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"Tremonti non ha tutti i torti"
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Guido Rossi «Sui mercati Tramonti ha ragione» «Ma dobbiamo agire d'accordo con Bruxelles»

«Mi hanno chiesto: "Sei stupito?" Ma no, perché dovrei esserlo? Questa in fondo è l'Italia. Un'Italia che vota per la terza volta Berlusconi che è sempre lui, che non è mai cambiato». Pareti da galleria d'arte, biblioteca da università, finestre con vista su Piazza Affari: nel suo studio Guido Rossi chiude in fretta il capitolo elettorale e guarda oltreoceano. Alla crisi finanziaria «che è peggiore di quella del '29 perché allora non era messa in discussione la natura stessa del capitalismo, mentre adesso il sistema si sta autodistruggendo», ma anche alla sentenza della Corte Suprema sulla pena di morte «che mi indigna e che divide ancora di più Europa e Stati Uniti».

Rossi cita spesso i critici della globalizzazione come Robert Reich, Paul Krug-man e Joseph Stiglitz e nota con interesse il successo del saggio «La paura e la speranza» di Giulio Tremonti: «Non ha tutti i torti. L'ho sentito in tv e mi è sembrato lucidissimo nella sua visione in fondo negativa della situazione. Del resto anche Berlusconi, quando dice che dovrà prendere provvedimenti impopolari, mostra di aver compreso che qualcosa è cambiato».

Dunque la globalizzazione ci deve fare paura, professore?

«Stiglitz sostiene che sono i Paesi ricchi che si lamentano della globalizzazione. E Reich spiega come l'eccesso di concorrenza abbia abbassato nei Paesi occidentali prima i prezzi e poi le condizioni dei lavoratori, perché a furia di tagliare i costi si tagliano anche quei diritti che Norberto Bobbio chiamava "di seconda generazione", dalla salute alla tutela del lavoro. Non è un caso che Wal-Mart non abbia i sindacati. L'americano in quanto consumatore e investitore si stacca così in modo schizofrenico dall'americano cittadino senza diritti. In cambio del potere di acquisto cede porzioni di potere politico. La concorrenza vince sulla democrazia».

Un simbolo del centrosinistra come lei accanto a un Tremonti che guarda alla Lega e accusa i «mercatisti»?


«Andiamoci piano. Se l'analisi e le soluzioni rimangono confinate sul piano nazionale, allora si finisce subito nel provincialismo. E' impensabile un colbertismo italiano, anche perché in una situazione di crisi il nostro paese è tra i peggio messi. Invece tutto dipende in modo decisivo dall'Europa. Il vero federalismo è già e sarà sempre di più quello europeo, anche il federalismo fiscale che chiede la Lega non può che inquadrarsi in quel sistema. E se c'è una possibilità che la politica - la cui sovranità si è molto affievolita - fronteggi le crisi questa è solo che sia una politica europea». Anche le crisi finanziarie? «Sì. Nel mio ultimo libro, "Il mercato d'azzardo", la conclusione è che per affrontare le crisi dei mercati finanziari ci si può affidare solo ad un'agenzia europea».

Una soluzione che piace anche al ministro uscente dell'Economia Padoa Schiop-pa, che è stato banchiere centrale e, come lei, presidente della Consob. La Banca centrale europea però non è della stessa opinione...


«Le banche centrali vogliono sempre controllare il mercato finanziario perché pensano che avere le leve della massa monetaria significhi controllare la liquidità. Ma la liquidità ormai gli sfugge perché ad essa contribuiscono anche le carte di credito, la giungla degli strumenti finanziari, i derivati. I banchieri centrali dovrebbero tenere sul comodino «Il giocatore» di Dostoevskij per ricordarsi con chi hanno a che fare. E alcuni di questi strumenti andrebbero bloccati sul nascere. Certo, la trasparenza dei mercati è importante, ma prima ancora della trasparenza bisogna far sì che alcuni prodotti non arrivino proprio su quei mercati».

Non esattamente un approccio liberista, il suo.

«E' l'approccio di Adam Smith o di John Maynard Keynes, che volevano che i mercati fossero regolati. Invece non credo a Schumpeter e alla distruzione creativa. Quando si distruggono le strutture del sistema, come sta accadendo adesso, non si crea nulla». Ma perché lei connota questa crisi finanziaria come un passaggio di distruzione e non solo di cambiamento? «Come spiega Krugman non siamo solo di fronte a una gravissima crisi finanziaria, ma anche di una crisi che sta distruggendo a ritmo veloce le riserve di materie prime in cerca di sostituti per il petrolio. Altro che distruzione creativa! E dal punto di vista finanziario la crisi è peggiore di quella del '29 non solo per le sue dimensioni, ma anche perché il capitalismo si autodistrugge. Come la Fenice, a quasi sei secoli dalla sua nascita si lascia alle spalle la struttura classica della società per azioni. Oggi abbiamo un fondo di "private equity" come l'americano Blackstone, il cui obiettivo è comprare aziende per portarle fuori dalla Borsa, che però si quota. E nel suo capitale, con il 10%, c'è il fondo sovrano del governo cinese. Come si affronta questo nuovo quadro? La politica non lo sa, il legislatore nemmeno. Sono in ritardo rispetto all'economia».

E la soluzione è davvero solo quella di vigilare e reprimere?


«Mi chiedo come risponderebbe oggi Keynes alla domanda che si faceva: "Sono liberale?". Io credo nel mercato, ma vedo anche un sistema globalizzato che non c'è mai stato prima che richiede risposte diverse dal passato. Stiglitz pensa addirittura a una corte internazionale per quei reati finanziari di cui non è mai facile stabilire i confini...».

Perché la decisione sulla pena di morte presa dalla Corte Suprema Usa la preoccupa?

«Sono indignato da questa sentenza, che arriva in concomitanza con la visita del Papa e che di fatto segna una retromarcia rispetto alla moratoria decisa dall'Onu. E' il segno che anche la corte Suprema statunitense si sta omologando all'amministrazione Bush. Anche il giudice Stevens, tradizio-nalemente contrario alla pena capitale questa volta non ha avuto nulla da dire. Presto la Corte dovrà decidere anche sul diritto all'aborto e visto che adesso i giudici conservatori sono in maggioranza è facilmente prevedibile quale sarà il suo atteggiamento. E se gli Usa si differenziano dall'Europa sui principi fondamentali dei diritti umani la coesione rischia di venire a mancare anche in altri campi, compreso quello economico».

Da un colloquio con lei, professore, non si esce confortati...

«La situazione non mi pare facile. Ma credo che ci siano anche aspetti positivi. Per esempio quell'Europa che noi prendiamo sempre sottogamba ha potenzialità straordinarie. Di fronte alla crisi finanziaria il comportamento della Bce è stato molto meno sconsiderato o spaventato di quello della Fed che ha inondato di liquidità i mercati. Anche se questa crisi che pure è globale ha di fatto aumentato il divario transatlantico. E non è un bene».



Fonte >  La Stampa


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