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Licenziata dalla British Airways per una croce al collo
L'Uomo Vivo
20 Febbraio 2010
E’ finito davanti alla Court of Appeal
londinese un altro celebre caso di discriminazione nei confronti dei
cristiani in Gran Bretagna. Nadia Eweida, una cinquantottenne impiegata
delle British Airways, non si è arresa di fronte al verdetto del
Tribunale del Lavoro che ha respinto il suo ricorso.
Questi i
fatti. Nel settembre 2006 Nadia Eweida, addetta al servizio di check-in
presso il terminal 5 dell’aeroporto di Heathrow, si vede intimare dalla
direzione della compagnia aerea di non indossare, durante l’orario di
lavoro, la collanina con la croce che portava al collo. Il rifiuto da
parte della dipendente, motivato da sue profonde convinzioni religiose
e dal fatto che i segni distintivi di altre fedi venivano invece
permesse dalla compagnia, non viene preso molto bene.
Infatti,
senza tanti complimenti, Nadia Eweida viene licenziata il 20 settembre
2006, con la motivazione che la sua croce d’argento, non più grande di
una moneta da 5 pence, appare contraria alla «company’s uniform
policy». Le 49 pagine di dettagliate istruzioni sull’uso delle uniformi
e dei gioielli delineavano, infatti, una filosofia aziendale impostata
sull’assoluta “neutralità” nei confronti delle convinzioni personali
dei dipendenti.
Invoca, poi, l’art. 9 della Convenzione europea
sui diritti del’uomo e le vigenti normative britanniche in materia di
tutela delle pratiche e delle convinzioni religiose dei dipendenti,
l’Employment Equality (Religion or Belief) Regulations 2003. Evidenzia,
inoltre, la disparità di trattamento compiuta dalla British Airways nel
«permettere l’utilizzo di simboli religiosi visibili per i credenti in
altre fedi, come ad esempio il kara, braccialetto sacro dei Sikh, il
kippah, copricapo degli ebrei, o la hijab, velo per le donne musulmane».
British
Ariways, infatti, si è vista bene dal vietare simili forme esteriori di
fede. Singolare la tesi difensiva della compagnia aerea. L’avvocatessa
Ingrid Simler si rivolge alla Corte sostenendo che «l’esibizione della
croce al collo non è richiesta come precetto dalla religione cristiana
ed è quindi frutto di una scelta individuale e non obbligatoria rimessa
al mero desiderio della Eweida».
Ma l’avvocatessa si spinge
oltre – fino al limite dell’irriverente –, quando dichiara che «il
simbolo utilizzato dalla Eweida deve intendersi come espressione di una
semplice convinzione allo stesso modo dei simboli utilizzati da altre
persone per manifestare contro il nucleare o in favore dei diritti
degli omosessuali».
All’udienza sono presenti diversi
sostenitori di Nadia Eweida e qualche parlamentare. C’è pure l’ex
Ministro degli Interni John Reid, il quale, prendendo la parola fuori
dall’austero palazzo di stile gotico-vittoriano che ospita la Court of
Appeal, dichiara: «Questo caso rappresenta un chiaro indicatore del
fatto che i cristiani non godono delle stesse protezioni previste dalla
legge per i fedeli di altre religioni a cui viene garantita, nel posto
di lavoro, la massima disponibilità per quanto riguarda l’abbigliamento
e l’esibizione di simboli religiosi».
Anche Nadia Eweida, subito
dopo l’udienza, rende una dichiarazione: «Io ho combattuto questa
battaglia legale fino alla Corte d’Appello per difendere il diritto dei
cristiani a portare indosso una croce. E’ triste constatare come
British Airways non si renda conto e non riesca a percepire che proprio
la croce è il simbolo per eccellenza della fede cristiana».
Lo
scorso venerdì 12 febbraio, la Corte d’Appello londinese, con una
sentenza più che prevedibile, ha respinto il ricorso di Eweida.
Patetica l’uscita di Lord Justice Sedley, uno dei giudici d’appello,
che dopo aver ribadito l’inopportunità di esibire simboli religiosi nei
luoghi di lavoro, ha dichiarato che, tutto sommato, «non è impensabile
che in alcuni casi un divieto generale rappresenti l’unica soluzione».
Peccato
che l’ultima sentenza dell’Alta Corte in materia abbia ribadito il
fatto che la proibizione ad una ragazza sikh di portare a scuola il
“kara”, braccialetto sacro, integri un vero e proprio atto di
discriminazione religiosa.
Qual è la differenza tra una croce ed
un kara? Semplice. La reazione dei discriminati. Non è facile gestire
politicamente le veementi proteste della comunità sikh o di quella
islamica, mentre i cristiani hanno da sempre dimostrato di essere assai
più “tolleranti” rispetto alle ingiustizie patite. Fa parte, del resto,
del loro stesso DNA. La morale di questa storia dovrebbe farci
riflettere.
Mentre da noi in Italia si discute se esporre o meno
il crocifisso nei luoghi pubblici, in Gran Bretagna la magistratura ha
già deciso che ad un cristiano si può impedire di portare al collo il
simbolo della propria fede sul luogo di lavoro. Se consentiamo che la
tolgano dai muri, arriveranno a levarcela anche di dosso.
Source > L'Uomo Vivo
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