Secondo S. Tommaso l’essenza della tirannide si esprime nei comandi rivolti dall’Autorità ai sudditi non in quanto soggetti della società e in vista del loro bene comune temporale e spirituale, bensì come schiavi (S. Th. , II-II, q. 64, a. 1, ad 5).
Tiranno d’usurpazione e tiranno di governo
I commentatori dell’Angelico, ad esempio il cardinal Gaetano[1] e Francisco Suarez[2] distinguono tra tiranno d’usurpazione e tiranno di governo.
Il Tiranno, di cui ci occupiamo nel presente articolo, è il tiranno di governo e non l’usurpatore.
L’abuso di potere e la tirannide
Nessuna società potrebbe sussistere senza un capo che comanda e dirige i sudditi verso il bene comune. Quindi, Dio ha voluto la Società, avendo creato l’uomo animale sociale, e perciò necessariamente ha voluto l’autorità, che procede da Dio stesso.
Nel Medioevo si riteneva che l’abuso di potere fosse il caso principale di realizzazione di una tirannia.
Il tiranno può essere deposto perché è diventato illegittimo
“Gli scolastici, da S. Tommaso a Suarez, non esitano a dire che la Nazione ha il diritto di destituire, di deporre, di cacciare il tiranno. Poiché ha perso il diritto di regnare ed è diventato illegittimo. Ma, bisogna che l’abuso sia grave, permanente e universale [...]. Secondo gli scolastici, il potere del Principe decaduto ritorna al popolo o alla Nazione che glielo aveva affidato”[3].
La moltitudine può deporre il tiranno
S. Tommaso nel De regimine principum insegna che “se appartiene di diritto alla moltitudine di darsi un capo, essa può, senza ingiustizia condannare il Principe a disparire, o può mettere freno al suo potere, se ne usa tirannicamente” [4].
Uccisione privata del tiranno?
Tuttavia, per l’Angelico «anche se alcuni insegnano essere lecita l’uccisione del tiranno per mano di un qualsiasi privato [...] è pericolosissimo permettere l’uccisione privata del tiranno, perché i malvagi si riterrebbero autorizzati a uccidere i re non tiranni, severi difensori della giustizia [...] contro i tiranni eccessivi e insopportabili si può agire solo in virtù di una pubblica autorità»[5]. La stessa dottrina è insegnata da Bañez[6], Billuart[7], Bellarmino[8], Suarez[9].
La tradizione scolastica è quasi unanime nel riconoscere il diritto di resistenza, che - in casi estremi - può giungere alla rivolta armata.
Juan de Mariana opina che il tirannicidio sia lecito anche privata auctoritate; infatti, non è da condannarsi colui che, eseguendo la comune volontà, procura di sopprimere il tiranno [10].
Non basta l’iniziativa semplicemente privata, ma occorre prima una «condanna» pubblica e poi l’«esecuzione» può essere eccezionalmente privata
Tuttavia, per il Mariana, non significa che basti l’iniziativa semplicemente privata, occorre prima una condanna pubblica del tiranno e solo poi, come extrema ratio l’esecuzione può essere privata, quando non si possa raggiungere l’autorità superiore, ma fondandosi sulla condanna pubblica, senza un mandato esplicito del potere pubblico (e solo con mandato interpretativo e presunto) si esegue il tirannicidio[11].
Il Magistero (Leone XIII / Pio XI) a favore del tirannicidio
Il problema del tirannicidio è stato trattato sino ai nostri giorni. Nel XIX sec. da Leone XIII, nel XX sec. da Pio XI e nel sec. XXI da vari teologi o storici qualificati.
Leone XIII, nell’Enciclica Diuturnum illud del 1881, insegna che quando l’ordine del principe è contrario al diritto naturale e divino, “obbedire sarebbe criminale”.
Pio XI, nell’Enciclica Firmissimam constantiam del 1937, ricorda all’Episcopato messicano che se i poteri costituiti ²attaccano apertamente la giustizia […], non si vede nessuna ragione di rimproverare i cittadini, che si uniscono per la loro difesa e a salvaguardia della nazione”, ossia è lecita una resistenza attiva che usi mezzi leciti, escluso il clero e le associazioni direttamente mandatarie del clero, quali l’Azione Cattolica.
Il padre gesuita Andrea Oddone ha scritto nel 1944-45 che la resistenza passiva è sempre lecita nei riguardi di una legge ingiusta. La resistenza attiva legale, in casi in cui la religione è messa in pericolo, è lecita, anzi, occorre ²deplorare - come insegna Leone XIII in Sapientiae christianae del 1890 - l’attitudine di coloro che rifiutano di resistere per non irritare gli avversari”.
Resistenza attiva armata
La resistenza attiva armata è legittima: se la tirannia è costante; se è manifesta o giudicata tale dalla ²sanior pars” della società; se le probabilità di successo sono numerose; se la situazione successiva non è peggiore dell’anteriore[12].
Resistenza passiva
La resistenza passiva consiste nella non esecuzione della legge ingiusta, fino a che non vi si è costretti con la forza; ma nel caso in cui la legge ingiusta comandi qualcosa di peccaminoso, “un atto intrinsecamente cattivo in sé, la resistenza non solo è permessa, ma è sempre obbligatoria; non si possono eseguire ordini criminali”[13].
La tolleranza
La tolleranza è fondata sul rispetto per il bene comune della Società. Insomma, ci si astiene dall’opposizione alla legge ingiusta, perché si prevede che essa danneggerebbe più severamente il bene comune che non la tolleranza della legge ingiusta. In breve, la si tollera, solo per non peggiorare la situazione; come quando si ha mal di denti, ma vi è un’infezione, si è costretti a tollerare il dente malato, sino a che l’infezione non sia stata debellata da antibiotici, e solo allora si potrà estrarre il dente cariato.
d. Curzio Nitoglia
[1] In Summ. Th., II-II, q. 64, a. 1, ad 3um.
[2] De virtutibus, disput. XIII, sect. VIII, Opera omnia, ed. Vivès, t. XII, p. 759.
[3] D. Th. C., vol. 29. col. 1962.
[4] De regimine principum, Lib. I , cap. 6.
[5] C. Giacon, La seconda scolastica. I grandi commentatori di S. Tommaso, Milano, Bocca, 1944, pag. 98.
[6] In IIam-IIae, q. 64, a. 3, concl. 1, Opera, Salamanca, 1584-1612.
[7] De jure et justitia, Liège, 1746-51, dissert. X, a.2, ad 3um.
[8] De concil. auctorit., Ingolstadt, 1586-1593, lib. II, cap. 19.
[9] Defensio fidei, lib. VI, cap IV, §15, Colonia, 1614.
[10] Cfr. De rege et de regis institutione, Toledo, 1599, lib. I, cap. VI, p. 76.
[11] Cfr. C. Giacon, op. cit., pagg. 271-272.
[12] Cfr. A. Oddone, ²La resistenza alle leggi ingiuste secondo la dottrina cattolica” in La Civiltà Cattolica, n. 95, 1944, pp. 329-336; Ibid., n. 96, 1945, pp. 81-89.
[13] R. Pizzorni, Diritto naturale e diritto positivo in S. Tommaso, Bologna, ESD, 2000, pag. 358.