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Novità dal Quarto Reich
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Nella Cisgiordania, che gli ebrei riconoscono (in teoria) come palestinese, c’è un’aria nuova. Le forze d’occupazione e i coloni fanatici non si limitano a troncare gli antichi olivi degli arabi. Adesso li estirpano con grosse macchine da movimento terra, e poi li trapiantano dentro un insediamento o sui terreni di un kibbuz (1).

«Ho allevato questi olivi come bambini miei», dice piangendo Abdullah al-Hurub, un vecchio di Dir Samet, presso Hebron (Khalil). Hurub ha già perso centinaia di alberi di olivo, adesso al di là del Muro che il generoso Israele ha costruto sulla sua terra. Ora sta guardando quei membri armati del popolo eletto mentre gli portano via gli alberi rimasti, alcuni centenari, in pieno giorno.

Da decenni il glorioso Tsahal tratta come nemici gli olivi dei palestinesi (ce ne sono 10 milioni, secondo il ministero dell’Agricoltura, ed occupano il 45% della terra fertile); ma da due anni, l’eroica guerra contro le piante, strappate a colpi di bulldozer, ha conosciuto una nuova intensità.

Secondo l’autorità palestinese di Cisgiordania, gli olivi già sradicati si contano a centinaia di migliaia. Una gran parte, dai bulldozer di Tsahal con la scusa di costruire il Muro di separazione, i 900 chilometri di cemento, acciaio, garitte e apparati elettronici - ovviamente tutto su terreni appartenenti ai palestinesi. Nel 2004, l’assemblea generale dell’ONU ha chiesto ad Israele, almeno, di compensare i contadini per le perdite. Gli ebrei hanno allora concesso a centinaia di palestinesi tagliati fuori dai loro oliveti, dei permessi speciali per raggiungere e coltivare le piante al di là del Muro dell’apartheid.

Adesso, però, ecco un’altra novità. La racconta Mohammad Shawamreh, un coltivatore di Dir al-Asal, un villaggio 22 chilometri ad ovest di Hebron. «Ieri ho provato ad accedere al mio oliveto attraverso un’apertura del Muro, e quelli mi hanno puntato contro i mitragliatori: sei fai un passo spariamo, mi hanno gridato. Io ho detto: ho il pemesso  di entrare nel mio oliveto, eccolo qui... I soldati mi hanno risposto: l’uomo che dava i permessi è morto». Poi, alla fine, gli hanno detto che i suoi oliveti erano confiscati.

«All’inizio ci hanno detto che il Muro era solo una barriera di sicurezza, non un confine; ci hanno assicurato che avremmo potuto sempre andare sulle nostre terre; adesso, ci dicono che la nostra terra è espropriata. Non so se abbiamo a che fare con uno Stato, o con una banda di criminali  mentitori».

Ci sono volontari occidentali che aiutano come possono - con la loro presenza - i coltivatori palestinesi a far valere il loro diritto. La loro sola presenza non tiene più a bada la razza superiore, che ruba sotto i loro occhi. C’è chi dice a Shawamreh che dovrebbe rivolgersi ai tribunali israeliani.

«Volete scherzare?», replica lui, «di quali tribunali parlate? In Israele, un non-ebreo non ottiene giustizia. E la magistratura, lo sanno tutti, è solo il timbro in mano all’esercito israeliano».

I rabbini dei coloni ebraici, del resto, insegnano ai loro fanatici che è un dovere derubare i palestinesi dei loro raccolti, «perchè questa è terra ebraica usurpata dagli arabi». Spesso sono i coloni a impedire ai palestinesi la raccolta delle olive, con armi da fuoco; e se i palestinesi cercano di difendersi (accade di rado) i figlio di Giuda chiamano l’esercito che arresta i palestinesi perchè «entrati in zona militare».

Per i palestinesi, gli oliveti sono non solo un importante elemento economico e alimentare, ma un simbolo del loro stesso popolo. Vecchi anche di trecento anni, gli olivi sono considerati in qualche modo sacri nella cultura palestinese, perchè sono ricordati nel Corano e nelle Sacre Scritture.

I palestinesi identificano il loro stesso popolo con le radici dell’ulivo centenario; e vivono l’estirpazione degli ulivi come lo sradicamento del popolo stesso.

NETANYAHU «PREVEDE» UNA GUERRA
- Accadrà nei prossimi mesi: lo assicura Netanyahu, che sta facendo un governo con la destra ancora più estrema del suo Likud, prendendosi come ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, il razzista fondatore di Ysroel Beitenu (Israele cosa nostra), l’essere giudaico più  vicino alle idee hitleriane. Il governo è una miserabile patchwork di minuscoli partiti «religiosi» e di razzisti, di durata probabilmente precaria. Proprio per questo, secondo Debka (che è un  apparato di disinformazione del Mossad), «Bibi» Netanyahu pensa di indire nuove elezioni fra sei mesi. E ovviamente una «emergenza nazionale», che avvenga nel frattempo, sarebbe la benvenuta per «Bibi», in quanto gli consentirebbe di formare ed egemonizzare un governo d’unità nazionale, trascinandovi il Kadima della Livni.

«La sua valutazione è che Israele si attende di essere ingaggiata in un grosso conflitto nei prossimi mesi, sia con l’Iran, Hamas o Hezbollah», avrebbe detto a Debka una fonte politica innominata. Il piano sarebbe già delineato nell’annuale progetto di lavoro delle forze armate per il 2009 presentato il 16 febbraio scorso dal ministro della Difesa di allora, Ehud Barak con lo Stato Maggiore del glorioso Tsahal. Il generale Gabi Askhenazi, capo dello Stato Maggiore, ha descritto l’Iran come «la minaccia numero uno contro cui l’IDF si sta preparando».

Il rapporto dà all’Israeli Defense Force (IDF) il compito urgente di rafforzare le sua capacità aeree strategiche, e di accelerare lo sviluppo di «veicoli pilotati a distanza e di aerei senza pilota», oltre che di «investimenti infrastrutturali in apparati di intelligence e comunicazione», intesi contro l’Iran che Israele giura sarà dotato di bombe atomiche già dal 2009.

Contro questa continua minaccia, Teheran va dicendo da mesi di avere firmato un accordo con Mosca per l’acquisto di un sistema di contraerea sofisticato, lo S-300. Ma secondo l’agenzia russa Interfax - ripresa con soddisfazione da Debka - Mosca sta invece decidendo di mandare a monte l’affare, perchè vuole aprire «una nuova pagina» nei suoi rapporti con gli Stati Uniti. Senza l’S-300, l’Iran diventa in effetti vulnerabile a un attacco aereo israeliano.

1.700 CASE PALESTINESI SARANNO ABBATTUTE - Israele ha infatti in progetto di radere al suolo almeno 1.700 edifici, appartenenti ad arabi, a Gerusalemme Est. Lo sostiene lo shaik Read Salah, capo del movimento islamico palestinese; ma non rivela nulla di nuovo, dato che già da febbraio centinaia di famiglie palestinesi sono state avvisate dagli occupanti che dovranno evacuare da Gerusalemme Est (Al-Quds) perchè le loro case stanno per essere abbattute. Per i palestinesi, si tratta di case costruite prima del 1967, per gli israeliani sono case costruite dopo quella data (l’occupazione di Giuda) e quindi «illegali». Qualcosa come 17-20 mila palestinesi resterebbero senza tetto.

Commenta Justin Raimondo: provate a immaginare il contrario. Provate a immaginare, sui giornali, un titolo che dicesse: «Gli arabi raderanno al suolo 1.700 case israeliane». Provate a immaginare il clamore, l’indignazione, il grido di dolore di tutto l’Occidente per la Vittima eterna Invece, qui, il silenzio (2).

SEMPRE PIÙ ISRAELIANI CON PASSAPORTO USA
- Sono almeno mezzo milione gli israeliani con passaporto americano, «e più di 300 mila abitano nella sola California», secondo Franklin Lamb, un avvocato internazionale inervistato dalla iraniana Press TV. Lamb ha aggiunto che sempre più israeliani chiedono un secondo passaporto, americano o europeo-occidentale. E prevede che un altro mezzo milione di ebrei torneranno probabilmente presto o tardi in Russia (3).

L’avvocato sostiene l’esistenza di un rapporto della CIA, secondo cui Israele probabilmente non esisterà più tra una ventina d’anni. Visto da poche personalità qualificate (della Commissione senatoriale d’intelligence), questo rapporto richiama esplicitamente il precedente del Sudafrica e del rapido crollo del suo regime di apartheid, nonchè la disintegrazione dell’URSS, inattesa per velocità. Come quei regimi, il sogno di uno Stato dominato da una minoranza razziale, ideologica  e neo-coloniale è destinato al crollo. Secondo questo rapporto CIA, il destino di Israele come Stato ebraico è segnato «dall’inesorabile fallimento della soluzione a due Stati e l’inesorabile tendenza verso la soluzione a uno Stato», dove gli arabi sarebbero maggioranza.

Il fatto che il rapporto CIA venga citato solo da un’agenzia iraniana può porre dei dubbi sulla sua esistenza. Tuttavia, a non credere a un futuro per Israele sembrano essere sempre più numerosi israeliani, i quali si dotano di doppio passaporto con l’evidente intenzione, se le cose si fanno difficili, di filarsela dalla santa terra data da Dio ai giudei, e di essere soccorsi come «cittadini europei» o americani dalle forze armate occidentali, trasportati dagli aerei della NATO nelle loro nuove patrie.
Contro questa eventualità, ossia il crollo del sionismo, i «religiosi» giudaici induriscono l’animo.

Ai bambini delle scuole israeliane, e non solo rabbiniche, si fa cantare «Ha’olam Ku’lo heg ‘denu», che significa «Il mondo intero è contro di noi». E durante il Seder (la Pasqua di Giuda) si canta con più fervore che mai l’inno «Shfoch hamatcha al hagoym» (inonda con la Tua collera i goym). Un testo che David Weinberger, direttore del Begin Sadat Center alla Bar Illan University di Tel Aviv, difende con il seguente argomento: «La canzone è parte dell’Haggada, ed ha lo scopo deliberato di escludere il modo di pensare pacifista, e falsamente superiore, di cui è vittima il mondo occidentale» (Jerusalem Post, 21 aprile 2003).

Sulla stessa linea, un rabbino, Meir Y. Soloveichik, ha scritto su First Things (febbraio 2003, reperibile sul web) un articolo dal  titolo: «The virtue of Hate», la virtù dell’odio. «Quando l’odio è giusto, non solo è virtuoso, ma essenziale per il benessere degli ebrei», ha scritto il pio uomo.

Rabbi Soloveichik non è un marginale, viene da una storica ed eminente famiglia di rabbini super-ortodossi. Quando ha scritto il suo elogio dell’odio razziale, egli insegnava allo Jewish Center in Manhattan e studiava filosofia della religione alla Yale Divinity  School. Dunque anche il rabbino ha un doppio passaporto, e cittadinanza americana. Per farsi salvare da quei goym che ritiene virtuoso odiare. La «dualità etica» è una costante della mentalità ebraica.





1) Khalid Amayreh, «Israel war on palestinian olive», Desertpeace, 16 marzo 2009.
2) «Israel to rase 1,700 palestinian homes», Press TV, 15 marzo 2009.
3) «CIA report: Israel will fall in 20 years», Press TV, 13 marzo 2009.


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