei geometri. E’ un famoso architetto di sinistra, ha progettato la Bicocca e a Palermo lo Zen («lo rivendico!»). Vittorio Gregotti, al suo amico Penati, replica: «Non difendo la mia casta, anzi spesso l’accuso, ma questa volta Penati sbaglia. L’invito nel mio studio per fare un po’ di lezioni di storia dell’architettura. Gli scempi? La ricostruzione è stata opera solo al 10% degli architetti; tutto il resto l’hanno fatto gli ingegneri e i suoi amati geometri».

CHIARA BERIA DI ARGENTINE

Fonte >  La Stampa.it

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