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Ricordiamo l’olocausto anche noi
21 Febbraio 2009
Queste macchine furono usate per irradiare un enorme numero di bambini ebrei sefarditi – si dice fino a centomila – quasi tutti provenienti dal Marocco, le cui famiglie erano state convinte a fare «il ritorno» in Israele. A ciascuno di questi bambini fu somministrata 35 mila volte la dose massima consentita di radiazioni, concentrate sulla testa. Per questo test di massa, il governo americano – che aveva bandito dal ’51 gli esperimenti atomici su esseri umani e aveva bisogno di cavie – pagò al governo israeliano 300 mila lire israeliane l’anno, non si sa per quanti anni. Si pensi che l’intero bilancio del ministero della Sanità israeliano ammontava allora a 60 mila di quelle lire. Israele ottenne anche elementi tecnici del know-how necessario per avviare il proprio programma militare nucleare. L’iniziatore di tale programma era stato Shimon Peres, attuale presidente, laborista, e uomo di pace per tutti i media. Allora, Peres era direttore generale del ministero israeliano della Difesa. Per ingannare i genitori, fu detto loro che le irradiazioni servivano per curare un parassita cutaneo, la tricofizia dello scalpo. I bambini furono caricati su pullman per «gite scolastiche». Almeno 6 mila di quei bambini morirono subito dopo le somministrazioni; molti altri sono morti nel corso degli anni per tumori. Alcuni sono ancora vivi, ormai anziani, e sofferenti di gravi disturbi, dall’Alzheimer alla cefalea cronica, dall’epilessia alla psicosi. L’episodio non è la fantasia di un «antisemita». E’ stato l’oggetto di un documentario, «100.000 Radiations», prodotto nel 2003 dalla Dimona Productions Ltd. (Dimona è il luogo delle installazioni atomiche giudaiche) registi Asher Khamias e David Balrosen, produttore Dudi Bergman. Il 14 agosto 2006 l’ha persino trasmesso la TV israeliana Canale 10. Il documentario intervistava diversi superstiti. Una vecchietta marocchina che ricorda di quel che sofferse da piccola: «Urlavo: mal di testa vai via, mal di testa vai via, vai via... Non andava mai via». Un sessantenne che ne dimostra venti in più, piegato in due mentre cammina esitante per la strada: «Devo zoppicare per non cadere in avanti. Mi hanno tolto la giovinezza, con quei raggi». Una donna con la faccia tutta storta: «Tutti e tre i miei figli hanno la mia stessa forma di cancro. E’ una coincidenza?». Ovviamente le radiazioni hanno alterato il codice genetico delle vittime, portando a malformazioni dei figli. Le ebree marocchine di oggi, in età avanzata, soffrono di una forma orribile di alopecia, con cicatrici sul cuoio capelluto, che cercano di nascondere con l’hennè e con copricapi. Il pubblico israeliano ritiene si tratti di un carattere «razziale» della comunità marocchina. Nel documentario, un’anziana con pochi pietosi ciuffi di capelli sparsi sul capo mostra una sua foto giovanile: è una tredicenne con una folta chioma nerissima. «Ero io prima della cura», dice. Una infermiera che aveva partecipato all’operazione: «Ce li portavano (i bambini) in file e file. Anzitutto, gli rasavano la testa e la ungevano con un gel che bruciava. Poi gli mettevano una palla fra le gambe e gli dicevano di non lasciarla cadere, così non si potevano muovere. Io indossavo il grembiule al piombo, ma per loro non c’erano indumenti protettivi. Mi era stato detto che era un trattamento per la tricofizia. Avessi saputo il pericolo che quei bambini affrontavano, mai avrei cooperato, mai!». Parla anche un ebreo di nome Davi Deri, che si ricorda di quando era bambino: «Ero in classe e vennero delle persone per portarci in un giro scolastico. Fecero l’appello, ci chiesero i nostri nomi. Ai bambini askhenazi dissero di tornare al loro banco. Solo i bambini di pelle scura furono portati nel bus». I sefarditi sono praticamente indistinguibili dagli arabi nordafricani; in Israele costituiscono una sottoclasse oppressa, ridotta a vivere di espedienti e reati. I dominatori askhenazi (non una goccia di sangue di Abramo nelle loro vene) hanno diffuso l’idea che i sefarditi sono sotto-sviluppati mentali. Ma i sefarditi marocchini che hanno avuto la fortuna di emigrare in Francia anzichè in Israele, costituiscono una comunità rispettata e di successo. Certo, aver ricevuto in testa 35 mila volte più radiazioni di quelle ammesse, non deve aver aiutato il fiorire delle intelligenze. Nel documentario, si chiarisce oltre ogni dubbio che l’esperimento genocida fu cosciente e deliberato. Vi si mostra il documento medico che indicava, nel 1952, le precauzioni da prendere per i raggi X. La dose massima da somministrare a un bambino vi era indicata in 0,5 rad. Il pericolo delle radiazioni era noto da 40 anni. Si fanno anche i nomi dei due responsabili, che avevano espresso idee razziste contro i sefarditi. Sono due mitici giganti del sionismo: Nahum Goldmann e Levi Eshkol. Goldman passò il periodo bellico prima in Svizzera, poi a New York, dove fu nominato capo del Congresso Ebraico Mondiale, diretto da Samuel Bronfman, della famiglia ebreo-canadese proprietaria dellla Seagram Wiskhy e del colosso chimico DuPont. Secondo lo storico ebreo-canadese Mordechai Richler, in quegli anni Brunfman si era adoperato per impedire che gli ebrei europei, fuggendo dal Reich, ricevessero asilo in Canada. Bronfman strinse un accordo su questo con l’allora premier canadese Mackenzie King. Decenni dopo un suo erede, Edgard Bronfman, strinse un simile accordo con Gorbaciov: se lasciava emigrare i due-tre milioni di ebrei russi, l’URSS avrebbe ottenuto lo status di «nazione più favorita» con gli USA. Ma ad una condizione: gli ebrei russi dovevano essere fatti emigrare solo in Israele, non altrove. Nahum Goldman, negli anni della guerra, cooperò a quell’esodo selezionato, e sorvegliò che gli ebrei salvati andassero «solo» in Israele. Quanto a Levi Eshkol, il suo ruolo nell’olocausto fu anche più ambiguo. Come si legge nella biografia ufficiale sul sito web del governo israeliano, «nel 1937 Levi Eskol ebbe una parte essenziale nel creare la compagnia idrica (israeliana) Mekorot. Come dirigente di tale ditta, ebbe modo di convincere il regime germanico a lasciar emigrare gli ebrei tedeschi in Palestina con i loro beni, per lo più in forma di attrezzature e macchinari Made in Germany». Insomma un bell’accordo commerciale con i nazisti, con cui a quell’epoca Eskol era in ottimi rapporti. Seguace aperto di Sabbatai Zevi lo pseudo-messia, Levi Eshkol divenne nel 1951 ministro dell’Agricoltura, poi dal 1952 al 1963 ministro delle Finanze. «Un decennio», si legge nella sua biografia ufficiale, «caratterizzato da eccezionale crescita economica, nonostante il peso del finanziamento dell’immigrazione e del suo assorbimento e la guerra del Sinai del 1956. Tra il 1949 e il 1963, Eshkol fu anche il capo della divisione insediamenti dell’agenzia Ebrica, responsabile di ottenere i fondi per l’assorbimento delle massicce ondate di emigranti, nonchè per le forniture militari all’esercito». Tra le massicce ondate di immigranti, ce n’erano evidentemente alcune di troppo, sgradite per il colore della pelle e perchè non parlavano yiddish come gli askhenazi; ma del porco non si butta via niente. Come cavie sperimentali, le bocche inutili diventavano una fonte di profitto. Come noto, gli storici ufficiali dell’olocausto non sono risuciti a trovare un ordine scritto di Hitler che desse al termine «soluzione finale» il significato inequivocabile di «genocidio». Anche sul genocidio dei bambini sefarditi compiuto dal santo regno di Sion mancano tutti i documenti per risalire con precisione ai responsabili. A Canale Dieci, nel dibattito che è seguito al documentario, il portavoce del ministero della Sanità Boaz Lev ha ammesso: «Quasi tutti i documenti (sulla vicenda) sono stati bruciati». La cosa fu ripetuta, a quanto pare, su 4.500 bambini, per lo più figli di immigrati ebrei dallo Yemen. Anni dopo fu perfino creato un movimento per quei bambini yemeniti, fondato dal rabbino Uzi Meshulam. Costui asseriva che i 4.500 bambini, rapiti alle famiglie, erano stati mandati in America dove erano morti in esperimenti. Rabbi Meshulam fu messo in prigione; ne è uscito in stato vegetativo, da cui non si è più ripreso. Anni dopo, un altro rabbi David Sevilla confermò la versione, apparantemente pazzesca. Esisterebbero persino foto delle orribili cicatrici da radiazioni sui corpi di quei bambini, e delle gabbie con cui furono trasportati in USA. Effettivamente, gli USA avevano segretamente adoperato detenuti e deboli mentali come cavie umane per constatare gli effetti delle espolsioni atomiche; negli anni ’40 la cosa trapelò, e il Pentagono dovette smettere tali esperimenti. Aveva però bisogno di altre cavie umane. E’ possibile che gli askhenazi israeliani le abbiano fornite, liberandosi così di ebrei purissimi ma culturalmente «orientali», dunque «inferiori» e indesiderati? Il governo di allora aveva come primo ministro David Ben Gurion, mitico padre della patria sionista. Ministro degli Esteri era Levi Eskol, Golda Meir ministra del Lavoro, Eliezer Kaplan ministro degli Insediamenti, Moshe Sharrett ministro della Sanità; Shimon Peres, come detto, direttore generale della Difesa. Il Gotha luminoso del sionismo, avvolto nella eroica leggenda di Sion. Costoro erano sicuramente al corrente dell’esperimento delle centomila radiazioni. Eliezer Kaplan, come ministro delle Finanze, deve aver gestito i notevoli profitti dell’operazione: oggi un famoso ospedale israeliano è dedicato al suo nome immortale. Come anche Chaim Sheba, il sionista che diresse in quegli anni la «Ringoworm Incorporated», la ditta creata ufficialmente per combattere la tricofizia del cuoio capelluto (una piaga dell’epoca, dovuta alla scarsa igiene degli ebrei sefarditi). Yosef Burg, ministro della Sanità, ebbe certamente un ruolo in questa operazione di «igiene preventiva»; del resto, rabbi Meshulam, prima di perdere la ragione nelle galere ebraiche, accusava Burg di essere il mandante del rapimento e della scomparsa dei 4.500 bambini yemeniti. Curiosamente suo figlio, Avraham Burg, già presidente della Knesset, ha preso pubblicamente le distanze dal razzismo talmudico sionista anti-palestinese. Levi Eskol, con le sue varie cariche e la responsabilità di far soldi per il bene di Sion, potrebbe essere stato l’ideatore e l’esecutore del grosso affare con gli americani. A Canale 10, come s’è detto, il documentario è stato seguito da un dibattito. L’anchorman della TV, Dan Margalit, ha spiegato l’olocausto segreto e da non ricordare così: «Lo Stato era povero. Era una questione di sopravvivenza quotidiana». Sempre la solita scusa: l’esistenza stessa di Israele è in pericolo, Israele ha diritto di difendersi. Questo breve articolo va inteso come modesto contributo alla Giornata della Memoria, così ossessivamente rammemorata in questi giorni su tutti gli schermi. Un impulso nato dopo la dose obbligatoria di «Schindler’s List», con quel suo aspetto leccato di fiction, così offensivo per le vere vittime. La prossima volta, ci diano «100.000 Radiations», della Dimona Productions: smettano di essere negazionisti. Maurizio Blondet (articolo pubblicato il 26 gennaio 2009)
Fonte principale > "100,000 RADIATIONS - A REVIEW"
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