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Attestazioni di storicità: il Sacramentum
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Colto dalla provocazione disinformata di un lettore, che ironizzava sulla validità della testimonianza di Mara Bar Sarapion, intendo rispondere (a Dio piacendo) attraverso la presentazione di alcuni articoli, volti ad approfondire la storicità dei Sacri Testi e dell’uomo (Dio) Gesù nonché dell’evento Cristianesimo.

Siamo nell’anno 112 dopo Cristo. Plinio il Giovane (Como 61-113 dopo Cristo) scrive dalla Bitinia (presso cui era Governatore dal 111 al 113, probabilmente) all’imperatore Traiano un’epistola dai contenuti interessanti.

La raccolta di epistole (scritte tra il 96 dopo Cristo e l’anno in cui morì) costituisce certamente l’opera maggiore di Plinio. Nell’ultimo libro della raccolta, sono contenute le 123 lettere scritte durante il suo mandato in Bitinia.

Quello che ci interessa, nel caso di specie, è il libro X, contenente lettere inviate da Plinio a Traiano, e le relative risposte pervenute al governatore da parte dell’imperatore di Roma.

In esso, in particolare, due lettere:

Lettera 96: inviata da Plinio a Traiano, con la quale il governatore informa delle attività riguardanti i processi ai cristiani e mediante cui domanda quale debba essere la giusta procedura da seguire in quei processi;

Lettera 97: la risposta dell’imperatore alla precedente lettera del governatore.

Primo dato interessante: nella lettera, Plinio dimostra come le autorità romane conoscessero sia il nome di Christus sia quello di christianus. Si parla difatti di misure a carico dei cristiani, perché contro l’ordinanza imperiale sulla libertà di associazione; conseguenti arresti sulla base di liste anonime; le accuse, non riportate, sono comunque facilmente desumibili da altre fonti pagane: 1) ateismo nei confronti della religione dominante, non riconoscendo il culto divino; 2) disinteresse per la vita politica, scarso patriottismo, distacco dalla vita militare, e via dicendo…

Plinio interpellò gli imputati e li sottopose a tortura. Dalle confessioni estorte o da quelle spontanee, riuscì a sapere:

1) che i cristiani celebravano l’agàpe il sabato sera e l’eucaristia la domenica mattina (consumavano «cibo ordinario e innocente» e non carne di bambini!!!);

2) che cantavano inni a Cristo quasi deo, considerandolo come una divinità;

3) s’impegnavano con giuramento a non rubare, non usare violenza, non commettere adulterio, non tradire la parola data, non rifiutare un prestito quando richiesto.

Plinio chiedeva l’abiura sulla base di tre condizioni:

1) invocazione degli dèi pagani, secondo una sua formula;
2) sacrificio con incenso e vino al genius di Traiano;
3) maledire il Cristo.

In mancanza dell’abiura, procedeva con l’esecuzione (salvo per i cittadini romani, inviati a Roma).

Plinio considera i cristiani non pericolosi in sé, ma seguaci di una «perversa e smodata superstizione» (secondo un cliché interpretativo dell’epoca, presente anche in Tacito, Svetonio, ecc.).

La risposta di Traiano è, in sintesi, la seguente:

1) i cristiani non devono essere ricercati in quanto «cristiani»;

2) essi vanno tuttavia puniti, solo se denunciati e convinti, cioè se al cospetto di forti malumori sociali essi sono ostinati a credere nella loro religione; a scagionare il cristiano è sufficiente il culto degli dèi pagani, cioè la pubblica apostasia (dal punto di vista cristiano); l’apostata non è punito;

3) Le denunce anonime vanno assolutamente rifiutate; mai procedere in presenza di denunce anonime.

Cosa desumiamo da questo epistolario?

I) Il primo luogo, come anticipato, arguiamo che le autorità romane conoscessero sia i cristiani (quindi, la Chiesa) sia Cristo (come suo fondatore; personaggio storico, adorato come Dio). Che Cristo fosse conosciuto come uomo è dato dalla perifrasi  quasi deo, la quale indica che il culto prestato a Gesù – quindi ad un uomo – sia il medesimo rivolto ad una divinità. Non avrebbe senso, altrimenti, l’inserzione del come se; se si fosse trattato infatti di una religiosità destinata all’adorazione del dio sole (come molti credono, oggi, in malafede o disinformati, di poter interpretare il cristianesimo), non avrebbe sorpreso affatto la venerazione adorante come ad una divinità: la precisazione ha un senso soltanto se l’accostamento è paradossale, negli altri casi perde la sua ragion d’essere. Ed il paradosso, nel cristianesimo è insito nel mistero dell’Incarnazione: Dio che si fa uomo e viceversa, come accusavano i Giudei: «Tu che sei uomo, ti fai Dio!».

II) In secondo luogo, ravvisiamo come l’evento sacramentale fosse già presente sin dagli albori delle prime comunità cristiane (i riferimenti all’agape e alla cena, alla celebrazione eucaristica).

III) Ma non basta! L’impegno con giuramento ci dice molto di più!

Esaminiamo il termine sacramentum.

In latino esso era utilizzato: nel linguaggio sacrale-giuridico (ad esempio, ad indicare la cauzione versata dai contendenti, in un tempio, testimoniando sotto giuramento); nel linguaggio militare, per indicare il sacramentum militiae, il giuramento dei soldati.

In entrambi i casi, sacramentum è collegato con il concetto di giuramento; tuttavia rimane distinto dal normale ius iurandum; perché, notiamo, il sacramentum militiae era una sorta di iniziazione alla vita militare e sboccava in una coniuratio; quindi un giuramento che portava al di là dell’attestazione in sé.

Il sacramentum e la coniuratio implicano infatti un sacrificio che fonda un foedus (patto di alleanza) la cui violazione, in mondo pagano, attira terribili maledizioni.

Applicando ai cristiani il concetto di sacramentum, Plinio intende dire che essi costituiscono una coniuratio, svelando il concetto noto ai cristiani stessi, attraverso le parole della Sacra Scrittura: «nuova alleanza nel mio sangue», la cui profanazione per indegnità rende «rei del corpo e del sangue del Signore».

Il pagano Plinio attesta in pratica finanche l’interpretazione della Divina Eucaristia, come sacrificio, sul quale si fondi un patto, un’alleanza, nuova ed eterna.

Stefano Maria Chiari



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