Se i governi sono impotenti
13 Febbraio 2009
Oltre 18 trilioni di euro: sarebbe questo l’ammontare degli «attivi tossici» su cui sono sedute le banche europee, e sui quali possono soffrire perdite massicce. Una cifra enorme anche rispetto all’enorme buco americano, che i successivi salvataggi di Bush e Obama, a forza di trilioni, non riescono a colmare. Una cifra che può trascinare nell’abisso l’euro e la UE stessa, come si legge tra le righe di un allarmatissimo documento segreto preparato dagli eurocrati in vista della riunione (a porte chiuse) dei ministri delle Finanze europee.
«Le stime degli attesi write-down degli attivi totali fa ritenere che i costi del soccorso per i bilanci possono essere molto grandi, sia in termini assoluti sia in rapporto ai PIL degli Stati membri», si legge nel documento: «Per alcuni Stati membri, può darsi che il soccorso delle banche non sia più possibile, dati i loro vincoli di bilancio e l’entità dei bilanci delle banche in rapporto al Pil. Deve essere preso in considerazione l’estensione del rischi per l’intero sistema bancario UE in caso di risposta inadeguata da parte di questi Stati membri, specialmente in caso di banche transfrontaliere».
Tradotto dalla lingua di legno burocratica, queste frasi segnalano il terrore dei cosiddetti responsabili. Il terrore che un altro giro di salvataggi bancari, date le astronomiche cifre richieste, spinga l’indebitamento degli Stati già indebitati al punto da renderli insolventi. Già la forbice degli interessi che gli Stati deboli devono offrire per i loro BOT rispetto a quelli tedeschi manda segnali d’allarme sempre più insistenti.
La Banca Centrale Europea non ha il potere di «salvare» singoli Stati, e i singoli Stati non controllano le leve monetarie. E’ un vicolo cieco. E più la solvibilità degli Stati diventa dubbia, più alti interessi questi devono offrire per attrarre i «mercati», e quindi più diventano indebitati. In una spirale viziosa che può spaccare la UE e l’euro.
Sarebbe perfino bello poter dire che l’Italia è il Paese debole. Il fatto è che ad essere messi a rischio dalle loro proprie banche sono l’Irlanda, il ricchissimo Lussemburgo, la prospera Olanda, la ben governata Austria e la ottima Svezia, per non parlare della Gran Bretagna e della cassaforte chiamata Svizzera; tutti a causa delle esposizioni demenziali delle loro grosse banche, più grosse dei rispettivi PIL.
In altri tempi, altri governi sovrani e consci dei loro compiti storici, avrebbero adottato verso quelle banche la sequenza: «nazionalizzare – liquidare – investigare – incarcerare», il che significava non vendetta o rivalsa, ma l’applicazione puntuale della giustizia.
Ma oggi, gli spettri che chiamiamo governi sono impotenti e paralizzati dal terrore della catastrofe, non sanno che fare. Ritornano all’idea della «bad bank», la banca-pattumiera in cui gettare gli attivi tossici; nella speranza che le banche così liberate dai veleni che le costringono a immobilizzare capitali enormi per far fronte alle perdite finanziarie, possano tornare a prestare a imprese e famiglie.
Ma l’idea era stata già scartata all’inizio della crisi finanziaria, per la difficoltà di fissare un prezzo d’acquisto per questi cosiddetti «attivi»: oggi valgono zero, perchè non esiste domanda da parte dei «mercati». Ma le banche vogliono che siano valutati al prezzo irreale in cui li hanno nei loro libri contabili o poco meno, altrimenti le loro perdite immense le condannano comunque. E in quel caso, il prezzo per le finanze pubbliche di una banca-pattumiera sarebbe tale da far collassare gli Stati, e i loro contribuenti.
Eppure ci sono economisti e ministri che dicono: in Svezia, che conobbe una crisi bancaria anni fa, la banca-pattumiera ha funzionato. E’ il segno che non sanno più pensare qualcosa di nuovo. Persino Barak Obama è stato in grado di rispondere che la Svezia ha in tutto 7 milioni di abitanti e 5 banche, «mentre noi ne abbiamo migliaia», e «la scala dell’economia USA e dei suoi mercati di capitali è così vasta, e i problemi di gestione e controllo di una tale scala rendono priva di senso» la proposta. Non si vede perchè per l’Europa dovrebbe essere sensata.
Non che il piano di salvataggio americano firmato da Obama abbia più senso. Tutti, diconsi tutti gli esperti del problema dicono che non funzionerà: e che i 900 miliardi di dollari che costerà (andando ad accrescere l’immane debito USA) sono buttati lì solo per dar l’impressione di fare qualcosa; per non parlare dei 2 trilioni del piano Geithner (il nuovo ministro del Tesoro) per «salvare» un’altra volta le banche USA.
Così spiega il piano l’economista Dean Baker, direttore del Center for Economic Policy Research in Washington: «Geithner vuol usare i dollari dei contribuenti per mantenere operative banche in bancarotta. Di fatto, vuol tassare insegnanti, pompieri e Joe l’idraulico per proteggere la ricchezza degli azioni di quelle banche a pagare gli alti stipendi dei suoi super-manager». Anzichè incarcerarli, come farebbe uno Stato serio. Di fatto, le banche anglo-americane sono già nazionalizzate, salvo un particolare: che a comandare lo Stato ha lasciato chi le ha distrutte, e gli azionisti di cui cerca di salvare i profitti indebiti.
Quanto al piano Obama, solo il 10% di esso è destinato a nuove infrastrutture (e 100 miliardi di dollari in frastrutture creerebbero, si ritiene, 3,5 milioni di posti di lavoro); il 90% è volutamente gettato nella speranza di stimolare i consumi, ossia nuove importazioni dalla Cina. Di fatto, il nuovo governo USA continua la politica – ormai evidentemente fallimentare – di accrescere un senso di falsa prosperità, finanziata a debito ormai insostenibile, e in definitiva con l’iper-tassazione e/o con l’iper-inflazione. Serviranno a creare lavori non produttivi (vedi i sussidi alle case automobilistiche, che produrranno auto che nessuno comprerà) e toglieranno risorse al settore privato.
Patetica l’ammissione di Obama: «La Svezia ha una diversa cultura sul rapporto Stato-mercato. L’America è differente. Noi vogliamo mantenere la forte sensazione che il capitale privato è quello che sostiene gli investimenti necessari nel Paese».
Insomma: il capitalismo ha fallito, ma noi vogliamo che viva. O che dia «la forte impressione» di vivere, anche se stiamo di fatto statalizzando la produzione industriale e le banche...
Non meno patetiche le esortazioni che ci vengono da Bruxelles ad «evitare il protezionismo», perchè «il protezionismo fu quello che portò alla Grande Depressione degli anni ‘30». Senza una sola ammissione che la globalizzazione, ossia l’anti-protezionismo teologico, ci ha già precipitati nella Grandissima Depressione degli anni 2009-2020. Incapaci di capire, paralizzati dal terrore, impotenti, continuano a ripetere le giaculatorie del Dio che ha tradito, il Mercato.
L’Unione Europea è un mercato di 460 milioni di consumatori, e i due terzi del suo commercio è rivolto all’interno. Una solida integrazione con la Russia ne farebbe uno spazio sostanzialmente autosufficiente senza grandi sacrifici; è possibile una fortezza Europa chiusa, con la creazione di posti di lavoro all’interno, e che USA e Cina, i due mostri che si sono legati con corde inestricabili, vadano alla malora. Ma resta il problema delle banche europee, che si sono esposte dissennatamente e persino più di quelle americane; problema insolubile, perchè i loro attivi tossici sono superiori a quel che gli Stati producono. E’ per loro che gli eurocrati si svenano, è per loro che i governanti (cosiddetti) si spremono le meningi rese ottuse dal mancato uso – troppa adesione al Washington Consensus.
Questi governanti europei li vedremo solo litigare; la Germania non vuol salvare l’Irlanda, e crollerà con essa, e l’Austria, e la Svizzera, e l’Italia. Il fondo sarà l’implosione: in pratica, la perdita di valore dell’euro, l’azzeramento del suo potere d’acquisto.
E ciò, mentre si profila un crollo della produzione alimentare globale. C’entra la siccità in Australia e in Cina. Ma ancor più c’entra il crollo dei prezzi dei grani, accentuato dalla speculazione, e la mancanza di credito che aggrava i produttori: di conseguenza, gli agricoltori del mondo sono stati scoraggiati nel seminare nuovi terreni. In USA, le estensioni a frumento sono calate di 4 milioni di acri, in Canada di 1,1 milioni. In Europa, la sola area del mondo non toccata dalla siccità, la produzione agricola sarà ridotta tra il 10% e il 15%.
Tutto ciò, perchè i governi hanno lasciato che fosse «il mercato» a decidere del nostro destino. Altri governi, in altri passati, avrebbero deciso un «prezzo giusto» per i grani, un prezzo cioè che retribuisca i produttori. Non avrebbero lasciato crollare i grani oltre il «giusto», ce l’avrebbero fatto pagare oggi più di quanto hanno decretato i mercati, ma in cambio avrebbero sventato i rialzi astronomici che i «mercati» ci faranno pagare domani, quando la penuria creerà i rincari, e la speculazione li moltiplicherà.
Lo stesso si poteva fare per il petrolio. Non rallegrarsi del petrolio a 37 dollari a barile, perchè a quel prezzo i produttori frenano la produzione e sono rovinati, ma la fissazione in accordo con loro di un «giusto prezzo» stabile – basato su accordi revisionabili ogni cinque o dieci anni: prezzo «giusto» per Russia e Iran che non possono fare bilanci con gli alti e bassi dei «mercati», e prezzo «giusto» per noi, quando il petrolio schizzerà di nuovo, ineluttabilmente, a 140. Oggi, l’Europa poteva spuntare un «giusto prezzo» sui 70; domani, dovrà accettare quello del «mercato».
Il trucco della moneta creata dal nulla dalle banche sta finendo in nulla, e proprio mentre con quella moneta da nulla dovremo comprare cibo scarso sul piano mondiale. E’ la fine di un sistema, di una civiltà in cui ci siamo adagiati.
Nell’ordine superiore delle cose, è esattamente quello che ci siamo meritati. E’ la fine del sistema in cui l’umanità ha preteso di prosperare nell’aldiquà, di provvedere da sè a se stessa con criteri suoi, senza bisogno di virtù nè di Dio.
Oggi, questa umanità assiste idiota (il popolo del Grande Fratello, non quello di Orwell ma di Mediaset) oppure paralizzata, e impotente, alla catastrofe.
Catastrofe è la parola usata da Obama, senza che ad essa abbia fatto seguire una qualche azione difensiva efficace. Non possono più far niente, loro, come noi. Che ciò almeno possa servire a comprendere che l’unica azione rimasta consiste, oggi, nel pregare.
In massa, in gruppo: «A peste fame et bello libera nos, Domine».
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