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Israele rende il mondo una giungla
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Daniel Reisner è il capo della «divisione Diritto Internazionale» dell’Avvocatura Generale Militare delle forze armate israeliane; si tratta di un corpo di venti legali a cui i capi di Tsahal si rivolgono per sapere fino a che punto possono spingersi nelle loro violazioni del diritto bellico e nelle atrocità.

Di recente, Reisner ha detto: «Se fate qualcosa abbastanza a lungo, il mondo finirà per accettarlo. Il diritto internazionale nel suo complesso è basato sulla nozione che un atto che è vietato oggi, diventa permesso se è compiuto da un numero sufficiente di Paesi... Il diritto internazionale procede per violazioni. Noi abbiamo inventato la tesi degli assassini mirati, ed abbiamo dovuto “spingerla”. All’inizio c’erano delle imperfezioni che rendevano difficile inserirlo (l’assassinio) nel quadro legale. Otto anni dopo, è perfettamente nei limiti della legittimità».

A rivelare questa agghiacciante ammissione «ad uso interno» è un giurista internazionale, il professor George Bisharat, docente di legge allo Hastings College of Law di San Francisco. In un articolo apparso sul San Francisco Chronicle (1), il professore ha accusato Israele di «brutalizzare» il diritto di guerra, secondo un piano deliberato e cosciente, onde distorcerne le norme a proprio vantaggio.

«Dal 2001», scrive Bisharat, «gli avvocati militari israeliani hanno premuto per ri-classificare le operazioni militari a Gaza e nei Territori Occupati, dal modello legale obbligatorio per le norme di occupazione al modello ammesso per il conflitto armato. Sotto il primo modello, i soldati di un esercito occupante devono non uccidere, ma arrestare gli oppositori, e generalmente hanno l’obbligo di usare il minimo di forza necessaria per sedare i disordini».

«Nel conflitto armato, una forza militare è pur sempre trattenuta dal diritto bellico, che comprende il dovere di distinguere fra combattenti e civili, e il dovere di evitare attacchi che causano danno sproporzionato alle persone e alle cose civili; ma il modello permette un più rilevante uso della forza».

«Israele ha forzato il passaggio (dal primo al secondo «modello legale», ndr) allo scopo di giustificare i suoi assassinii nei territori palestinesi, in chiara violazione del diritto internazionale. Israele pratica gli “assassinii mirati” dagli anni ’70 – invariabilmente negando di averli compiuti – ma di recente ha aumentato la loro frequenza, ed usando mezzi così spettacolari (come  gli attacchi aerei) da rendere futile la negazione».

«Il presidente Bill Clinton, nel 2001, incaricò la Commissione Mitchell di investigare le cause della seconda intifada palestinese e fare raccomandazioni sul come riportare la calma nell’area. Gli avvocati israeliani difesero la loro tesi del “modello del conflitto armato”. La Commissione criticò l’applicazione totalitaria di quel modello alla sollevazione, ma non lo ripudiò».

«Oggi la maggior parte degli osservatori, non esclusa Amnesty International, accetta tacitamente la rappresentazione israeliana del conflitto di Gaza come “conflitto armato”» (2).

Nell’ultimo attacco agli inermi di Gaza Israele ha ulteriormente forzato il quadro, persino delle norme di guerra. I suoi stessi soldati hanno cominciato a testimoniare di aver ricevuto «regole di ingaggio» che configuravano una «licenza di uccidere» indiscriminata.

Uno dei soldati ha ammesso: «Il bello di Gaza è questo: vedi una persona per strada, che cammina lungo un sentiero. Non occorre che abbia un’arma, non occorre che tu la identifichi in alcun modo; puoi semplicemente spararle».

Questo atteggiamento, per il professor Bisharat, è pianificato:

«A Gaza Israele ha tentato di nuovo di trasformare il diritto internazionale attraverso violazioni. Ad esempio, i suoi avvocati militari hanno autorizzato il bombardamento di una cerimonia di fine-corso di allievi di polizia, uccidendo almeno 63 giovani uomini palestinesi. Secondo il diritto internazionale, questa deliberata uccisione di poliziotti civili è crimine di guerra. Ma Israele tratta tutti i dipendenti pubblici, del governo guidato da Hamas, come terroristi, e quindi come combattenti. Segretarie, impiegati, giudici, infermieri ospedalieri erano tutti, agli occhi di Israele, bersagli che possono essere legittimamente liquidati».

E non si tratta solo di dipendenti del governo di Hamas, aggiunge Bisharat:

«I giuristi israeliani hanno istruito i comandanti che qualunque palestinese che non avesse evacuato un edificio nonostante il preavviso di un imminente bombardamento, era uno “scudo umano volontario”, dunque partecipante al combattimento, e quindi legalmente eliminabile. Un metodo di “preavviso” usato dagli artiglieri israeliani, che loro chiamano “bussare dal tetto”, consisteva nello sparare con armi pesanti prima ad un angolo dell’edificio e poi, dopo pochi minuti, colpire i punti strutturalmente vulnerabili. Immaginare che i civili di Gaza, bloccati dalle truppe israeliane nella Striscia e circondati dal caos della battaglia, potessero capire questo come “avvertimento” è perlomeno ridicolo.

«Israele ha una lunga storia di violazioni impunite del diritto internazionale – di cui la più flagrante è la ultradecennale occupazione con “colonie” ebraiche della Cisgiordania. Bisogna riconoscere che il mondo per lo più ha rifiutato di legittimare le violazioni israeliane. Purtroppo il nostro governo (USA) fa eccezione, in quanto ha regolarmente dato copertura diplomatica agli abusi di Israele. Il nostro governo ha posto il veto a 42 risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ONU, per riparare Israele dalle conseguenze dei suoi comportamenti illegali».

Peggio, dice Bisharat: «Il nostro governo (americano) è già indotto ad imitare l’esempio israeliano in Afghanistan e altrove, con gli assassinii mirati. Una linea di condotta che aliena i civili, uccisi e feriti senza colpa in questi attacchi, e rafforza la determinazione del nemico a farci danno con ogni mezzo possibile».

E conclude: «Noi non vogliamo che poliziotti civili siano bombardati negli Stati Uniti? Non vogliamo che un giorno qualcuno ci “bussi dal tetto”? Allora, per il bene nostro e del mondo, l’impunità di Israele deve finire».

Non finirà, lo sappiamo. Ma nelle parole di Bisharat riconosciamo la voce del katechon, di «ciò che trattiene» l’Anticristo. E’ una voce ormai debole, solitaria; non ha al suo servizio, per farsi rispettare, più alcuna forza pubblica. La sua sola forza è la verità, e questo la fa splendere ancora di più: è l’estrema ammonizione della civiltà romano-cristiana, di cui Israele compie gli ultimi scempi.

Nei giorni dei massacri di Gaza, diversi rabbini hanno incitato i soldati allo sterminio dei civili e degli inermi, e alla violazione delle convenzioni internazionali, con questo sofisma: queste norme sono state imposte dai goym, perchè per loro la guerra è una specie di futile gioco, di gara sportiva, da condurre secondo regole; ma per noi ebrei, che siamo pacifici, la guerra è questione di vita o di morte; è in pericolo l’esistenza stessa di Israele.

Il professor Bisharat ricorda che l’Occidente romano-cristiano ha fatto della guerra non un futile gioco, ma una «istituzione», soggetta a diritto; e che il diritto di guerra non sono le regole di una gara sportiva, ma le stesse della civiltà: lo jus gentium. Gli stati legittimi, accettandole, riconoscono i nemici come legittimi; e aderendo ad esse, accettano di non compiere atrocità sui civili nemici, contando di risparmiare così la loro stessa popolazione civile, se le fortune belliche si rovesciassero. Quella che Israele infrange, in fondo, l’estrema applicazione del principio: «Non fare agli altri quel che non vorresti fosse fatto a te».

Bisharat ricorda che la progressiva cancellazione nelle coscienze del diritto di guerra significa, semplicemente, l’avvento incontrastato e trionfale della barbarie.

«Questo salto legale», scrive, «se accettato, incoraggerà altri occupanti a imitare Israele, che ha reso “esterno” il controllo militare e buttato ogni responsabilità sulla popolazione occupata» (3).

Il male omicida, ora, dilagherà senza che le vittime possano nemmeno gridare che subiscono ingiustizia.

Il sofisma dei rabbini sopra citato non è stata una scusa «ad hoc» per giustificare gli ultimi massacri di Gaza; è incardinato nella coscienza perenne che l’ebreo ha di sè.

Già nel 2001 rabbi Ovadia Yosef, rabbino-capo dei sefarditi nonchè fondatore del partito «shas» estremista, ha proclamato il dovere religioso di «sterminare gli arabi», aggiungendo: «E’ vietato aver pietà di loro» (BBC, 11 aprile 2001).

Sul numero del 26 febbraio 1980 di «Bat Kol», la rivista studentesca della Barl Illan University, il rabbino dell’università, Israel Hess, scrisse (in ebraico) un saggio dal titolo: «Genocidio: un comandamento della Torah». Il rabbino commentava il passo del Deuteronomio (25: 17-19) che recita: «Quando il Signore ti avrà concesso la quiete da tutti i nemici che ti circondano, nella terra che il Signore ti dona, tu cancellerai (perfino) il ricordo di Amalek sotto il cielo. Non dimenticare!». Per « Amalek», spiegava il rabbino, si deve intendere ogni popolo che fa guerra ad Israele (4).

E’ stato un altro docente della Bar Illan, Adiel Schremer, a collegare questa volontà spietata, durata nei secoli, alle speranze stesse messianiche di Israele: fin dal medio evo «la redenzione escatologica (ebraica) è stata costruita in termini di totale eradicazione delle nazioni (...). Se si spera nella redenzione imminente di Dio, e si è ispirati dall’idea di una totale disfatta dei nemici di Israele come parte essenziale di tale redenzione, le inclinazioni violente non sono soppresse, ma in un certo senso favorite» (sic). (5).

Dunque, l’attuazione della Promessa è attesa non solo come dominio di Israele sul mondo, ma questo dominio è inteso come libertà di genocidio dei goym. E sicuramente il capo degli avvocati militari ha in mente questa speranza «religiosa» quando invita i comandanti a violare deliberatamente le convenzioni internazionali, onde instaurare il nuovo diritto universale, quello che varrà nel Regno di Davide esteso al mondo.

E per accelerare questo trionfo, occorre che «un numero sufficiente di nazioni» siano indotte a violare «il diritto internazionale». Dunque che tutto il mondo sia spinto alla barbarie pre-romana e pre-cristiana.

«Il diritto internazionale nel suo complesso è basato sulla nozione che un atto che è vietato oggi, diventa permesso se è compiuto da un numero sufficiente di Paesi... Il diritto internazionale procede per violazioni».

Queste frasi di Reisner sono auto-incriminanti secondo il diritto di Norimberga, e di fatto, se «il diritto internazionale procede per violazioni», sono la cancellazione delle norme di Norimberga; di fatto, scagionano i nazisti là condannati come criminali di guerra.

Se ciò non preoccupa Reisner, è perchè ritiene il trionfo di Israele definitivo: Sion non avrà mai bisogno in futuro della pietà e della giustizia che oggi nega ai suoi nemici, anzi a tutti i goym, perchè la Promessa sta per essere realizzata.

Il suo regno «è di questo mondo», e il suo regno sui goym si configurerà come oppressione senza limiti e sterminio.

In questa visione, occorre ammonire gli ingenui cattolici giudaizzanti che abbracciano i fratelli maggiori e sostengono che «l’elezione di Israele da parte di Dio non è venuta mai meno». Va denunciato in particolare il gruppo tedesco che si auto-nomina «Comunità Cattolica di Integrazione» (e a cui Papa Ratzinger ha moltiplicato i segni di simpatia), la quale in piena coscienza, e con piena solidarietà agli ebrei, ammette: «Israele accetta con passione il mondo come dono di Dio. Israele sa che se non sottomettesse il suo mondo esteriore, e quindi la società al Regno di Dio, la sua fede sarebbe ristretta e fuori della realtà» (6).

Dicono bene, i «cattolici d’integrazione», proprio così Israele intende il suo riscatto: la sottomissione della società umana a Sion, del mondo di qua, di questo mondo carnale, al dominio del popolo eletto.

Un dominio che comincia con l’abolizione delle leggi in difesa dei deboli e degli inermi, e che si propone il genocidio, non è forse il Regno dell’Anticristo nel senso più concreto e letterale? L’adesione «appassionata» alla «speranza di Israele» non dispone quei «cattolici» ad una apostasia inaudita, ad applaudire l’Anomos, il senza-legge?

«Viene l’apostasia», come disse San Paolo, «e si rivela l’Uomo di Iniquità, il figlio della perdizione, colui che si oppone e si innnalza su tutto ciò che è chiamato Dio o che è oggetto di culto, fino a dichiarare dio se stesso».




1) George Bisharat, «Changing the rules of war», San Francisco Chronicle, 4 aprile 2009.
2) Tipico di questo atteggiamento, o di mentalità acquisita per assuefazione alle atrocità israeliane, è – per esempio – l’idea che qualche razzo fatto in casa lanciato da palestinesi, o persino le pietre tirate da un ragazzino (spesso in risposta a terribili provocazioni ebraiche) sono deplorati come «atti di Guerra», moralmente equivalenti alle mostruose rappresaglie israeliane, anche se consistono nell’abbatimento di case e nel tiro di bombe al fosforo.
3) Una delle «innovazioni» talmudiche è infatti la finzione che Israele abbia spontaneamente rinunciato all’occupazione di Gaza; menzogna continuamente ripetuta dalla propaganda israeliana e dai suoi servi occidentali. In realtà ha solo esternalizzato l’occupazione militare, visto che controlla tutti i valichi di confine, lo spazio marino, lo spazio aereo di Gaza, e persino la fornitura di acqua, luce, carburanti; e inoltre si arroga il «diritto» di entrare in Gaza a volontà, bombardare e  procedere ai massacri, quando i prigionieri di Gaza eleggono un governo sgradito all’occupante. Con questa finzione, Sion pretende di esentarsi dai doveri dell’occupante secondo le convenzioni.
4) Il genocidio degli armeni, compiuto dai cripto-giudei che presero il potere in Turchia instaurando un governo «laico», fu giustificato nel mondo ebraico col fatto che gli armeni erano gli amalekiti biblici. «Armenia is also sometimes called Amalek in some sources» (Encyclopedia Judaica, Volume 3, voce «Armenia», Gerusalemme 1971). «Since the Armenians are considered descendant of the Amalekite, they are called among the Jews of the Orient also Timeh» (Isaac Makkon, «The Universal Jewish Encyclopedia», volume1, New York 1939. La parola ebraica «timeh» significa «tu cancellerai», con riferimento al passo del Deuteronomio sopra citato. Gli armeni dovevano essere «cancellati», per gli ebrei orientali, che tributavano loro un odio ostinato.
5) Adiel Schremer, «Eschatology, Violence and Suicide – an Early Rabbinic Theme and is influence in the Middle Ages» (sul  web: research.yale.edu/ycias/database/Files/MESV6-2.pdf).
6) Trovo notizie di questo allarmante gruppo «cattolico» nel libro di Gianni Valente, «Ratzinger professore», San Paolo, 2008, pagine 162-165. Valente è un giornalista ciellino di «30 giorni», e il suo libro – testimone simpatizzante dell'ideologia  giudaizzante di Ratzinger – è tristemente rivelatore.    



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