Nel primo anno (anno 520) del regno di Dario (521-486 a. C.) il profeta Daniele (deportato a Babilonia nel 606 a. C.) supplicava il Signore, con digiuni e penitenze, perché mantenesse la promessa fatta a Geremia, che aveva poi riportato nel suo Libro (Ger., XXVII, 11 ss.), predicendo la caduta del Regno di Giuda (anno 587), la prigionia dei Giudei in Babilonia (606-536) che sarebbe durata 70 anni, la caduta di Babilonia (anno 539), la liberazione dei Giudei dalla loro prigionia, il loro primo ritorno in Patria sotto Zorobabel nel 536 e il loro secondo ritorno sotto Esdra nel 466, la ricostruzione del Tempio anche se non ancora ultimata dagli ornamenti (anno 516), poi delle mura di Gerusalemme (anno 453) e infine l’avvento del Messia tanto atteso.
Ormai (dopo il 520, quando Daniele pregò Iddio di avverare la profezia di Geremia), il 70° anno di cattività di Giuda in Babilonia (anno 516) stava per venire (Dan., IX, 20).
Dunque, improvvisamente (Dan., IX, 1-20) discese dal cielo l’Arcangelo Gabriele e gli disse: “70 settimane [ogni settimana presso i Giudei valeva 7 anni. Quindi, 70 x 7 anni = 490 anni, ndr] sono state fissate per il tuo popolo e per la tua Città Santa, affinché sia tolta la prevaricazione, e abbia fine il peccato, e sia cancellata l’iniquità, sia introdotta l’eterna giustizia, e abbia adempimento la visione e la profezia, e riceva l’unzione, il Santo dei Santi [l’Incarnazione del Verbo, ndr]. Sappi che dal giorno in cui uscirà l’editto per la ricostruzione di Gerusalemme [si tratta dell’editto di Artaserse I Lungimano accordato a Neemia nel 454 (cfr. II Esdra, II, 1-8) di ricostruire Gerusalemme e non dell’editto di Ciro che autorizzò i Giudei a ritornare in Patria nel 536 (cfr. I Esdra, I, 2 ss.), ndr], sino al Cristo Principe [i 33 anni a partire dall’Incarnazione, ndr], vi saranno 7 settimane e 62 settimane [483 anni, infatti 7 settimane: 7 x 7 anni = 49 anni; 62 settimane: 7 x 62 anni = 434 anni; 49 anni + 434 anni = 483 anni. Ora 454 a. C. – 483 a. C. = 29 d. C., l’anno del Battesimo di Gesù, ndr], e saranno di nuovo edificate le piazze e le mura in tempi d’angustia[1].
“In questa profezia viene annunciato il massimo anno giubilare e del perdono, l’anno della riconciliazione col Signore, ossia della Redenzione. Le 70 settimane (490 anni) sono una determinazione d’ordine generale del tempo in cui tutta l’opera della Redenzione sarà condotta a termine. Solo in séguito si faranno determinazioni particolari e specifiche. Le settimane sono calcolate come complete di 7 giorni, ma, a metà della 70a settimana (3 anni e 6 mesi) l’opera della Redenzione sarà già compiuta. Trascorso questo tempo s’avrà la santità promessa dai Profeti (il perdono dei peccati, la grazia, la pace), tutte le profezie sul Messia saranno compiute e il Santo dei Santi, che è Gesù, sarà Unto” (Ignazio Schuster – Giovanni Battista Holzammer, Manuale di Storia Biblica, Torino, SEI, II ed., 1951, vol. I, Il Vecchio Testamento, pp. 900-904).
Questa seconda profezia è impressionante. Partendo da circa 500 anni prima di Cristo arriva a determinare il tempo in cui il Verbo Incarnato avrebbe salvato l’umanità. Si tratta di 7 settimane e 62 settimane di anni, ossia 483 anni.
Ora, a partire dall’Editto di Artaserse I nel 454 a. C., se si scalano i 483 anni si arriva al 29 d. C., l’anno del Battesimo di Gesù e dell’inizio della sua vita pubblica, che lo portò alla morte di croce. Nel Vecchio Patto i fedeli e specialmente i dottori della Legge e i sacerdoti conoscevano le Scritture a menadito. Ecco perché tutti in Israele aspettavano con ansia il Messia a partire dal regno d’Erode, quando lo scettro aveva lasciato Giuda (35 a. C.), e allorché circa 1 anno e ½ dopo la Natività (6 / 4 a. C.) i Magi giunti a Gerusalemme (Mt., II, 1-2) chiesero dove sarebbe nato il Messia, i Sacerdoti risposero che sarebbe nato a Betlemme (Mt., II, 3-6) proprio allora, come aveva rivelato il profeta Michea (V, 2), senza meravigliarsi di una tale domanda. Inoltre, il vegliardo Simeone e la profetessa Anna (Lc., II, 21-38) si recavano ogni dì al Tempio, pregando Dio di far loro vedere il Messia che sapevano essere nato (7 / 5 a. C.), secondo il computo delle Scritture, e quando videro la Sacra Famiglia, che si era recata nel Tempio per la Presentazione di Gesù e la Purificazione di Maria, 40 giorni dopo la Natività del Verbo Incarnato, riconobbero nel bambino offerto al Tempio il Messia e lo adorarono.
Unitamente alla profezia di Daniele (IX, 24-27), la profezia di Giacobbe, contenuta nella Genesi (XLIX, 10) – in cui si rivelava che quando lo scettro del comando avesse abbandonato Giuda e fosse passato in mani idolatriche il Messia sarebbe stato prossimo a comparire – era ben fissa e stampata nelle menti dei pii Israeliti, che vivevano nell’attesa del Messia promesso già agli albori dell’umanità.
Eccoci dunque arrivati al termine del percorso iniziato con i Maccabei.
Monsignor Francesco Spadafora scrive:
“Il periodo maccabico, con la lotta contro i Seleucidi di Siria, orientò i Giudei verso un’interpretazione errata del Messia, che si afferma nella letteratura apocrifa e rabbinico/farisaica. Il particolarismo rabbinico trovò in quella situazione, sacrosanta in sé, un nuovo impulso. La salvezza messianica fu rivolta dai rabbini tutta a solo beneficio di Israele, e fu intesa quasi esclusivamente quale predominio politico di questo su tutte le Genti. Furono trascurate le idee essenziali del Messianismo vero per porre al loro posto l’elemento caduco e accessorio del dominio mondiale d’Israele, con un’esegesi letterale, esagerata spesso sino al ridicolo[2]. […]. L’opposizione tra la Rivelazione del Vecchio Testamento attuata da Cristo nel Nuovo Patto e l’interpretazione giudaico/farisaica pre/talmudica dominante non poteva essere più stridente; essa fu fatale a Israele, che rimase fuori della salvezza. […]. I rabbini, nel II secolo a. C., ripresero le antichissime idee gnostico/mitologiche dei Babilonesi sull’origine del mondo, trasformandole e applicandole ai destini d’Israele: lo sconvolgimento cosmico finale come il suo inizio avrebbe rovinato i Pagani, mentre avrebbe dato a Israele la felicità definitiva su questa terra” (Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1952, vol. VIII, col. 847, voce “Messia e Messianismo”, a cura di F. Spadafora).
La vittoria militare dei Maccabei su Antioco IV, santa in sé, fu male interpretata dai rabbini Farisei (nemici dei Maccabei) e dai sacerdoti Sadducei, che videro in essa un elemento per considerare la figura del Messia come un guerriero, il quale avrebbe distrutto i non-ebrei e avrebbe ridato la pace e la prosperità a Israele su questa terra (soprattutto per i Sadducei, che non credevano nell’aldilà).
Conclusione
Messia viene dall’aramaico Mesciach e dall’ebraico Masciach e significa Unto, in greco Kristòs. L’Unzione nel Vecchio Testamento consacrava un individuo per renderlo atto a esercitare la funzione di re o di sacerdote. A partire dal II secolo a. C., l’Unto per eccellenza fu esclusivamente il futuro Messia dal quale si aspettava la salvezza spirituale, dopo aver sconfitto Egli il peccato. Questa liberazione dal peccato, salvezza spirituale o Redenzione era affidata, nel Vecchio Testamento, a un personaggio atteso a lungo prima che apparisse nel mondo. Tutta la storia del popolo d’Israele è una preparazione al giorno dell’Avvento del Messia.
Il Redentore o Messia fu promesso agli albori dell’umanità, sùbito dopo il peccato d’Adamo, quando Dio maledisse satana, autore del primo peccato degli Angeli e tentatore d’Adamo, che sarebbe stato sconfitto da una Donna (Gen., III, 15)[3] e dalla sua discendenza (Gesù Cristo).
Nel 1900 a. C. circa, Dio promise ad Abramo che il Messia sarebbe disceso da lui e sarebbe stato la salvezza per Israele e per tutte le Genti (Gen., XII, 1-3; XVIII, 18-19; XXII, 18; XXVI, 4; XXVIII, 14). Gli uomini conservarono questa speranza, ulteriormente precisata dalla “profezia di Giacobbe” nel 1700 a. C. circa (Gen., XLIX, 10).
Durante il regno di Davide, nel 1000 a. C. circa, Iddio promise un “trono eterno” e una “alleanza eterna” con il Messia discendente di Davide (II Sam., VII, 11-16; XXIII, 5). Dio nel Re futuro, il Messia, discendente da Davide secondo la carne, avrebbe redento Israele e tutta l’umanità. Davide proclamò la dignità divina del Messia (Sal., II), il suo Sacerdozio salvifico (Sal., CIX), ma ne annunziò anche le sofferenze come uomo (Sal., XXI) e la gloria eterna come Dio (Sal., XV). Il Messia sarebbe nato dalla stirpe di Davide (Is., XI, 1), nella città davidica, Betlemme, (Mic., V, 1-5), da una Vergine (Is., VII, 14). In Lui, “Dio forte”, sarebbe rifulsa la pienezza dei Doni dello Spirito Santo (Is., IX, 5; XI, 2-5) e il suo regno sarebbe stato un regno spirituale e di grazia al quale sarebbero accorse tutte le Genti (Is., XI, 6-10; XII, 2-5; Mic., IV, 1-3).
Con il crollo del regno d’Israele (722 a. C.) e poi del regno di Giuda (587 a. C.) sembrò che le promesse di Dio fossero state smentite, ma proprio quando mancano gli aiuti umani, Dio rinnova i suoi impegni con l’umanità (Ger., XXXII, 42), servendosi delle sciagure per condurre alla salvezza e alla santità. Israele avrebbe conosciuto l’umiliazione della schiavitù di Babilonia (587-538 a. C.), ma avrebbe imparato a sue spese che la liberazione promessa da Dio va ricercata nei beni spirituali e non in quelli materiali. Israele così umiliato sarebbe stato in condizione di ricevere l’annunzio di un Messia sofferente, che avrebbe redento il mondo intero e non solo la Giudea, addossandosi i peccati degli uomini e affrontando una morte crudelissima (Is., LII, 13-53).
I Farisei nacquero come pii zelatori della religione del Vecchio Testamento, sùbito dopo l’esilio di Babilonia (anno 587), durante il quale mantennero la loro identità religiosa/nazionale, ritornando in Patria (anno 516), ma dopo la magnifica vittoria maccabica contro Antioco Epifane, essi pian piano cominciarono a degenerare in senso super-nazionalistico, nel culto della loro razza e nella visione temporalistica del Regno messianico e nell’ipocrisia, che li porterà a polemizzare con Gesù. Invece, i Profeti avevano proposto a Israele la figura di un Messia mansueto, sofferente, pacifico e salvatore spirituale dell’umanità intera, non dei soli Giudei (Zacc., IX, 9 ss.), che avrebbe abrogato i sacrifici del Vecchio Patto offerti dai sacerdoti nel Tempio di Gerusalemme e li avrebbe rimpiazzati con l’Oblatio munda (Mal., III, 1 ss.; L IV, 5 ss.).
Tuttavia, quando il Messia si presentò nella Persona divina e umana di Gesù Cristo, il Giudaismo - che si era man mano corrotto, dopo l’eroica epopea dei 5 fratelli/guerrieri Maccabei figli di Mattatia, acquistando una mentalità “messianistico/terrena e temporale”, prospettando il dominio di Israele sul mondo dei non-giudei, grazie al Messia militante - produsse lo scontro tremendo tra il Messianismo spirituale/cristiano predicato da Gesù e quello temporale/rabbinico predicato dai Farisei e dai Sadducei, il quale fu l’origine dell’incomprensione e del rifiuto che il popolo una volta eletto oppose all’Unico Messia inviato da Dio: il Verbo Incarnato.
Lo stesso si può dire dei Sadducei, nati bene con il Sommo Sacerdote Sadoc (I Re, II, 35) verso il 1000 a. C. sotto Davide come Sacerdoti del Tempio costruito da lui e dal figlio Salomone, ma che cominciarono a degenerare contemporaneamente ai Farisei per la medesima visione politico/trionfalistica del Messia Militante. Infatti, la dottrina sul Messia costituisce il punto d’incontro (nelle profezie dell’Antico Testamento) e d’opposizione (nella loro realizzazione nel Nuovo Testamento) tra il Giudaismo postbiblico o talmudico e il Cristianesimo. Il Messia fu considerato dai Farisei e Sadducei un puro uomo, un semplice conquistatore e venne ignorata la sua missione di perdono dei peccati e di Redenzione spirituale del genere umano. L’interpretazione giudaico/talmudica non poteva allontanarsi in maniera più stridente dall’opera redentrice del Messia, venuto non a essere servito, ma a servire e a dare la sua vita per la salvezza di molti (Mt., XX, 28).
I Giudei postbiblici, nonostante la pazienza infinita del Messia Gesù, a causa dei loro preconcetti sulla figura messianica, rimasero fatalmente fuori della salvezza. Il Messia fu ucciso proprio da Israele che era stato eletto da Dio per accoglierlo e farlo conoscere a tutti i popoli pagani e che invece lo disprezzò, gli resistette (Zacc., XII, 8-13; Mt., XXIV, 30; Jo., XIX, 37) e complottò per crocifiggerlo[4].
don C. Nitoglia
[1] Cfr. S. Alberto Magno, Opera Omnia, Parigi, Vivès, 1890, tomo XVIII, In Danielem, pp. 447 ss.; S. Bonaventura da Bagnoregio, Opera Omnia, Parigi, Vivès, 1866, Super Danielem prophetam; Cornelio a Lapide, Commentaria in Sanctam Scripturam, Parigi, Vivès, tomo XIII; S. Girolamo, In Danielem prophetam, Patrologia Latina, Migne, tomo XXV, cap. 491 ss.; Ruperto da Deutz, In Danielem prophetam, Patrologia Latina, Migne, tomo CLXVII, colonna 1499 ss.; Teodoreto, Commentarius in visiones Danielis prophetae, Patrologia Greca, Migne, tomo LXXXI, pp. 195 ss.; Jean de Monléon, Le prophète Daniel, Parigi, Editions de la Source, 1962, pp. 192-202; M. Sales, Commento al Vangelo di S. Giovanni, Proceno di Viterbo, Effedieffe, 2015, p. 33, nota 20.
[2] Esegesi che è stata ripresa dal Fondamentalismo protestante statunitense, il quale nulla ha a che vedere con il Vecchio e il Nuovo Testamento, sublimati nella Persona divina di Gesù, ma che è tipicamente talmudica, anticristiana e contraria alla Legge di Mosè e ai Profeti veterotestamentari. Questa concezione politica influenza gli Usa e specialmente i neoconservatori anche europei come pure i sionisti - accomunati dalla visione talmudica messianistico/temporale – i quali alla pari degli Zeloti stanno per scatenare, con l’aiuto degli Usa, un’altra guerra (questa volta atomica e mondiale), onde ottenere il dominio sul mondo medio orientale, russo e cinese che ancora sfugge loro.
[3] Sarebbe molto interessante studiare tutte le profezie messianiche del Vecchio Testamento, come sono state interpretate dai Padri, dai Dottori scolastici e dagli esegeti ricevuti nella Chiesa per conoscerne il loro esatto significato. Cfr. J. e A. Lémann, La question du Messie e le Concile du Vatican, Parigi, ed. J. Albanel, 1869.
[4] Cfr. L. Tondelli, Il disegno divino nella storia, Torino, 1947; S. Garofalo, La nozione profetica del “resto” di Israele, Roma, 1942; G. Bonsirven, Il Giudaismo palestinese al tempo di Gesù, Torino, 1950; Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1952, vol. VIII, coll. 843-849, voce “Messia e Messianismo” a cura di F. Spadafora; P. Heinisch, Teologia del Vecchio Testamento, Torino, Marietti, 1950, pp. 359-408; Id., Cristo redentore nell’Antico Testamento, Brescia, 1956.