Il piano prevede anche un aumento dei salari reali così da far crescere il reddito delle famiglie in rapporto al Pil. Inoltre, le imprese pubbliche dovranno pagare come dividendi una fetta più ampia dei propri guadagni. E il governo farà lievitare i propri livelli di spesa su servizi di consumo quali sanità, istruzione ed edilizia.

Queste manovre sono motivate da considerazioni nazionali, dal momento che il governo cinese intende alzare gli standard di vita più rapidamente del tasso di crescita del Pil. L’effetto sarà una crescita dei consumi in rapporto al Pil e una diminuzione del tasso di risparmio nazionale, che a sua volta porterà a un ridotto surplus delle partite correnti.

Poiché tale surplus si aggira ora al 6% del Pil, se il tasso di risparmio passerà dall’attuale 45% a meno del 39% – sempre alto rispetto a qualsiasi altro paese – il surplus diverrà deficit.

Tali prospettive per il saldo delle partite correnti non dipendono dall’andamento del tasso di cambio del renminbi rispetto alle altre valute. Lo squilibrio tra risparmi e investimenti è fondamentale, e da solo determina la posizione del paese con l’estero.

Tuttavia, la riduzione dei risparmi nazionali spingerà probabilmente il governo cinese ad apprezzare più rapidamente il renminbi, per evitare che un incremento della spesa dei consumatori a livello nazionale crei pressioni inflazionistiche. Una rivalutazione della moneta consentirà, infatti, di controbilanciare tali pressioni e di frenare il rincaro dei prezzi.

Un rafforzamento del renminbi ridurrebbe la spesa nazionale sulle importazioni, inclusi i prezzi per il petrolio e altri fattori produttivi, e al contempo renderebbe le merci cinesi più care per gli acquirenti stranieri, e i prodotti esteri più allettanti per i consumatori cinesi. In questo modo si passerebbe dall’export alla produzione per il mercato domestico, così riducendo il surplus commerciale, e si potrebbe contenere l’inflazione.

I temi del surplus commerciale cinese e del tasso di cambio del renminbi hanno giocato un ruolo importante durante l’incontro che è avvenuto all’inizio di questo mese a Washington tra il Presidente cinese Hu Jintao e il Presidente americano Barack Obama. Gli americani auspicano che la Cina riduca il surplus e consenta un apprezzamento più rapido della propria moneta. Eppure dovrebbero stare attenti a ciò che desiderano, perché una riduzione del surplus e un rafforzamento del renminbi implicano che un giorno la Cina non sarà più il maggiore acquirente di bond governativi americani. È bene che gli Stati Uniti inizino sin da ora a prepararsi a tale eventualità.

Martin Feldstein, professore di economia ad Harvard, è stato alla guida del Consiglio dei consulenti economici durante l’amministrazione Reagan e presidente del National Bureau for Economic Research.
 
Traduzione di Simona Polverino

Fonte > 
Il Sole 24 Ore