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La sinistra ha trovato il suo leader
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C’è spettacolo più comico dell’amore entusiasta che le sinistre stanno tributando a Gianfranco Fini? Li ha conquistati tutti; l’hanno riconosciuto come «uno di noi». «Meno male che Fini c’è», canterella rapito su Repubblica il fondatore e guru di Repubblica medesima, Luigi Scalfari (1). Ogni osservatore progressista ne spia con delizia le «prese di distanza» da Berlusconi, e applaude quando sono «ostentate». Per Epifani (CGIL), il presidente della camera è «un personaggio di levatura alta». Per Liberazione marx-leninista, è «statista di rango». Anonimi militanti delle sinistre telefonano alle radio e dicono, commossi fino alle lacrime: «Mai avrei pensato di sentirmi rappresentato da Lui, eppure...».

Da giorni Pannella è in delirio (è vero che gli succede spesso) per Fini, ne accoglie e commenta ogni parola con elogi ogni volta più spropositati: trova in Fini («questa «faina senza zavorra», come l’ha definito Gian Antonio Stella) «qualità, rigore e profondità» di «riformatore». In «tutte le parti fondamentali dell’intervento» con cui Fini ha decretato la liquidazione-fusione di AN nel Pdl, Pannella  ha riconosciuto «una parentela diretta e patente con l’essenziale della storia radicale» (2).

Il che è anche vero, diciamo. Sicuramente Fini è stato istruito e guidato a fare tutte le mosse giuste per spogliarsi di ogni identità e principio - condizione per gestire il potere per conto terzi - e quel che resta è il radicalismo massonico, che è in fondo l’ideologia di «default» italiota, il residuo secco, chimicamente inerte, che resta sul fondo della bottiglia vuota di un Paese vuoto: un po’ di anticlericalismo per insofferenza al Papa, una mezza dozzina di luoghi comuni politicamente corretti, laicità, società multi-etnica, voto agli immigrati, testamento biologico, nozze gay, un sospetto di anti-berlusconismo...

Dico «istruito e guidato» perchè chiunque sia stato accanto a Fini venti minuti capisce che da solo non è in grado. Non so se vi ricordate, anni fa si mise con Mario Segni (nella storia minore dell’Italia minore, l’idea platonica dello Sfigato) e fece un partito nuovo con un simbolo del nulla, «la Coccinella». Fu un fiasco spaventoso. Ma dimostrava la buona volontà e disposizione a  de-ideologizzarsi (le ideologie richiedono coerenza, sono «zavorra»), e così qualcuno gli ha insegnato le mosse giuste per il «successo»: Yad Vashem, la kippà, «fascismo male assoluto»; poi cambio della moglie con una «compagna» nuova (o poco usata) tratta dai cataloghi professionali  di Lele Mora, segno di conquistata «libertà di costumi»; poi ancora dichiarazioni a favore delle coppie di fatto, difesa del parlamento, eccetera, eccetera. Fatto sta che da un certo punto in poi Fini non sbaglia una mossa, «si posiziona» sempre meglio.

D’accordo. Ma secondo me, la sinistra tutta dovrebbe fare una preoccupata auto-diagnosi: come mai riponiamo tutte le nostre speranze in uno che è stato pur sempre segretario dei neofascisti? Com’è che un missino «si posiziona» come progressista-radical meglio dei nostri leader a denominazione d’origine controllata?

Perchè questo innamoramento del popolo di sinistra per il Kippà rivela molto sul nullismo estremo a cui è giunta la sinistra: basta che uno si dica a favore del testamento biologico, e la conquista. In questo momento storico, poi. Corrono temi politici immensi: le iniquità sociali che gridano vendetta, i poveri sempre più poveri e i ricchi sempre più immeritevolmente ricchi; la finanza parassitaria che si dà agli ultimi saccheggi; il crollo epocale del capitalismo, che trascina con sè milioni di vite; la produzione industriale che cade del 40%, e produce milioni di disoccupati senza futuro; l’orizzonte della crisi che durerà decenni ed obbliga a un nuovo ordine dello Stato e della  società.

E la sinistra cosa propone? Il testamento biologico, ossia l’eutanasia, il preservativo e i dispetti al Vaticano. A parte tutto, non è un po’ poco?

Si capisce che nel delirio delle sinistre per Fini c’è un motivo principale: contano che lui farà le scarpe a Berlusconi, che li libererà dal tiranno al Viagra che avvelena le loro povere vite da un ventennio. E ci godono in anticipo: «Silvio stà attento, Fini traccia la linea di un partito diverso», gongola il direttore de Il Riformista.

Ma con questo, le sinistre firmano la propria inutilità politica. Sperano che Fini faccia quello che loro non sono stati capaci, nè mai saranno capaci di fare (3). Si sono accomodati sugli spalti dell’arena e si godono lo spettacolo - Bruto che pugnala Cesare, ma con regia di Petrolini - sapendo che loro, dallo spettacolo, sono fuori. Possono solo spellarsi le mani per Fini, fare il tifo per lui, lodarlo, lanciargli rose e baci.

Magari, perfino, lo voteranno. Sì, penso che vedremo anche questo: le sinistre che voteranno Fini (ossia il Pdl, in cui Fini si è sciolto con i suoi colonnelli) per odio a Berlusconi; infatti occorrerà che qualcuno lo voti, Fini, sennò  chi lo vota? A a questo punto, il Pdl sarà veramente il «partito nazione» annunciato dal Cavaliere: sinistroidi e destroidi, borghesi e pensionate Mediaset-dipendenti, e persino berlusconiani e anti-berlusconiani, tutti sotto un’unica casa. Delle libertà, ovviamente.




1) Ecco un passo della prosa di Scalfari, che tradisce plurime eiaculazioni spontanee, sempre preoccupanti in tarda età: «... Poi è cominciata la parte vera del discorso ed è allora che il volto del Capo si è impietrito nel sorriso-smorfia e la variazione somatica è apparsa anche evidente sui volti dei suoi ex colonnelli di AN. Fini ha detto che il nuovo partito dev’essere pluralista. Che su Berlusconi, capo indiscusso, incombe però il compito di garantire quel pluralismo. Che è necessario intraprendere una riforma costituzionale per instaurare una democrazia governante. Ha insistito tre volte su questo binomio e la terza volta l’ha scandito perché entrasse nella memoria degli ascoltatori. E ne ha spiegato il senso: maggior potere al governo e al premier per governare con la rapidità richiesta dai tempi; ma anche maggiori poteri di controllo democratico al Parlamento. Se non è governante la democrazia affonda, se non è democratica si trasforma in autocrazia. Le due parole stanno insieme o affondano insieme. Ha parlato del principio di legalità (che Berlusconi non aveva neppure nominato) come dire dello Stato di diritto. Ha auspicato che il Partito Democratico si riconsolidi ricordando che esso è portatore di valori necessari ad una democrazia compiuta. Ha descritto come sarà l’Italia tra dieci anni, pluri-etnica, pluri-religiosa, pluri-culturale, e quindi la necessità di prepararsi a questi eventi soprattutto nella scuola, nelle norme di integrazione e nel rispetto dei diritti ai quali debbono corrispondere i doveri sia dei cittadini che degli immigrati. Ha ricordato il diritto di esser curati anche per gli immigrati clandestini. Il finale a sorpresa l’ha introdotto con una citazione latina: ‘In cauda venenum’. E poi: ‘La legge che avete votato al Senato sul testamento biologico è una cattiva legge, lede i diritti di libertà. So di essere in minoranza su questa questione e sul mio concetto di laicità dello Stato, ma mi auguro che ci ripensiate’.  Così ha concluso. Se avesse un Apicella, forse gli scriverebbe una canzone e la intitolerebbe ‘Meno male che Fini c’è’ ma forse lui invece di alzare il pollice, gliela strapperebbe in faccia. O almeno così si spera».
2) Breve esempio del delirio di Pannella: «Complimenti a Gianfranco Fini, che costituisce sicurissimamente una risposta degna, appropriata, alla storia del Partito Radicale, alla nostra storia, al nostro presente». Lo ha detto Marco Pannella, intervenuto in diretta dalle frequenze di Radio Radicale a commento dell’intervento di chiusura di Fini al congresso di An. «La domanda che ieri ho posto, e che oggi è stata censurata totalmente, trova una risposta straordinaria nell’intervento di Gianfranco Fini», ha detto Pannella. «Io chiedevo se sia possibile voltare pagina, come è necessario ed urgente, radicalmente, nei confronti del sessantennio partitocratico, come accadde per il ventennio fascista. Dall’intervento di Fini viene fuori una prospettiva che ha forza, quella di un cammino rapidamente riformatore applicato alla necessità di seppellire anche il sessantennio di regime partitocratico con un contenuto, un assieme di contenuti, con delle idee che a me appaiono oggi connotare solo Gianfranco Fini, per qualità, rigore e profondità». «Mi sembra di poter dire che tutte le parti fondamentali, costituenti l’intervento, il programma, il progetto politico di Gianfranco Fini hanno una parentela diretta e patente con l’essenziale della storia radicale», ha aggiunto Pannella, che ha ricordato come «accadde un giorno che Giorgio Almirante inviò il giovane segretario della organizzazione giovanile del MSI Fini ad un congresso radicale dove era stato invitato. Merito ad Almirante di essersi fatto sostituire da quel giovane. E merito grande di quella commovente riprova che si ebbe quando i congressisti radicali applaudirono Fini per il solo fatto di essere lì, a portare il suo saluto del Movimento Sociale». «Dovremo adesso rapidamente esplorare, conoscere, riflettere su questa splendido intervento di oggi che - credo - abbia trovato il suo luogo giusto per essere ascoltato in Italia, e forse anche altrove, attraverso Radio Radicale», ha concluso il leader radicale.
3) E pensare che Berlusconi, a 73 anni, non essendo eterno come crede lui, lascerà il campo; allora il partito che ha incollato insieme si sgretolerà da sè in litigi fra cacicchi.


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