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L'austerità di Tremonti e Berlinguer
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Nel 1977, così recita la sua biografia ufficiale, Giulio Tremonti era già professore universitario da tre anni. E dava alle stampe la sua prima opera: Imposizione e definitività nel diritto tributario (Milano, A. Giuffrè). Nel 1977 Enrico Berlinguer era già da cinque anni segretario del più grande partito comunista dell'Europa occidentale. E in due discorsi tenuti a gennaio davanti a intellettuali e operai, parlò di austerità come «mezzo per contrastare alle radici e porre le basi del superamento di un sistema che è entrato in una crisi strutturale e di fondo».

Apparentemente non sembra esserci alcun legame se non fosse che il prossimo 20 gennaio, presso la sala Luigi Di Liegro della Provincia di Roma, quei discorsi saranno argomento di discussione. L'occasione è la presentazione del volume La via dell'austerità - Per un nuovo modello di sviluppo (introduzione di Salvatore Mannuzzu, Edizioni dell'Asino). L'evento è organizzato dalla Provincia e dall'associazione A buon diritto di Luigi Manconi (già portavoce dei Verdi, già deputato Ds, già sottosegretario alla Giustizia del secondo governo Prodi e marito di Bianca Berlinguer, direttore del Tg3 e figlia di Enrico). Nicola Zingaretti introdurrà, Manconi e il direttore di Radio Rai3 Marino Sinibaldi modereranno. E chi ci sarà attorno al tavolo? Ovviamente Giulio. Che avrà la possibilità di dialogare con Emanuele Macaluso, direttore delle Nuove ragioni del socialismo, ma anche esponente migliorista del Pci e membro delle segreterie Togliatti, Longo e Berlinguer.

Ricapitolando. A parlare di una delle indiscusse icone della sinistra italiana e della sua lezione sull'austerità non ci sarà alcun esponente del Pd. Certo, parlerà Zingaretti, ma è pur sempre il «padrone di casa». E in ogni caso, come spiega l'invito, non parteciperà direttamente all'incontro. Le due guest star saranno Tremonti e Macaluso. Punto. Per onore di cronaca va detto che la scelta non è casuale. Basta fare un breve passo indietro, all'agosto del 2010. La platea è quella del Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione. Ospite il ministro dell'Economia. Che ad un certo punto, tra lo stupore dei presenti, lancia il sasso: «È utile rileggere gli scritti del 1977 di Enrico Berlinguer sull'austerity. Si tratta di un ragionamento sulle responsabilità nelle politiche di bilancio che può costituire una base politica di riduzione per i prossimi anni in tutta la Ue». E ancora: «L'austerità sostenuta da Enrico Berlinguer è un riferimento etico e politico da non trascurare, pur non condividendo tante analisi e riconoscendo che la nostra politica è diversa da quella di allora».

Fiumi di inchiostro furono spesi per analizzare la «svolta» di Giulio. Qualcuno la lesse come una provocazione, altri come un'autodifesa, altri ancora si domandarono cosa pensasse Silvio Berlusconi nel sentire il suo ministro dell'Economia citare nientepopodimenoche un «comunista». Fatto sta che quella citazione ha sicuramente avuto un peso nell'ingresso di Tremonti nel ristretto gruppo di coloro che ancora celebrano la figura dell'ex segretario del Pci. Già perché mentre Giulio diventava «berlingueriano», il Pd lo «scaricava». Anche con dichiarazioni pubbliche come quella di Pier Luigi Bersani sulla possibilità di inserire Bettino Craxi nel Pantheon democratico (era il 13 aprile 2007): «Non faccio questa riflessione né su Craxi ma neanche, e guardi cosa arrivo a dire e mi costa molto, su Berlinguer. Perché la storia del Novecento è già molto saputa e molto conosciuta. Oltrepassarla è il problema, non rinverdirla o riconsiderarla: questi sono esercizi che vanno lasciati agli storici». Detto fatto.

Se Walter Veltroni aveva aperto la sua stagione da segretario rivolgendo un pensiero anche al «Dolce Enrico» di vendittiana memoria, Bersani voltò completamente pagina. Nessuna citazione, niente di niente. Tanto che Francesco Cossiga commentò deluso: «Così non si costruisce un grande partito così come non si costruisce un grande Paese sull'oblio. Non si sono ricordati i miei "compagni di scuola" del liceo-ginnasio "D. A. Azuni" di Sassari (Berlinguer e Palmiro Togliatti ndr) che dovrebbero essere ricordati come i "padri del Partito Democratico". Mi ha rattristato, come sempre rattrista l'oblio di un nobile passato, e mi ha meravigliato quasi a farmi pensare che sia stato consumato un qualche "imbroglio" e sia stata commessa qualche ingiustizia storica». A Tremonti il compito di sanare l'ingiustizia.

Nicola Imberti

Fonte > 
Il Tempo



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