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Convergenze sulla politica estera
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Qualche settimana fa l'ex ministro della Difesa Antonio Martino aveva rumorosamente introdotto la politica estera in campagna elettorale: aveva suggerito il ritiro delle nostre truppe dal peacekeeping in Libano e la loro dislocazione in Afghanistan. La proposta aveva un tono così provocatorio da far prevedere un ampio dibattito. Invece nulla.

Qualche presa di distanza tra l'indignato (Parisi e D'Alema) e il perplesso (Fini), ma poi è calato il silenzio.
Non c'è da stupirsi, in realtà: i programmi dei vari partiti non enfatizzano certo le questioni di politica estera. Addirittura, in quella sorta di minimanifesto elettorale che va sotto il nome di «7 missioni per il futuro dell'Italia», il Pdl non inserisce nemmeno un rigo sulle questioni internazionali. E anche il Pd, pur dedicandovi molta più attenzione, non ne fa un punto centrale. Il rilievo della proiezione esterna dell'Italia rimane, come d'abitudine, sottodimensionato rispetto al rango di media potenza a cui il nostro Paese aspira.

Questa sconfortante constatazione è però controbilanciata da una imprevista sintonia di fondo tra le maggiori forze politiche. Dai programmi dei partiti emerge una maggiore convergenza e il ritorno alle linee tradizionali di politica estera. All'inizio di questo decennio si era creata una situazione inedita nella storia repubblicana: per la prima volta il governo in carica (di centrodestra) si sganciava dal treno europeo e si accodava a quello atlantico. O meglio, si agganciava a quello atlantico per potersi sganciare da quello europeo.

Questa preferenza per uno stretto rapporto con gli Usa a scapito della Uè viene ora ridimensionata: la Carta dei valori di Forza Italia include entramentrambe le entità sotto la volta dell'Occidente: «Europa e Usa sono legate dallo stesso destino». Non solo: anche l'Europa deve dotarsi di «una sola voce autorevole e di una propria autonoma politica di difesa e sicurezza, con la costituzione di un esercito dell'Unione». E, per finire, il documento enfatizza il «dialogo tra le civiltà e rispetto reciproco», fino al punto di dichiarare che «l'accoglienza verso chi cerca la nostra terra come speranza di un futuro migliore è doverosa».

Ovviamente una Carta dei valori può volare alto perché non è destinata al dibattito politico contingente. Ma anche la versione abbreviata adottata dal Pdl in campagna elettorale non si distanzia molto da questa impostazione quando sottolinea che la politica internazionale deve basarsi «sul valore della libertà e sul fondamentale rapporto tra pace, libertà e diritti», e che l'Italia deve attenersi a questi principi.

Questo impianto prende le distanze dall'impostazione del primo Governo Berlusconi e, soprattutto, non è incompatibile con il programma del Pd. Anzi, le sintonie sono molte. Sul rapporto EuropaUsa c'è addirittura identità di vedute: «Siamo favorevoli alla proposta di costruire uno spazio comune transatlantico in campo economico oltre che politico» si legge nel manifesto del Partito democratico. E prosegue: «Usa ed Europa assieme rendono tutto più facile e possibile».

Lo spirito bipartisan sembra quindi aleggiare sulle maggiori forze politiche, contagiando in qualche misura anche quelle minori. Persino la Lega e La destra hanno accenti non ostili all'Europa seppure per ragioni particolari. La Lega l'invoca per un più efficace controllo delle frontiere al fine di limitare l'«invasione» degli immigrati; La Destra per creare una Unione mediterranea e favorire lo sviluppo dell'area al fine di prevenire il fondamentalismo islamico. Solo La SinistraL'Arcobaleno offre una visione "alternativa", incentrata sul rifiuto della guerra, su una riduzione delle spese militari a favore di iniziative di cooperazione, sul ritiro dei nostri militari dall'Afghanistan (ma non dal Libano).

Al di là delle specificità dei partiti minori, i programmi elettorali mettono in luce un avvicinamento di posizioni. Non vorremmo però che questa sintonia fosse favorita dallo scarso rilievo dato alle questioni internazionali. Vedremo se questa convergenza resisterà quando si dovranno affrontare i problemi in agenda, dalla questione palestinese (e libanese) all'Iran, dall'allargamento della Nato a Est all'impiego dei militari italiani in Afghanistan in zone di combattimento. Tutti dossier spinosi, sui quali, fin qui, si sono registrati forti contrasti.


Piero Ignazi

Fonte >
  Il Sole 24 Ore


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