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Meglio i prefetti dei bocconiani
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«Popolazioni e governanti continuano a vivere in un universo mentale che non esiste più: un mondo di nazioni separate», sanciva la Trilateral Commission dei Rockefeller in un famoso documento del 1977, che era l’atto di imposizione del globalismo (1). Oggi, il rimprovero va rovesciato sugli economisti tirapiedi dell’ideologia: sono loro a vivere in un universo mentale che non esiste più.

Nessuno lo dimostra meglio di Tito Boeri; questo bocconiano alla moda, amato dal «progressismo illuminato», tiene la rassegna stampa di RAI3 questa settimana. E la dedica interamente a criticare l’idea di una sorveglianza dei prefetti sulla restrizione del credito. Da Panebianco che sul Corriere teme che sia messo «il mercato all’angolo», a Matteo Colaninno su Repubblica: «I prefetti in banca sono una vera follia», eccetera, eccetera. Di suo, Tito Boeri si domanda sarcastico quale competenza in economia avranno i prefetti... Proprio lui, Tito Boeri, che non ha previsto la crisi epocale ed ha continuato a cantare le lodi del «mercato». Meglio fidarsi dei prefetti, che hanno la mentalità del buon padre di famiglia del diritto romano.

Boeri non s’è mai accorto in tempo di nulla. Ha cantato le lodi della globalizzazione, mentre il mondo si de-globalizzava in implosioni successive. Ed ora, non si accorge che è il mercato a non esistere più, che vive in un universo mentale senza contatto con la realtà. Che sono già avvenute immani nazionalizzazioni di banche proprio nei santuari del liberimo (USA e Gran Bretagna); che titanici «salvataggi» con denaro pubblico sono in corso.

Loda la Marcegaglia che a nome di Confindustria chiede «denaro vero per le aziende»: e mica si accorge, il Boeri, che quella è una richiesta di intervento statale nell’economia privata. E’ contro il «dirigismo» e il «protezionismo»; ma chissà quanto tempo ci metterà ad accorgersi che USA, Giappone, Svizzera e Inghilterra si sono lanciati in una rovinosa gara di  svalutazioni competitive (proprio come nel ‘29), che equivalgono a protezionismo: svalutano le loro monete, con tutti i trucchi (essenzialmente stampandone a montagne) per rendere più concorrenziali le loro esportazioni ed annacquare il loro debito pubblico; il che equivale a protezionismo non dichiarato, e comunque d’iniziativa pubblica.

Come il celebrato Giavazzi che sul Corriere ripete: dopo il capitalismo liberista non c’è altro che il capitalismo liberista globale - gli economisti dimostrano solo i limiti dei loro microcefali. Dimostrano che, rincretiniti  da vent’anni di pensiero unico ideologico, loro non sanno pensare un’altra economia. E intanto, sotto i loro occhi, il «mercato globale» si disfa pezzo per pezzo.

Ricordate il dogma? «Libera circolazione di uomini, merci e capitali».

Bisognerà che qualcuno avvisi lorsignori: Londra ha appena messo limiti ed ostacoli alla libera circolazione di «uomini». D’ora in poi, chi si reca all’estero, chi si presenta all’aeroporto, o chi vuol attraversare la Manica in ferrovia, dovrà dichiarare dove va, cosa va a fare e perchè. Persino chi si allontana dalle coste con barche da diporto e a vela dovrà dire dove sta andando (e magari se ha stivato pacchi di soldi liquidi da esportare).

Libera circolazione di merci? Con accorte manipolazioni, Tailandia, Cina, Vietnam hanno aumentato il prezzo del riso coltivato all’interno, in modo da stimolare i coltivatori nazionali ad aumentare la produzione di questo cibo strategico, e per non doverlo comprare dagli USA (2). La cosa sta avendo successo, l’abbondanza ritorna per azione dirigistica.

Anche il dogma della libera circolazione di capitali sta subendo duri colpi, e proprio nella patria di Adam Smith. La Bank of England ha pensato bene di «creare moneta dal nulla» annunciando che comprerà con essa 75 miliardi di sterline di «gilts», ossia di Buoni del Tesoro britannico. L’idea pareva buona agli economisti: le banche inglesi avrebbero convertito i loro gilts in denaro liquido, e così avrebbero aumentato i prestiti e i consumi nell’economia inglese.

Ma le cose stanno andando diversamente, e in modo che gli economisti non avevano previsto. I fiumi di denaro creato dal nulla vanno all’estero (3). Perchè mai? Perchè a cambiare i loro gilts in sterline si sono presentati a fiotti gli investitori esteri, che detengono il 37%  del debito pubblico inglese, e questi soldi se li portano a casa. La Banca sta pompando denaro non nelle famiglie e nelle aziende inglesi, ma a Singapore, a Dubai, chissà dove, dovunque i fondi sovrani esteri sono vogliosi di liberarsi dei titoli di uno Stato insolvente per aver creduto troppo al «mercato».

L’universo mentale di Boeri mostra anch’esso qualche sintomo schizofrenico. Da una parte, il bocconiano-che- piace si inquieta che i prefetti possano sostitursi alle scelte delle banche, secondo lui dettate dal «mercato». Dall’altra, critica il governo (Tremonti cioè) perchè, per salvare l’economia in crisi, ha stanziato meno denaro pubblico di USA, Germania e Spagna. Boeri è in contraddizione con se stesso.

No, naturalmente è in malafede ideologica. Lui, Giavazzi, Profumo, Passera, Marcegaglia, vogliono che lo Stato profonda denaro dei contribuenti alle banche; ma pretendono che lo Stato pagatore non abbia voce in capitolo su come quelle lo spendono e lo prestano. E’ il loro ideale di «mercato» di sempre: privatizzare i profitti, pubblicizzare le perdite.

Boeri sorvola la notizia che AIG, il colosso americano delle assicurazioni in bancarotta, ricevuti 180 miliardi di dollari pubblici per salvarsi, distribuirà 450 milioni di dollari in bonus ai suoi dirigenti , che hanno provocato le perdite   (è «il mercato», quello che li strapaga?). Questo non indigna il Boeri. Lo indigna invece che l’Italia «stia affondando nella lista dei Paesi in cui conviene investire».  Cita con lode un rapporto della Banca Mondiale che - in quanto a convenienza per gli investimenti esteri diretti - ci ha abbassato dal posto 59 al 65. Se una impresa straniera deve decidere dove aprire una fabbrica, trova più conveniente il Perù (62mo), Giamaica (63), Samoa (64), che ci precedono come ambienti favorevoli al business.

La Banca Mondiale, intendiamoci, coglie nel segno: di fatto, segnala che tutti gli ostacoli all’investire in Italia sono dovuti alle caste pubbliche fancazziste, alle burocrazie inadempienti che odiano la volontà dei privati e la vogliono mettere ai ferri. La nostra magistratura ci fa scendere al 159mo posto come possibilità di far valere i propri diritti commerciali ed economici in giudizio. Come «accesso al credito» (le care banche, che Boeri vuole esenti da ogni controllo pubblico) siamo scesi dal posto 79 al posto 84. Come «protezione degli investitori» (ossia la possibilità dei piccoli azionisti di andare in giudizio quando vengono truffati da Tronchetti Provera) siamo scesi da 49 a 54.

E peggio che mai per la facilità di ottenere «permessi di costruzione»: per ottenere licenze edilizie per un capannone, i collegamenti con le utenze,  ispezioni burocratiche, siamo agli ultimi posti. In Gran Bretagna si può cominciare a costruire il capannone in 54 giorni, in Spagna in 89, e in Italia - grazie alla casta inadempiente - ci vogliono 257 giorni.

Ma naturalmente, Boeri non ne ricava la conclusione che il piano di rilancio dell’edilizia proposto da Berlusconi, con lo snellimento delle pratiche e delle ispezioni burocratiche, sia una cosa buona. Anzi, è cosa cattivissima: ve lo assicura il vostro economista alla moda, il preferito da Lilly Gruber.

Ma questo è niente. Dalla lista della Banca Mondiale, Boeri tace un piccolo particolare: che i Paesi più «aperti» agli investimenti esteri, quelli che per favorirli ed attrarli hanno più snellito, detassato i profitti, «liberato» il mercato, sono oggi precisamente  i Paesi che soffrono di più. Perchè gli investimenti esteri, rapidi a venire, sono stati i primi a fuggire. Dei veri fulmini. L’Islanda è molto superiore a noi come «favorevole al business», un’avanguardia della internazionalizzazione finanziaria. Ed ora le sue banche sono esposte con crediti andati a male per l’800% del PIL.

L’Irlanda, ieri paradiso del liberismo estero ed oggi alle corde, è al settimo posto come luogo favorevole agli investitori esteri. Gli USA, sono al terzo. La Svizzera fra i primi, la Gran Bretagna al sesto: ed è al collasso. Sicuramente Ungheria, Polonia, Bulgaria, che hanno attratto i capitali di Unicredit, sono citati con lode dalla Banca Mondiale.

I capitali esteri, di per sè, senza controllo e senza impegno a lungo termine, fanno male. Ma Boeri non se n’è accorto.
Boeri invece, dà ampia lettura di Repubblica, dove il caporedattore Massimo Giannini ringhia contro «i colbertisti all’italiana» che hanno aperto la strada «allo Stato regolatore», anzi allo «Stato padrone», specie con quella sovreglianza dei prefetti sulle banche... «L’operazione prefetti di ferro», la chiama Giannini.

«E’ una benedizione», si consola il Giannini, «che Mario Draghi, dalla fortezza solitaria ma agguerrita della Banca d’Italia, resista all’assedio». Solitaria non troppo, visto che ha tutti i poteri forti e non-eletti dalla sua. Ma Giannini ne fa il suo eroe: è come Guido Carli che negli anni ‘60 resistette «alle armate bianche democristiane» che  volevano imporre «una visione amministrativistica, dirigista del credito» (4).

E’ il progressita illuminato che parla. Quel settore della «sinistra» che oggi si riempie di speranza perchè «è tornato Prodi», ha ripreso la tessera del PD, s’è fatto intervistare dal lecchino Fazio; dunque si torna al governo con lui, l’ex capintesta democristiano dell’IRI, l’amministrativista per eccellenza... La «sinistra» vuole assolutamente morire democristiana:  Franceschini, Prodi, Letta. Anche loro, in un  universo mentale che non esiste più; e poi si domandano come mai la gente vota il Salamone.

Questo Giannini, poi, ve lo raccomando. Anche a lui hanno assegnato, qualche settimana fa, la lettura dei giornali su RAI3 oggi passata a Boeri. ebbene: nel dare notizia di non ricordo quale fatto di bullismo, Giannini ci ha detto che due delinquenti giovanili erano stati  «internati al Beccària di Milano».

Notate: ha detto Beccària, con l’accento sulla A. Giannini pare ignorare che la casa correzionale milanese porta il nome celebrato di Cesare Beccarìa, con l’accento sulla I. L’autore del famoso «Dei delitti e delle pene». Era pure un illuminista, ma l’illuminato Giannini non lo conosce. E fa il redattore-capo dell’illuminatissima Repubblica di De Benedetti e Scalfari, i super-illuminati.

Non si dice «Beccària», Giannini. I prefetti, almeno questo, lo sanno. Non so se ci si possa fidare nel loro buonsenso; nella tua cultura generale, Giannini, sappiamo che non si può confidare. Figurati del tuo giudizio in economia e politica.




1) «Toward a renovated International System», Trilateral Task Force Report, 1977.
2) Alain Faujas, «Riz à la baionnette», Le Monde, 7 marzo 2009.
3) Sean O’Grady, «Baylout money is flowing abroad», Independent, 14 marzo 2009.
4) Massimo Giannini, «Le banche e la Prefettura delle Libertà», Repubblica, Affari e Finanza, 16 marzo 2009. Più in generale, ricordiamo l’incapacità di previsione degli «econimisti» che ci fanno la lezione. Nel 2007, ci assicurarono che la crisi non sarebbe tracimata oltre il collasso dei «subprimes»; quando si trasmise alla finanza, ci dissero che Wall street non avrebbe perso più di 200 miliardi di dollari; poi, ci assicurarono che non ci sarebbe stato nessun «credit crunch», e nessun effetto di rilievo sull’economia reale...



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