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Il debito italiano deve essere ristrutturato
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Questo è il riassunto di un articolo pubblicato il 29 novembre sul Financial Times a firma Nouriel Roubini, presidente del Roubini Global Economics e professore presso la Stern School of Business della New York University. Lo pubblichiamo per mettere in risalto come, secondo l’autore, ci siano delle cose che l’Italia può fare ora, legate a delle scelte che, se si ritengono giuste, vanno fatte e fatte subito. (QUI per la traduzione integrale dell’articolo)

Con un debito pubblico pari al 120% del PIL, interessi reali vicini al 5% ed un tasso di crescita pari a zero, solo per stabilizzare il proprio debito, l’Italia avrebbe bisogno di una eccedenza primaria pari al 5% del PIL, mentre quella corrente è vicina allo zero. Se da una parte il governo di tecnocrati guidato da Mario Monti è molto più credibile del precedente governo a guida Silvio Berlusconi, le avversità che deve fronteggiare non sono cambiate: il debito è insostenibile e le politiche scelte per la sua riduzione renderanno le cose ancora peggiori.

Se, come sembra probabile, nei prossimi dodici mesi, l’Italia resterà inchiodata in una recessione, priva di competitività e non sarà in grado di recuperare l’accesso ai mercati, allora, anche se saranno rese disponibili delle risorse finanziarie ufficiali della suddetta ampiezza, finiranno per essere gettate via per finanziare (nuovamente) l’uscita (da posizioni speculative a rischio) degli investitori, rimandando così ulteriormente l’inevitabile ristrutturazione del debito, che a quel punto, ovviamente, sarà ancora più disordinata (e quindi ancora più onerosa per gli italiani).

Dunque, il debito pubblico italiano deve essere ridotto, ed adesso, minimo ad un livello pari al 90% del PIL, dal 120% attuale. Questo si può fare offrendo agli investitori l’opzione di scambiare i titoli del debito sovrano italiano, che essi detengono, sia con titoli alla pari cioè con valore facciale uguale al nominale, ma con una scadenza più lontana e cedole tali che il valore complessivo netto risulti ridotto di un 25% rispetto all’attuale, sia collocando titoli scontati il cui valore facciale sia, appunto, scontato di un 25% rispetto al nominale. I titoli di Stato alla pari andrebbero bene per le banche che conservano i titoli di Stato fino alla scadenza e non li mettono a bilancio ai valori di mercato. Inoltre potrebbe esserci una credibile determinazione di non pagare quegli investitori che si rifiutassero di aderire all’offerta – anche se ciò facesse scattare il pagamento di CDS.

Dato che circa il 40% del debito pubblico italiano è in mano a non-residenti, una ristrutturazione del debito implicherà anche una condivisione del peso con i creditori esteri. Dato che l’Italia sta ricavando un piccolo attivo, una ristrutturazione del debito sarebbe attuabile anche senza un cospicuo finanziamento ufficiale esterno. Dunque la ristrutturazione del debito è preferibile a questo grande Piano A che fallirà e poi produrrà alla fine, una ristrutturazione più gravosa e disordinata, se non un autentico fallimento.

Naturalmente, nemmeno la ristrutturazione del debito risolverà  i problemi causati dal calo della crescita, dall’indiscutibile recessione e dalla perdita di competitività. Per risolverli, sarà necessaria una vera svalutazione che potrebbe richiedere l’eventuale uscita dall’euro, sia dell’Italia, che di altri Stati membri. Questa uscita però, può essere rimandata per un po’, mentre la ristrutturazione deve essere fatta ora, l’alternativa è infatti molto peggiore.

Nouriel Roubini, Presidente del Roubini Global Economics e professore presso la Stern School of Business della New York University

Traduzione per EFFEDIEFFE.com a cura di Massimo Frulla

Fonte >
Financial Times




 
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