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La condanna di Charles Maurras (AGGIORNATO)
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L’articolo di Vassallo Alle radici dellerrore democristiano  è  un saggio piccolo, prezioso, molto profondo, che immette direttamente nella temperie di un’epoca. Un saggio che fa ampia luce sul pericoloso millenarismo del pensiero maritaniano, per il quale va ringraziato di cuore l’autore.

Tuttavia, dal momento che è stato oggetto della mia tesi di laurea un filosofo sociale positivista, Lèon Duguit (seconda metà del XIX secolo, seguace delle idee di Comte) ho approfondito quel pensiero scoprendo che tale filone filosofico è alle radici anche della formazione culturale di Maurras.

Maurras era ateo e se propendeva per la difesa del cattolicesimo era solo perchè esso costituiva il collante storico e sociale dell’identità nazionale francese. Il fatto che negli ultimi suoi anni si sia, come dicono, convertito non toglie che tale era stato, per una vita intera, il suo rapporto con il cattolicesimo. Ora un Papa come Pio XI, che proprio in quegli anni stava tessendo con il regime fascista l’imminente Concordato, non era certo così pivello da prendere abbagli su Maurras perchè imbeccato da cattive referenze o per motivi di ralliement politico.

Il punto era forse un altro e molto più dirimente, al di là del fatto che l’Action Francaise annoverava tra le sue fila molti benemeriti cattolici. Alla radice del pensiero di Maurras stanno Saint Simon e, soprattutto, Auguste Comte. I padri del positivismo e della sociologia. Secondo Comte, che in questo seguiva lo stesso schema profetico di Gioacchino da Fiore e dunque uno schema ternario millenarista (i comtiani si organizzarono persino in una sorta di setta para-religiosa di cui Comte era gran sacerdote e la sua amante grande sacerdotessa) la storia si divide in tre età: la prima, l’epoca antica, che trovò il suo apogeo più o meno nell’età medioevale, era caratterizzata dall’essere socialmente organica ed anti-individualista; la seconda, un’epoca disorganica e distruttiva, ebbe inizio con il protestantesimo e culminò con il razionalismo illuminista foriero dell’individualismo sociale; la terza, infine, imminente e prossima a manifestarsi, sarà una nuova epoca organica nella quale grazie alla scienza positiva, in primis alla filosofia sociale (ossia alla sociologia) che ha scoperto le leggi della perfetta costruzione sociale, sarà possibile ricostruire, sotto il governo mondiale di un Consiglio di Scienziati e Tecnici che prenderà il posto del desueto Collegio cardinalizio papale, una società organica, sia a livello nazionale che globale.

Comte, in altri termini, è il padre del moderno pensiero tecnocratico (del quale il Club di Roma, negli Settanta, fu un epigono e del quale le odierne utopie di ingegneria sociale ed anche genetica costitituiscono l’eredità). Comte era anche l’antesignano del socialismo, almeno di quello che Marx chiamava socialismo utopico o filantropico.

La contiguità della filosofia umanitaria comtiana con il pensiero massonico è oltremodo dimostrata dal carattere settario che, come si diceva, assunsero i circoli comtiani. Il positivismo comtiano ha dato origine, da un lato, al nazionalismo integrale monarchico di Maurras, antesignano dell’odierno ateismo devoto, che auspicava una monarchia sociale, ossia fondata sulla sola legittimità storico-identitaria cattolica della Francia e non anche su una legittimità metafisica, e che auspicava una ricostruzione organica e corporativa della Nazione ma su moderne basi industriali, e, dall’altro, come si è detto, alle tendenze tecnocratiche globaliste.

La monarchia sociale di Maurras diventò nei suoi discepoli più a sinistra, Valois, Rebatet, Brasillach (quest’ultimo, però, vero cattolico e non catto-ateo) etc., una monarchia socialista che essi vedevano espressa molto bene dal regime fascista. Zeev Sternhell nel suo Nè destra nè sinistra - la nascita dellideologia fascista ricorda che alle origini del fascismo francese vi furono gli incontri tra i maurassiani di sinistra ed i proudhoniani intorno ai Carhiers de Circle Proudhon. I maurassiani di sinistra amavano il socialista non marxista Proudhon per il suo organicismo sociale, il suo federalismo compatibile con il monarchismo naturalista, il suo nazionalismo popolare.

Il Kunnas nel suo La tentazione fascista, un libro dedicato al fascino che il fascismo esercitò sugli intellettuali degli anni Trenta, ricorda, per l’appunto, il contributo delle idee di Maurras e dei suoi seguaci nel rendere affascinante per l’intellighenzia dell’epoca il socialismo nazionale. La congiuntura storica tra la prospettiva catto-positivista, sulla scorta dell’eredità comtiana, dell’Action Francaise e il pensiero tecnocratico, che come si è detto prende anch’esso le mosse da Comte, si ebbe durante il regime di Vichy, quando, sotto la patina di un ritorno alla tradizione ed ad una Francia contadina e neo-monarchica (Patria, Famiglia e Lavoro) agivano in realtà gruppi tecnocratici, come l’X Crise ed il movimento sinarchico di Jean Coutrot, nell’intento di cogliere l’occasione per concretizzare il pianismo corporativista ed il dirigismo da essi auspicato.

Jean Monnet e Francois Mitterand provengono, non a caso, dalla compagine statuale ed amministrativa del regime petainista e dal sogno della Revolution Nationale. Quindi, forse, nella condanna dell’Action Francaise vi era qualcosa di molto più importante che non una mera questione politica contingente. Del resto quella che ha condannato da un lato il liberalismo di Lamennais e dall’altro il tradizionalismo ambiguo di De Maistre, da un lato il Sillon di Marc Sangnier e dall’altro l’Action Francaise di Charles Maurras, è la stessa Chiesa cattolica.

Si può quindi affermare che la Chiesa ha compreso che tra il tradizionalismo meramente o prioritariamente sociologico e il democratismo vi è una profonda e segreta connessione che porta puntualmente al rovesciamento dell’uno nell’altro (e viceversa). Tale è stato, appunto, il percorso di un Lamennais o, nel secolo successivo, di un Maritain, entrambi partiti da posizioni reazionarie (Lamennais era in origine seguace del pensiero di De Maistre e di De Bonald; Maritain, come ben spiegato nell’articolo di Vassallo, di quello di Maurras) e finiti nel progressismo nella speranza di veder nascere la nuova cristianità in versione democratica.

Fatte queste considerazioni non è assolutamente in questione, da parte, mia, la conversione o la salvezza di Maurras. Ho spesso, in modo analogo, sottolineato che lo stesso Mussolini si è convertito alla fine della sua vita, avendo in precedenza visto nel cattolicesimo solo uno strumento politico.

Per quanto riguarda le conseguenze del pensiero di Maurras (che, viste sotto un profilo storico ed alla distanza, non erano neanche tanto male: George Valois, uno dei maurassiani di sinistra, ad esempio, guardava al sindacalismo come alla ricostituzione dei corpi intermedi uccisi dall’individualismo liberale e pertanto auspicava – da qui la reciproca simpatia tra maurrassiani e proudhonianai – una monarchia su basi sindacali) esse non possono essere disgiunte dal pensiero originario del fondatore dell’Action Francaise. La differenza era solo di grado: Maurras era piuttosto moderato verso inclinazioni socialiste del suo monarchismo integrale e nazionalista (benché ne Inchiesta sulla monarchia ci sono pagine stupende sulla classe operaia e la tutela che ad essa avrebbe potuto apportare, in una ottica sindacal-corporativa, la monarchia ricostituita).

Maurras era un uomo d’ordine, un uomo di destra, per il quale la gerarchia sociale travolta dalla Rivoluzione doveva essere restaurata, anche se su nuove basi industriali. In questa prospettiva Maurras guardava alla Chiesa per via della sua natura gerarchica che la rendeva elemento dordine. Mutuando l’idea da Renàn, un altro positivista, autore di una Vita di Gesù di stampo storicista che riduce la figura di Cristo a quella di un vagabondo ebreo preda di visioni egualitarie ed utopiche, il primo Maurras riteneva che il Vangelo fosse veleno perché portatore di idee «egualitarie e giudaiche» e che solo nella sua versione cattolico-romana fosse accettabile nella prospettiva del nazionalismo integrale. Concezione, questa che vede nel Vangelo un «veleno giudaico» o «monoteista» e lo separa dalla Chiesa come se questa fosse stata il tradimento del vero Vangelo, che è possibile ritrovare, successivamente, in tante dementi tesi progressiste, anche catto-progressiste, e che, in anni a noi vicini, hanno rieccheggiato nel neopaganesimo di Alain De Benoist, il quale da giovane, non a caso, era un militante della ricostituta Action Francaise (in Francia infatti esiste ancora, con tanto di sito web, un movimento di tal nome) ed un lettore di Maurras.

L’Action Francaise – quella di Maurras –non può essere definita un movimento fascista, ma soltanto nazional-conservatore. Tuttavia, date le premesse naturaliste del maurrassismo l’esito (o se vuoi lo scivolamento) verso il fascismo, inteso come socialismo nazionalista, era inevitabile ed anche conseguente. Il Mussolini, ancora socialista, era un attento lettore sia di Maurras che di Sorel (il padre del sindacalismo rivoluzionario).

La rottura dei maurrassiani di sinistra (per quanto tra essi si annovera anche un sincero cattolico, difficilmente inquadrabile a sinistra, come Robert Brasillach, affascinato dalla tentazione fascista, ossia socialista nazionalista, e tuttavia guardingo verso il nazismo che ebbe modo di conoscere direttamente assistendo in Germania, come giornalista, alle paraliturgie notturne dal sapore pagano e wagneriano) con il loro padre culturale, verso il quale tuttavia continuarono a conservare rispetto e gratitudine, avvenne proprio per via dei tentennamenti di Maurras ad aprire ad un’alleanza antiborghese ed antiparlamentare con la sinistra.

Pier Drieu la Rochelle, ad esempio, considerò sempre una occasione mancata, per colpa delle esitazioni di Maurras, quella della sollevazione popolare (che nei libri di scuola si indica, falsamente, come sollevazione antiparlamentare delle sole leghe di destra) del 6 febbraio 1934 a Parigi, in Place de La Concorde, contro la Repubblica corrotta e che vide fianco a fianco sulle barricate i militanti dell’Action Francaise e quelli del PCF.

Lo stesso Brasillach, in una struggente poesia, scritta poco prima di essere fucilato (dopo essere stato catturato dai gollisti con il ricatto dell’arresto della madre e della sorella ed aver subito uno scandaloso ed ingiusto processo politico), canta, riferendosi alla sollevazione del 1934 ed alla repressione governativa che ne seguì, «Oh morti di febbraio, con undici anni di ritardo sarò,  forse, dei vostri».

Come si vede, nella storia, i percorsi politici ed umani sono sempre difficilmente incasellabili in schemi precostituiti. Ecco perché l’unica certa roccia alla quale aggrapparsi è solo Gesù Cristo che continua ad essere presente nella storia nella Sua Chiesa cattolica. Quindi, anche in politica, un buon cattolico può certamente fare scelte ma deve sempre confrontarle con la Rivelazione, custodita dalla Chiesa, e saper trarne le debite conseguenze comprendendo dove egli deve fermarsi nelle sue scelte. Nel caso del maurrassismo non è possibile accettarlo senza se e senza ma se prima non si mettono i puntini sulle i.

Luigi Copertino


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