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Chirurghi, fuga dalle sale operatorie l'Italia "si consola" con i robot
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Tremila medici al 112° congresso della Sic per parlare anche del calo delle "vocazioni". Iter formativo lungo, troppi rischi di denuncia: ogni anni le iscrizioni alle scuole di specializzazione calano del 30%. "Tra dieci anni dovremo importare i 'bisturi' dall'estero"

ROMA
- Ci vuole troppo tempo per diventare chirurgo e arrivare a uno stipendio rapportato agli studi; in compenso si rischia continuamente di essere denunciati. Sono queste le ragioni principali per cui negli ospedali "tra dieci anni potremmo non avere più chirurghi italiani". Il paradosso è di Rocco Bellantone, segretario generale della Società italiana di chirurgia (Sic), e sintetizza un fenomeno, quello della fuga dalle sale operatorie, che negli ultimi anni in Italia ha portato a conseguenze in altri tempi incredibili, come le sedi vacanti.

Il punto sulle difficoltà della professione sarà fatto nel 112° congresso della Sic, in programma a Roma dal 10 al 13 ottobre, dove sono attesi circa tremila medici. In Italia un neolaureato che vuol fare il chirurgo dovrà studiare intensamente sei anni (ma l'80% degli studenti ne impiega in media due in più per finire), dedicarne altri sei alla specializzazione e poi aspettarne quattro per cominciare a guadagnare quanto i suoi coetanei ingegneri, imprenditori o avvocati. Con la differenza che questi ultimi lavorano e guadagnano in media già da 10 anni.

E' questo uno dei motivi per cui la professione, in crisi un po' in tutta Europa, soffre di un preoccupante calo di vocazioni. All'interno di un quadro di allontanamento generale, però, si registra un enorme incremento della presenza femminile ai corsi di specializzazione: dall'8% di iscritte del 2001 si è passati al 21% del 2009 e addirittura a quasi il 50% nel 2010. Il loro iter professionale segue però un percorso anche più difficile: "Sono poche le specializzande che riescono a conciliare nel lungo periodo la professione di chirurgo con la famiglia - spiega il presidente della Società italiana di chirurgia (Sic), Enrico De Antoni - . Molte si perdono per strada e dopo anni di studio accettano incarichi ambulatoriali e rinunciano a fare il chirurgo tour court".

Fare il chirurgo, d'altra parte, è mestiere duro, se si eccettua il settore della chirurgia plastica, dove l'attività è programmabile: "Per i primi anni non esistono notte, giorno o feste comandate: bisogna essere sempre reperibili", dice De Antoni.  Eppure certe condizioni sono migliorate. Lo status di medico in formazione, ad esempio, prevede uno stipendio, un 'punteggio' riconosciuto in Europa e un iter sempre più chiaro e definito". Dal punto di vista della sicurezza del paziente e delle possibilità economiche degli specializzandi, secondo Bellantone, si tratta di un passo avanti, dato che, fino a poco tempo fa, chi voleva fare questo lavoro doveva pagarsi il corso e limitarsi a guardare chi operava.

Se però ogni anno il numero dei laureandi che si iscrivono alle scuole di chirurgia crolla del 30%, non è solo a causa dell'iter formativo troppo lungo. Alla "fuga dalla sala operatoria" contribuisce un fenomeno collegato alla delicatezza della professione ed alla "esposizione" del chirurgo quale primo responsabile in caso di complicanze nel corso dell'operazione. "Otto chirurghi su dieci - spiega De Antoni - hanno almeno un procedimento giudiziario in corso e questo nonostante, secondo gli ultimi dati Ispo (Istituto studi pubblica opinione), il 90% degli italiani dichiari di fidarsi dei medici italiani. I chirurghi però vengono sempre messi sotto accusa e spesso ingiustamente. Lo dimostra il fatto che nove su 10 vengono assolti. Ma anche dopo l'assoluzione la loro vita e il loro approccio alla professione non sarà più lo stesso".

Il risultato di tutto ciò? "In Italia spesso le scuole di specializzazione non riescono a colmare i posti a disposizione - spiega Bellantone - e tra dieci anni saremo senza chirurghi o almeno senza chirurghi italiani. Potrebbe accadere quello che sta succedendo in altre parti del mondo e, come qui già avviene per gli infermieri, potremmo essere costretti a 'importare' i chirurghi dall'estero".

Secondo Bellantone sarebbe un peccato, dato che i numeri parlano di un sistema sanitario italiano in forma, per lo meno dal punto di vista della preparazione del personale e della tecnologia. Nel 2007, sono stati 1.680 gli interventi di chirurgia mininvasiva condotti con macchine robotizzate e, come precisa Aldo Moraldi, presidente del congresso della Sic, "siamo il Paese che, in percentuale, ha il più alto numero al mondo di robot negli ospedali".

SARA FICOCELLI

Fonte > 
La Repubblica


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