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Caso Williamson, Vaticano II e giudaismo
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«Tutto è perduto con la guerra, tutto può essere salvato con la pace» (Pio XII)
 
Lo svolgimento dei fatti
 
1) Benedetto XVI (il 21 gennaio 2009) ha revocato la scomunica del 1 luglio 1988, che fu comminata ai quattro vescovi della Fraternità Sacerdotale San Pio X consacrati il 30 giugno 1988, da monsignor Marcel Lefebvre e da monsignor Antonio de Castro Mayer.

2) Immediatamente i «media» hanno «orchestrato una campagna di linciaggio contro Papa Ratzinger» e la Fraternità Sacerdotale San Pio X, specificatamente nella persona di monsignor Williamson, reo di aver esposto (in Canada, venti anni or sono) una sua opinione sulle tesi degli storici che hanno rivisitato la «shoah» (parola ebraica, che tradotta in italiano significa «catastrofe» e non «olocausto» come si vorrebbe far intendere) e sulla quale è stato chiamato a rispondere di nuovo nell’ottobre 2008 dalla TV svedese, in Germania.

3) Il rabbinato mondiale ha chiesto al Papa di ri-scomunicare Williamson, e alla Fraternità Sacerdotale San Pio X di dire chiaramente se accetta totalmente il Vaticano II, specialmente «Nostra aetate» e l’insegnamento sull’ebraismo del post-Concilio. Purtroppo tale richiesta è stata fatta propria, in pieno, da Benedetto XVI nella «Nota della Segreteria di Stato» (4 febbraio 2009).

4) Il rabbino capo di Roma ha detto che il problema centrale non è tanto la revisione della volgata sulla «shoah» (sollevata dai «media» a proposito di monsignor Williamson) quanto quello della non accettazione del mutamento di atteggiamento teologico verso l’ebraismo, iniziato da Giovanni XXIII col Vaticano II e portato avanti da Paolo VI e soprattutto da Giovanni Paolo II. Quando Ratzinger emanò il «Motu proprio» sulla Messa tridentina era lecito (non doveroso) sperare, senza farsi illusioni, che volesse riassorbire, gradualmente, il disastro liturgico provocato da Paolo VI col Novus Ordo Missae (1970); nulla di più ma pur sempre qualcosa. Credere ancora adesso, dopo le sue ultime affermazioni, che voglia rivedere e correggere il Vaticano II, significherebbe «impugnare la verità conosciuta».

5) Chi è realmente Ratzinger? Qual’è la sua posizione attuale sul Vaticano II e sul giudaismo? Si poteva sperare che le macerie del post-Concilio lo avessero fatto ricredere almeno in parte, specialmente sulla liturgia. Invece il caso Williamson ha scoperto ciò che realmente bolliva in pentola. Ratzinger vuole l’attuazione piena e totale del concilio e specialmente del dialogo inter-religioso soprattutto col giudaismo. Se la risposta di Ratzinger, dell’agosto 2007, al libro di rabbi Jacob Neusner, «Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù. Quale maestro seguire?» (Casale Monferrato, Piemme, 1996) ci aveva dato qualche speranza, le prese di posizione odierne ce l’hanno tolta totalmente. Alfred Lapple, vecchio professore di Ratzinger, presso il Seminario di Frisinga, ha raccontato all’Avvenire (4 febbraio 2009, pagina 32) che all’origine della formazione intellettuale di Benedetto XVI vi sono, oltre de Lubac e von Balthasar, addirittura Martin Buber, colui che ha volgarizzato, reso «di massa» la cultura ebraico-chassidica mistica ed esoterica. Il professore israeliano Israel Shahak (che ha perso i genitori nel campo di lavoro nazional-socialista di Bergen Belsen, ove anche lui fu rinchiuso) ha scritto che Buber è stato «uno dei maggiori mistificatori (…), nelle sue numerose opere in cui esalta l’intero movimento chassidico, non si trova una sola riga sulle vere dottrine chassidiche che riguardano i non-ebrei (…). Le opere di Buber furono tradotte in ebraico e diventarono un formidabile strumento educativo nelle scuole d’Israele, aumentando il potere dei leader chassidici, letteralmente ‘assetati di sangue’, nel promuovere lo sciovinismo israeliano e l’odio verso tutti i non-ebrei (…). Sono convinto che nessuno ha lasciato un’eredità più malefica della sua (di Buber)» («Storia ebraica e giudaismo», Verrua Savoia, CLS, 1997, pagine 57-58). Inoltre Maurizio Crippa su Il Foglio (4 febbraio 2009, pagina 3) scrive che Benedetto XVI «è il teologo che ha scavato di più nelle premesse ebraiche del cristianesimo […]. Nei primi anni Settanta Ratzinger entra in rapporto con ‘La Comunità Cattolica di Integrazione’, che dal primo dopoguerra aveva avviato una profonda revisione teologica e spirituale del cattolicesimo tedesco […]. «Dio può avere due spose [Sinagoga e Chiesa]? Non è forse questa divisione tra sinagoga ed ‘ecclesia’, così piena di male, il motivo più profondo di tutte le divisioni che seguirono nella storia della Chiesa?… Non è forse che la Chiesa debba radicarsi nell’ebraismo, per poter essere del tutto cattolica, e cioè universale? Il rapporto di stima tra Ratzinger e questa Comunità (sarà lui, arcivescovo di Monaco, ad approvarne nel 1978 gli statuti) non si è mai interrotto» (1) e lo si vede.

6) Padre Federico Lombardi, ha dichiarato che «chi nega la ‘shoah’ nega la Croce di Cristo»! «Tenebrae factae sunt»! «Questa è l’ora vostra e del potere delle tenebre».

7) Cosa succede realmente? Penso occorra distinguere.

a) Innanzitutto non bisogna illudersi: Benedetto XVI non è San Pio X, ha avuto una formazione neo-modernista, intellettualmente è influenzato, tuttora fortemente, dall’hegelismo e dal modernismo. Se nel 2007 si poteva sperare «contra spem» senza illudersi, ora non più. Se ha ceduto per debolezza o se era tutto studiato a tavolino, solo Dio lo sa con certezza. Noi possiamo avere soltanto delle congetture o opinioni. Bisogna riconoscere che ha subìto delle pressioni notevolissime da parte del giudaismo «ad extra» e dell’episcopato «ad intra». Ma se è umano aver paura del leone che vuol sbranarci «al Colosseo», «non licet» «cambiare fede» per paura dei leoni.

b) Alla luce di quanto successo si può pensare (è un’opinione molto probabile, non una certezza, almeno per me) che la manovra dal «Motu proprio» del 7 luglio 2007, sino alla revoca della scomunica (21 gennaio 2009) sia stata una «trappola» tesa, lucidamente, a chi ancora non aveva ceduto alle «novità» conciliari e post-conciliari, ivi inclusa la teologia del «giudeo-cristianesimo», iniziata con «Nostra aetate» (1965), proseguita con «l’Antica Alleanza mai revocata» (1981) e «i fratelli maggiori nella fede» (1986), portata poi a termine proprio da Benedetto XVI ad Auschwitz, il 28 maggio 2006, quando ha esclamato rivolgendosi a Dio: «Svegliati! Non dimenticare la Tua creatura, l’uomo!», riprendendo così la «teologia del silenzio di Dio», cara a Hans Jonas e a G.B. Metz, i quali negano la bontà, onnipotenza, provvidenza di Dio e dubitano persino della sua esistenza, per aver taciuto di fronte alla «shoah». Tra non molto i rabbini chiederanno a Ratzinger di scomunicare anche Dio. Allora si poteva pensare che Ratzinger equiparasse la «catastrofe» del popolo ebraico all’Olocausto di Cristo; il giorno 4 febbraio 2009, se ne è avuta la certezza di fronte alla «Nota della Segreteria di Stato», dettata da Ratzinger stesso, in cui si legge che «le posizioni di monsignor Williamson sono assolutamente inaccettabili e fermamente rifiutate dal Santo Padre», il quale il 28 gennaio scorso «ha ribadito la sua piena e indiscutibile solidarietà con i nostri Fratelli destinatari della Prima Alleanza», onde il «vescovo Williamson, per una ammissione a funzioni episcopali nella Chiesa, dovrà anche prendere in modo assolutamente inequivocabile e pubblico le distanze dalle sue posizioni riguardanti la shoah». Non si parla più di Antica o Vecchia Alleanza, cui è succeduta la Nuova ed Eterna, ma di Prima, quasi vi fossero due Alleanze parallele, una (la Prima) per l’ebraismo e l’altra (la Seconda) per le Genti convertitesi a Cristo (2). Inoltre, che io sappia, la «shoah» non è un dogma di Fede rivelata e definita, onde per far parte della Chiesa occorra professare la propria «fede» nella «shoah». Questa è la prova provata della evoluzione eterogenea del «dogma» conciliare e post-conciliare, dell’«ermeneutica» della discontinuità o «rottura» e dell’inconciliabilità tra Concilio e Tradizione.

8) Quali sono i punti in questione, per noi, irrinunciabili?

a)
Il deicidio: per i cattolici Gesù è vero Dio e vero uomo, la sua uccisione, perciò, è un vero «Dei-cidio». L’ebraismo non crede alla sua divinità, ma non può imporre ai cristiani di rinnegarla o di non professarla pubblicamente (confronta monsignor Brunero Gherardini, «La vexata quaestio del deicidio», Città del Vaticano, in «Divinitas», numero 2/2008, pagine 215-223. Id, «Sugli Ebrei: così, serenamente», Frigento, in «Fides Cattolica», numero 1/2009, pagine 245-278). Per i Vangeli e tutti i Padri della Chiesa, da Sant’Ignazio d’Antiochia (+ 107) a Sant’Agostino (+ 430), e quindi infallibilmente, il giudaismo religione rabbinica o post-biblica è responsabile della morte di Gesù. San Tommaso d’Aquino, il Dottore Comune della Chiesa, insegna che «i giudei peccarono, non solo uccidendo Cristo come uomo, ma anche come crocifissori di Dio» (S. Th., III, q. 47, a. 5). Infatti per il dogma dell’Unione Ipostatica, la natura umana di Cristo sussiste nella Persona divina, onde ciò che è fatto contro Cristo uomo è fatto anche contro Cristo Dio, perciò vi è vero «deicidio», anche se non è morta la divinità ma solo l’umanità di Gesù, sussistente nella Persona del Figlio consustanziale al Padre e allo Spirito Santo.

b) La frase sui «fratelli maggiori nella Fede» pronunciata da Giovanni Paolo II, il 13 aprile 1986 alla sinagoga di Roma, per la Fede cattolica è falsa, non solo ambigua, poiché l’ebraismo dopo Cristo è fedele al Talmùd e non a Mosè; infine è divinamente rivelato (San Paolo 1 Tess., II, 15-16) che «Gli ebrei hanno ucciso il Signore. Non piacciono a Dio, sono nemici di tutti gli uomini, poiché ci impediscono di predicare ai pagani affinché si salvino». Quindi con gli ebrei post-biblici non abbiamo nulla in comune quanto alla religione, non possono essere nostri fratelli maggiori (nel senso ontologico di «prediletti», come ha precisato poi Giovanni Paolo II e non cronologico in quanto sono nati prima di noi), essi sono un ostacolo alla salvezza degli uomini, poiché nemici tuttora del Vangelo di Cristo che è l’unico mezzo di salvezza. La religione ebraica dopo Cristo non è una realtà viva, ma «morta e mortifera». Gli ebrei che vissero prima di Cristo e furono fedeli ad Abramo e all’Antico Testamento sono nostri fratelli maggiori (solo cronologicamente, infatti ontologicamente o quanto al valore, sono in uno stato oggettivamente inferiore, poiché l’Antica Alleanza è imperfetta rispetto alla Nuova ed Eterna, onde il cristianesimo è superiore, quanto al valore oggettivo, all’ebraismo dell’Antico Testamento). Lo stesso Gesù, quando gli ebrei increduli professano di avere per padre Abramo, risponde che lo è carnalmente, ma non spiritualmente o quanto alla Fede, poiché Abramo credeva in Cristo venturo mentre loro lo rinnegano e quindi hanno «per padre il diavolo» (Giovanni, VIII, 42). Se fossero «nostri fratelli maggiori quanto alla fede» (Giovanni Paolo II, 13 aprile 1986), anche noi avremmo «per padre il diavolo». Spero proprio di no!

c) L’Antica Alleanza è stata rimpiazzata dalla Nuova ed Eterna, nel Sangue di Cristo, onde la Chiesa fondata da Gesù è il nuovo e vero Israele. San Paolo, divinamente ispirato, insegna: «Dicendo Alleanza Nuova, Cristo ha dichiarato antiquata la prima; ora ciò che diventa antico e invecchia, è prossimo a sparire» (Ebr., VIII, 13). E’ di Fede rivelata.

d) Se Cristo è Dio, il giudaismo post-biblico che nega la sua divinità è una falsa religione. Per il principio di non-contraddizione: «Una stessa cosa [Cristo] non può essere [Dio] e non essere [Dio] nello stesso tempo e sotto lo stesso rapporto» (Aristotele). Gesù o è Dio o non è Dio, «tertium non datur». Se è Dio il cristianesimo è vero e il giudaismo falso; se non è Dio viceversa. E’ assolutamente certo.

e) La «shoah» non è una questione puramente storico-politica (come è stato rimproverato a monsignor Williamson), ma essa pretende di essere la nuova «religione immanente» dell’ebraismo «messia collettivo», padrone e signore di questo mondo. Tutto questo, per la Fede cattolica, è inaccettabile. Inoltre la storia non la si fa a forza di minacce di incarcerazione e di scomuniche laiche ed ecclesiastiche.

Conclusione: un appello all’unità interna nella verità

a) Purtroppo alcuni sacerdoti «tradizionalisti» non hanno mostrato molta dignità, fermezza e carità ed hanno linciato, defenestrato o «buttato a mare» pubblicamente e ferocemente, senza possibilità di appello monsignor Williamson (come lui stesso ha riconosciuto, paragonandosi a Giona), in un nuovo tribunale di «Norimberga-bis», che ha lasciato più che perplessi, anzi chiaramente disgustati, moltissimi fedeli «tradizionalisti» e non. La professione, implicita, di «fede» nell’olocausto ebraico, anche da parte di una fetta del mondo «tradizionalista», è strabiliante e ci fa toccare con mano quanto estesa e profonda sia la crisi di Fede in ambiente cattolico. San Tommaso d’Aquino insegna che «Cristo ha predicato pubblicamente agli ebrei la verità che loro odiavano, senza paura di urtarli» (S. Th., III, q. 42, a. 2). Quindi è dovere del vescovo come di ogni cristiano professare la verità non solo di Fede, ma anche connessa con la Fede. Ora, oggi si è fatto dell’olocausto ebraico una verità di «fede» talmudica, (s)-connessa con quella cattolica. Mi si obietterà che in certi momenti occorre prudenza per non scandalizzare i pusilli. San Gregorio Magno risponde che: «Se lo scandalo viene dalla verità, bisogna sopportare lo scandalo piuttosto che abbandonare la verità» (Homil., VII in Ezech.), essendo la prudenza cristiana una virtù soprannaturale. Ora la questione storica della «shoah», come tutte le altre, deve essere affrontata secondo i criteri di «conformità alla realtà» (verità) e non sull’onda dell’emozione o della paura. Perciò non è lecito chiedere a monsignor Williamson una ritrattazione, dettata dalla «prudenza della carne», che sia «difforme dalla realtà dei fatti» (falsità).

b) Spiace dirlo, ma oggettivamente, il comunicato stampa di monsignor Fellay sul «caso Williamson» non è stato bello, specialmente verso un vescovo più anziano, che è stato in seminario a Ecône il nostro maestro di filosofia e teologia, e che ci ha insegnato a ragionare col suo rigore logico. «Errare humanum est». Tuttavia sarebbe ingeneroso prendersela con monsignor Fellay, anche lui può sbagliare, soprattutto in una situazione di «pressione» o «lobbyng» come questa che stiamo vivendo. Il dovere attuale è l’unità nella verità, evitando ogni divisione interna, e contrattaccando il nemico esterno.

c) Il Vaticano II è caro all’ebraismo. E’ un fatto che specialmente in questi giorni abbiamo sentito, letto e constatato, e «contro il fatto non vale l’argomento». Ma San Paolo (I Tess., II, 15-16) rivela, divinamente ispirato, che «I giudei hanno ucciso il Signore Gesù e i profeti, perseguitano noi Apostoli, non piacciono a Dio e son nemici di tutti gli uomini [non-ebrei, nda]. Ci proibiscono di evangelizzare le Genti per la loro salvezza». Nella misura in cui i giudei attuali continuano e proseguono quelli che rifiutarono Cristo, lo crocifissero e perseguitarono i Dodici Apostoli, essi non piacciono a Dio. Se non piacciono a Dio, non possono essere cari neppure a noi; se son cari al Vaticano II, significa che esso non ha lo stesso spirito di Dio. Inoltre, l’ebraismo nega la Santissima Trinità e la divinità di Cristo, che sono i due misteri principali della Fede cattolica. Quindi o l’ebraismo è impazzito e si contraddice, ma non è così, oppure il Vaticano II è in contraddizione col cattolicesimo e non può piacere a chi vuol restare cristiano, piacendo a chi odia Cristo e il cristianesimo. Il fatto che proprio i rabbini ci ingiungano di accettare il Vaticano II «suona male» e dovrebbe far riflettere «tutti gli uomini di buona dottrina». Sempre San Paolo (Tito, I, 10-14) rivela che: «Vi sono molti spiriti mestatori, parolai e ingannatori, soprattutto quelli che provengono dalla circoncisione [giudaismo]: a costoro bisogna tappare la bocca (…). Perciò riprendili duramente, affinché siano saldi nella Fede e non si volgano a favole giudaiche». L’Apostolo non dice di ritrattare o scusarsi, ma di «tappar la bocca» a loro (non a monsignor Williamson) e di «non credere alle favole giudaiche».

d) E’ storicamente accertato che la «Nostra aetate» fu preparata da Jules Isaac, ebreo ateo filo-comunista, con l’aiuto del Bené Berìth (la massoneria giudaica) di cui era membro (come ha dichiarato, il 16 novembre 1991, in occasione della premiazione del cardinal Decourtray, Marc Aron, presidente del «B.B.» francese) e dal card. Agostino Bea coadiuvato da p. Paul Démann, ebreo «convertito» e da p. Jean de Menasce (idem). L’accordo tra Jules Isaac e papa Roncalli fu organizzato dal «Bené Berìth» e da alcuni politici social-comunisti (J. Madiran, «Itineraires» III, settembre 1990, pagina 3, nota 2). Un altro artefice di «Nostra aetate» fu Nahum Goldman, presidente del «Congresso Mondiale Ebraico», che preparò anche la bozza di «Dignitatis humanae» sulla libertà religiosa. I documenti furono presentati dal Goldman assieme a Label Katz (anche lui del «Bené Berìth») a nome della «Conferenza Mondiale delle Organizzazioni Ebraiche». Quindi «Nostra aetate» e «Dignitatis humanae» sono state preparate, materialmente, dalla massoneria ebraica. Dulcis in fundo, il rabbino Abraham Heschel, collaborò intensamente con Bea e compagni alla elaborazione di «Nostra aetate». Tutto ciò è stato svelato dall’israelita Lazare Landau («Tribune Juive», numero 903, gennaio 1986 e numero 1001, dicembre 1987), che scrive: «Nell’inverno del 1962, i dirigenti ebrei ricevevano in segreto, nel sottosuolo della sinagoga di Strasburgo, padre Yves Congar, incaricato da Bea e Roncalli di chiederci, ciò che ci aspettavamo dalla Chiesa, alla vigilia del Concilio (…). La nostra completa riabilitazione, fu la risposta» (J. Madiran, «Itineraires», autunno 1990, III, pagina 1-2). L’interpretazione retta del Vaticano II è quella data in questi giorni da Benedetto XVI, esso fa un tuttuno col giudaismo, ancora caro a Dio, che non ha bisogno di Cristo poiché ha il suo «olocausto». Se si vuol restare cristiani non si può accettare il Vaticano II. Oramai dovrebbe essere chiaro che ogni colloquio sulla sua interpretazione alla luce della Tradizione sarebbe equivalente a «dialogare col diavolo», il che è molto pericoloso.

e) Voler occuparsi di Vaticano II e antimodernismo, senza voler conoscere (storicamente e teologicamente) il problema ebraico (confronta Leon de Poncins, «Il problema degli ebrei nel Concilio», Roma, 1962) significa fare un buco nell’acqua e farsi raggirare dai «fratelli peggiori». Parlavo con un gran teologo della vecchia scuola, il quale mi diceva che monsignor Antonio Piolanti, pensava che entro pochi anni «Nostra aetate» sarebbe stata completamente dimenticata, tanto era priva di fondamenti scritturari, patristici e teologici (è l’unico documento del Vaticano II che non contiene neppure una citazione della Santa Scrittura, dei Padri, dei Dottori e del Magistero). Invece essa è diventata il cavallo di battaglia del pontificato di Giovanni Paolo II («fratelli maggiori nella fede»). Quindi, il suddetto teologo concludeva, per affrontare adeguatamente il «problema del Concilio» da un punto di vista teologico, occorre conoscere il «problema ebraico» che è teologico, storico, politico e socio-economico. Purtroppo, molti «tradizionalisti» da Messa di San Pio V et non plus ultra, (ma la Fraternità Sacerdotale San Pio X non è l’ «Ecclesia Dei afflicta», essa è stata fondata da monsignor Lefebvre per combattere gli errori del Vaticano II e la salvaguardia della Messa cattolica, però non tutti i suoi membri sembrano esserne consapevoli), gridano «all’antisemita!» se si affronta il problema ebraico anche solo da un punto di vista teologico. Vorrebbero che si parlasse solo di Blondel, della «Pascendi» e «Humani generis». Sarebbe come se (tanto per fare un esempio) in una ipotetica guerra tra Francia e Italia, dichiarataci da Sarkozy, ci dicessero di partire ma di sparare solo contro De Gaulle, che giace sotto terra e di non mirare a Sarkozy! La guerra sarebbe persa in partenza. Il nemico di oggi (gennaio 2009) non è Blondel (1893) e figli, ma il giudaismo internazionale. Questo spiega l’incertezza della reazione al Vaticano II in ambiente «tradizionalista da Messa san Pio V et non plus ultra» e anche da parte di alcuni membri della Fraternità Sacerdotale San Pio X, del perché si spari contro monsignor Williamson e si chieda scusa «a tutti gli uomini di buona volontà», fratelli peggiori inclusi. Invece si deve passare al contrattacco, poiché «il diavolo si fa leone se tu ti fai formica, mentre se tu ti mostri leone egli diventa una formica» (San Leone Magno). Passato il primo momento di smarrimento, occorre far sentire la propria voce, uniti nella verità, servendosi dei mezzi di stampa che si hanno a disposizione compresi quelli di contro-informazione «on line». Sarebbe un errore madornale dividersi, espellere monsignor Williamson e «riverire» la «sinagoga di satana», la quale non solo non perdona chi cede, ma raddoppia la sua rabbia. La Fraternità Sacerdotale San Pio X rischia di spaccarsi in due o in mille pezzi, di essere assorbita dalla «chiesa conciliare» (come la chiamava il cardinal Benelli), la quale oggi ha esposto chiaramente il suo diktat e ha cessato di parlare con ambiguità, onde non ci si può più illudere di dialogare con lei - «rebus sic stantibus» -  essa chiede una resa incondizionata alle novità del Vaticano II, accettarla sarebbe l’apostasia. Se vi è stata dell’incertezza o anche un cedimento iniziale, ci si può risollevare come >San Pietro («errare humanum est»), occorre mettere una pietra sopra le incomprensioni passate e ricominciare, uniti senza ambiguità, la battaglia delle idee.

f) E’ impressionante constatare quanto profondamente «la Sinagoga di satana» (Ap., II, 9) sia infiltrata in Vaticano. Ciò che turba non è quello che chiede il rabbinato (fa il suo mestiere), ma il fatto che il Papa ceda ad esso (non fa il suo dovere, ma purtroppo da cinquanta anni ci siamo abituati). Ciò che però lascia maggiormente attoniti è che una parte del «tradizionalismo» cattolico non abbia nulla da obiettare, sia pronto ad onorare l’olocausto ebraico (implicitamente a fianco di quello di Gesù).

g) Il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni il 5 febbraio 2009 ha scritto che se i cattolici vogliono che il dialogo inter-religioso con l’ebraismo continui, «1° come è stato fatto per il negazionismo, deve esser chiaro che (…) non c’è posto non solo per l’antisemitismo ma anche per l’antigiudaismo [teologico] (…); 2° ci deve esser coerenza tra documenti e comportamento, evitando incidenti (…)». Inoltre, conclude, il problema di fondo resta sempre, anche se si elimina il negazionismo, l’antisemitismo e l’antigiudaismo, poiché non si deve parlare di conversione dall’ebraismo a Cristo, come invece ha fatto Benedetto XVI durante l’Angelus di domenica 25 gennaio 2009, festa della conversione di San Paolo. Ora, stando così le cose, non è più solo una questione di prudenza soprannaturale parlare o meno di unicità della persecuzione contro gli ebrei tra il 1942-45, di antigiudaismo teologico, di necessità dell’unico Salvatore di tutti gli uomini, Gesù Cristo, ma è una questione di Fede e, se Gesù ci ha autorizzato a «fuggire da una città se vogliono martirizzarci», non ci permette di non proclamare la Fede quando siamo interpellati, anche a costo di perdere la vita. I primi cristiani non si son comportati così, Gesù neppure, anzi è salito a Gerusalemme per essere crocifisso e ha proclamato, dietro domanda del Sommo Sacerdote, la sua divinità.

San Paolo ha scritto: «Guai a me se non predicassi il Vangelo!», San Pietro ha risposto al sacerdote il quale gli intimava di non predicare Gesù che «non poteva non predicare» e che «è meglio obbedire a Dio che agli uomini», inoltre il Verbo Incarnato stesso nel Vangelo ci ha insegnato a «non temere coloro che possono uccidere il corpo, ma colui che uccide l’anima e poi la getta nell’inferno». Ora, se oggi si tace o ci si accorda con costoro, si perde l’anima, se invece si predica chiaramente si può perdere tutto (case, chiese e anche la vita) ma ci si salva per l’eternità.  Il 2009 è iniziato male e finirà peggio, ma è quello che ci meritiamo, come ci aveva avvisato la Madonna a Fatima nel 1917; «se il mondo non si convertirà…». ma Gesù ci ha promesso che «le porte dell’inferno non prevarranno!». Adesso tocca a noi di essere uniti nella verità senza sconti né ambiguità. Benedetto XVI non è più ambiguo, la Fraternità Sacerdotale San Pio X dovrebbe ritrovare l’unità interna, nella verità, e dire «pane al pane e vino al vino» o come ha detto Gesù «il vostro parlare sia sì sì, no no, quel che è di più viene dal Maligno». Solo così manterrà la sua identità, che è quella del suo fondatore e la sua unità. «Tutto è perduto con la guerra [interna], tutto può essere salvato con la pace» (Pio XII).

Don Curzio Nitoglia
 


1) Confronta G. Valente, «Ratzinger professore», Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009.
2) Confronta l’articolo dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, «L’eredità di Abramo dono di Natale», L’Osservatore Romano, 29 dicembre 2000, pagina 1. In esso il porporato spiegava che Cristo è l’unico Salvatore per i Gentili e i Cristiani, ma Israele mantiene il suo ruolo di popolo eletto «per primo» da Dio, onde «compito del popolo eletto è (…) donare il loro Dio, il Dio unico e vero, a tutti gli altri popoli (…). I nostri fratelli ebrei (…) hanno conservato, sino ad oggi, la Fede in questo Dio». Ma allora Gesù, che gli ebrei non accettano, non è il Dio unico e vero? Oppure ci sono due Dei, uno per gli israeliti e un altro per i goyim?


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