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La guerra di Obama?
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“Dobbiamo essere tanto cauti nell’uscirne quanto siamo stati incauti nell’entrarci,” così dice Barack Obama della guerra USA in Iraq. Saggio consiglio. Ma Barack sta seguendo il suo stesso consiglio? Perché sta chiedendo di spostare due brigate da combattimento USA dall’Iraq all’Afghanistan, incrementando così il numero di militari presenti in quel paese da 33.000 a 43.000.

Per quale motivo Barack pensa che un aumento di 10.000 soldati riuscirà a vincere una guerra che non siamo ancora riusciti a vincere dopo ben sette anni di combattimenti? Quanti uomini ancora è disposto ad impegnare? Forse l’impegno di Obama è un investimento aperto?

Perché, senza alcuna visibile strategia di vittoria, Barack sta caldeggiando la stessa via seguita da Lyndon Johnson dopo la morte di John Kennedy. Johnson bombardò il Vietnam del Nord nel 1964, impiegò i Marines nel 1965, aumentò le forze americane da 16.000 “consiglieri militari”, alla data del 22 novembre 1963 (morte di Kennedy, n.d.t.) fino a 525.000 soldati, al gennaio 1969.

Una “escalation” graduale, che è esattamente quanto propone Obama.

Johnson non pensò mai a come porre fine alla partita: come sconfiggere Hanoi, ritirarsi e lasciare un Vietnam del Sud pacificato, prospero e filo-americano.

Barack ha forse pensato a come far finire questa guerra con una vittoria e a come ritirare tutte le truppe americane dall’Afghanistan? Perché chi scrive non riesce proprio a vedere all’orizzonte una conclusione di questo genere.

Se si applica la vecchia regola, la guerriglia vince se non perde, gli Stati Uniti, ormai prossimi all’ottavo anno di combattimenti, stanno perdendo. E, usando il vecchio rapporto di 10 a 1 di militari necessari a sconfiggere una guerriglia, se i Talebani possono reclutare 1.000 nuovi combattenti, allora “vedranno” la puntata di Obama di due brigate, e rilanceranno. Esattamente come Ho-Chi-Min continuò a rilanciare su Johnson.

Che farà allora il Presidente Obama? Manderà altri 10.000 soldati?

L’Unione Sovietica, il cui esercito in Afghanistan, forte di 115.000 uomini, era più del doppio delle forze congiunte USA/NATO anche con l’aumento proposto da Obama, tornò in patria sconfitto nel 1988. E l’Impero Sovietico non sopravvisse a quella umiliazione.

Obama, e anche John McCain che ha sostenuto l’aumento di truppe, prima di impegnare altre brigate da combattimento, dovrebbero spiegarci come e perché questa guerra dovrebbe concludersi con una vittoria americana. Perché, a tutt’oggi, la guerra afghana assomiglia al Vietnam ben più di quanto abbia mai fatto l’Iraq.

Considerate questo: gli attacchi talebani quest’anno sono già aumentati del 40%. Le perdite USA in maggio e giugno hanno superato quelle in Iraq. Il generale Petraeus afferma che Al-Qaeda si sta spostando dall’Iraq all’Afghanistan ed al Pakistan. Il controllo del presidente Karzai, soprannominato “il Sindaco di Kabul” non si estende oltre la capitale, nella quale la sicurezza si sta deteriorando.

Per il sesto anno di fila il raccolto di papavero da oppio, fonte primaria dell’eroina mondiale, ha stabilito un nuovo record. I talebani, che quando erano al potere distrussero queste coltivazioni, adesso stanno collaborando con i coltivatori al fine di estorcere più denaro per continuare a combattere.

Ancor più criticamente il Pakistan è diventato per i talebani, per Osama bin Laden e per Al-Qaeda lo stesso santuario che il Vietnam del Nord, il Laos e la Cambogia offrirono ai Viet-Cong ed all’esercito di liberazione nord-vietnamita, con questa sola differenza: noi non possiamo invadere o bombardare il Pakistan.

Il nuovo regime di Islamabad non sta mostrando alcun entusiasmo per contrastare i talebani che dominano le regioni di confine e le province della frontiera nord-occidentale e che simpatizzanti nell’esercito pakistano e nei servizi segreti.

Gli attacchi aerei a cui abbiamo cominciato ad affidarci si sono risolti in feste di matrimonio e famiglie spazzate via nelle loro case su entrambi i lati della frontiera. Il presidente Musharraf aveva perfino minacciato rappresaglie contro le forze USA se vi fossero state altre vittime fra la popolazione. L’anti-americanismo, pandemico in Pakistan, sta crescendo.

E, per quanto riguarda l’Afghanistan, come la vinciamo una guerra contro una nazione di 27 milioni di persone, delle dimensioni del Texas, con soltanto 50.000 militari USA/NATO? Quanto tempo ci servirà per addestrare, equipaggiare ed armare un esercito afghano che sia al tempo stesso leale al regime ed efficace nel combattere contro i suoi fratelli Pashtun?
In qual modo si può ottenere la vittoria se il nemico si può ritirare ogni inverno in Pakistan per riposarsi, riarmarsi e preparare nuovi attacchi?

Se l’esercito pakistano non riesce a ripulire le regioni di frontiera come pensiamo di poetrci riuscire noi con attacchi delle Forze Speciali, che sono solo punture di spillo, oppure con i Predator e gli F16, che invariabilmente fanno vittime fra la popolazione civile?

Di per sé l’Afghanistan non ha alcuna importanza strategica, se non è la base di partenza di Al Qaeda. Invece la vera calamità per gli USA ed il Vicino Oriente sarebbe cedere il Pakistan, una nazione di 170 milioni di persone, con bombe atomiche, all’islamismo.

Secondo la dottrina di Colin Powell su come combattere le guerre, ci sono domande che bisogna porsi ed a cui bisogna rispondere affermativamente, prima di impegnare truppe americane: sono in pericolo laggiù interessi vitali degli Stati Uniti? Abbiamo un obiettivo ben preciso e raggiungibile? I rischi ed i costi sono stati accuratamente valutati? C’è una precisa strategia di uscita? Questa guerra è sostenuta da una nazione unita?

Quante di queste domande si è posto Obama prima di impegnare altri 10.000 soldati americani in quella che, se diventerà presidente, sicuramente diverrà “la guerra di Obama”, esattamente come l’Iraq è diventato “la guerra di Bush”?

Patrick J. Buchanan

Traduzione per EFFEDIEFFE.com di Arrigo de Angeli

Source >
  Antiwar.com | 29 luglio


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