La scorsa puntata abbiamo visto, seguendo le tracce forniteci dal libro molto ben documentato di Saretta Marotta (Gli anni della pazienza. Bea, l’ecumenismo e il Sant’Uffizio di Pio XII, Bologna, il Mulino, 2019) come il cardinale Agostino Bea avesse agito, con molta prudenza e circospezione, già a partire dagli anni Quaranta sino all’Anno Santo del 1950 e soprattutto: riguardo al caso Teilhard de Chardin; al Monitum del Sant’Uffizio Cum compertum del 1948; alla sua relativa “edulcorazione” nel 1949 (Instructio de Ecclesia catholica); alla stesura del Dogma dell’Assunta (durata circa dieci anni, dal 1939 al 1949); alla stesura dell’Enciclica Humani generis (12 agosto 1950) sugli errori della “Nouvelle Théologie” francese, cercando sempre di addolcire le condanne e di far passare una qualche piccola novità, anche se presentata in maniera del tutto incolore e inodore di modo che non fosse avvertita come tale.
Abbiamo già visto, nelle puntate precedenti, come il PIB (nel 1960) avesse cercato di presentare l’Enciclica Divino Afflante Spiritu del 1943 (con circa venti anni di ritardo) come un’assoluta novità in campo biblico e una rottura radicale con il Magistero precedente sull’esegesi (specialmente con Leone XIII, Enciclica Providentissimus del 1893 e con Benedetto XV, Enciclica Spiritus Paraclitus del 1920).
In quest’articolo mi sembra doveroso trattare bene la questione dell’Enciclica “incriminata” di Pio XII e metter in chiaro cosa essa abbia realmente insegnato.
La falsa interpretazione dell’Enciclica di Pio XII
Il 3 settembre del 1960, il padre gesuita Luigi Alonso-Schökel[1] (del PIB) pubblicò su La Civiltà Cattolica un articolo intitolato: Dove va l’esegesi cattolica? (pp. 449-460), in cui sosteneva che l’Enciclica Divino afflante Spiritu di Pio XII (30 settembre 1943) aveva aperto la porta alla “Nuova Esegesi” fondata sul metodo puramente filologico e aveva abbandonato lo studio del Libro Sacro basato principalmente sull’interpretazione datane dai Padri ecclesiastici e dal Magistero della Chiesa, come invece avevano insegnato Leone XIII (Providentissimus, 18 novembre 1893) e Benedetto XV (Spiritus Paraclitus, 15 settembre 1920).
La prima domanda che sorge spontanea sarebbe la seguente: Come mai ci si è accorti di questa “grande innovazione” del 1943 solo circa venti anni dopo e non durante il Pontificato di Pio XII, che avrebbe potuto rispondere facilmente su ciò che avesse insegnato realmente nella sua Enciclica?
Monsignor Antonino Romeo gli rispose, solo due mesi dopo e senza lasciar passare venti anni, sulla rivista Divinitas (III, dicembre 1960, pp. 387-456), diretta allora da monsignor Antonio Piolanti, il rettore dell’Università Lateranense.
Erano gli anni dello scontro tra la scuola cattolica romana, rappresentata nella Pontificia Università Lateranense e nella rivista Divinitas contro la scuola nord-europea della Nuova Esegesi, rappresentata dall’Università Gregoriana, dal Pontificio Istituto Biblico e da una parte de La Civiltà Cattolica.
L’articolo di Antonino Romeo, maestro insigne di monsignor Francesco Spadafora, s’intitolava: L’Enciclica “Divino affilante Spiritu” e le “Opiniones Novae”.
In esso, monsignor Romeo dimostrò - confutando punto su punto le affermazioni gratuite di p. Alonso - che l’Enciclica di Pio XII non aveva innovato in nessun modo le Encicliche bibliche di Leone XIII e di Benedetto XV, ma, le aveva riaffermate e rafforzate.
La medesima situazione si riprodusse sette anni dopo quando papa Pacelli con l’Humani generis (12 agosto 1950) riaffermò e rinnovò la condanna del modernismo classico, fatta già da S. Pio X (Pascendi, 8 settembre 1907). Infatti, il modernismo classico dei primi del Novecento, condannato da Pio X nel 1907, nel 1950, si era trasformato ed era divenuto neo-modernismo e come tale fu condannato da Pio XII.
Ora, alcuni teologi progressisti (tra i quali Bea, nel 1954, come abbiamo visto nel precedente articolo) cercarono d’interpretare e sfigurare (molto prudentemente e discretamente, anzi quasi occultamente) anche l’Humani generis quasi non fosse la severa condanna della Nouvelle Théologie quale realmente fu, proprio come p. Alonso - nel settembre del 1960 - aveva fatto riguardo alla “Nuova Esegesi” con la Divino afflante, cercando di farla passare per quel che non era.
Monsignor Romeo, nel settembre del 1960, spiegava bene che l’Enciclica di Pio XII ribadiva che la Scrittura andava letta secondo la «tradizionale dottrina […] lasciataci dai Padri e dai Dottori della Chiesa […], i quali “penetrano sino all’intimo le profondità della divina Parola”»[2].
I modernisti, continua Romeo, proprio dopo la Humani generis, hanno rialzato la cresta soprattutto in materia biblica e cercano di sminuire anche la severità della condanna del neo/modernismo contenuta nella Humani generis[3].
Monsignor Antonino Romeo ripudia assolutamente che la Divino afflante possa “veleggiare verso la critica eversiva o almeno avventurosa lanciata dal razionalismo”[4]. Invece, egli dimostra, che Pio XII sulla scia dei suoi predecessori ha ribadito come «l’esegesi dei Libri sacri non è un puro esercizio di grammatica o di erudizione. […]. Le S. Scritture, infatti, non possono costituire il monopolio di nessuno, all’infuori della sacra Gerarchia»[5].
In realtà, continua Romeo, «la mentalità del padre Alonso è coerente con l’atteggiamento polemico contro la Tradizione»[6], proprio lui che vorrebbe mettere Leone XIII, san Pio X e Benedetto XV - i quali «tennero i “cercatori” cattolici nella soggezione e nel timore»[7] - contro papa Pacelli che «solo, con la Divino afflante Spiritu, avrebbe dato fiducia e serenità»[8].
Secondo p. Alonso gli esegeti cattolici prima del 1943 «non avevano idea del metodo scientifico» e «finalmente nel 1943 la scienza esegetica cattolica è nata, cresciuta e si è sviluppata portentosamente, tutto nel breve giro di 15 anni»[9].
Padre Alonso, spiega Romeo, per corroborare la sua tesi cita una sola frase dell’Enciclica Divino afflante, che raccomanda l’uso dei reperti archeologici e degli studi filologico-storici per spiegare il significato del Libro sacro. Ora, Pio XII - come Leone XIII e Benedetto XV - ha semplicemente spinto l’esegesi cattolica a valersi innanzi tutto del consenso comune dei Padri, dei Dottori, degli esegeti approvati e specialmente del Magistero ecclesiastico e in secondo luogo e subordinatamente della filologia e dell’archeologia. Infatti, il Libro sacro è divinamente rivelato, assistito, e garantito dall’inerranza. Quindi, non può essere studiato alla stregua di un semplice libro storico o poetico, per il quale il metodo storico-filologico è essenziale e primario e quello dei “critici” o “commentatori” soltanto secondario.
Il vero metodo scientifico per il Magistero della Chiesa da Leone XIII sino a Pio XII, conclude monsignor Romeo, è quello che si avvale soprattutto dell’interpretazione patristica e magisteriale e poi anche della filologia e archeologia. L’uno non esclude l’altro, come vorrebbe Alonso, ma vi è una gerarchia e un ordine da rispettare, infatti “La lettera uccide, lo spirito vivifica”, ossia la semplice critica storico-filologica discerne il significato letterale del Libro sacro, ma per coglierne lo spirito o il significato occorre ricorrere innanzitutto ai Padri e solo dopo ci si può aiutare con la storia, la filologia e l’archeologia, in maniera secondaria e subordinata.
Perciò, voler far passare la Divino afflante per modernizzante, se non per proto-modernistica o razionalistica significa farle dire il contrario di quanto in essa è scritto.
Romeo lamenta lo stesso procedimento anche riguardo all’Humani generis «il recente articolo [di Alonso] cita un solo passo dell’Humani generis (sempre e solo lo stesso passo!) e lo cita incompleto»[10].
Poi, Romeo passa a scandagliare gli errori veramente neo/modernistici di Alonso, e dei suoi due intimi collaboratori Max Zerwick e Stanislas Lyonnet, i quali ultimi due, nel 1961, saranno allontanati dal Pontificio Istituto Biblico dal card. Alfredo Ottaviani, dopo l’articolo di Romeo e un intervento di monsignor Francesco Spadafora.
Per quanto riguarda il consenso unanime dei Padri nell’interpretazione della S. Scrittura, p. Alonso usa l’escamotage di rigirare la frittata a suo vantaggio, esponendo la tesi tradizionale e comunemente insegnata in maniera falsa, esagerata e ridicola. Infatti, secondo lui “quando i Padri interpretano unanimemente un passo della Bibbia, tale interpretazione è di Fede”[11]. Invece, come ricorda Romeo, la dottrina comune insegna che ciò avviene “in materia di Fede e di Morale”[12]. Infine, l’Enciclica contestata si riferisce «ai Padri della Chiesa, per tutelarne l’autorità. Per salvaguardare il valore dell’unanimità dei Padri, Pio XII giustamente rileva: “Poche sono [tra le molte cose contenute nei Libri sacri] quelle intorno alle quali si ha l’unanime consenso dei Padri»[13]. Ossia, le questioni di Fede e Morale rispetto a tutto ciò di cui si parla nella Bibbia sono relativamente poche e solo riguardo a queste il consenso unanime dei Padri è infallibile. Non si tratta di un piccolo numero in sé, ma relativo a tutto il contenuto della Bibbia.
Inoltre, come nota Romeo, è «strano che il p. Alonso ignori che, già nel 1893, l’enciclica Providentissimus aveva ribadito che l’autorità dell’unanimità dei Padri si riferisce soltanto alle verità presentate da essi realmente (reapse) come spectantia ad Fidem, aut cum Ea maxime copulata»[14]. Eppure, Alonso persevera nel dire che «Pio XII ha estromesso la “scuola stretta” schierandosi con la “scuola larga”»[15], ma non lo prova, lo dice soltanto. Ora quod gratis affirmatur, gratis negatur.
Perciò, monsignor Romeo costata - semplicemente e ironicamente al tempo stesso - che «nel 1943 nessuno si è accorto di un cambiamento d’indirizzo. La radiosa Enciclica Divino afflante è un continuo richiamo alla gloriosa Tradizione su cui poggiò sempre l’esegesi cattolica, […], essa mette in guardia senza tregua contro il pericolo di cedimenti, specialmente circa l’inerranza degli enunziati biblici intesi nel loro senso letterale. […]. Padre Alonso tiene moltissimo a farci sapere che Pio XII “si rese ben conto di riaprire una nuova e ampia porta, e che attraverso essa sarebbero entrate nel recinto dell’esegesi cattolica molte novità, che avrebbero sorpreso gli animi eccessivamente conservatori”. Quali novità? Vi è un unico passo dell’Enciclica che parla di novità, condannandola; infatti, è un richiamo al buon senso per chi fosse propenso a “credere a tutto ciò che sa di novità doversi perciò stesso impugnare e sospettare”. Non basta ciò per parlare di capovolgimento, di era nuova. E, del resto, [in tutta l’Enciclica] vi è una ripetuta messa in guardia contro le novità e incessanti appelli alla Tradizione immutabile»[16].
Il vero contenuto dell’Enciclica
La prima parte del documento papale del 1943 è dedicata alla commemorazione del 50° anniversario della Providentissimus di Leone XIII (1893). Come papa Pecci, così anche Pio XII richiama il dovere per gli esegeti di attenersi «a quelle sacre leggi d’interpretazione cattolica, che i Santi Padri e i Dottori della Chiesa e i Sommi Pontefici stessi hanno tramandate»[17].
I princìpi fondamentali dell’esegesi sono, per Pio XII come per Leone XIII e Benedetto XV, le «spiegazioni e dichiarazioni del Magistero ecclesiastico, le esposizioni dei santi Padri ed anche l’analogia della Fede»[18]; come pure l’aiuto delle scienze positive: l’archeologia, la storia e la filologia «per ribattere le obiezioni degli avversari, ma anche per tentare una solida spiegazione che s’accordi con la dottrina della Chiesa, e in specie con l’immunità della Scrittura da ogni errore»[19].
Nella seconda parte, spiega Romeo, il Papa traccia le linee direttrici del programma dei lavori scientifici positivi: «Lo studio dei testi originali per mezzo della critica testuale […]. Al Santo Padre sta a cuore che l’esegesi cattolica discerna e determini quale sia il senso letterale delle parole bibliche. […]. Il senso letterale che ha di mira Pio XII è anzitutto la dottrina teologica di ciascun libro intorno alla Fede e ai Costumi. Il Papa non si stanca di ripeterlo: l’interpretazione deve essere principalmente teologica, tale quale la facevano i santi Padri, i grandi Dottori della Chiesa e gli illustri interpreti delle età passate»[20]. E non un “Nuovo Alonso” qualsiasi.
Monsignor Romeo rincara la dose: «Può accettare e ripetere lo “slogan”, che è stato intenzionalmente creato e diffuso [la Divino afflante è progressista, ndr] solo chi non ha letto né la Divino afflante Spiritu né le altre due grandi Encicliche sugli studi biblici, la Providentissimus e la Spiritus Paraclitus. Purtroppo, parrebbe che siano molti quelli che, pur parlandone, non hanno letto la Divino afflante Spiritu»[21]…
Invece, l’Enciclica di Pio XII ricorda contro le “opinioni nuove” del 1960 che «l’esegeta cattolico […], non è un puro filologo, ma soprattutto un teologo. Come per gli altri rami della teologia, l’esegesi biblica […] presuppone la Fede»[22].
Romeo conclude richiamando Alonso alla ragione: «Padre Alonso o ignora i fatti, ed allora è un incompetente che non dovrebbe arrischiarsi di scrivere in pubblico su queste opinioni […]. O egli conosce i fatti, e allora bisogna che ci si preoccupi di impedire la denigrazione o l’escamotage sistematico delle due grandi Encicliche del grande Pio XII»[23].
Conclusione
Anche monsignor Pier Carlo Landucci nel 1968[24], commentando la Divino afflante Spiritu di Pio XII, lamentava che «i Padri, vengono sempre meno considerati nella moderna esegesi, o perché - si dice - raramente unanimi, o perché non hanno voluto affrontare il problema critico-dogmatico, o perché non intendono farsi eco del pensiero propriamente della Chiesa. Generalizzando troppo, però, questi concetti, si può snervare, praticamente, il principio del Magistero della Chiesa nell'interpretazione biblica. Per rispettare questo principio […] bisogna tener conto delle sue preferenze […], di cui i Padri costituiscono un’eco particolare e qualificata. Più che guardare se i Padri intendevano esprimere il pensiero della Chiesa, si deve guardare se la Chiesa ha riconosciuto nei Padri se stessa. È la Chiesa che ha riconosciuto nei Padri i suoi figli particolarmente santi e illuminati e fedeli, il che costituisce il titolo della loro autorità, che in certi casi è decisiva. Non è giusto passare senz’altro dal caso della loro autorità decisiva alla noncuranza, quando manchino alcune condizioni. Vi è qualcosa di analogo in questo […] con l’obbedienza dottrinale alla Chiesa, che è proporzionatamente doverosa anche negli insegnamenti non strettamente infallibili»[25]. Il consenso unanime dei Padri, dai teologi, è equiparato al Magistero ecclesiastico anche non strettamente infallibile, ad esempio Pietro Parente[26], equipara i Padri come Testimoni e Dottori al Magistero ordinario.
Infine monsignor Francesco Spadafora, nel 1996, ha scritto: «Abbiamo già illustrato la lettura neo-modernistica dell’Enciclica Divino afflante Spiritu di Pio XII. Agganciandosi a espressioni isolate dal contesto e spacciando l’Enciclica per un capolavoro di doppio senso, gli esegeti neo-modernisti […], rigettando i dati della Tradizione, danno la prevalenza agli argomenti interni, svincolandosi dal controllo degli esterni, oggettivi, offerti dai documenti storici, si abbandonano al soggettivismo [esegetico, ndr] più sfrenato […], smarrendosi in un dedalo di congetture e probabilità […], ove ognuno segue la propria propensione, la propria opinione pregiudicata»[27].
La Chiesa con papa Leone XIII (Enciclica Providentissimus, 18 novembre 1893), Benedetto XV (Spiritus Paraclitus, 15 settembre 1920) e Pio XII (Divino afflante Spiritu, 30 settembre 1943) ha formalmente disapprovato e condannato la teoria secondo la quale basterebbe studiare i soli “caratteri interni” di un Libro ispirato, prescindendo dalla Tradizione, per poterne capire il significato, o anche la semplice preferenza accordata ai “criteri interni” rispetto alla Tradizione patristica; ciò è «incompatibile con la Fede cattolica, poiché il consenso dei Padri richiede un'adesione di Fede»[28].
Secondo Leone XIII, Benedetto XV e Pio XII nelle tre Encicliche succitate, (che sono fondamentali riguardo agli studi biblici, le quali vanno lette tutte e tre assieme e ciascuna interamente, senza staccare una frase dal contesto e interpretarla in maniera contraria al pensiero dei Pontefici[29]), si può utilizzare anche lo strumento dei “criteri interni”, ossia l’apporto filologico nello studio del Libro sacro, ma subordinatamente e secondariamente all’interpretazione della Tradizione (ossia dei Padri); però, non è mai lecito dare la precedenza alla filologia, o addirittura contraddire l’interpretazione unanime dei Padri basandosi sui “criteri interni”. Ciò equivarrebbe a preferire un commento esclusivamente umano-scientifico, alla Tradizione divina, quod repugnat: sia perché si contraddirebbe una verità di Fede, sia per il buon senso il quale ci dice che il divino è superiore all’umano.
San Pio X ha ribadito tale condanna della “critica interna” nel Motuproprio Praestantia Scripturae Sacrae e nell’Enciclica Pascendi. In particolar modo Pio XII nell’Enciclica Divino afflante Spiritu (30 settembre 1943) ribadisce la dottrina di Leone XIII e di Benedetto XV, raccomandando l’interpretazione «data dai santi Padri» (EB, 551).
La stessa cosa insegna, contrariamente a quanto detto da Alonso e compagni, Pio XII in Humani Generis (12 agosto 1950) [EB, 564/565]: ossia, il compito dell’esegeta cattolico, è quello di «assicurarsi se c’è un senso già dato con morale unanimità dei Padri» e, quindi, di seguirlo. Si può ricorrere anche all’aiuto della filologia e dei “criteri interni” per approfondire l’insegnamento patristico, ma non è mai lecito contraddire i Padri unanimemente concordi e neppure invertire i ruoli, dando la preminenza alla filologia e ai “criteri interni” sul consenso unanime dei Padri.
Nel prossimo articolo, dopo aver scrutato la questione dell’Enciclica Divino afflante Spiritu, ritornerò al libro della dottoressa Saretta Marotta e studieremo come l’Arcivescovo di Paderborn, Lorenz Jaeger, abbia lavorato per lanciare Bea onde avere un protettore in Vaticano, che favorisse la causa dell’ecumenismo specialmente in Germania.
Questo protettore fu Agostino Bea, che dopo esser stato lanciato da Jaeger spiccò un volo ancora più alto e spinse l’ecumenismo non solo in Germania ma in tutto il mondo, soprattutto durante il Concilio Vaticano II, portando alla rivoluzione dei rapporti tra Cristianesimo e Giudaismo e al riconoscimento della libertà (non più della tolleranza) anche per le false religioni…