Vera e falsa prudenza
Don Curzio Nitoglia
15 Aprile 2009
Risposta a Domenico Savino
«Chi non è disposto a rischiare per le sue idee o non vale nulla lui o
non valgono niente le sue idee» (Ezra
Pound)
Il caro amico dottor Domenico Savino, l’8 aprile 2009, ha
scritto un interessante articolo sul sito EFFEDIEFFE, intitolato «Fraternità
san Pio X: timori e speranze», in cui si «rimprovera una certa mancanza di prudenza» a
monsignor Richard Williamson; ma cos’è esattamente la prudenza e l’imprudenza?
Chiediamolo a San Tommaso d’Aquino, «il più saggio dei santi, il più santo dei saggi» (Pio XI).
Definizione
La prudenza è una virtù che risiede nell’intelletto pratico,
è ordinata al retto governo delle nostre azioni, in vista del fine. (padre Antonio
Royo Marìn o.p., «Teologia della perfezione cristiana»,
Roma, Edizioni Paoline, 6a edizione, 1965). Essa «inclina l’intelletto a scegliere i mezzi migliori per ottenere i vari fini
prossimi subordinatamente al fine ultimo»
(A. Tanquerey, «Compendio di Teologia
Ascetica e Mistica», Roma-Parigi,
Desclée, 1928, pagina 627). Suo oggetto sono gli atti umani concreti. L’atto
proprio della prudenza è quello di dettare o comandare come debbo agire in
concreto, hic et nunc, tenendo conto di tutte le circostanze, dopo aver
riflettuto ed essermi consigliato, scegliendo i mezzi migliori per ottenere il
fine. E’ una virtù principalmente intellettuale ma conseguentemente pratica o
attiva, poiché mi dice in ogni caso particolare quello che devo fare od
omettere per cogliere il fine. San Tommaso ne tratta nella Somma Teologica
(II-II, qq. 47-56).
Vizi opposti
San Tommaso distingue tra i vizi apertamente opposti alla
prudenza e quelli che hanno una certa somiglianza con essa, pur essendole
sostanzialmente contrari.
a) Apertamente
opposti:
l’imprudenza (q. 53, aa. 1-2), si manifesta in tre modi
diversi:
- la Precipitazione, quando si agisce in modo irriflessivo e
precipitoso, dietro lo stimolo della passione o capriccio (q. 53, a. 3);
- la Sconsideratezza, quando si disprezza o solo si trascura
di considerare le cose necessarie per giudicare rettamente (q. 53, a. 4);
- l’Incostanza, se si abbandonano, per futili motivi e
facilmente, i buoni propositi, suggeriti dalla prudenza (q. 53, a. 5). La
lussuria, l’ira e l’invidia favoriscono questi quattro difetti apertamente
contrari alla prudenza (q. 53, a. 6), poiché inclinano l’uomo alle cose
sensibili opposte a quelle intellettuali;
- la Negligenza, la quale è mancanza di sollecitudine nel
comandare efficacemente ciò che si deve fare ed il modo in cui si deve fare. E’
più grave dell’incostanza poiché non solo non compie ciò che la prudenza
comanda, ma addirittura si astiene dal comandare (q. 54, aa. 1-3).
b) Vizi
somiglianti apparentemente alla prudenza:
- la Prudenza della carne (q. 55, aa. 1-2), è l’abilità di
trovare i mezzi più opportuni per soddisfare le passioni. «La
prudenza della carne è nemica di Dio»
(Rom., VIII, 7). Prudenza carnale significa
considerare come fine il proprio comodo o vantaggio materiale. Ma questo è un
peccato e distoglie dal vero fine ultimo (Dio, sommo Vero e Bene);
- l’Astuzia o abilità di ottenere un fine, buono o cattivo,
con mezzi illeciti o falsi («il fine giustifica i mezzi»,
Machiavelli), simulati o apparenti;
- l’Inganno, che è astuzia praticata con le parole (q. 55,
a. 4);
- la Frode o astuzia nelle azioni (q. 55, a. 5);
- la Sollecitudine eccessiva per le cose temporali presenti
o future, che proviene dalla mancanza di fiducia nella divina Provvidenza e
dalla sopravvalutazione delle cose terrene (q. 55, aa. 6-7).
La fonte di questi cinque vizi è soprattutto l’avarizia o
attaccamento eccessivo ai beni di questo mondo (ricchezze, fama, benessere).
Padre Antonio Royo Marìn («Teologia della perfezione cristiana», Roma, Edizioni Paoline, 6a edizione, 1965,
pagine 650-651) raccomanda soprattutto ai sacerdoti, che avendo studiato
teologia morale, possono facilmente cambiare il bene in male e viceversa, con
qualche sofisma o cavillo «giuridico»
di chiedere il Dono di Consiglio, il quale perfeziona la virtù di prudenza e ci
aiuta a vincere le «passioncelle disordinate», le
quali ci spingono a «giustificare il male, con
qualche principio morale, certo in sé ma [volutamente] male applicato al caso particolare» e ci spingono a «porre falsamente la scienza a servizio della
passione».
Inoltre padre Reginaldo Garrigou-Lagrange («Le tre
età della vita interiore», Vicenza, Lice,
4a edizione, 1963, volume 3°, pagina 102) scrive che: «Essa determina il giusto
mezzo razionale, che è una vetta, in mezzo e al di sopra d’ogni deviazione irragionevole per difetto o
per eccesso» e prosegue «non si tratta di prudenza negativa che
consiglia quasi sempre di non agire,
di non intraprendere grandi cose, e
questo per evitare noie e difficoltà. Questa prudenza che ha per principio ‘niente
impicci’ è quella dei pusillanimi (…),
che cerca sempre di farsi perdonare
parlando di moderazione e dicendo: ‘non
si deve mai esagerare’. (…) La
semplicità della colomba, che non è ingenuità, e conserva il silenzio su quanto non si deve dire, ma non parla mai
contro la verità» (pagine 106 e 110).
Riassumendo
La vera prudenza (padre Tito Sante Centi o. p.) è conoscere
l’opportunità di un’azione imperandone l’esecuzione, assieme alla costanza
nell’agire secondo il dettame della retta ragione. Quindi, prudenza non è
sinonimo di cautela e circospezione, con una lentezza accentuata o l’arte del
temporeggiare e del non compromettersi nelle occasioni pericolose. La vera
prudenza consiste nel regolare secondo ragione, nei limiti del giusto mezzo,
tutte le virtù morali. Razionalità nell’agire, ecco la vera prudenza. Essa è
una perfezione della ragione. Mentre la deliberazione, giudizio o il consiglio
sono atti preparatori o previ alla prudenza. Essa consiste essenzialmente nel
comando o ordine della ragione. La dote principale della prudenza è la sollecitudine
(q. 47, a. 9) e non la lentezza o ponderazione nel decidere. Infatti la
deliberazione precede la prudenza non è la sua natura. «Oportet operari velociter
consiliata» (Aristotele, 6 Etich , c.
10, lect. 8). A chi obietta che occorre raggiungere la calma sicura della
certezza, per avere la perfetta prudenza (che è una virtù intellettuale) San
Tommaso risponde citando Aristotele «non si deve cercare in tutte le cose la
certezza assoluta, ma quanto ne permette la natura di ciascuna materia». Ora, la materia della prudenza sono i
singolari contingenti. Quindi, la certezza della prudenza non può essere tanta
da eliminare ogni sollecitudine (q. 47, a. 9, ad 2) e spesso deve accontentarsi
della certezza morale o addirittura della semplice probabilità.
«Questi pochi accenni possono bastare a farci comprendere che la virtù
di prudenza non consiste nel temporeggiare, e nel rimandare, aspettando con pavida furberia la soluzione dei
problemi umani individuali e sociali dalle circostanze esterne; bensì nell’impegnarsi quotidianamente, con
accortezza, solerzia e tempestività
alla loro soluzione» (padre Tito Sante
Centi o.p., «San Tommaso D’Aquino. La Somma Teologica». Introduzione e note, Firenze, Salani, 1966,
volume XVI, pagine 205-217, passim). Si tratta, dunque, di una virtù sommamente
dinamica. Come l’animale è spinto ad agire dal suo istinto naturale, così
l’uomo dalla sua ragione. La scelta o electio dei mezzi atti a farci cogliere
il fine è fatta da una deliberazione della ragione e poi per concretare la
scelta fatta occorre l’ordine o comando della ragione. Ora, proprio qui
s’inserisce la prudenza. Essa, quindi, è senso di responsabilità, autodecisione
cosciente e libera, che vince ogni perplessità con criterio. La prudenza è
l’anello di congiunzione tra scienza speculativa e azione morale. L’uomo deve
concretizzare il giudizio nell’azione cosciente. La prudenza che implica la
rettitudine della ragione, viene potenziata e resa soprannaturale anche quanto
al modo di agire dal Dono del Consiglio (q. 52, a. 2).
Esempio pratico e
attuale: monsignor Williamson
Chiedo a Domenico Savino, per quanto riguarda monsignor Williamson e la «shoah», usata - soprattutto oggi - come arma di
pressione contro la Chiesa, per costringerla a rinnegare implicitamente se
stessa:
- è veramente imprudente rispondere - dietro domanda
esplicita - che secondo storici seri, i quali hanno consultato i documenti
relativi ad essa, che si trovano negli archivi di Mosca, e visitato i luoghi
del delitto (Auschwitz e Birkenau), non vi sono prove di un piano di
distruzione totale degli ebrei europei tramite camere a gas?
- E’ vera imprudenza dire che se si portano prove del
contrario ci si ricrede, ma se non si adducono prove, fatti e documenti non si
può, in coscienza, dire il contrario di quel che si pensa?
- E’ vera prudenza o «prudenza della carne» (= considerare come fine il proprio comodo,
q. 55, a. 1); oppure «inganno»
(= astuzia praticata con le parole, q. 55, a. 4); o anche «sollecitudine
eccessiva»
per le cose temporali presenti o future (= mancanza di fiducia nella divina
Provvidenza e sopravvalutazione delle cose terrene, q. 55, aa. 6-7),.obbligare
a parlare della «shoah» solo in un certo
senso, politicamente corretto, anche se storicamente non certo? Non sarebbe,
piuttosto, «inganno» (= astuzia praticata
con le parole, q. 55, a. 4)?
Cosa risponderebbe San Tommaso?
«Bisogna
predicare agli ebrei senza aver paura di urtarli, come Gesù Cristo, senza
timore di offenderli, insegnava pubblicamente la verità che loro
odiavano e li rimproverava dei loro vizi»
(S. T., III, q. 42, a. 2).
Padre Garrigou-Lagrange ha scritto che «la
prudenza conserva il silenzio su quanto non si deve dire, ma non parla mai contro la verità». Non è neppure «l’arte
del temporeggiare e del non compromettersi nelle occasioni pericolose», come ha spiegato padre Centi.
Forse era imprudente anche il Dottore Comune della Chiesa? Per Jules Isaac sì,
secondo lui e il cardinale Bea gli Evangelisti, specialmente San Matteo e San
Giovanni, i Padri ecclesiastici, soprattutto Sant’Agostino e San Giovanni
Crisostomo, e dunque San Tommaso D’Aquino, che li ha riassunti e perfezionati,
erano imprudenti, anzi antisemiti. Da queste premesse è nata «Nostra
aetate»
(1965) e la falsa «teologia» post-conciliare
dell’«Antica
Alleanza mai revocata» (1981),
degli «ebrei fratelli maggiori e prediletti nella Fede» (1986). Ma per un cattolico fedele
all’insegnamento tradizionale della Chiesa, tutto ciò è conciliabile con la
Fede? Penso di no.
La vera prudenza «conserva il silenzio su quanto non si deve mai dire» (per esempio linciare pubblicamente, a mezzo
stampa, un confratello per un’opinione non politicamente corretta) e
soprattutto «non parla mai contro la verità»,
rendendo obbligatoria la vulgata sterminazionista, che non è scientificamente
fondata né suffragata da fatti, documenti e testimonianze
non-contraddittorie.
E’ lecito, per evitare «impicci»,
fosse anche la confisca dei beni ecclesiastici (confronta San Pio X e la Francia
nel 1906) o la galera (confronta il cardinale Gioacchino Pecci, futuro Leone
XIII, in Italia durante il Risorgimento), dire il contrario di ciò che si
pensa? No. Meglio essere materialmente prigionieri e spiritualmente liberi che
spiritualmente schiavi anche se fisicamente «liberi».
Veritas liberabit vos. Il «padre della menzogna» è il diavolo e chi mente deliberatamente e
spinge altri a mentire si fa figlio e schiavo del diavolo.
Monsignor Williamson ha agito in modo apertamente opposto
alla prudenza?
1 Con «precipitazione», in modo irriflessivo, dietro lo stimolo della passione o
capriccio
(q. 53, a. 3)?
2 Con «sconsideratezza», disprezzando di considerare le cose
necessarie per giudicare rettamente (q. 53, a. 4)?
3 Con «incostanza», abbandonando, per futili motivi e
facilmente, i buoni propositi, suggeriti dalla prudenza (q. 53, a. 5)?
4 Con «negligenza»,
mancando di sollecitudine nel comandare efficacemente ciò che si deve fare ed
il modo in cui si deve fare (q. 54, aa. 1-3)?
Non mi sembra. Vera prudenza è il giusto mezzo razionale,
che è una vetta, in mezzo e al di sopra d’ogni deviazione irragionevole. La
risposta di monsignor Williamson è stata irragionevole? Non mi pare. E allora,
attenzione ai vizi somiglianti apparentemente alla prudenza. Penso si sia
scambiata la vera imprudenza con la prudenza apparente, la quale è falsa e
quindi reale imprudenza soprannaturale. Come dice il proverbio «le
apparenze ingannano».
Don Curzio Nitoglia
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