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Ciò che non si dice della riunione delle due Germanie
29 Dicembre 2011
La riunione delle due Germanie, quella dell’Est e quella dell’Ovest, avvenne nel 1990, ufficialmente il 3 ottobre. Tra le conseguenze della riunificazione ci fu quella di possedere una ingente quantità di materiale bellico, munizioni e armamenti ovviamente in perfetta efficienza, provenienti dall’arsenale militare della DDR. Per una serie di ragioni questo materiale non poteva essere utilizzato dall’esercito della Germania unificata. L’unificazione creò una nuova Germania, che dovette affrontare i non facili problemi nati dalla ricongiunzione di due Stati che ormai avevano in comune solo la lingua. Le due Germanie avevano trascorso quasi mezzo secolo nell’attesa di una reciproca aggressione tra i Paesi dell’est e quelli dell’ovest. Adesso il primo passo doveva essere una drastica riduzione delle forze armate della nuova Germania.
Ma la Germania degli anni Novanta era ben diversa da quella di prima della Seconda Guerra Mondiale. I tedeschi si erano latinizzati, ovvero avevano dovuto subire una lunga occupazione da parte dei Paesi occidentali, in un certo senso eredi dell’Impero Romano ed avevano capito che non avrebbero avuto un posto nel mondo se non avessero rinunciato almeno in parte al concetto della superiorità dei popoli germanici. Andando un po’ indietro negli anni, dopo il massacro di Teutoburgo, e dopo essersi ampiamente vendicati con la spedizione di Germanico, i romani decisero di lasciare fuori dai loro confini la Germania, che quindi non fu latinizzata. Anzi con Carlomagno fu la Germania a tentare di germanizzare ciò che era stato l’Impero Romano d’Occidente. La lezione inflitta con la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale e con la lunga occupazione ha fatto diventare molto più scaltri i tedeschi. La Germania aveva già da alcuni anni iniziato ad attuare una politica estera che sembrava orientata a svolgere un ruolo subalterno rispetto alla Francia ed agli Stati Uniti. In realtà essa perseguiva lo scopo di arrivare a dominare tutta l’Europa. Andreotti si era espresso contro la riunificazione perché diceva giustamente che ne sarebbe risultato un Paese troppo potente rispetto agli altri, squilibrando così i fragili equilibri all’interno della nuova Europa. Ma i tedeschi si erano assicurati l’appoggio degli USA, diventando i loro guardiani tra i litigiosi ed incostanti Paesi europei. Avevano dalla loro la forza della loro industria e della loro tecnica, da sempre molto ammirate dagli americani.
Le vicende europee degli ultimi due secoli
Tra le tante conseguenza della Rivoluzione Francese ci fu la trasformazione della guerra in guerra di popolo. Prima le guerre erano guidate dall’aristocrazia con eserciti di soldati contadini. Gli straccioni di Valmy, provenienti dagli artigiani e dai piccoli borghesi, batterono i prussiani, guidati da aristocratici, ingabbiati nelle vecchie regole e nelle vecchie uniformi. Si trovò un grande condottiero: Napoleone e i francesi, introdotta la coscrizione obbligatoria, ebbero il dominio dell’Europa. L’ideologia rivoluzionaria, sommata alle contraddittorie nostalgie imperiali ed aristocratiche di Napoleone, compì stragi ed efferatezze che ad un confronto imparziale fanno impallidire quelle compiute poi dai tedeschi entusiasmati da Hitler. Solo in Italia per combattere le così dette insorgenze i francesi provocarono circa 200 mila morti. C’era stata la strage della Vandea e ci sarà la sanguinosa guerriglia in Spagna.
Sia contro la Francia napoleonica, sia contro la Germania hitleriana l’Inghilterra giocò un ruolo determinante nel distruggere sul nascere una grande potenza europea. Ed in entrambi i casi seppe utilizzare la Russia per riportare l’ordine in Europa. Nel primo round contro la Germania guglielmina l’Inghilterra utilizzò invece la Francia e quella fu una vera porcata perché quella Germania non meritava di essere demonizzata. Ma l’ultima volta con la Germania le cose le sono andate storte: l’Inghilterra ha vinto la guerra ma ha perso tutto il suo magnifico impero che anche Hitler ammirava. Le cose sono andate così storte che oggi l’Inghilterra è ridotta a svolgere il ruolo di attrazione turistica, di scuola per imparare l’inglese e di paradiso della finanza speculativa, appena un poco al di sopra delle sue isole Cayman. Con la Germania, che stava crescendo già alla fine del XIX secolo, l’Inghilterra avrebbe potuto trovare un modus vivendi, poiché la Germania non aveva aspirazioni di espansione territoriale ma ambiva a dominare il mercato dei prodotti industriali. Invece la osteggiò sino ad arrivare allo scontro della Prima e poi della Seconda Guerra Mondiale, che segnò la fine della potenza inglese e la nascita delle due superpotenze: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, cioè le due potenze chiamate in suo soccorso per battere la Germania.
La Germania, risorta dopo la unificazione, aveva di nuovo la dimensione di una grande potenza che attraeva a sè le piccole nazioni vicine. I tedeschi avevano capito che non era più necessario occupare militarmente una nazione per dominarla. Vienna e Budapest furono calamitate. Per ragioni tutte sue la Cecoslovacchia (una nazione artificiale scaturita dalla Prima Guerra Mondiale) si divise in due repubbliche alla fine del 1992. La Repubblica Ceca si trova geograficamente inserita tra Germania ed Austria ed ha una ottima industria che ovviamente si inserisce nella sfera dell’economia tedesca. Nel 2004 è entrata nella Comunità Europea. Quindi la storia di quella che era la Mitteleuropa si è messa a correre: nel 1990 la Germania si riunisce, nel 1991 scoppia la guerra nella ex Jugoslavia, nel 1992 la Cecoslavacchia si divide. In Italia era nata la Lega secessionista, che riceverà finanziamenti occulti dalla Germania. Ma questo è ancora l’aspetto meno grave dell’espansionismo germanico. Sul piano economico abbiamo l’espansione delle banche tedesche (e francesi) in Italia e l’acquisizione di complessi industriali e commerciali.
La politica tedesca sarebbe stata quella di spezzettare gli Stati limitrofi. Il primo che si espose un po’ troppo fu il Primo Ministro Helmut Kohl, quello che irrideva gli italiani travolti da tangentopoli. Lui stesso ne venne poi colpito ed allora smise di sogghignare, ma prima di lasciare poté veder piazzata la furba Merkel. Intanto, sin dalla scomparsa di Tito, tra le regioni della Federazione Jugoslava erano nati attriti crescenti. La guerra nella ex Jugoslavia scoppiò nel 1991. Quando scoppia una guerra le armi servono e i contendenti sono disposti pagarle a qualsiasi prezzo. Una fortuna insperata per la Germania unificata, che non sapeva come smaltire gli armamenti della Germania Est.
Anzitutto vi era la necessità di riunificare l’esercito delle due Germanie. Ad Est venne creato un comando speciale con funzioni provvisorie, chiamato Bundeswherkommando Ost. Esso formò diverse brigate territoriali sulla ex-DDR. Nel frattempo molti materiali vennero radiati; in base ai trattati CFE la Germania doveva disfarsi di oltre 3.000 carri armati e di innumerevoli altri equipaggiamenti. Negli arsenali della ex-DDR vi erano numerosissimi armamenti: furono trovati oltre 2.500 carri armati di cui oltre 500 T-72, circa 5.000 mezzi corazzati, oltre 2.000 pezzi di artiglieria, decine di navi, oltre 500 aerei. Parte di questo immenso parco d’armamenti fu riutilizzato dai tedeschi, parte fu esportata, si dice che la maggior parte sia stata demolita, ma è difficile crederlo. Il personale militare tedesco-orientale venne integrato formando 6 brigate di fanteria equipaggiate con materiale per lo più orientale. Mentre i militari di carriera avevano la possibilità di fare domanda per entrare nell’esercito unificato, la Guardia di frontiera non era altrettanto ben vista, perché aveva sparato ai fuggiaschi verso Ovest.
Attorno al 1993-94 la Luftwaffe rinunciò a 5 Stormi per un totale di oltre 200 aeroplani: tutti gli Alpha Jet e tutti gli RF-4E vennero radiati. Questi ultimi vennero spediti in buona parte in Turchia, dove molti equipaggiamenti ex-tedeschi erano giunti da tempo, dagli F-104G ai 20 C-160D praticamente nuovi. Gli Alpha Jet vennero in parte ceduti al Portogallo. Per il resto, dopo che il ministro Wolfang Ruhe per i costi eccessivi tra il 1992 e il 1994 quasi affossò il programma EFA, l’idea del caccia ad interim venne scartata e l’aggiornamento degli F-4F (i vecchi Phantom) esteso a 110 macchine invece che 75. I missili AMRAAM vennero però ridotti a circa 60 con 288 opzioni. L’EFA continuò per tutti gli anni ‘90 il suo lento sviluppo, e nell’attesa la Germania incorporò i due MIG-29 ex-DDR, gli unici rimasti in servizio degli aerei ereditati dalla Germania Est. I MIG-29, successivamente aggiornati, con i motori ridotti in potenza a vantaggio della durata e piloti ben addestrati, rappresentarono uno dei reparti più interessanti della Luftwaffe, chiamati in innumerevoli esercitazioni come a Decimomannu in Sardegna, sconfiggendo spesso gli F-16, specie in combattimenti manovrati con i missili R-73. Da notare che agli inizi degli anni ‘90 gli F-16 non avevano ancora missili a medio raggio come dotazione standard e i MiG operarono sia come intercettori che come velivoli di attacco per simulare i potenziali nemici della NATO.
Aerei di maggior fortuna furono i Fulcrum, qui uno dei 4 biposto, che vennero immessi nella nuova Luftwaffe con ottimi risultati
La riunificazione delle Forze Armate tedesche fu molto rapida. Vennero incorporati alcuni materiali ex-DDR, come per esempio centinaia di BMP-1, sia pure privati del missile AT-3. Il totale delle munizioni lasciate dalla DDR era impressionante, con un quantitativo di oltre 66.000 tonnellate solo per le munizioni dei carri armati. In tutto le munizioni superavano le 300.000 tonnellate e il loro smaltimento fu cosa lunga e laboriosa. I tedeschi avrebbero tenuto volentieri vari materiali. Gli obici da 122 mm D 30 vennero tenuti in servizio, prevalentemente per fini addestrativi, grazie anche agli oltre 500.000 proiettili disponibili. I veicoli che l’esercito tedesco avrebbe tenuto più volentieri in servizio erano gli RM-70, ma vi erano problemi con i rigidi standard sulla sicurezza delle munizioni in uso nell’esercito tedesco-occidentale: nondimeno essi erano giudicati un sistema molto efficace.
Le 5 brigate dell’OstKommando ebbero come dotazione individuale i fucili AK-74, disponibili in quantità più che sufficienti, il che non rendeva necessario il riequipaggiamento con i G-3. Nel frattempo, molti materiali ex-tedeschi vennero girati ad altre nazioni. Sebbene moltissimi mezzi ed artiglierie finissero rottamati, numerosi semoventi 2S1 vennero ceduti alla Finlandia, dove vennero ammodernati ed usati con soddisfazione, grazie alla loro mobilità e capacità anfibia. Circa 500 MT-LB vennero venduti alla Svezia, che li usò efficacemente con le brigate Polari grazie all’eccellente mobilità di questi veicoli. I 350 BMP-1 venduti alla Svezia al prezzo di circa 32 milioni di lire l’uno (equivalente a quello di un’auto di grossa cilindrata, in totale fruttarono alla Germania 56 milioni di euro) erano apparentemente un buon affare, ma vennero aggiornati con programmi assai costosi e poi tenuti in servizio solo per una decina d’anni circa, rimpiazzati dai CV-90. Questo stando alle notizie ufficiali.
La struttura dell’esercito tedesco venne stravolta poiché venne prevista una nuova e più ridotta struttura dell’esercito. La Guerra fredda stava finendo e tra il 1992 e il 1995 si poteva attuare una radicale ristrutturazione delle forze armate. Nonostante l’accorpamento della Germania Est, avvenuto nel 1990, il totale delle forze dell’esercito veniva ridotto a 255.000 militari (oggi a solo 100.000). La struttura studiata verteva sulla cancellazione della distinzione tra esercito di campagna e territoriale, la riduzione a 28 brigate dello strumento attivo, ripartite su 8 divisioni, la cancellazione della distinzione tra unità meccanizzate e corazzate. La struttura di Brigata studiata verteva su 2 battaglioni di fanteria meccanizzata (53 Marder, 16 MILAN, 10 mortai, 6 veicoli da osservazione o recupero), due di carri (54 Leopard, 4 carri recupero) uno di artiglieria (24 Pzh2000 con tre batterie su otto mezzi) una unità per esplorazione (12 blindo, 3 radar) una controcarro (15 Jaguar con missili TOW) e una genio (dotata di 11 Fuchs, 3 veicoli sminatori, 4 gittaponte, 3 genio, 12 posamine). Le divisioni sarebbero state ridotte a otto, le brigate meccanizzate di cui sopra a 23 di cui solo 2 a pieni organici, 18 brigate al 50% . La brigata da montagna, le tre aviotrasportate e la brigata franco-tedesca completavano il quadro. Molti i cambiamenti anche per le strutture logistiche, artiglieria di supporto e il genio. L’artiglieria comprendeva a quel punto i semoventi Gepard per appoggiare le divisioni, i Roland per il corpo d’armata, MLRS e FH-70 per i reggimenti di artiglieria divisionale.
I compiti della Bundeswher cambiarono molto dagli anni ‘90, come anche i mezzi in dotazione. In tutto questo ristrutturare, l’Heer (1) radiò oltre 3.000 carri, non solo ex-DDR. Solo 700 dei 2.020 Leopard 2 consegnati vennero mantenuti. La leva venne ridotta a 12 mesi. In compenso, nuovi equipaggiamenti potenziarono le unità tedesche. Arrivarono gli otto gruppi di MLRS sostituendo i più leggeri LARS, mentre in prospettiva – molto dilatata nel tempo – si prevedeva l’entrata in servizio dei nuovi, formidabili semoventi Phz-2.000, dotati di sistemi di tiro moderni, cannone da 155/45 mm e corazzatura protettiva molto più efficaci del vecchio e leggero M 109G. La fanteria ebbe un nuovo sistema d’arma, il Panzerfaust 3 da 110 mm di calibro, razzo anticarro capace di perforare oltre 700mm d’acciaio. Esso è peraltro un sistema pesante, voluminoso, monocolpo e di gittata ridotta (330 m). Ma la sua efficacia è stata confermata in numerosi test.
Un altro mezzo entrato in servizio in quegli anni è il Wiesel, l’ultimo e di gran lunga il più leggero dei corazzati tedeschi della Guerra Fredda. Nato nel 1971 come prototipo per dare ai paracadutisti tedeschi un sistema d’arma meccanizzato e relativamente protetto, è stato presentato già nel 1971, dalla ditta Porsche. Esso venne bloccato da restrizioni di bilancio. Ripartito nel 1988 con una commessa di 343 mezzi, i primi dei quali distribuiti nel 1990, in ragione di un battaglione per brigata aviotrasportata (3 in tutto). Pesante circa 3 tonnellate, il Wiesel è una sorta di utilitaria nel panorama dei mezzi blindati. Autonomia di 300 km, velocità di 75 kmh con un motore di appena 86 hp e cingoli in gomma, lunghezza di appena 3,3 metri e larghezza di 1,8. Versioni migliorate, come il modello comando con mitragliera da 12,7mm e quello trasportotruppe con scafo allungato e 7 uomini di equipaggio erano pure allo studio, né mancava il Wiesel con 4 Stinger antiaerei.
Quest’ultimo entrò in servizio attorno al 1998 in un certo numero di esemplari. L’ammodernamento della componente corazzata venne iniziata attorno al 1998. La forza dell’Heer all’epoca ammontava a 233.000 militari. I carri erano ridotti a 34 battaglioni, 20 dei quali attivi e gli altri in riserva. 26 battaglioni erano dotati di Leopard 2, tra cui tutti quelli attivi (altri otto con Leopard 1A5) e 23 di questi avevano i Leopard 2A4 con protezione migliorata. I primi 3 battaglioni avevano ricevuto i Leopard 2A5, con corazza aggiuntiva in torretta per una massa portata a 59 tonnellate. Un totale di 2124 carri realizzati per la sola Germania, al termine della produzione, vide 225 veicoli aggiornati a questo standard, mentre era allo studio l’adozione del cannone da 120/55 mm come seconda parte del programma KWS. Gli M113 ebbero aggiornamenti vari, relativi alla guida, all’affidabilità e alle norme antinquinamento (nuovo motore MTU 6V 183CT22 Euro 2) per un totale di circa 2.000 veicoli.
Tra i tanti aggiornamenti, da segnalare l’entrata in servizio dei drone da ricognizione CL-289 con un raggio di 170 km e sensori IR e fotografici, per le esigenze dell’artiglieria. Alcuni Leopard 1A5 vennero invece modificati come osservatori avanzati per l’artiglieria. Con oltre 2.000 carri Leopard l’Heer non ebbe problemi a disfarsi di mezzi ancora validi come i Leopard 1A5, i T-72 e centinaia di Leopard 2 in eccesso. Molti T-72 finirono la loro carriera come bersagli nei poligoni di tiro, dove dimostrarono una considerevole resistenza, specialmente della torretta, contro i proiettili da 105 e anche da 120 mm. Oggi la Germania ha 400 carri armati in attività. In pratica la Germania non ha più un esercito per una guerra ma solo per missioni di pace. Facciamo qualche ipotesi. La repubblica jugoslava si stava smembrando in tante repubbliche e la cosa non si sarebbe svolta pacificamente. Possiamo affermare che la Germania sia stata del tutto estranea al fatto? L’agenzia americana Defense & Foreign Affairs (2) ha fornito notizie molto dettagliate sulle forniture di armi in particolare alla Croazia ed alla popolazione islamica della Bosnia. Si tratta di una agenzia che sembra parteggiare per i serbi e non lesina critiche alla politica estera degli USA e della Germania. Documentata la fornitura di 120 carri armati T-72 (pagati 90 milioni di euro) e di molti missili antiaerei Stinger, oltre a cannoni ed armi leggere il tutto con abbondanti munizioni.
A parte la Slovenia, che aveva un confine abbastanza ben definito con il resto del Paese, le altre regioni della Federazione Jugoslava avevano confini intricati, con zone incluse in altre regioni. Tra queste le guerre apparivano inevitabili. L’esercito nazionale era monopolizzato dai serbi. Le altre regioni-nazioni dovevano affrettarsi a costruire ciascuna il proprio esercito se non volevano soccombere alla Serbia. Quindi ci fu una improvvisa richiesta di armi. Si trattava di permettere ai gruppi etnici in dissenso con i serbi di potersi difendere, poiché l’esercito nazionale, che era stato pagato da tutti i popoli della federazione, era sotto il controllo dei serbi, che lo usavano come forza armata a favore della sola Serbia contro gli altri gruppi. Nel racconto della guerra jugoslava è interessante notare gli interventi compiuti via via dalla Germania presso la CEE perché venisse riconosciuta l’indipendenza dei nuovi Stati. Per ragioni diverse anche il Vaticano intervenne a sostegno del riconoscimento della repubblica croata. Questa presa di posizione dei tedeschi indusse altri Stati europei a seguire la linea della Germania, e questo accelerò la crisi jugoslava e indirettamente favorì l’esplodere dei conflitti armati. Le guerre jugoslave si possono definire una lunga e intricata guerra civile causata da motivi di secessione. In misura diversa, tra il 1991 e il 1995, furono coinvolti tutti i diversi territori appartenenti alla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, sino alla sua completa dissoluzione.
Diverse le motivazioni che sono alla base di questi conflitti. La più importante è il nazionalismo ricomparso nelle diverse repubbliche a cavallo fra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta (in particolare in Serbia, Croazia, Kosovo e Bosnia, anche in Slovenia ma in misura minore). La causa principale del risorgere dei nazionalismi fu la pretesa della Serbia di esercitare il suo dominio sugli altri gruppi etnici ai quali non voleva riconoscere l’autonomia di cui godevano. Influirono anche le motivazioni economiche, gli interessi e le ambizioni personali dei leader politici coinvolti e la contrapposizione spesso frontale fra le popolazioni delle fasce urbane e le genti delle aree rurali e montane, oltre che gli interessi di alcune entità politiche e religiose (anche esterne). Tutte queste cause contribuirono a porre fine alla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia.
In un clima sempre più teso, la situazione economica si deteriorava progressivamente, mentre nella Federazione andava crescendo il divario tra nord e sud. Il dinaro jugoslavo subì diverse svalutazioni e il potere d'acquisto diminuì. Per trovare una soluzione nel febbraio del 1989 il governo federale venne affidato ad un tecnico, l'economista croato Ante Marković, che propose una solida e strutturale riforma economica e preparò la domanda di adesione del paese alla CEE. Il piano economico sembrava funzionare, nonostante le inevitabili conseguenze sociali (aumento della disoccupazione e della povertà, diminuzione dei sussidi statali), ma venne travolto dalle turbolenze etniche e dalla disgregazione complessiva della Federazione. Ogni riferimento alla situazione italiana attuale è puramente casuale. Nel gennaio 1990 durante il congresso straordinario della Lega dei Comunisti Jugoslavi, si verificò uno scontro frontale tra delegati serbi e sloveni. Sloveni e croati decisero di ritirare i loro delegati.
Guerra d’indipendenza slovena (1991)
Nel nord della Federazione vennero indette subito libere elezioni, che determinarono la vittoria di forze di centro-destra: in Slovenia la coalizione democristiana Demos formò un nuovo governo, mentre Kučan restò presidente della repubblica; in Croazia i nazionalisti dell'HDZ di Tuđman vinsero le consultazioni (maggio 1990). Nel dicembre 1990 si tenne in Slovenia un referendum sull’indipendenza, o meglio sulla sovranità slovena, dal momento che si parlava anche della costruzione di una nuova confederazione di repubbliche, le cui basi andavano ridiscusse. Data l’indisponibilità serba a rivedere radicalmente l’assetto dello Stato, la sera del 25 giugno 1991 fu convocato in seduta plenaria il parlamento sloveno per discutere e votare l’indipendenza. Nel corso della seduta, poco prima della votazione arrivò la notizia che il parlamento croato aveva dichiarato l’indipendenza della Croazia. Nella piazza centrale di Lubiana il presidente Milan Kučan proclamò l’indipendenza slovena. Il 26 giugno il giornale sloveno Delo di Lubiana pubblicava: «Dopo più di mille anni di dominazione austriaca e più di settanta anni di convivenza con la Jugoslavia, la Slovenia è indipendente». La risposta dell'Armata Popolare Jugoslava (JNA) ci fu il 27 giugno 1991, quando l’esercito intervenne in Slovenia per riprendere il controllo delle frontiere. Iniziò così la prima guerra in Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Janez Janša, divenuto ministro sloveno della Difesa, cercò di costituire un esercito nazionale, soprattutto mediante le milizie territoriali della repubblica, istituite da Tito in chiave anti-sovietica. Gli Sloveni presero il controllo delle basi militari federali nel Paese e delle frontiere con Italia ed Austria.
La guerra (chiamata guerra dei dieci giorni) si concluse rapidamente, essendo la nazione etnicamente compatta e sostenuta politicamente dal Papa Giovanni Paolo II, dall’Austria e soprattutto dalla Germania, che si impegnò subito a riconoscerne l’indipendenza e spinse perché anche l’intera CEE facesse lo stesso. Nel frattempo si ripeté ciò che era successo durante la Prima Guerra Mondiale: il governo federale di Belgrado prese accordi con lo Stato italiano per far evacuare le truppe jugoslave via Trieste. Infatti a Belgrado si asseriva che non esistesse un altro modo per far rientrare le truppe in Serbia. Il presidente della repubblica, Francesco Cossiga, appena ebbe sentore di ciò, immediatamente si recò a Trieste e dalla Prefettura informò i triestini delle intenzioni jugoslave. Alcuni triestini, che ricordavano i 40 giorni di occupazione jugoslava nel 1945, si ribellarono occupando il Comune di Trieste. Fu chiesto al governo sloveno il motivo per il quale non lasciasse evacuare le truppe jugoslave; la risposta del ministro Janša fu immediata, asserendo che nessuno proibiva loro l’evacuazione dalla Slovenia, però, imbarcandosi a Capodistria, tutti i militari sarebbero dovuti uscire dalla Slovenia completamente disarmati. Soltanto agli ufficiali era concesso di portare con sé la pistola di ordinanza. Così infatti avvenne e la crisi triestina rientrò. Se la Serbia fosse intervenuta in forze contro la Slovenia avrebbe causato la reazione dell’Austria, dell’Ungheria e della stessa Germania. Nel luglio vennero firmati gli accordi di Brioni, che prevedevano l’immediata cessazione di ogni ostilità dell’esercito jugoslavo in Slovenia e il congelamento per tre mesi della dichiarazione di indipendenza. La piccola repubblica diventava così indipendente da Belgrado.
Guerra in Croazia (1991-1995)
Lo scontro tra serbi e croati sarà il momento più duro dell’intero conflitto. Le elezioni croate della primavera del 1990 avevano visto la vittoria dei nazionalisti di Tuđman, davanti ai comunisti riformati di Ivica Račan. Nell’estate del 1990, nella regione montagnosa della Krajina (ai confini con la Bosnia) a maggioranza serba, venne proclamata la Regione Autonoma Serba della Krajina. Il 2 settembre si tenne nella stessa regione un referendum per l’autonomia e per una futura congiunzione con la Serbia. Nel marzo 1991 si svolse in Croazia un referendum per la secessione del Paese dalla Jugoslavia. La consultazione venne boicottata nella Krajina, dove la maggioranza serba mosse i primi passi nella direzione opposta, ovvero per la secessione dalla Croazia. Nell’aprile del 1991 venne autoproclamata in Krajina e Slavonia la repubblica serba di Krijna (РСК). Il governo croato la vide come una ribellione. Il 9 aprile 1991 il presidente Tudman, annunciò la costituzione di un esercito nazionale croato. In maggio nelle immediate vicinanze di Vukovar, vennero uccisi in un’imboscata prima due e poi dodici poliziotti croati. Il ministero degli Interni croato iniziò ad armare un sempre maggior numero di appartenenti alle forze speciali di Polizia, sino alla costituzione di un vero e proprio esercito. La dichiarazione di indipendenza (25 giugno 1991) conseguenza diretta dei risultati del referendum, provocò l’intervento militare jugoslavo, deciso a non permettere che territori abitati da serbi fossero smembrati dalla federazione e slegati dalla madrepatria serba. La teoria nazionalista serba diventa così ideologia portante di tutta la Jugoslavia e delle sue guerre. L’attacco dei serbi, iniziato nel luglio del 1991, coinvolse numerose città croate.
Assedio di Vukovar
Il simbolo della guerra serbo-croata è stato l’assedio alla città di Vukovar, nella Slavonia (25 agosto-18 novembre 1991) un territorio in cui serbi e croati riuscivano a convivere serenamente fino a poco tempo prima,. La città fu bombardata e quasi completamente rasa al suolo dai serbi, che impegnarono 20.000 uomini e 300 carri armati. Oltre alle truppe regolari dell’esercito serbo, a Vukovar combatterono anche paramilitari stranieri. Ci furono efferatezze con l’uccisione di centinaia di civili (compresi i malati presenti nell’ospedale cittadino). Il 7 ottobre 1991 una forte esplosione colpì la sede del governo a Zagabria, durante una riunione a cui partecipavano Tuđman, il presidente federale Stjepan Mesić e il Primo Ministro federale Marković. Il giorno seguente il parlamento croato sciolse ogni residuo legame con le istituzioni federali. L’8 ottobre 1991 venne proclamato giorno dell’indipendenza croata. L’JNA si ritirò dalla Croazia entrando in Bosnia, dove la guerra non era ancora iniziata, mentre la Croazia (assieme alla Slovenia) venne riconosciuta ufficialmente dalla CEE (15 gennaio) ed entrò a far parte dell’ONU (22 maggio). Nei mesi successivi il conflitto continuò su piccola scala e le forze croate tentarono di riconquistare le città passate sotto il controllo serbo. Nel frattempo la Croazia venne coinvolta pienamente nella guerra in Bosnia-Erzegovina (iniziata nell’aprile del 1992). Alcune fra le persone più vicine a Tuđman provenivano dalla regione dell’Erzegovina e sostenevano finanziariamente e militarmente i croati di Bosnia.
Nel 1993 scoppiò la guerra fra croati di Bosnia e bosgnacchi (cittadini bosniaci di religione musulmana). Ma intanto la Croazia aveva preparato un vero esercito. Nel novembre del 1994, la Croazia aveva stipulato un accordo militare con gli Stati Uniti per la costruzione di una base militare nell’isola di Brazza, dove la società privata Military Professional Resources, Inc, su contratto del Pentagono, aveva addestrato l’esercito croato. Nei primi giorni di maggio del 1995 venne lanciata dalle forze croate un’offensiva, che dilagò nelle pianure della Slavonia. Nell’agosto dello stesso anno iniziò anche un’offensiva nella regione della Krajina. Obiettivo di queste campagne militari era la riconquista del territorio occupato e controllato dai serbi. Le operazioni militari in Krajina furono approvate dai governi statunitense di Bill Clinton e tedesco di Helmut Kohl, i quali avevano rifornito di armi e strumentazioni l’esercito croato. Più di 200.000 Serbi furono obbligati alla fuga. Ma furono proprio i princìpi espressi dai politici serbi a rendere necessaria la pulizia etnica. Per i serbi, dove viveva un serbo, lì era territorio serbo, quindi per la Croazia era impossibile convivere con i serbi situati nel cuore della regione croata. Le operazioni terminarono con un netto successo militare croato, nonostante la resistenza nell’estate del 1995 di reparti dell’esercito regolare inviati da Belgrado. In parallelo all’offensiva croata ci furono azioni di guerriglia operate da milizie irregolari filo-croate ai danni della popolazione serba. La guerra si concluse pochi mesi dopo nel dicembre 1995. La Krajina, rioccupata militarmente dall’esercito Croato, negoziò una reintegrazione nella repubblica croata.
Il carro T-72 di fabbricazione russa, la principale macchina da guerra nelle guerre Jugoslave
Equipaggio
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3
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Peso (mt)
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44.5
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Lunghezza dello Chassis (m)
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6.91
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Altezza (m)
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2.19
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Larghezza (m)
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3.58
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Pressione sul terreno (kg/cm 2 )
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0.90
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Motore
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840-hp Diesel
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Reggio d’azione (km)
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500/ 900 con serbatoi esterni
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Velocità massima (km/h)
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Su strada
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60
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Fuori strada
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45
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Terreno scosceso
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35
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Profondità di guado (m)
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1.2 senza preparazione/5.0 con lo snorkel
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Corazzatura, fronte della torretta (mm)
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520/950 protezione dal calore
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Corazzatura esplosiva (mm)
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Kontakt oppure Kontakt-5 ERA
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Sistema di protezione NBC
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Sì
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ARMAMENTO
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Calibro, Tipo, Nome
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Cannone senza rigatura da 125-mm, 2A46M/ D-81TM
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Alzo (gradi)
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Da -6 a +14
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Sparare in movimento
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sì, sino a 25 km/h. La maggiora parte degli equipaggi si ferma prima di sparare.
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Calibro, Tipo, Nome
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7.62-mm, (7.62x 54R), mitragliatrice PKT (in torretta orientata con il cannone)
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Calibro, tipo, nome
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12.7-mm, (12.7x108), mitragliatrice AA MG NSVT (sopra la torretta)
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Lanciatore ATGM
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2A46M (sparato dal cannone) . guida laser SACLOS con comando infrarosso
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Rangefinder
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TPD-K1M laser rangefinder
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Missile guidato anticarro
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AT-11/SVIR
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Guerra in Bosnia-Erzegovina (1992-1995)
Nel settembre del 1991 l’Armata Popolare Jugoslava distrusse un piccolo villaggio all’interno del territorio bosniaco, Ravno, abitato da croati, nel corso delle operazioni per l’assedio di Dubrovnik (città croata sulla costa adriatica). Il 19 settembre 1991 l’JNA spostò alcune truppe nei pressi di Mostar. Fino al marzo del 1992 non vi furono scontri tra le diverse nazionalità. All’inizio del 1992 si tenne nella Bosnia-Erzegovina il referendum sulla secessione dalla Jugoslavia. Il 64% dei cittadini si espresse a favore. I serbi boicottarono le urne e bloccarono con barricate Sarajevo. Il presidente della repubblica, il musulmano Alija Izetbegović, aveva chiesto l’intervento dell’esercito, affinché garantisse un regolare svolgimento delle votazioni. Il partito che rappresentava i serbi di Bosnia fece sapere che i suoi uomini si sarebbero opposti all’indipendenza. Sùbito dopo il referendum, che sancì la vittoria degli indipendentisti, l’JNA iniziò a schierare le sue truppe nel territorio della repubblica bosniaca, occupando tutti i maggiori punti strategici (aprile 1992). Tutti i gruppi etnici si organizzarono in formazioni paramilitari. La guerra che ne derivò fu caotica e sanguinosa. Le Nazioni Unite tentarono più volte di far cessare le ostilità, con la stesura di piani di pace che si rivelarono fallimentari. Inoltre le trattative venivano condotte da mediatori spesso deboli e inadatti (come gli inglesi Peter Carington e David Owen) che finirono per far aggravare il conflitto più che pacificarlo. Inizialmente i bosniaci e i croati combatterono alleati contro i serbi, che erano dotati di armi pesanti e controllavano gran parte del territorio rurale, con l’eccezione delle grandi città di Sarajevo e di Mostar. Nel 1993, dopo il fallimento del piano Vance-Owen, che prevedeva la divisione del Paese in tre parti, scoppiò un conflitto armato tra bosniaci musulmani e croati sulla spartizione virtuale della Bosnia. Il bilancio della guerra fu spaventoso: la capitale del Paese, Sarajevo, fu assediata dalle truppe serbo-bosniache per 43 mesi.
Ciascuno dei tre gruppi nazionali si rese protagonista di crimini di guerra e di operazioni di pulizia etnica. Il Centro di Ricerca e Documentazione di Sarajevo ha diffuso le cifre documentate (ma non definitive) sui morti della guerra in Bosnia-Erzegovina: 93.837 accertati (fino al dicembre 2005) di cui 63.687 bosniaci, 24.216 serbi, 5.057 croati. Alla fine il territorio bosniaco venne suddiviso nella federazione croato-musulmana, nella repubblica serba e nel distretto autonomo di Brčko. La guerra si concluse con la firma degli accordi stipulati a Dayton nell’Ohio, alla fine del 1995. La conferenza di pace fu guidata dal mediatore statunitense Richard Holbrooke, assieme all’inviato speciale dell’UE Carl Bildt e al viceministro degli Esteri della federazione russa Igor Ivanov. Terminate le guerre tra i popoli della ex Jugoslavia, iniziò nel 1996 la guerra tra serbi ed albanesi nel Kosovo. In questo caso non era sufficiente fornire armi agli albanesi ma si rese necessario l’intervento diretto della NATO, che lanciò un’offensiva aerea contro la Serbia. Nel 1999 la Serbia dovette arrendersi e lasciare il Kosovo alla forza di pace del Kfor.
Conclusione
In tutta la vicenda della guerra civile Jugoslavia l’Italia inizialmente ha parteggiato per la Serbia, aiutandola poi con il denaro derivante dalla per noi disastrosa operazione Telekom Serbia, dove brillarono personaggi come Lamberto Dini, Massimo D’Alema, Romano Prodi, che fecero pervenire a Milosevic un finanziamento di 900 miliardi di Lire. La brillante operazione finanziaria si concludeva mentre con la partecipazione dell’Italia stava scattando la guerra area della NATO contro la Serbia. Nessuna azione da parte nostra per recuperare i vecchi confini dell’Italia. La Germania, dopo la riunificazione, vendendo armi tradizionali non solo realizzò grandi utili difficilmente quantificabili, ma poté ottenere grandi risparmi rinunciando a programmi per nuovo armamenti che erano stati già decisi e che aveva già sottoscritti prima del 1990. La Germania era diventata molto potente con la riunificazione e quindi poté permettersi di non rispettare gli impegni già presi. Ovviamente per i suoi interessi tagliò drasticamente le collaborazioni con gli altri Paesi europei, e di questo non si è parlato, mentre la Germania ha ampiamente reclamizzato il costo della riunificazione, in venti anni avrebbe speso da 1.200 a 1.700 miliardi di euro. Circa 60 ÷ 85 miliardi di euro all’anno. Questi finanziamenti sono stati destinati al salvataggio ed alla ristrutturazione delle industrie della Germania orientale. Ma come la mettiamo con il divieto tutto liberista di proibire l’aiuto alle industrie, che non possono essere aiutate ma che debbono essere lasciate fallire?
In Italia la Comunità Europea ci proibisce persino di aiutare la pastorizia in Sardegna. E noi accettiamo questo divieto ed invece tassiamo senza pietà gli stessi pastori, che sono stati rovinati dagli inganni delle banche alle quali non si applica alcun divieto, banche che prosperano e regalano come giusto premio per tanta sagacia stipendi e premi di produzione miliardari ai loro dirigenti. Chi ha controllato la veridicità di queste spese? Chi le ha autorizzate a livello europeo? Ma c’è di più. Oltre agli introiti occulti dei guadagni fatti con la vendita delle armi della ex DDR, recentemente la Merkel ha candidamente dichiarato che i capitali dei partiti politici dell’ex DDR, circa 1,73 miliardi di euro, sono stati incamerati e spesi per lo sviluppo industriale dei Länder orientali. Cosa certamente meritevole ma anche in questo caso come la mettiamo con la sacra libera concorrenza?
La Merkel recentemente ha rimproverato Obama perché gli USA non rinunciano ad una parte della loro sovranità a favore di un nascituro governo mondiale, come la Germania avrebbe fatto con il governo dell’Europa. Oh santa ingenuità! Ma la Germania non ha rinunciato proprio a nulla perché anzi si è presa la sovranità di tutti gli altri Stati europei, così come gli USA si sono già presa la sovranità di molti Stati del mondo dopo la menzogna dell’11 settembre e la guerra generale che hanno scatenato contro i terroristi e gli Stati canaglia. Oggi nel Kosovo non è ancora tornata la pace e ai soldati tedeschi della forza Kfor della NATO capita di sparare contro i serbi. È successo il 27 settembre al posto di frontiera di Jarinje, dove i serbi del nord del Kosovo creano blocchi stradali per impedire il movimento dei mezzi corazzati della NATO.
Ecco i giovani germanici molto bene armati nella veste di gendarmi a guardia della pace al confine tra Kosovo e Serbia in una foto apparsa assieme alle notizie dei disordini il 27 settembre 2011
Professor Raffaele Giovanelli
1) Lo Heer (esercito) è la forza armata di terra della Bundeswehr, le odierne forze armate della Repubblica Federale di Germania. Fondato nel 1955, durante la guerra fredda l’esercito della Germania Federale arrivò fino ad un massimo di 345.000 effettivi. Fu suddiviso in un esercito da campagna (Feldheer) assegnato alla NATO, e in un esercito territoriale di 85.000 uomini (6 brigate) sotto comando nazionale. L’esercito da campagna aveva tre corpi d’armata con 12 divisioni e complessivamente 36 brigate. L’esercito territoriale avrebbe protetto le retrovie e la libertà d’azione dell’esercito da campagna e delle forze alleate (altri 5 corpi d’armata). In caso di guerra l’esercito tedesco avrebbe raggiunto la forza di 1.340.000 militari. Dopo la riunificazione della Germania una parte dell’esercito della DDR fu integrato in quello occidentale. Seguirono ristrutturazioni e tagli drastici; molti servizi e reparti ed enti di supporto furono integrati in comandi interforze. Attualmente l’esercito tedesco dispone di circa 100.000 effettivi. Altri 60.000 militari dell’esercito operano in strutture di supporto interforze. Durante la guerra fredda l’esercito tedesco aveva quasi 5.000 carri armati da battaglia, mentre oggi ne sono in servizio meno di 400 (da Wikipedia). 2) L’agenzia Americana: Defense & Foreign Affairs ha svolto approfondite indagini orientate in senso favorevole ai serbi. (The Defense & Foreign Affairs publications On-Line)
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