Commentario su «Nostra Ætate»
Don Curzio Nitoglia
23 Marzo 2009
Cristianesimo e ebraismo.
«L’
Antica
Alleanza mai revocata»:
1) Giovanni Paolo
II:
1ª Obiezione:
Sin dal suo primo incontro con una delegazione ebraica, il
12 marzo 1979, Giovanni Paolo II cita la Dichiarazione Nostra Aetate, «il cui insegnamento esprime la fede della
Chiesa (come preciserà più tardi a Caracas, in Venezuela, il 27 gennaio
1985).
Secondo Nostra Aetate il legame che unisce spiritualmente il
Nuovo Testamento con la progenie di Abramo, sono non solo gli ebrei dell’Antica
Alleanza ma anche quelli odierni, sia per il Concilio che per Giovanni Paolo
II.
Infatti citando Romani. XI, 28-29 il Concilio dichiara -
scrive padre Jean Stern della Pontificia Università Urbaniana - a proposito
degli ebrei (post-biblici) che formano un «popolo
amatissimo dal punto di vista dell’elezione, a causa dei loro padri, poichè i doni di Dio sono irrevocabili.
Quindi se la comunità religiosa ebraica, formata dall’insegnamento rabbinico,
appartiene alla discendenza (spirituale) di Abramo...
l’ebraismo (post-esilico) costituisce una religione, gli ebrei di oggi formano un popolo».
1ªRisposta:
1) Nostra Aetate rappresenta
la fede della Chiesa:
La Dichiarazione Nostra Aetate, del 28 ottobre 1965, su «le relazioni della Chiesa con le religioni
non cristiane», al numero 2 parla del Buddismo e dell’Induismo, al numero 3
parla dei musulmani, al 4a, parla del «legame
della Chiesa con la stirpe di Abramo».
Ora stirpe = razza o discendenza carnale di Abramo; mentre la Chiesa è
ultranazionale e supra-razziale; è universale, cattolica, riguarda la fede, le
anime di tutti gli uomini, di tutte le ère, di tutto il mondo. La Chiesa non ha
legame spirituale con nessuna stirpe particolare. Quindi non si può mettere in
rapporto o legame la stirpe carnale o il sangue, con la fede, l’anima o lo
spirito. Questa è la prima grande anomalia o contraddizione nei termini di Nostra
Aetate.
Il giudaismo post-biblico non è tanto una pura religione
quanto una ideologia o «religione» razziale;
Elio Toaff, ex rabbino capo di Roma, ha scritto: «Ebreo è un popolo che ha una religione. I due concetti sono
inscindibili. L’identità ebraica è
costituita soprattutto dall’appartenenza
al popolo ebraico. Anche chi non è religioso è ebreo in quanto appartiene al
popolo ebraico. La religione ebraica è solo per il popolo ebraico».
Occorre poi specificare che stirpe di Abramo non sono solo i
giudei, ma anche gli arabi: infatti Ismaele (loro capostipite) era figlio di
Abramo ed Agar, (mentre Isacco, capostipite degli ebrei, era figlio di Abramo e
Sara). Quindi quando Nostra Aetate parla dei «punti di contatto con i musulmani» al numero 3 e al numero 4, ove tratta della «stirpe di Abramo», e trattando solo «degli
ebrei»,
commette una discriminazione razziale nei confronti degli arabi, (i quali sono
presentati solo come «musulmani
che cercano di sottomettersi... a Dio come... Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce»), senza dire che se da parte di madre sono
figli della schiava Agar, da parte di padre son figli carnali o stirpe di
Abramo come gli ebrei. Non sono «Nescio
Nomen», hanno madre e padre, anche se
la loro madre era una schiava, e la madre di Isacco e degli ebrei era la
padrona.
La teologia cattolica ha distinto adeguatamente (prima e
meglio del Concilio Vaticano II) la discendenza di Abramo:
a) secondo la
carne: ebrei ed arabi.
b) Secondo la
fede: ossia coloro che hanno la fede di Abramo, egli credeva nel Cristo
venturo, era cristiano in voto. Gesù nel Vangelo di Giovanni (VIII, 56) dice «Abramo, vostro padre (secondo la carne), desiderò veder il mio giorno (l’Incarnazione del Verbo), lo vide (in spirito) e ne tripudiò (mi accolse nel suo animo,
nella sua fede, mentre voi no)».
Quindi ha legame con la Chiesa di Cristo solo chi ha la fede
di Abramo in Cristo venturo (Antico Testamento) e venuto (Nuovo Testamento),
indipendentemente dal popolo cui appartiene; «in Cristo non c’è più giudeo, nè greco», si è cristiani,
figli nella fede di Abramo, anche se si è ebreo o non secondo il sangue. Gli
Apostoli, la Madonna, Cristo come uomo, erano ebrei di sangue e cristiani di
fede, veri figli di Abramo secondo l’una e soprattutto l’altra. Eugenio Zolli
era ebreo di razza, ma divenne cristiano di fede, e solo allora fu vero figlio
di Abramo. Ora la discendenza carnale, stirpe, razza o popolo di Abramo che non
ha accettato Cristo come Dio e Messia, non ha legame spirituale con la Chiesa
cristiana, non ne condivide la fede nella divinità di Cristo. Quindi non è la
stirpe che conta (sarebbe razzismo, e la Chiesa lo ripudia), ma la fede nella
divinità di Gesù.
Infatti è rivelato che «in
Gesù Cristo la benedizione di Abramo passa alle Genti» (Galati III, 14), Gesù nel Vangelo dice ai
farisei: «Non dite: Abbiamo Abramo per padre» (Matteo
III, 9. Luca III, 8), «la
discendenza, deriva dalla fede di
Abramo» (Romani IV, 16), «quelli che hanno fede, son benedetti
con Abramo che credette» (Galati III,
9).
L’ambiguità di Nostra Aetate è di far passare tutti coloro
che discendono da Abramo (tranne gli arabi) come aventi legami spirituali o di
fede con la Chiesa cristiana. Ma le cose non stanno così; la maggior parte dei
figli di Abramo secondo la carne non crede alla divinità di Cristo, solo
«un piccolo
resto» (Romani IX, 27/ XI, 15) lo ha
accettato come Dio e Messia. Lo stesso Gesù lo rivela «voi non avete per padre [secondo lo spirito o la fede] Abramo, ma il diavolo» (Giovanni
VIII, 44).
La stirpe o razza abramitica è composta:
a) dagli arabi,
che spiritualmente sono - in massima parte - musulmani, quindi non hanno la
fede di Abramo nella divinità di Cristo, anche se Lo riconoscono come profeta.
b) Dagli ebrei,
che dal Venerdì santo si trovano scissi in due:
1) La «piccola parte» fedele a Cristo:
«il
piccolo resto», ossia gli Apostoli e
i discepoli, che avendo accettato Cristo, ha dato origine alla Chiesa
(stirpe+fede di Abramo).
2) La maggior
parte infedele o incredula verso la divinità di Cristo: ha rinnegato la fede di
Abramo, il mosaismo vetero-testamentario, ed ha dato luogo al giudaismo
post-biblico, post-cristiano, talmudico-cabalistico e rabbinico-farisaico, il
quale più che una religione è una stirpe o una «religione razziale» e
razzista.
Gli esegeti distinguono nettamente il giudaismo Antico, del
Tempio ossia biblico; da quello Nuovo, rabbinico-«post-templare» (dopo la
distruzione del Tempio nel 70 dopo Cristo), talmudico e cabalistico, ossia
antibiblico.
La Chiesa è «la
società dei battezzati, che hanno la
stessa fede (in Cristo), la stessa morale, partecipano agli stessi sacramenti e sono sottomessi ai legittimi
pastori, i vescovi o successori degli
Apostoli e specialmente al Pontefice romano, successore di Pietro» (San
Roberto Bellarmino);
come si vede non si parla di stirpe o popolo in questa definizione classica, e
comunemente accettata, della Chiesa. Quindi non vi è nessun «tanto grande patrimonio spirituale comune a
cristiani e ad ebrei» (Nostra Aetate numero 4f).
Al numero 4e, Nostra Aetate insegna: «secondo San Paolo gli ebrei,
in grazia dei padri, rimangono ancora
carissimi a Dio, i cui doni e la cui
vocazione sono senza pentimento». Ho
già confutato il sofisma: San Paolo dice solo che la vocazione da parte di Dio
non muta («Ego sum Dominus et non mutor»).
Invece può cambiare la risposta umana alla chiamata di Dio, come è stato per la
maggior parte del popolo d’Israele, che durante la vita di Gesù, ha mal
corrisposto alla chiamata e al dono di Dio, uccidendo i Profeti e Cristo
stesso; onde son cari a Dio, ossia stanno in grazia di Dio, solo
«il piccolo resto» di coloro che hanno accettato il Messia Cristo venuto (Nuovo Testamento),
come lo accettarono venturo i loro padri nell’Antico Testamento.
Al numero 4g la Dichiarazione conciliare scrive. «La morte di Cristo dovuta ai peccati di
tutti gli uomini. E se autorità ebraiche con i propri seguaci si son adoperate
per la morte di Cristo, tuttavia
quanto è stato commessso durante la passione, non può essere imputato nè indistintamente a tutti gli ebrei allora
viventi, nè agli ebrei del nostro
tempo».
Occorre distinguere:
Cristo è morto per riscattare i peccati di tutti gli uomini,
ossia il fine della morte di Cristo è la redenzione del genere umano.
Ma la causa efficiente che ha prodotto la morte di Cristo,
non furono i peccati degli uomini, ma il giudaismo post-biblico, che negando la
divinità di Cristo, lo condannò a morte e fece eseguire la sentenza dai Romani.
Per tutti i Padri della Chiesa, unanimemente, la causa efficiente e
responsabile della morte di Gesù è il giudaismo farisaico, talmudico e anticristiano
tramite i suoi fedeli.
Nella morte di Cristo è implicata la comunità religiosa di Israele post-biblico
e non tutta la stirpe (un «piccolo
resto» che fu fedele a Cristo: gli
Apostoli, i Discepoli), anche se la maggior parte del popolo prese parte attiva
alla condanna di Gesù. Il consenso unanime dei Padri è segno di tradizione
divina, ossia essi sono l’organo che trasmette la tradizione divino-apostolica,
quindi il loro consenso comune è regola di fede: vale a dire che è rivelato da
Dio e consegnato agli Apostoli, ciò che i Padri ecclesiastici insegnano con
consenso moralmente unanime in materia di fede e di morale (non è necessario il
consenso assoluto o matematico). Poichè essi sono stati posti da Dio nella
Chiesa per conservare la tradizione divina ricevuta dagli Apostoli. Nel nostro
caso i Padri (da Sant’Ignazio di Antiochia 107 sino a Sant’Agostino +430;
passando San Giustino +163, Sant’Ireneo +200, Tertulliano +240, Sant’Ippolito
di Roma +237, San Cipriano 258, Lattanzio +300, Sant’Atanasio +373, Sant’Ilario
di Poitiers +387, San Gregorio Nazianzeno +389, Sant’Ambrogio di Milano +397, San
Cirillo d’Alessandria +444) sono non solo moralmente, ma anche matematicamente
concordi nell’insegnare che la grande parte (infedele a Cristo) del popolo
ebraico, ossia il giudaismo talmudico è responsabile, come causa efficiente,
della morte di Cristo e ha dato luogo ad una nuova religione scismatica ed
eretica, il talmudismo, che si distacca dal mosaismo e che ancor oggi rifiuta
la divinità di Cristo e lo condanna come idolatra, poichè da uomo pretende
farsi Dio.
a) I capi:
sapevano chiaramente, come insegna San Tommaso d’Aquino,
(S.T. III, q. 47, aa. 5, 6/ II-II, q. 2, aa. 7, 8) che Gesù era il Messia e
volevano ignorare o non ammettere che era Dio (ignoranza affettata, aggrava la
colpevolezza).
b) Il popolo:
che nella maggior parte ha seguito i capi, mentre un «piccolo resto» ha seguito Cristo, ha avuto un’ignoranza non affettata o
voluta, ma vincibile, quindi una colpa meno grave dei capi, ma oggettivamente o
in sè grave (soggettivamente, ossia nel cuore di ogni singolo uomo, solo Dio vi
entra). Il popolo, che aveva visto i miracoli di Cristo, ha l’attenuante di
aver seguito il sommo sacerdote, il sinedrio, i capi; il suo peccato è grave in
sè, anche se è diminuito in parte, non cancellato totalmente, da ignoranza
vincibile ma non affettata (San Tommaso supra).
Il giudaismo odierno, nella misura in cui è la libera
continuazione del giudaismo rabbinico dei tempi di Gesù e si ostina a non
accettarlo, partecipa oggettivamente alla responsabilità del deicidio.
Nostra Aetate numero 4h scrive: «Gli ebrei non devono essere presentati come rigettati da Dio, nè come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla Scrittura».
Innanzitutto bisogna specificare che si sta parlando di
ebraismo religione post-biblica, e dei fedeli di essa, gli ebrei che seguono la
Càbala e il Talmùd (Nostra Aetate equivoca, quando usa la semplice parola «ebrei»,
mentre sta parlando dei «rapporti
tra stirpe di Abramo che ha legami spirituali molto stretti con la Chiesa di Cristo»).
Poi occorre precisare i termini teologici e biblici di riprovazione
e maledizione.
a) Riprovare:
significa rigettare, reputare inutile, disapprovare, rompere
un’amicizia. Ora la sinagoga talmudica (che l’Apocalisse di San Giovanni chiama
due volte Sinagoga di Sàtana), dopo l’uccisione di Cristo, è stata disapprovata,
rigettata da Dio che ha constatato la sua infedeltà al patto stretto da Lui con
Abramo e l’ha ripudiata per stringere una Nuova Alleanza con il «piccolo resto» di Israele fedele a Cristo e a Mosè, e con tutte le Genti
pronte ad accogliere il Vangelo (le quali in massima parte hanno corrisposto al
dono di Dio, mentre solo una «reliquia»
Lo ha rifiutato, per adorare narcisisticamente se stessa tramite gli idoli che
si era costruiti a mo’ di specchio). Dio ha sconfessato chi ha rinnegato il suo
Figlio unigenito e consustanziale «Dio
vero da Dio vero». Quindi la sana
teologia ha interpretato la Scrittura e ha insegnato che il giudaismo
post-biblico è riprovato o disapprovato da Dio, ossia sino a che resta nel
rifiuto ostinato di Cristo, non è unito spiritualmente a Dio, non è caro a Lui,
non è in grazia di Dio.
b) Maledire:
significa condannare; non è una «maledizione formale»
scagliata da Dio come un’imprecazione a fin di male, ma «oggettiva», ossia una
situazione che è condannata da Dio, di cui Egli dice male o «male-dice»:
infatti Dio non può approvare, dir bene o «bene-dire» il rifiuto di Cristo. Il Padre, avendo
constatato la sterilità del giudaismo farisaico e rabbinico, che ha ucciso i
Profeti e suo Figlio, la condanna, disapprova o ne «dice-male» o «male-dice».
Come Gesù che constatata la sterilità di un fico lo maledisse, ossia non lo
apprezzò, ma lo condannò in quanto infruttuoso.
Riporto quanto ha scritto un’ebrea convertita: «Occorre distinguere il giudaismo dell’Antico Testamento dal giudaismo post-cristiano. Il primo (Antico Testamento),
è una preparazione del cristianesimo; il secondo invece (giudaismo
post-cristiano), ha negato la
messianicità di Gesù e continua a
rifiutare il Messia Gesù Cristo. In
questo senso vi è un’opposizione di
contraddizione tra cristianesimo e
giudaismo attuale. L’Antica Alleanza
è basata anche sulla cooperazione degli uomini.
Mosè riceve la dichiarazione di Dio, contenente
le condizioni del patto. L’Alleanza
non è incondizionata (Dt. XI, 1-28),
ma è sottomessa all’obbedienza del popolo d’Israele: ‘Io vi offro benedizioni e
maledizioni. Benedizioni se obbedite ai comandamenti divini... maledizioni se
disobbedite’ (Dt. XI, 28)... L’alleanza dipende anche dal comportamento d’Israele e Dio minaccia più volte di romperla a causa delle
infedeltà del popolo ebreo che vorrebbe distruggere (Dt. XXVIII; Lev. XXVI, 14 ss ; Ier. XXVI, 4-6;
Os. VII, 8 e IX, 6). Dopo la morte di Cristo il perdono di Dio
non è accordato a tutto Israele, ma
solo ad ‘un piccolo resto’ fedele a Cristo e a Mosè. In seguito all’infedeltà del popolo d’Israele, nel suo complesso, verso
Cristo e l’Antico Testamento che Lo annunciava, il perdono di Dio si
restringe solo ad ‘un piccolo resto’.
Da parte di Dio non vi è rottura del suo
piano, ma solo sviluppo e perfezionamento
dell’Alleanza primitiva o antica, nell’Alleanza nuova e definitiva,
che darà al ‘piccolo resto’ dei giudei fedeli al Messia un ‘cuore nuovo’ e si aprirà all’umanità
intera... Gesù non ha instaurato una nuova religione, ha insegnato che Dio voleva la salvezza di tutta l’umanità e che la venuta del Cristo era la
condizione di tale salvezza... La comunità cristiana è rimasta fedele alla
tradizione vetero-testamentaria, riconoscendo
in Gesù il Cristo annunciato dai Profeti. Per i cristiani è il giudaismo
post-biblico ad essere infedele all’Antico
Testamento, ma vi è un ‘piccolo resto’ fedele, che entrando nella
Chiesa cristiana garantisce la continuità dell’Alleanza (antica-nuova), in vista di Cristo venturo e venuto. Egli è
la pietra d’angolo che ‘ha fatto di due (popoli: giudei e gentili)
una sola cosa’ (cristiani)».
2) Vi è un legame
che unisce spiritualmente il Nuovo Testamento al giudaismo post-biblico:
Il Nuovo Testamento crede alla divinità di Cristo, il
giudaismo attuale o post-biblico la nega, tra essi vi è opposizione di
contraddizione (Cristo è Dio; Cristo non è Dio), ossia la massima opposizione
che non consente la verità di entrambe le proposizioni, per cui o Cristo è Dio
(ed allora vige il Nuovo Testamento), o Cristo non è Dio (e quindi è vero il
giudaismo post-biblico), tertium non datur; la posizione irenistica del
Concilio Vaticano II, e di Nostra Aetate particolarmente, è la terza via che è
impossibile poichè contraddittoria.
Inoltre il legame che unisce spiritualmente cristianesimo e
giudaismo attuale, è contrario all’insegnamento del Vangelo e della Tradizione
patristica; infatti Gesù dice ai farisei che negavano la sua divinità (ossia al
giudaismo rabbinico e postbiblico o anticristiano) che il loro padre secondo la
generazione carnale è Abramo, ma secondo lo spirito è il diavolo (Giovanni
VIII, 31-47;
San Giovanni Crisostomo, Commento a Giovanni, Omelia LIV, 1; Sant’Agostino,
Commento su Giovanni, Discorso XLII, 1; San Tommaso d’Aquino, Commento a San
Giovanni, VIII, Lectio IV, 1201).
3) Il popolo
ebraico (o religione talmudica) è ancor oggi amato da Dio:
«Deus
non deserit nisi prius deseratur»,
l’Alleanza stretta con Abramo è un patto bipolare e condizionale, da parte di
Dio (ex parte electionis), il Signore s’impegna a proteggere il suo popolo, se
gli sarà fedele; altrimenti è rottura. Da parte del popolo, esso può contare
sull’amore in atto da parte di Dio, se sarà fedele a Lui, altrimenti sarà
ripudiato come idolatra, come una meretrice che ha abbandonato il suo sposo per
vendersi a degli sconosciuti. Tutto l’Antico Testamento si basa su tale
rapporto bipolare e condizionale. Ora il popolo ebraico è stato infedele a Dio
(ha ucciso i Profeti e il Messia); quindi Dio ha rotto l’alleanza con lui ed ha
stretto una nuova e definitiva alleanza con il «piccolo resto» fedele e con
le Genti.
I doni di Dio sono irrevocabili o senza pentimento, «ex parte electionis», certo, Dio chiama, elegge un popolo, una
persona ad una vocazione particolare (Israele ad accogliere il Messia Gesù;
Giuda ad essere Apostolus Jesu Christi; ma entrambi hanno tradito la loro
vocazione «ex parte cooperationis») Dio non
cambia parere, la vocazione resta, ma non vi è corrispondenza da parte del
chiamato, che in quanto non corrispondente non è amato da Dio. Onde se Dio ama
i padri secondo la generazione carnale (Abramo, Isacco, Giacobbe...),
dell’ebraismo attuale, non ama il talmudismo in sè poichè ha rifiutato Cristo,
unico Salvatore e Redentore dell’umanità.
2ª Obiezione:
«La
nuova Commissione Pontificia per i rapporti religiosi col Giudaismo -
osserva padre Michel Dubois O. P. - fa
parte del Segretariato per l’Unione
dei Cristiani, mentre la Commissione
per l’Islàm dipende dal Segretariato
per i non-cristiani. Questa decisione è ricca di significato teologico... tale
da togliere ogni differenza fondamentale tra giudaismo e cristianesimo».
2ª Risposta:
Il giudaismo che nega la divinità di Cristo (essenza della
religione cristiana) e Lo ritiene un idolo meritevole di morte, è stato
accorpato alla Commissione per i rapporti con i cristiani (come se il
cristianesimo fosse un ramo del giudaismo attuale o post-biblico, o se il
giudaismo talmudico inverasse il cristianesimo, quod repugnat; mentre l’Islàm
che nega la divinità di Cristo ma Lo rispetta come profeta è considerato,
giustamente, a-cristiano, però la sua distanza dal cristianesimo è meno forte
di quella del giudaismo.
3ª Obiezione:
Nel 1980, Giovanni Paolo II, a Mainz (Magonza) in Germania,
ha chiamato gli ebrei «il
popolo dell’Antica Alleanza mai revocata»;
tale espressione - spiega padre Paul Beauchamp S. J. - era già formulata «nella nuova liturgia (versione ufficiale francese) del Venerdì santo, nell’orazione in cui si
implora Dio che gli ebrei ‘progrediscano
nell’amore del suo Nome e nella
fedeltà alla sua Alleanza’. Chi è
escluso da un’Alleanza non può
progredirvi (quindi l’ebraismo attuale mantiene l’Alleanza con Dio)».
Il padre gesuita Norbert Lohfink ha approfondito il
significato della frase pronunciata a Magonza da Giovanni Paolo II, ed ha
spiegato che dietro il concetto di Nuova ed Eterna Alleanza si nasconde un
certo antigiudaismo cristiano; si tratterebbe di un concetto di antagonismo
verso il giudaismo, ereditato dalla Chiesa primitiva; l’autore sostiene che
occorre parlare di un’unica Alleanza e di una duplice via di salvezza, evitando
di dire che solo in Cristo c’è la salvezza per ogni uomo (contraddicendo
esplicitamente il dato rivelato, nda); gli ebrei possono salvarsi percorrendo
la via del giudaismo talmudico, i cristiani quella del Vangelo, l’Alleanza è
una sola cui partecipano ebrei e non-ebrei, ciascuno seguendo la propria
strada.
Secondo l’autore Giovanni Paolo II si riferisce senza dubbio
al popolo ebraico di oggi; infatti egli parla de «l’incontro tra il popolo di
Dio dall’Antica Alleanza mai revocata
(Romani, I,19) e quello della Nuova Alleanza, è... un dialogo... tra la prima e la
seconda parte della sua Bibbia».
3ª Risposta:
La pericope è equivoca; infatti il popolo dell’Antica
Alleanza e quello della Nuova ed eterna è spiritualmente lo stesso; esso è
composto da coloro che credevano nel Cristo Messia venturo (Mosaismo) e da
coloro che credono al Cristo Messia venuto (Cristianesimo); per la teologia
cattolica vi è un perfezionamento dell’Antica Alleanza tramite la Nuova; mentre
Giovanni Paolo II parla di due popoli, quello del giudaismo attuale, con il
quale - per la sana teologia cattolica - Dio ha rotto l’Alleanza perchè è stato
tradito da esso che ha rifiutato i Profeti e Cristo.
Il rabbinismo farisaico-talmudico, invece, è presentato da
Giovanni Paolo II come il popolo con cui Dio è ancora in alleanza.
Il popolo dell’Alleanza stabilita con Mosè è spiritualmente
il cristianesimo; infatti materialmente Mosè, circa tremila anni fa, era il
capo del popolo d’Israele secondo la carne; ma questo popolo, nella maggior
parte, quando venne il Messia, per il quale Dio aveva stretto alleanza con
Israele,
Lo rifiutò e da quel momento non è più da considerarsi figlio spirituale di
Abramo, Mosè e Dio, ma solo discendente materialmente da Abramo, Mosè e
ripudiato da Dio spiritualmente e quindi figlio spirituale del diavolo (Jo.
VIII, 44).
Il Lohfink scrive che Giovanni Paolo II «infrange, con audacia, la consuetudine, riferendo (Romani, XI, 29) a questa ‘antica alleanza’, mentre Luca
XXII, 20 parla de ‘la Nuova Alleanza nel mio (di Cristo) sangue, che viene versato
per voi». Il Lohfink invece ritiene
che «in ordine all’interpretazione del rapporto ebraismo-cristianesimo, ci sono le cosiddette ‘teorie dell’unica alleanza (che ha
due tappe, quella vecchia e quella nuova, nda), e ci sono per contro le ‘teorie
delle due alleanze’ ».
Secondo il gesuita «l’ebraismo odierno può riferire a sè la parola
‘alleanza’ anche da un punto di vista
perfettamente cristiano poichè la sua ‘antica
alleanza’ non è mai stata revocata da
Dio».
Invece è ovvio che se Dio ha stretto una Nuova ed Eterna
Alleanza nel Sangue sparso da Gesù, non sussiste più la Vecchia che è stata
perfezionata e sostituita dalla Nuova.
Secondo il gesuita «il
concetto popolare cristiano di ‘nuova
alleanza’ favorisce l’antisemitismo.
Il cristiano normale di fronte al
discorso dell’‘antica e nuova
alleanza’ immagina che vi siano due
alleanze, una ‘antica’ ed una ‘nuova’ che si succedono l’un l’altra...; un ‘testamento’ vecchio si estingue quando uno va dal notaio
e fa redigere un testamento ‘nuovo’. Quando noi cristiani parliamo della ‘nuova alleanza’ consideriamo gli ebrei di oggi come i posteri di quegli ebrei che
allora non hanno trovato accesso alla ‘nuova
alleanza’, e poichè adesso l’‘antica
alleanza non esiste più, essi non
hanno più alcuna ‘alleanza’ [mi
sembra puro buon senso, nda]. Questo è il
punto in cui si inserisce la formulazione di Giovanni Paolo II a Mainz».
Ora San Paolo, divinamente ispirato, ha scritto: «Dicendo Alleanza Nuova, Egli ha dichiarato antiquata la prima; ora ciò che diventa antico ed invecchia, è prossimo a sparire».
Il rimedio a questa distorsione del «cristiano normale, del popolo
cristiano», sarebbe secondo il
gesuita un «cristianesimo a-normale ed elitario», ossia esoterico, gnostico e cabalistico,
cripto-giudaico che ritenga - contraddicendo San Paolo - che occorra parlare di
«due alleanze: di una antica che continua,
nonostante sia invecchiata e prossima a
sparire (già 2000 anni fa circa),
e in cui si trova anche l’odierno
ebraismo; e della nuova, data ai cristiani; con l’avvertenza di
aggiungere subito che non esiste nessun motivo per gli ebrei di rinunciare alla
propria... Non si è mosso in questo senso - si domanda il gesuita - Giovanni Paolo II nel suo discorso di
Mainz?».
Il gesuita continua dicendo che il termine Nuova alleanza è «un’arma
concettuale della chiesa primitiva, per emarginare gli ebrei, inoltre questa affermazione [Nuova
Alleanza] non è storicamente sicura...», per provare ciò l’autore deve negare, in
maniera contorta e confusa, la divina ispirazione dei Vangeli che sarebbero il
prodotto delle prime comunità cristiane, del Cristo della fede e non del Cristo
della storia.
E’ interessante notare come l’affermazione di Giovanni Paolo
II del 1980 che suscitò scalpore, era già contenuta nel Novus Ordo Missae del
1968 (Venerdì santo) in cui si chiede a Dio di far progredire nell’alleanza con
Lui il popolo e la religione giudaica post-biblica.
In effetti Giovanni Paolo II non ha fatto nient’altro che
esplicitare ciò che era contenuto nel Concilio Vaticano II, fornendoci così la
sua retta interpretazione, che non è quella della Tradizione divino-apostolica,
trasmessaci attraverso i Padri, i Papi, i Dottori e i Santi; ma che la
contraddice formalmente, come il sì contraddice il no.
Mi sembra che tale affermazione di Giovanni Paolo II, sia
contraria al dato rivelato («Chi
crederà [al Vangelo, nda] e sarà
battezzato si salverà. Chi non crederà sarà condannato»; Marco, XVI, 16),
renda vana la redenzione dell’unico mediatore Gesù Cristo, «creando» artificiosamente una
sussistenza della Vecchia Alleanza che non ha più ragion d’essere, a causa
dell’Incarnazione, Passione e Morte di Nostro Signor Gesù Cristo. Infatti a che
scopo istituire una nuova alleanza se la prima è ancora valida? Sarebbe
scorretto, inutile e disonesto da parte di Dio nei confronti del vecchio e del
nuovo alleato (absit), sarebbe come se un marito, si sposasse di nuovo, vivente
ancora la prima moglie, arrecando così danno sia alla prima che alla seconda; o
come se un padre abrogasse il primo testamento, stilato dal notaio a favore del
solo figlio primogenito, e lo rimpiazzasse con un secondo e definitivo a favore
di tutti i suoi figli, e l’autorità giudiziaria ritenesse ancor valido il primo
testamento (che è stato, per esplicita volontà del padre, rimpiazzato con un
secondo ed ultimo), e - contraddittoriamente - anche il secondo testamento, di
modo che vi sono due testamenti validi, di cui uno rende erede solo il
primogenito e l’altro tutti i restanti, ma ciò è impossibile, «per la contraddizion che nol consente».
In breve Giovanni Paolo II «giudaizza», ossia ritorna a
prima del Concilio di Gerusalemme in cui fu definita, dagli Apostoli «con Pietro e sotto Pietro», l’unicità della redenzione e salvezza del
genere umano operata da Cristo, mediante la fede soprannaturale in Cristo-Dio e
le buone opere.
Il Concilio di Firenze (1438-1445) ha definito («Decreto per i Giacobiti») che
le osservanze legali dell’Antico Testamento sono cessate con la venuta di
Cristo ed hanno preso inizio i sette Sacramenti del Nuovo Testamento (D. 712);
egli cerca di reintrodurre il culto e le pratiche dell’Antica Alleanza, che
sono «mortue et mortifere», giacchè significavano la realtà di Cristo
venturo. Ora se le si rispetta ancor oggi significa negare implicitamente che
solo Cristo è Salvatore dell’umanità («Non
c’è salvezza in nessun altro fuori di
Lui, poichè nessun altro Nome, sotto il cielo, è stato dato agli uomini,
grazie al quale dobbiamo essere salvati»;
Atti, IV, 12), che Egli non sarebbe ancora venuto e che pertanto l’Antica
Alleanza deve restare ancora in piedi, non essendo presente il Messia, mediatore
universale tra Dio e l’uomo.
Tali errori conducono all’apostasia, al cambiamento di una
religione (Cristianesimo che affonda le sue radici nell’Antico Testamento) per
un’altra (il giudaismo postbiblico, antimosaico e talmudista, il quale nega il
concetto di Salvatore universale che la fede cattolica applica solo ed
esclusivamente a Cristo).
4ª obiezione:
Il 13 aprile 1986, durante la visita alla sinagoga romana,
Giovanni Paolo, II «avendo
citato il passaggio di Nostra Aetate sugli odii e le manifestazioni di
antisemitismo di cui gli ebrei son stati vittime, aggiunse: ‘in qualsiasi
epoca e da qualsiasi autore’, il
pontefice aggiunse ‘ripeto, da chiunque’. Egli pensava, sicuramente a l’uno
o l’altro dei suoi predecessori, per esempio a Paolo IV».
Il fratello Jean-Miguel Garrigues conclude scrivendo che «ci son voluti più di diciannove secoli, affinchè la Chiesa in quanto tale si sia
concentrata ex professo sul ‘legame
che unisce spiritualmente il popolo
del Nuovo Testamento con la discendenza di Abramo» (Nostra Aetate, numero 4). Pronunciandosi
per la prima volta con autorità, la
Chiesa ha esposto al Concilio Vaticano II i fondamenti rivelati della sua fede
sulla vocazione soprannaturale del popolo ebraico.
Il Concilio Vaticano II ha dato... uno sguardo di fede sul popolo d’Israele..., che impegna la Chiesa propriamente detta tramite il suo Magistero
dottrinale, diversamente da tante
disposizioni disciplinari di tanti concili e di papi durante la cristianità, talmente dipendenti dalle contingenze
storiche, che sono garantiti solo da
un’assistenza divina di tipo
prudenziale e fallibile nell’ordine
della disciplina e del governo della Chiesa. Tuttavia non può passare inosservato che la parte della Dichiarazione Nostra
Aetate che concerne il popolo ebraico è il solo testo del Concilio Vaticano II
in cui le referenze sono esclusivamente scritturarie, senza alcun testo posteriore allegato. Ciò significa che il Concilio
non ha trovato espressioni adeguate,
per insegnare la dottrina della fede,
nei numerosi passaggi dei Padri, dei
Dottori e dei Santi che hanno trattato sul giudaismo; infatti questi testi sono inficiati da condizionamenti molto umani
provenienti dalla polemica tra cristiani e giudei. (...) Sarebbe auspicabile
che la rilettura, in spirito di
pentimento, di secoli cristiani di
polemica, disprezzo e violenza
antigiudaica..., si faccia mediante
una interpretazione più esplicita dell’autentica
dottrina della fede cattolica sul popolo ebraico, come il magistero supremo della Chiesa ha iniziato ad insegnare ex
professo dal Concilio Vaticano II. (...)
il Magistero continua a correggere,
mediante l’autorità della dottrina
della fede, le opinioni teologiche
che stanno alla base dell’insegnamento
(patristico) del ‘disprezzo’, queste opinioni teologiche,
per ‘comuni’ che siano state nella cristianità, sono solo opinioni umane probabili che non esprimono adeguatamente la
fede cattolica e non impegnano la Chiesa in quanto tale (...) Gli ebrei che non credono in Gesù sono
sempre inseriti nel piano della salvezza, essi anche rifiutandosi di entrare nella Nuova Alleanza messianica,
restano l’Unico Popolo di Dio. (…) la formula ‘fratelli maggiori’, usata da
Giovanni Paolo II nel 1986 alla sinagoga romana deriva dalla liturgia del
Venerdì santo ‘il popolo che Dio ha
scelto per primo’ ».
4ª risposta:
1) È grave
affermare che i papi anteriori a Giovanni Paolo II abbiano favorito l’odio
antisemita, e che solo con il Concilio Vaticano II (1962-1965) la Chiesa abbia
dato una risposta adeguata al rapporto cristianesimo giudaismo post-cristiano.
I rapporti tra Antico e Nuovo Testamento stanno alla base
della fede della Chiesa: ora se i Papi anteriori a Giovanni Paolo II non hanno
insegnato correttamente la dottrina della fede della Chiesa su tale problema,
le porte dell’inferno avrebbero prevalso contro essa e la promessa di Cristo
sarebbe stata falsa (portae inferi non praevalebunt).
2) Altrettanto
grave è l’asserto secondo cui ci son voluti diciannove secoli, affinchè la
Chiesa docente studiasse scientificamente il rapporto tra cristianesimo e
giudaismo post-biblico, ossia sul legame spirituale tra discendenti di Abramo
secondo la carne e il sangue, e cristiani. San Giovanni nel suo Vangelo ha
risolto mirabilmente il problema; i Padri lo hanno commentato in maniera
unanime; ora quando vi è il consenso moralmente, e non matematicamente,
unanime, in materia di fede e di morale, dei Padri sul significato della Sacra
Scrittura, esso è infallibile, poichè ci fa conoscere la tradizione
divino-apostolica nel suo vero significato (V. Zubizarreta, «Theologia dogmatico-scolastica», edizioni
El Carmen, Vitoria, 1948, volume I, numero 699, tesi IV).
3) La Chiesa si
sarebbe pronunciata per la prima volta con autorità, esponendo la sua fede, sui
rapporti cristianesimo giudaismo rabbinico, col Concilio Vaticano II, che ha
impegnato la Chiesa docente e gerarchica, tramite il magistero dottrinale e non
disciplinare (al contrario di chi afferma che il Concilio Vaticano II è
pastorale, non dottrinale e quindi non ha mai impegnato l’infallibilità).
Prima, specialmente durante la cristianità vi erano tante disposizioni
disciplinari di tanti Papi, che erano fallibili poichè dipendevano dalle
contingenze storiche dell’epoca medievale.
Non è e non può essere esatto; già dal Concilio di
Gerusalemme la Chiesa con il Papa San Pietro si è espressa dottrinalmente (e ne
ha tratto conseguenze pratiche), adeguatamente sino a Pio XII, sui giudaizzanti,
che si son rifatti vivi durante il Concilio Vaticano II. (confronta Curzio
Nitoglia, «L’antica
e la Nuova Legge, il Talmùd e il
Concilio Vaticano II», in «Per padre il diavolo. Un’introduzione
al problema ebraico secondo la Tradizione cattolica», SEB, Milano, 2002, pagine 117-124).
Tutte le decisioni disciplinari dei Papi della Cristianità
sugli ebrei, derivavano da un giudizio dottrinale sugli errori del Talmùd; tali
giudizi dottrinali impegnavano l’autorità della Chiesa che, dunque, era
assistita infallibilmente.
4) Chiedere
un’interpretazione più esplicita della fede cattolica sul giudaismo
post-biblico, è ambiguo anche quanto al Vaticano II che non sarebbe stato poi
così esplicito, come si dice. Infatti l’autore aggiunge che il Magistero
supremo ha iniziato a darla con il Concilio Vaticano II e quindi lascia
intendere che essa deve ancora essere compiuta. Ma data la mentalità
storicistica (i Papi e i Padri erano condizionati dalle polemiche umane del
loro tempo) dell’autore che storicizzando relativizza tutto (quindi non hanno
risolto il problema con autorità dottrinale, ma solo con opinioni personali e
fallibili), potrebbe succedere che anche il Vaticano II abbia risentito gli
influssi del suo tempo e si sia lasciato influenzare da esso, per cui la sua
interpretazione non è adeguata e va rivista e corretta, e così all’infinito.
5) I Padri hanno
espresso solo opinioni (non certezze) teologiche, che pur essendo comunemente
insegnate, debbono essere corrette dal Magistero infallibile, in quanto esse erano
umane e solo probabili.
Abbiamo già visto che «in
materia di fede e di morale, il
consenso unanime moralmente dei Padri è una testimonianza irrefutabile di
Tradizione divina» (V. Zubizarreta,
opera citata, numero 699).
6) La verità è
che la Scrittura ha rivelato e il Magistero ha definito che Gesù è l’unico
Salvatore di tutti uomini (compresi gli ebrei), il quale ha fondato una sola
Chiesa, fuori la quale non c’è salvezza per nessuno (compresi gli ebrei).
Asserire che gli ebrei che non credono in Gesù siano
inseriti egualmente nel piano della salvezza, significa rinnegare il
cristianesimo e giudaizzare: infatti è rivelato che Gesù è «l’unico mediatore tra Dio e gli uomini» (I Tim. II, 5), che «non
vi è nessun altro in cui ci si possa salvare»
(At. IV, 12), che «siamo
giustificati nel Nome del Signore Gesù Cristo»
(1ª Cor. I, 30), che «Cristo
è morto per tutti» (2ª Cor. V, 14-15), che «abbiamo la remissione dei peccati per mezzo del suo Nome» (At. X, 43), che «siamo riconciliati con Dio, per
mezzo della Morte del suo Figlio» (Rm
V, 9-10). Inoltre Egli afferma: «se
uno entra attraverso Me, sarà salvo,
altrimenti sarà dannato» (Giovanni X, 9), «chi crederà al Vangelo sarà salvato, chi non crederà sarà condannato»
(Marco XVI, 15), «chi non è con Me è contro di Me, e chi non raccoglie con Me dìssipa» (Luca XI, 32), «chi non crede in Me è già condannato» (Giovanni
III, 18), che «Dio trasse per
Israele un Salvatore, Gesù» (At. XIII, 23), che «il Padre ha mandato il Figlio come Salvatore del mondo» (1ª Giovanni IV, 14), che «Dio volle riconciliare a Sè tutte le cose, per mezzo di Gesù Cristo» (Col. I, 19-20), «Mediatore di una Nuova
Alleanza» (Eb. XII, 24).
La Chiesa ha definito infallibilmente ed immutabilmente che «Cristo è legislatore e giudice di tutti gli uomini»
(De fide, DS. 1571, Concilio di Trento), che «mediante la Morte in Croce, Cristo
ci ha riscattati e riconciliati con
Dio» (De fide, DS. 1740 e 1531,
Concilio di Trento), che «Cristo
è morto per tutti gli uomini, senza eccezione» («Sententia
fidei proxima», DS. 1522, Concilio di
Trento), e che «con la sua passione
ci ha meritato la nostra giustificazione»
(«De fide»,
DS. 1529, Concilio di Trento), che «nessuno
fu liberato dal potere del demonio,
se non mediante il merito del mediatore Gesù Cristo» («Sententia
certa», DS. 1347, «Decreto per i Giacobiti»), che «la
Chiesa di Cristo è necessaria per la salvezza di tutti, extra quam (Ecclesiam) nulla salus, nec remissio peccatorum, onde debbono essere membri della Chiesa, almeno in voto, tutti coloro che vogliono salvarsi»
(DB, 388, 626, 1646, Concilio Lateranense IV; Concilio Fiorentino): questo è un
dogma di fede, fondato sulla Volontà positiva di Dio, onde non può salvarsi
chi, conoscendo l’istituzione divina della Chiesa, si rifiuta di entrarvi.
Il cardinal Pietro Parente ricapitola: «E’ verità di fede che Cristo
sia Mediatore perfetto tra Dio e gli uomini. San Paolo 1ª Tim. II, 15: ‘Poichè uno solo è Dio, uno solo è anche il Mediatore di Dio e
degli uomini, l’uomo Cristo Gesù. Così i Padri e il Magistero della Chiesa, (Concilio Tridentino, sessione
5, DB. 790)».
7) L’espressione
utilizzata da Giovanni Paolo II alla sinagoga romana (1986), con la quale
chiama gli ebrei «fratelli maggiori
nella fede», la si trova già nella
nuova liturgia (1968) del Venerdì Santo, ove dice «il popolo ebraico che Dio ha scelto per primo».
Ma l’autore non distingue il popolo dell’Antico Testamento,
fedele al mosaismo (il quale fu scelto per primo cronologicamente, per pura e
gratuita bontà di Dio, e non ontologicamente per un merito intrinseco al popolo
ebraico), e il popolo ebraico post-biblico che ha abbandonato Mosè per il
Talmùd e la Càbala rabbinico-farisaica.
Si può tranquillamente concludere che il magistero di NostraAetate
e degli insegnamenti successivi ad essa, sui rapporti spirituali della Chiesa
col giudaismo post-cristiano, è molto differente da quello della Scrittura, dei
Padri ecclesiastici e dei Dottori della Chiesa. L’ambiguità di NostraAetate e
l’errore manifesto degli insegnamenti alla luce di NostraAetate, fa supporre
che il giudaismo religione post-biblica è puro da ogni errore. Bisognerebbe
allora pensare che la Tradizione divino-apostolica e il Magistero della Chiesa
pre-conciliare sia falso. Ma ciò è impossibile, data la indefettibilità della
Chiesa e l’assistenza divina a Lei promessa. Inoltre quando si leggono i testi
del Concilio Vaticano II e il magistero successivo, si evince la affermazione,
da parte di chi li elabora ed interpreta, di un magistero autentico (sui
rapporti col giudaismo) che inizia con «la
Chiesa del Concilio» (cardinale Walter Kasper), che è in
contraddizione con quello della patristica e della Chiesa preconciliare. Mi
sembra che le cose stiano davvero così, la chiesa conciliare è la sinagoga di
Sàtana di cui ci parla l’Apocalisse, è il marranesimo e «il fumo di Sàtana che è penetrato sino al vertice della Chiesa» (Paolo
VI) la quale starebbe «autodemolendosi» (Paolo VI), «si fieri potest; sed portae
inferi non praevalebunt».
E’ questa una sorta di apostasia più che di eresia; infatti
l’eretico sceglie di accettare alcuni dogmi e di rifiutarne almeno uno (per esempio
si nega l’Immacolata concezione di Maria), mentre l’apostasia è il passaggio da
una religione (per esesmpio cristiana) ad un’altra (per esempio
giudaico-talmudica), rinnegando totalmente la prima. Per la teologia cattolica,
più esattamente, è l’abbandono della fede da parte di un battezzato. E’ peccato
mortale e non ammette parvità di materia, essendo un’offesa diretta contro Dio;
il diritto canonico l’annovera nei delitti contro la fede. L’elemento materiale
dell’apostasia è l’abbandono totale della fede cattolica, manifestata
esternamente con parole o atti non equivoci; non occorre che l’apostata
aderisca ad una confessione specifica (questo sarebbe un’aggravante), basta
diventare panteista, materialista, libero pensatore.
Occorre la perfetta coscienza e piena libertà di abbandonare la fede cristiana.
L’apostata incorre ipso facto nella scomunica latae sententiae. Chi abbia dato
il proprio nome o abbia aderito pubblicamente ad una setta a-cattolica diventa
ipso facto infame.
2) Il cardinal Walter Kasper
A) In una
conferenza tenuta a Villa Piccolomini, in Roma il 28 ottobre 2002 (stampata
dalla Commission for Relations with the Jews. Pontifical Council for Promoting
Christian Unity, Città del Vaticano, che la presenta come «importante e rilevante opinione privata del cardinale Kasper, e non una dichiarazione ufficiale del
Magistero», 6 febbraio 2003), il
prelato tedesco, presidente della «Commissione
Pontificia per le relazioni religiose con gli ebrei» ha detto che «poche
generazioni fa montagne di pregiudizi e secoli d’ingiustizia creavano una separazione fatale tra cristiani ed ebrei.
Il punto di svolta di questa tensione... è stato il Concilio Vaticano II (...)
passo dopo passo la chiesa del Vaticano
II (sic!) arrivò alla ‘deplorazione’ conciliare dell’antisemitismo
e al riconoscimento solenne della validità perpetua della promessa di Dio (...) dopo Nostra Aetate, 28 ottobre 1965, non c’è spazio, sotto nessun punto di vista,
per l’antisemitismo nella Chiesa
cattolica. Anzi, la Chiesa cattolica,... è capace di attendere coloro che per
cultura o abitudine si sentono a disagio davanti alla riforma liturgica o ad
altre riforme del Vaticano II. Ma la Chiesa cattolica non può accettare in
nessuna forma e per nessuna ragione l’attardarsi
nel pregiudizio e nel disprezzo verso gli ebrei e verso il giudaismo (...)
Basta pensare a come l’accusa di ‘deicidio’... ha creato e in qualche luogo continua a
creare le condizioni di una inimicizia che bestemmia sia il giudaismo che l’evangelo dell’umanità. Rompendo con la perversione ‘religiosa’ del deicidio
abbiamo dato come cristiani un contributo a credenti e non credenti...».
Rispondo:
Affermare che prima del Vaticano II, «montagne di pregiudizi creavano separazione tra ebrei e cristiani», è erroneo; infatti la Chiesa non può aver
insegnato per XIX secoli mediante «pregiudizi», ma solo tramite giudizi teologicamente
certi, su una materia di fede quale è il rapporto tra ebraismo e cristianesimo,
basandosi sui Vangeli interpretati unanimemente, e quindi infallibilmente, dai
Padri ecclesiastici.
Inoltre, mi sembra che il non poter attender coloro che si
attardano nel pregiudizio - ammesso e non concesso che lo sia - verso il
giudaismo postbiblico, non rispecchi la volontà di Dio, il quale «attende il peccatore a penitenza e non vuole
che perisca nei suoi peccati». Se il
cardinale Kasper ha meno pazienza di Dio il problema è tutto suo e di coloro
che ha imparato a frequentare, («dimmi
con chi vai e ti dirò chi sei» dice il proverbio), i quali «spiavano ogni mossa di Gesù per metterlo a
morte»,
mentre chi si attarda nel giudizio plurisecolare della Chiesa, resta fedele
alla sposa di Cristo e al suo Capo che la «sinagoga
di Sàtana» ha messo a morte, dopo un processo
frettoloso e pieno di pregiudizi reali.
B) In una
conferenza tenuta a Boston il 6 novembre 2002, (stampata e diffusa dalla «Commissione per le Relazioni Religiose con gli Ebrei», Città del Vaticano) il porporato tedesco ha detto che
Giovanni XXIII è stato l’architetto dell’«inizio
di un nuovo inizio», ossia ha
progettato la transizione della «Chiesa
in costruzione costante», che dal suo
pontificato, vive in un continuo mutamento e divenire (pagina 2). Il
cambiamento più importante della «chiesa
in costruzione» è stata la nuova
concezione dei rapporti tra Chiesa e giudaismo, dopo tanti secoli di
incomprensione, di «teologia
del disprezzo» (come la chiamava Jules Isaac). Giovanni XXIII convoca il
Concilio (pagina 3) a sorpresa, ed affida al cardinal Agostino Bea la redazione
della «Dichiarazione sugli ebrei», che conobbe molte reazioni (della Curia
romana e dei Paesi arabi) e dovette essere integrata, come capitolo, una
Dichiarazione più generica sulle relazioni tra Chiesa e religioni non
cristiane, induismo, buddismo, islam e giudaismo (Nostra Aetate). Ma il
cristianesimo ha una relazione speciale e preferenziale con il giudaismo che Giovanni
Paolo II ha definito intriseca al Vangelo, ossia il cristianesimo è radicato
nel giudaismo e non nelle altre religioni, con le quali vuol pur sempre
dialogare anche se subordinatamente al giudaismo (pagina 4).
La sfida attuale si fonda - per Kasper - sul problema delle
Missioni, dopo il Concilio (e «Dignitatis
Humanae»),
la Chiesa rifiuta le conversioni forzate ed ogni coercizione in materia di
fede, tuttavia la sola parola «missione» evoca, tra gli ebrei i fantasmi e le ferite
del passato che non sono ancora cicatrizzate. Ma, al tempo stesso, la missione
evangelizzatrice è il cuore del cristianesimo. Dialogo non significa chiedere
ai cristiani di non essere più cristiani (pagina 10). Ciò che si può fare, per
evitare l’impasse, è sostituire il termine missione (parola teologicamente
incriminata o scorretta) con «testimonianza
o evangelizzazione» (pagina 11),
infatti missione si può applicare al paganesimo chiamato dall’idolatria al
Monoteismo, ma non al giudaismo; perciò non ci sono più missionari per gli
ebrei. Essi possono salvarsi, se seguono la loro fede, fuori di Cristo (pagina
12).
Nuovo Testamento e Antico Testamento sono memoria del
passaggio dall’Egitto in Terra Santa e dalla morte alla resurrezione di Gesù.
Il giudaismo attuale è memoria della Shoah, di Auschwitz; anche il
cristianesimo deve conservarne la memoria («Ci
ricordiamo», documento Vaticano del
1998, riguarda la memoria della Shoah).
Inoltre abbiamo in comune la coscienza messianica, o
promessa del futuro (pagina 13).
Rispondo:
Kasper conferma la nozione di una nuova chiesa, che è stata
fondata dopo la morte di Pio XII; essa è una chiesa in divenire perpetuo
(evoluzione eterogenea del dogma) e la grande novità di questa chiesa in fieri
è il rapporto che essa ha con il giudaismo attuale o post-biblico, che è
coessenziale alla chiesa del Concilio, la quale ha le sue radici proprio nel
giudaismo attuale e non mosaico, come si credeva prima del Concilio Vaticano
II. Infatti non si deve più parlare di Missio verso Israele che è rimasto
sempre nell’alleanza con Dio ed è ancor oggi amato da Lui, e quindi non ha
bisogno di convertirsi al Vangelo di Cristo, a differenza dei pagani che son
chiamati a convertirsi dal politeismo al monoteismo.
Invece Gesù ha mandato i suoi Apostoli a predicare il
Vangelo e la conversione alla fede nella sua divinità in primo luogo ai giudei
e solo dopo ai pagani; infatti il giudaismo attuale nega la divinità di Cristo,
unico Salvatore e Mediatore tra Dio e gli uomini e la Trinità delle Persone
divine nella unità della natura di Dio. La Chiesa cattolica non ha mai
approvato le conversioni forzate, poichè la fede è un atto libero e meritorio;
non vedo quindi come Kasper possa affermare e provare il contrario.
Gli ebrei negano Cristo, per noi cristiani è Dio: come si
può evitare di soffermarsi su questo articolo di fede, che ci separa, per
guardare solo a ciò che avremmo in comune con gli ebrei postbiblici (la fede di
Abramo? No, egli credeva in Cristo venturo; la Legge e i Profeti? No, il
giudaismo rabbinico si fonda sulla Càbala e il Talmùd e non sul mosaismo; e
comune alleanza con Dio?
No, ora viviamo nella Nuova Alleanza, nel sangue di Cristo, che ha perfezionato
e inglobato la Vecchia, che era solo preparatoria della nuova e definitiva).
Onde la relazione tra cristianesimo e giudaismo attuale è di contraddizione e
non di amicizia, di comunanza. «Chi
non è con Me è contro di Me» ha detto Gesù: come può il giudaismo attuale
anticristiano essere in comunione col cristianesimo quando rifiuta Gesù
fondatore della Chiesa? E se il neo-cristianesimo del Concilio è in comunione
col giudaismo rabbinico, non lo è con Cristo, per il principio evidente e per
sè noto di identità e non contraddizione, che non può essere negato in buona
fede. Quindi i giudaizzanti della «chiesa
del Concilio», non vogliono veder la
verità, la loro è ignoranza affettata, volontaria e inescusabile, come quella
di chi non ha voluto risalire dall’effetto alla Causa e si è degradato
nell’idolatria politeistica, o come quella dei capi dei giudei che non vollero
ammettere la divinità di Cristo che pur conoscevano.
Mi sembra esagerato dire che cristianesimo = ebraismo in
quanto sono entrambe religioni di una memoria storica, che per i cristiani è la
morte e resurrezione di Cristo Dio, e per i giudei attuali è la memoria di
Auschwitz. Non voglio offendere nessuno, ma non si può mettere sullo stesso
piano Gesù e Auschwitz, il Creatore e la creatura, creando la nuova religione
olocaustica di un passato che non passa.
Per quanto riguarda la coscienza messianica futura, mi
sembra che il Messia Cristo sia venuto circa 2000 anni fa; solo il giudaismo
talmudico si affanna ad attendere un altro messia futuro che per la tradizione
cattolica è l’Anticristo. Ora Kasper e il magistero seguente Nostra Aetate,
parlano spesso dell’attesa comune a cristiani ed ebrei del Messia, senza
specificare che i cristiani attendono solo la parusia, o il secondo ritorno di
Gesù alla fine del mondo per il Giudizio universale, mentre gli ebrei attendono
ancora la prima manifestazione del messia, avendo rifiutato Gesù. Quindi voler
accomunare cristianesimo e giudaismo nell’attesa del messia è ambiguo, male sonante
e non conforme alla fede cattolica, fondamentalmente anticristico.
Mi sembra di poter concludere che la «chiesa del Concilio », come
la chiama Kasper, sia quasi la «Sinagoga
di Sàtana» di cui parla San Giovanni,
nell’Apocalisse, che in un primo tempo seguirà l’Anticristo e solo dopo le sue
persecuzioni si convertirà a «Colui
che hanno trafitto». Essa ha fatto
propria la «tentazione»
del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni (17 gennaio 2002, presso il Pontificio
Seminario Romano Maggiore):
«Ciò
che dà fastidio agli ebrei è dire che lo scopo del dialogo è quello di
convertire l’interlocutore alla propria fede.(...) La Bibbia ci presenta due personaggi: Noè dal quale discende tutta l’umanità, per questo le Genti vengono chiamate Noachidi... Nella famiglia umana esiste però un gruppo particolare, quello dei figli di Abramo, Giacobbe-Israele...
‘un regno di sacerdoti, in popolo
distinto (diverso dagli altri; ai due gruppi si appartiene per nascita, non
per fede, nda).
Universalismo ebraico
significa due strade parallele verso la salvezza (quella di Israele e
quella dei non-israelitici, nda). Si
discute se la divinità di Gesù possa essere compatibile per un non ebreo con l’idea monoteistica (ossia se i Noachidi
possano credere alla divinità di Gesù; la risposta del giudaismo ortodosso è
no; tale credenza è idolatria ed è passibile di morte). La conseguenza - continua Di Segni - è che il cristiano potrebbe, secondo
l’opinione rigorosa, non essere nella strada della salvezza (...). I cristiani dovrebbero arrivare ad
ammettere che gli ebrei... possiedono una loro vita autonoma piena e speciale
verso la salvezza e che non hanno bisogno di Gesù».
Quindi: gli ebrei son pronti a chiudere un occhio
sull’idolatra religione cristiana, non strettamente noachida, se i cristiani
ammettono che Gesù non è necessario alla salvezza come unico Mediatore tra Dio
e l’uomo. Vi sono perciò due vie di salvezza: quella principale degli ebrei, e
una «strada secondaria» (confronta Giovanni
Paolo II, «Redemptor hominis» numero 13-14, 4 marzo 1979
«la via e la strada», nda) dei non ebrei o noachidi.
Mi sembra evidente che «Nostra
Aetate e il magistero successivo sui rapporti cristiano-giudaici abbia, non dico accettata, ma prevenuta addirittura, la
proposta o ‘tentazione’ di Riccardo Di Segni, che però porta a rinnegare il
cristianesimo. Infatti non è possibile restare cristiani se si nega che Cristo
è l’unico Salvatore dell’umanità, ebrei compresi; perciò quando i pan-ecumenisti dicono:
siamo disposti al dialogo con il
giudaismo (secondo la linea Di Segni), ma
non potete domandarci (esplicitamente)
di rinunciare ad essere cristiani, hanno già rinunciato (implicitamente,
per non gettare la maschera) ad esserlo,
concedendo che Gesù non è necessario alla
salvezza di tutti (absit).
3) L’Episcopato
americano
Il 13 agosto 2002 a Washington il «Comitato Episcopale Americano degli affari ecumenici ed interreligiosi» e il «Consiglio
Nazionale americano delle Sinagoghe»
affermano che la conversione degli ebrei al cattolicesimo è un fine
inaccettabile; citano Giovanni Paolo II «il
quale ha insegnato esplicitamente che
gli ebrei ‘sono il popolo di Dio dell’Antica Alleanza, mai revocata da Dio’... , inoltre
- ricordano - le note del Vaticano del 1985 (che) fecero l’elogio del giudaismo
postbiblico... la sua fecondità
spirituale è sempre continuata... il
giudaismo rabbinico, sviluppatosi
dopo la distruzione del Tempio, deve essere considerato divino... Dal punto
di vista cattolico, il giudaismo è
una religione che deriva dalla
rivelazione divina. Come ha notato il cardinale Kasper ‘la grazia di Dio..., è accessibile a
tutti. Così la Chiesa crede che il giudaismo, ossia la risposta fedele del popolo ebraico all’Alleanza irrevocabile di Dio, è salvifico per essi, poichè Dio è fedele alle sue promesse’.
(...) La missione evangelizzatrice della
Chiesa non include più la volontà di assorbire la fede ebraica nel
cristianesimo, mettendo così fine
alla testimonianza specifica che gli ebrei rendono a Dio nella storia umana. (...) Gli
ebrei restano nell’Alleanza salvifica di Dio... inoltre essi son chiamati da
Dio a preparare il mondo al Regno dei Cieli (...) Il giudaismo - a sua volta
- considera che tutti i popoli sono
obbligati ad osservare una legge universale, ossia i sette Comandamenti noachidi... con la proibizione dell’idolatria».
Rispondo:
Mi sembra opportuno precisare che il giudaismo postbiblico,
avendo rifiutato il Messia ha rotto il patto con Dio, «qui non deserit nisi prius deseratur»;
onde Dio non rompe per primo un patto, ma se constata l’infedeltà dell’altra
parte si considera sciolto da ogni alleanza che diventa così vecchia ed è
rimpiazzata da una nuova.
Inoltre Cristo ha inviato i suoi Apostoli a predicare il
Vangelo a tutti gli uomini, ebrei per primi, dicendo a tutti loro che chi non
crederà al Vangelo non sarà salvato, anche gli ebrei. La Chiesa di Cristo non
può rinunciare alla missione che Cristo stesso le ha data.
Infine la legge noachide per i gojim, condannando
l’idolatria intende riprovare la fede nella divinità di Cristo, empietà che è
passibile di morte, come lo fu già per il Messia che si proclamò Dio; Egli per
il giudaismo post-biblico - allora come oggi è solo un uomo. Il cristiano, se
vuol restare tale, non può accettare questa legge che nega e condanna la
divinità di Cristo e condanna la fede in essa come idolatrica.
4) Un libro del cardinal Lustiger
E’ uscito un libro del cardinal Jean Marie Lustiger («La promesse»,
edizione Parole et Silence, Parigi, 2002), che raccoglie una serie di
conferenze tenute da lui per circa vent’anni, in cui il porporato ritorna, a
più riprese, sui rapporti tra giudaismo e cristianesimo.
Il prelato francese scrive che «il massacro e la persecuzione di Israele fu fatto dai pagano-cristiani» (pagina 74), Erode sarebbe la figura o il
tipo dei cristiano-pagani (ivi), la società cristiana più che una figura del
Regno dei Cieli ne è «la
caricatura spesso infernale» (pagina
112), il peccato dei cristiani è quello di deicidio «riguardo alla sorte che hanno riservata al popolo ebraico... La vittima
assoluta - di cui Gesù è solo un simbolo - è
Israele» (pagine 51 e 75); la
teologia della sostituzione cristiana «è un’appropriazione abusiva e blasfema dell’elezione d’Israele» (pagina 162).
Tali frasi pronunciate e ripetuto da venti anni almeno,
gettano una luce inquietante sulla giudaizzazione dei membri della Chiesa, anche
e soprattutto dei più alti.
Si legga anche:
- Fideliter, numero 151, gennaio-febbraio 2003, pagine
10-11.
- L’express,
5 dicembre 2002, pagine 88-100, «Debat: Juifs-Chrètiens. Pourqoi Lustiger dèrange, par Christian Makarian».
d) La genesi di Nostra Aetate
Come abbiamo visto, sia gli ebrei che i cristiani, ritengono
che Nostra Aetate sia la «Dichiarazione» più importante del Concilio, avendo dato
luogo ad una nuova èra, quella della «chiesa
conciliare» (come l’hanno chiamata i
cardinali Benelli e Kasper), fondata sui rapporti tra ebraismo e cristianesimo;
in essa Gesù non è più necessario alla salvezza degli ebrei, i quali sono
sempre cari a Dio, sono tuttora il suo popolo eletto e restano nella sua Alleanza
che non è stata mai revocata.
Ma come si è arrivati a tanto?
Marx Jules Isaac, è stato uno dei protagonisti principali
della formazione di Nostra Aetate; egli era un ebreo, non credente,
tendenzialmente comunista ed iscritto al B’nai B’rith (la massoneria ebraica),
come ha rivelato il presidente del B’nai B’rit francese Marc Aron, il 16
novembre del 1991, nel discorso in occasione della premiazione del card.
Decourtray.
L’incontro tra Roncalli e Isaac (13 giugno 1960) fu
organizzato dal B’nai B’rit e da alcuni uomini politici socialcomunisti.
L’altro artefice di Nostra Aetate fu il cardinale Agostino
Bea. Il porporato tedesco, volle incontrare - subito dopo aver ricevuto da
Roncalli l’incarico di arrivare ad un documento «revisionista» sui rapporti
giudaico-cristiani - Nahum Goldman, presidente del Congresso Mondiale Ebraico,
a Roma il 26 ottobre 1960. Bea chiese a Goldman, da parte di Roncalli, una
bozza per il futuro documento del Concilio sui rapporti cogli ebrei e sulla
libertà religiosa (Nostra Aetate e Dignitatis Humanae).
Il 27 febbraio 1962 il memorandum fu presentato a Bea da Goldman e Label Katz
(membro del B’nai B’rit), a nome della Conferenza Mondiale delle Organizzazioni
Ebraiche. Ebbene questa bozza ispirata dalla massoneria ebraica (B’nai B’rit) e
dal Congresso Mondiale Ebraico, ha prodotto Nostra Aetate.
Lo stesso Bea, sin dal 1961, incontrava spesso, a Roma, il
rabbino Abraham Heschel, professore al seminario teologico ebraico, che «come
collega scientifico di Bea... esercitò un notevole influsso sulla elaborazione
di «Nostra Aetate».
Nel 1986 Jean Madiran ha svelato l’accordo segreto di
Bea-Roncalli con i dirigenti ebrei (Isaac-Goldman), citando due articoli di
Lazare Landau, su Tribune Juive (numero 903, gennaio 1986 e numero 1001,
dicembre 1987). Landau scrive:«Nell’inverno
del 1962, i dirigenti ebrei
ricevevano in segreto, nel sottosuolo
della sinagoga di Strasburgo, un
inviato del papa... il padre domenicano Yves Congar, incaricato da Bea e Roncalli di chiederci, ciò che ci aspettavamo dalla Chiesa cattolica, alla vigilia del Concilio... la nostra completa riabilitazione, fu la risposta... In un sottosuolo segreto
della sinagoga di Strasburgo, la
dottrina della Chiesa aveva conosciuto realmente una mutazione sostanziale».
Le tappe di Nostra
Aetate
1) Prima del Concilio
(1962). Appendice allo schema De Verbo Dei:
[testo ritirato o non esaminato dalla Commissione Centrale
Preparatoria].
«La
Chiesa... riconosce che le primizie della sua fede ed elezione..., sono i patriarchi e i profeti d’Israele... ma la maggior parte del popolo
ebraico resta lontana da Cristo;
tuttavia è ingiusto dichiarare questo popolo maledetto mentre resta carissimo a
Dio, a causa dei suoi padri...».
2) II sessione del Concilio (1963). Capitolo IV dello schema «De
Oecumenismo»:
[testo distribuito ai vescovi l’8 novembre 1963, discusso ma
ritirato].
«La
Chiesa... riconosce che le primizie della sua fede ed elezione..., sono i patriarchi e i profeti d’Israele... ma la maggior parte del popolo
ebraico resta lontana da Cristo; tuttavia
è ingiusto dichiarare questo popolo maledetto mentre resta carissimo a Dio, a causa dei suoi padri...
o deicida, poichè la causa della
passione e morte di Cristo furono i peccati di tutti gli uomini...
la morte di Gesù non è stata provocata da tutto il popolo ebraico di allora e
neppure da quello di oggi...».
3a) III sessione (1964) Dichiarazione sui rapporti della Chiesa con
le religioni non cristiane:
[testo distribuito il 25 settembre 1964 e discusso dal 28 al
30 settembre (89ª-94ª Congregazione);
ridotto nel paragrafo riguardante gli ebrei, raddoppiato per l’aggiunta di due
paragrafi: uno sulla paternità universale di Dio, con un cenno ai musulmani,
l’altro con la condanna di ogni forma di discriminazione; primo testo
mitigato].
«La
Chiesa... riconosce che le primizie della sua fede ed elezione..., sono i patriarchi e i profeti d’Israele... Siccome i cristiani hanno
ricevuto un sì grande patrimonio dagli ebrei, questo santo Concilio vuole raccomandare tra loro la conoscenza e
stima mutua... per questo motivo non bisogna presentare il popolo ebraico come
riprovato da Dio e non si deve imputare ad esso le cose che son state compiute
durante la passione di Cristo».
3b) III sessionne (1964) Dichiarazione sui
rapporti della Chiesa con le religioni non cristiane
[testo corretto ed ampliato, distribuito il 18 novembre
1964, discusso e votato il 20 novembre, con 1.651 placet, 99 non placet, 242
placet iuxta modum, 4 voti nulli (125ª Congregazione), doveva venir messo in
appendice al «De Ecclesia; ritorno alle idee originarie»].
«La
Chiesa... riconosce che le primizie della sua fede ed elezione..., sono i patriarchi Mosè e i profeti d’Israele... siccome i cristiani hanno
ricevuto un sì grande patrimonio dagli ebrei, questo santo Concilio vuole raccomandare tra loro la conoscenza e
stima mutua... Il Concilio deplora e condanna l’odio e le persecuzioni contro gli ebrei... Il popolo ebraico non deve
essere mai presentato come maledetto, riprovato o deicida. Infatti le cose
successe durante la passione di Cristo non possono essere minimamente imputate
a tutto il popolo ebraico di allora ed ancor meno a quello odierno...».
4) IV sessione (1965) Dichiarazione Nostra
Aetate, De Ecclesiae habitudine ad
religiones non christianas, paragrafo 4° De Judaeis.
[Testo rivisto dal Segretariato nel maggio 1965, distribuito
ai Padri conciliari l’11 ottobre 1965, discusso ed emendato il 14-15 ottobre;
dopo 8 votazioni ottenne 1.763 placet, 250 non placet, 10 voti nulli, adottato
nella votazione definitiva il 28 ottobre (7ª sessione pubblica), con 2.041
placet, 88 non placet, 3 voti nulli; testo finale mitigato].
Confronta testo definitivo Nostra Aetate in «Tutti i Documenti del Concilio», Massimo, Milano, 1971, oppure in «Enchiridion Vaticanum, testo latino-italiano. Documenti. Il Concilio
Vaticano II», EDB, Bologna, 9ª edizione,
1971.
Stanislas Fumet, Jacques Maritain e la genesi di Nostra Aetate
Una rivista francese tratta, recentemente, il problema di
alcuni «ebrei [mal]-convertiti al cristianesimo,
‘cristiani giudaizzanti’ ed ‘ebrei
cristianizzanti’ », che dettero luogo
alla formazione del documento conciliare Nostra Aetate.
I Maritain
Raïssa Maritain, nata ebrea e «penetrata di chassidismo (la mistica o càbala ebraica luriana, nda)», ebbe un influsso notevole sul suo sposo
Jacques. Attorno ai Maritain si forma un cenacolo di intellettuali, esteti,
misticoidi che ebbero un ruolo fondamentale nella revisione della teologia
della sostituzione della Sinagoga da parte della Chiesa. Uno di essi fu Lèon
Bloy «la cui influenza sarà importante sulla coppia Maritain», un altro è «Charles Pèguy, che dopo Bloy, è stato uno dei grandi ispiratori del
filosemitismo in ambiente cristiano»,
e in fine il futuro cardinale Charles Journet.
Raïssa, nacque Umanshoff, in Russia donde emigrò dieci anni
dopo la sua nascita (1883), incontrò Jacques nel 1901, nei primissimi anni del
Novecento conobbero Lèon Bloy, «bisogna
rivivere il clima di tensione e di
esaltazione in cui li ha immersi (la conoscenza di Bloy, nda), per capire meglio le ragioni che hanno spinto
nel 1906 i Maritain a riesumare a proprie spese un libro di Bloy così strano e complesso come ‘Le salut par les juifs’ ». Bloy rivela a Raïssa che tra cristianesimo e
giudaismo postbiblico «non
c’è che unità, continuità, perfetta armonia».
Seguendo il consiglio di Bloy, «Jacques e Raïssa hanno pregato a lungo Nostra Signora di La Salette...
essi credevano fermamente al suo terribile segreto... considerato con grande
sospetto dalla Chiesa, il segreto
costituisce per Bloy un evento di un significato e di una bellezza eccezionali». Il 21 dicembre 1915 «un decreto del Sant’Uffizio... proibisce di parlare del segreto di La Salette (non dell’apparizione, nda) sotto qualsiasi pretesto o forma», dato il suo contenuto millenarista e
gioachimita, che poteva far intravedere la fine del Nuovo Testamento e l’aurora
della terza alleanza o èra dello Spirito Santo, senza più Chiesa gerarchica nè
sacerdozio. Jacques nel 1926 lesse «La
vita e le rivelazioni di Marie des Valèes»,
di Emile Dermenghem, colui che ha scoperto per primo gli scritti inediti di
Maistre ed ha fatto conoscere al pubblico il pensiero esoterico e nascosto del
Savoiardo, legando la visione millenarista del conte alle rivelazioni di Maria
delle Valli (che in sè non contengono nulla di eterodosso, ma possono essere
mal interpretate, come effettivamente è successo nel Novecento, ad opera di una
setta brasiliana: la TFP).
Attorno ai coniugi Maritain, ma sotto la ferrea direzione di
Raïssa, si forma un cenacolo di artisti, dacchè Raïssa pensava che la cultura e
l’arte assieme alla mistica chassidica luriana, potessero rinnovare il tomismo,
il cristianesimo e la cristianità (demolendoli). Gran parte di questi
personaggi esteti e bizzarri erano dei deviati (Jean Desbordes, François
Mauriac, Julien Green e Jean Cocteau erano omosessuali dichiarati, qualcuno era
tossicomane e scrivevano romanzi incitanti alla perversione morale); essi crearono
uno stato di spirito e un atteggiamento mentale, decadente, dandy, pieno di
disfacimento intellettuale e morale, dacchè si pensa come si vive. Purtroppo da
tale cenacolo è uscito l’«Umanesimo
integrale» (1936), e il neo
cattolicesimo-liberale o democrazia-cristiana sillonista; assieme al «cristianesimo»- giudaizzante o giudaismo talmudico (definito da Jacques
Maritain, sin dal 1906 «la
razza primogenita di Dio» che, pian
piano, dagli anni Venti si è sviluppato sino a crescere e a primeggiare nel
1965 con Nostra Aetate, e soprattutto con il lungo regno di Karol Wojtila; esso
rappresenta la vera peste e la grande apostasia del nostro tempo.
I Fumet
Mi sembra, tuttavia, che la figura di spicco, anche se poco
conosciuta, sia quella di Stanislas Fumet (1896-1983), vissuto sino al
pontificato di Giovanni Paolo II, «amico
ardente d’Israele, egli voleva conciliare l’avanguardia
artistica, la vita mistica [‘chassidica o cabalistica e lo Zohar’] e il rinnovamento
del tomismo (in chiave ‘umanistico-integrale’,
nda). Convertitosi verso gli inizi del Novecento, proveniente dall’anarchismo e
dall’occultismo ebraico, «trasfuga
dall’anarchia e dallo spiritismo
verso un cristianesimo alquanto esoterico... si sente vicino al Sillon».
Introdusse in ambiente cattolico a partire dal 1920, una
nota di non-conformismo e uno stile fortemente bohemien alla Oscar Wilde. Anche
il suo itinerario è passato attraverso Pèguy e Lèon Bloy, «un altro libro che risente dell’influsso
di Fumet è quello del giovane ebreo di origine egiziana Jean de Menasce, ‘Quand Israel aime Dieu’ (1931)».
Nel 1976 il futuro cardinal Jean Marie Lustiger, ebreo «convertito» ma giudaizzante,
scrisse a Fumet per avere maggiori informazioni sul padre domenicano Jean de
Menasce, «il cui libro lo aveva affascinato».
«Come
il suo amico Jacques Maritain, Stanislas
ha sposato (1919) un’ebrea
convertita d’origine russa, di nome Aniouta Rosenblum, che assieme a Raïssa ha trasmesso ai
rispettivi sposi l’amore per l’oriente russo-ebraico..., per il filosemitismo ardente che si
prolunga nel filosionismo».
Le origini di tale filosionismo vanno ricercate in Bloy,
secondo il quale - la salvezza venendo ancora dopo il Calvario dal giudaismo
postbiblico - occorre «accordare
al ‘focolare nazionale ebraico’ tutta la simpatia e... sogna una Chiesa giudaico-cattolica, come vi è una Chiesa greco-cattolica». I coniugi Fumet stanno all’origine
dell’unione degli Amici d’Israele (nata nel 1925 e condannata dal Sant’Uffizio
nel 1928), assieme alla fondatrice vera e propria, Franceska van Leer, ebrea
olandese malconvertita, la quale dopo la condanna tornò al marxismo
rivoluzionario di Rosa Luxemburg, donde veniva.
Stanislas Fumet, proprio nel 1925, parla di «fratelli maggiori» riguardo
agli ebrei, espressione già usata da Adam Mickiewicz (1798-1885) nel 1842,
amico di Andrea Towianski (1799-1878) «discepolo» di Joseph de Maistre. Tale espressione sarà
ripresa da Giovanni Paolo II, nel 1986, il quale aveva esaltato come suo
maestro, nel 1978, proprio Adam Mickiewicz. Un altro grande ammiratore di
Maritain è stato Jerzy Turowicz (1912-1999), amico personale di Karol Wojtila,
il quale nel 1968 fu spinto proprio dal Turowicz ad esprimere il primo di una
lunga serie di mea culpa nei confronti dell’ebraismo, da parte della Chiesa
romana, in una sinagoga di Cracovia, ove Wojtila era arcivescovo. I Turowicz
erano ebrei frankisti (come Mickiewicz) e si convertirono esteriormente al
cristianesimo, restando interiormente ebrei, nel 1760, dietro ordine del
marrano Jacob Frank.
Secondo Stanislas Fumet occorre «far conoscere ai cattolici la filosofia mistica degli chassdim
(la càbala spuria, nda), bisogna che i cristiani sappiano che
esiste, nei loro fratelli maggiori un’elevazione
spirituale e mistica».
Fumet sosteneva che «quando
un cristiano comunica, diviene della
razza d’Israele, poichè riceve il sangue (minuscolo, nda) di
Israele nelle sue proprie vene».
Quindi i cristiani devono comunicare frequentemente per diventare della stessa «razza»
(parola impiegata dal Fumet) degli ebrei, tramite una sorta di «trasfusione di sangue» (si noti la rassomiglianza con la tesi
dell’omicidio rituale). Perciò i due Testamenti e i due popoli sono uno solo,
l’Israele postbiblico. «Il Sant’Uffizio non poteva lasciar passare tale teoria e condannò l’Associazione Amici d’Israele nel 1928».
Fumet è stato amico di Jacques Chirac ed assieme a lui uno
dei primi gaullisti della Francia petainista, «prima del 1939 De Gaulle era un amico di Temps Prèsents, il settimanale diretto da Fumet».
Dopo il Concilio Vaticano II, nel 1968, il suo estetismo lo
fa «ingaggiare personalmente (come tante
altre personalità che amavano il canto gregoriano e il latino, ma non tanto la
Messa romana, nda) nel movimento Una voce», come pure il suo amico Maritain.
Jules Isaac
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, Jules Isaac,
discepolo di Pèguy, lancia l’offensiva volta a giudaizzare il cristianesimo,
partendo dalla shoah. Egli riuscirà a preparare (con l’aiuto del Benè Berith)
il documento conciliare Nostra Aetate, voluto da Giovanni XXIII e «imbastito»
dal cardinale gesuita Agostino Bea, dal padre domenicano Jean de Menasce (ebreo
«convertito») e da padre Paul Dèmann (idem) della congregazione
dei Padri di Sion. Loro scopo era soprattutto di impedire di «abbassare il giudaismo biblico e postbiblico, per esaltare il cristianesimo», di seppellire la teologia della sostituzione
e di mescolare giudaismo veterotestamentario e talmudico o anticristiano.
Purtroppo il documento fu accolto dai padri conciliari nel 1965, ed è diventato
il cavallo di battaglia dell’insegnamento wojtiliano, secondo il quale Cristo è
il mediatore tra Dio e i cristiani, mentre gli ebrei non hanno bisogno di Gesù
poichè aspettano un loro messia.
Per capire appieno la genesi di Nostra Aetate era
indispensabile scandagliare questo mondo oscuro e segreto di marrani,
misticoidi, modernisti e deviati che ci ha portato «il cavallo di Troia nella Chiesa
di Dio», contro la quale, tuttavia,
non prevarranno, secondo le promesse del Divin Redentore.
Don Curzio Nitoglia
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