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La linea del fronte d’Israele passa per l’Europa. Tsahal combatte anche per la nostra libertà
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Ferrara scatenato

Quando penso al mondo occidentale oggi, quello che una volta veniva detto “mondo libero”, me lo immagino suddiviso in tre regioni disuguali. La prima regione, la più vasta, è formata dagli Stati Uniti e dal Canada, cui si aggiungono l’Australia e la Nuova Zelanda. Il fulcro sta negli Stati Uniti, la cui Dichiarazione di Indipendenza ha dato alla luce la libertà moderna. Delle tre regioni, è quella che si sente più al sicuro, più distante dalle minacce dell’Islam. E’ anche la regione in cui la popolazione tende a essere più ignorante dei pericoli che incombono su di noi.

Poi viene l’Europa occidentale. E’ più piccola, più densamente popolata e più vicina al mondo musulmano. Se Sarah Palin vivesse a Gibilterra, potrebbe vedere il Marocco da casa. L’Islam costituisce qui una parte assai più cospicua della vita quotidiana, rispetto all’America del nord o all’Australia. La presenza delle sottoculture musulmane in Europa è un argomento di cui i media si occupano regolarmente e rappresenta un fattore significativo nel dibattito politico e nel momento delle elezioni. Sono un americano che ha vissuto in Europa occidentale per dodici anni.

Quando sto in America, mi sento come lontano dalla linea del fronte; quando torno in Europa, il senso della tensione sociale mi colpisce come una folata di aria calda. In Europa, ho assistito a manifestazioni di massa della rabbia musulmana, ho visto le sue azioni di vandalismo su vasta scala, e ho fatto esperienza della sua violenza. Mi sento sempre più attorniato da nemici della libertà, in un posto in cui prima o poi scoppierà la guerra santa. Eppure, l’Europa non è il fronte più avanzato dell’imminente resa dei conti con l’islamismo.

No, il fronte è Israele, il piccolo Israele. Se unissimo Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda otterremmo una superficie di 30 milioni di km quadrati. Il mondo musulmano ha pressappoco le stesse dimensioni. L’Europa si estende su di una superficie pari a poco più di un decimo di questa. E Israele? E’ meno di un duecentesimo dell’Unione europea, e la sua popolazione è ben al di sotto dell’uno per cento della popolazione del mondo musulmano che la circonda. Eppure il mondo occidentale dovrebbe occuparsi in modo urgente del piccolo Israele. Perché? Perché rappresenta una piccola oasi di libertà in un ampio deserto di tirannide. Perché è a un tempo simbolo vivente di giustizia per il popolo ebraico, la grande vittima storica sia dell’Uslam, sia dell’Europa, e rifugio per i musulmani che contravvengono alla brutalità della sharia perché sono gay, sono vittime di stupro o apostati. E se ne deve occupare perché Israele è ormai la regione più a rischio dell’occidente libero, l’agnello sacrificale, il canarino nella miniera.

Per gli islamisti, è la punta della freccia del Dar al-Harb, la casa della guerra, il territorio degli infedeli, conficcata nel cuore stesso del Dar al-Islam. Vogliono distruggerlo perché vogliono distruggere noi. Quando gli israeliani lottano per difendere la libertà della propria terra, lottano per tutti noi, che ce ne stiamo lontani dal fronte, in Europa e in America.

Eppure milioni di noi, nella nostra ignoranza colossale, nel nostro rifiuto decadente di lottare per i valori della libertà e nella nostra disperazione codarda di pacificare quel che non è pacificabile, siamo disposti a servire Israele agli islamisti su di un piatto d’argento, senza capire che la prossima portata saremo noi. Da americano, i cui antenati hanno combattuto per la libertà durante la rivoluzione americana e la guerra civile, e i cui zii hanno combattuto in guerra per distruggere il mostro nazista, stare al fianco di Israele significa, molto semplicemente, riaffermare la libertà per cui queste persone hanno messo a repentaglio la propria vita e che io ho avuto la fortuna di ereditare. Riconoscerlo è il minimo che possano fare quanti di noi vivono liberi in America e in Europa.

Bruce Bawer è un giornalista americano e collaboratore del New York Times (Traduzione di Elia Rigolio)

Fonte >  
Il Foglio



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