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I semi-infermi ci portano nell’abisso
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Che cosa manca alla più spaventosa recessione mondiale provocata dalla finanza anglo-americana, per renderla perfetta? Una guerra israeliana che porti alle stelle i prezzi del petrolio.

«Netanyahu ordina uninchiesta sulla fuga di notizie relative ai suoi piani di attaccare lIran», titolo il Guardian del 3 novembre. A quanto sembra, Bibi Nethanyahu e il suo ministro della Guerra Ehud Barak, zitti zitti, stavano per scatenare l’operazione all’insaputa degli stessi membri del governo sionista. Il giornale britannico aggiunge, citando per prudenza il quotidiano kuweitiano al-Jarida, che «i primi sospetti di aver spifferato sono i due ex-capi del Mossad Meir Dagan e dello Shin Beth Yuval Diskin allo scopo di ‘prevenire lattacco, che dalla fase di discussione era passato alla fase di applicazione’». Sostenuti da oppositori al piano negli alti piani della Difesa israeliana, e da Tzipi Livni, che oggi capeggia l’opposizone.

Nientemeno. Si evidenzia qui uno strappo senza precedenti tra la direzione politica e il livello direttamente inferiore, ossia degli altissimi dirigenti della sicurezza estera e di quella interna. Evidentemente, i massimi dirigenti esecutivi hanno ritenuto di dover agire in questo modo per un motivo estremo: l’articolo allude alla psicopatologia di Nethaniayu, fermo da sempre sulla sua idea fissa: «Ahmadinejad è Hitler, se non è fermato in tempo sarà un Olocausto», e sulla ben nota vacuità mentale di Ehud Barak, ritenuto coralmente il politico più stupido della compagine israeliana. La frattura è così plateale che anche il noto giornale israeliano in Italia, Il Foglio, ha dovuto darne notizia, avviluppandola sotto le stagionate menzogne dell’epoca Bush (tipo: all’Iran. «luranio arricchito sarebbe stato fornito da Saddam Hussein nel 2002, sotto la direzione di Abdul Qadeer Khan, padre dellatomica pachistana, con la stessa tecnologia del progetto nucleare, poi abbandonato, di Gheddafi». Per crederci, si sorvoli sul fatto che Saddam ha combattuto il regime iraniano in una guerra di nove anni. Il Foglio tuttavia precisa che Israele ha condotto voli di lungo tratto con l’appoggio dell’Italia e della NATO a Decimomannu). (Israele sull’orlo dell’attacco preventivo all’atomica iraniana)

«Il vero pericolo per lesistenza di Israele viene dallinterno», ha detto un altro ex capo del Mossad, Efraim Halevy (evidentemente di concerto col gruppo anti-Bibi) al Jerusalem Post. ('Religious extremism is a greater threat than nuclear Iran')

E giusto per esser più chiaro, aggiunge: «Lestremismo religioso (dei rabbini) è un pericolo più grande che lIran», condendo l’asserzione con alcune ridicole prove del potere dei rabbini sulla società e sull’esercito israeliano. I due seminfermi di mente che volevano scatenare la guerra senza dirlo a nessuno, insomma, sono completamente manipolati dai messianismi Lubavitcher, e dai loro complici in America.

Ma questa non è tutta la storia.

«Israele ha comprato miliardi di dollari infuturespetroliferi, una scommessa fondata sulla segreta conoscenza di eventi imminenti che farebbero salire il prezzo del barile, a dispetto di tutte le indizaioni in senso contrario. Essi sanno qualcosa che nessun altro sapeva. Non abbiamo sentito queste accuse anche prima, per esempio sulle opzioni put contro le linee aeree colpite dall11 settembre(1).

La citazione è di Gordon Duff, che sul suo sito Veterans Today mostra di avere spesso ottime informazioni sia da dissidenti piazzati in alto loco nell’apparato di sicurezza USA, sia persino all’interno del gruppo di potere iraniano. (Veterans Today Stands Accused, But Not of Enough)

Già. Il prezzo del greggio è calato dai 150 dollari al barile del 2008 agli attuali 86, spesso scontati di altri 8 dollari. La recessione mondiale in atto ha ridotto la domanda di petrolio dell’8%. Una sciagura per le multinazionali petrolifere, per i Paesi arabi del Golfo, e per lo stesso Iran esportatore di greggio. C’è un solo modo di rovesciare la deriva ribassista, e portare di nuovo il barile alle stelle: una bella guerra che blocchi il Golfo Persico.

Gordon Duff, citando sue fonti in Iran, sostiene che una fazione interna all’alto clero iraniano, assillata dal bisogno di pagare le proprie clientele militari-politiche sulle quali si basa il loro (calante) consenso di massa, avrebbero una coincidenza di interessi all’attacco israeliano contro il loro Paese. E non solo una coincidenza, ma un accordo segreto – fanatici e fanatici s’intendono – per il conflitto.

«Le fonti iraniane dicono di più, fanno i nomi di coloro che in Iran hanno ricevuto offerte di pagamento da parte di Israele, come parte dei futuri ricavi petroliferi, profitti che possono diventare un enorme debito, centinaia di miliardi, se lattacco non viene effettuato presto e il petrolio non sale velocemente oltre i 120 dollari a barile, al disopra del prezzo fissato da quei futures».

La partecipazione al complotto consisterebbe, da parte iraniana, non in atti ma in omissioni: stare lì senza reagire mentre gli aerei da bombardamento di Sion volano per 1.400 miglia, volo che sarebbe sotto la costante osservazione dai satelliti russi e dai radar russi in Siria.

Si può non credere a questa versione, o attribuirla a lotte interne al regime clericale iraniano. Fatto sta che lo stesso Guardian , il 2 novembre, ha rivelato che il governo britannico ha rispolverato e intensificato i piani per l’attacco all’Iran, ponderando il dispiegamento di unità della Royal Navy nella zona, compresi sottomarini armati con missili da crociera Tomahawk. Tale notizia ha dell’incredibile, dato che le forze armate di Londra sono già sfiancate fino all’esaurimento dalla partecipazione alle guerre di Bush in Iraq e in Afganistan; ma può dire molto sulla dipendenza del governo britannico dagli interessi del Big Business: dopotutto, anche le due loro cosmo-corporations, British Petroleum e la Royal Dutch Shell Oil Company, hanno interesse ad un rincaro adeguato del greggio. (UK military steps up plans for Iran attack amid fresh nuclear fears)

Anche il complesso militare-industriale ha degli interessi nell’avventura. Sempre il Guardian ha dato notizia di un rapporto riservato della Commissione Trident (un organo bipartisan che caldeggia il rinnovo dell’armamento atomico inglese) dove si assicura che tutti gli altri, alleati e potenziali nemici, sono impegnati a rotta di collo in una corsa agli armamenti nucleari. Gli USA intendono spendere in questa industria 700 miliardi nel prossimo decennio, i russi almeno 70 miliardi solo nei sistemi di lancio di testate, Pechino ha in costruzione almeno cinque sommergibili capaci di portare 36-60 missili balistici, e il Pakistan, e l’India, e la Francia... Insomma è la continuazione della storica sceneggiata condotta per decenni dai dottor Stranamore (e da Donald Rumsfeld) sul «pericolo presente e incombente» rappresentato dal riarmo dell’URSS. (Nuclear powers plan weapons spending spree, report finds)

Più interessante, nel rapporto Trident, ciò che vien detto del riarmo nucleare israeliano. Israele lavora attualmente ad aumentare la portata del suo vettore Jericho 3 e dei suoi missili atomici da crociera imbarcati nei sommergoibili regalatigli da Berlino (almeno 5). Il Jericho 3 passerà dall’attuale gittata di 3.300 chilometri, a 8 mila. Anzi, secondo precise informazioni, Sion ha condotto un test dalla sua base militare di Palmachim per un nuovo missile, che potrebbe essere un Jericho 3 a tre stadi, capace di portare una testata nucleare alla distanza di 11 mila chilometri. Basta molto meno per tenere sotto minaccia diretta delle atomiche ebraiche tutte le capitali europee (come ha detto anni fa l’esperto miliatre giudeo Van Creveld, esse sono «agganciate» dalla missilistica israeliana); ora Sion conta di minacciare New York?

È dallo scorso settembre che le ambasciate israeliane hanno ricevuto disposizione di fare pressioni sui governi occidentali sul tema «resta poco tempo per impedire allIran di farsi latomica»; è possibile che tali pressioni siano rese più persuasive dalla implicita minaccia atomica israeliana contro i Paesi europei.

La campagna diplomatica è stata coniugata ed affiancata da una campagna mediatica, di cui i media italiani (come tutti) si sono fatti megafono, sul pericolo presente rappresentato dall’atomica iraniana. Si conta molto sul rapporto della AIEA di prossima uscita, dove l’agenzia finalmente (dopo opportune pressioni) accuserà Teheran di avere un programma atomico militare parallelo a quello civile. Teheran ha appena comunicato che da settembre l’impianto di Bushehr sta fornendo 60 megawatt di elettricità alla rete energetica del Paese. E che esso lavora al 40% della sua capacità.

Alla Casa Bianca, il povero Obama ha fatto sapere, ovviamente, che preferirebbe che l’attacco unilaterale israeliano non avvenisse prima delle elezioni presidenziali di novembre. Non potendo esporsi di persona (se no non avrà i milioni ebraici per la campagna) Obama ha mandato Farid Zakarias (una grande firma del giornalismo di regime, che a suo tempo tenne bordone a Wolfowitz) alla CNN, a deplorare «il pesante costo» che per gli USA avrebbe un attacco israeliano all’Iran; similmente il Pentagono ha inviato una sua portavoce non-ufficiale, Barbara Starr, ad esprimere «preoccupazione» per la mossa di Nethanyahu-Barak.

Ci son dei momenti in cui la sola superpotenza rimasta fa quasi compassione.




1) Come si ricorderà, qualche giorno prima dell’11 settembre 2001, mani sconosciute al corrente dell’imminente evento comprarono una quantità di opzioni put (equivalenti a scommesse sul ribasso) sulle azioni della American Airlines e United Airlines, i cui due aerei si sfracellarono sulle Towers. L’acquisto era superiore al 600% di una giornata normale di quel tipo di fututers. Effettivamente, le azioni delle due compagnie aereee crollarono, e qualcuno ritirò il premio dell’investimento; solo in parte però, non osò ritirare una decina di milioni di dollari, che avrebbero rivelato la sua identità.


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