Le biotecnologie che le multinazionali non vogliono
Michele L.
19 Aprile 2009
Le Biotecnologie, un po’ come l’energia dell’atomo, hanno in sè tecnicamente enormi potenzialità. Il problema non è la tecnica ma l’obbiettivo che con essa si vuol raggiungere. Un coltello non è responsabile se è usato per uccidere o per tagliare la carne a cena...
Quindi esistono le biotecnologie che vengono usate male (da un punto di vista prettamente economico, agronomico e, se applicati all’uomo, etico) e biotecnologie che possono essere usate bene.
Ma sapendo che comanda Mammona e il suo figlio Business, le biotecnologie «buone» poco speculative vivono nella penombra vivacchiando con miseri fondi di qualche piccolo imprenditore o con fondi statali ma dati con descrizione.
Per capire il problema cito l’esempio dei trattamenti post-raccolta delle derrate alimentari (in particolare dell’ortofrutta o comunque dei prodotti freschi). Questa è una problematica fondamentale se si considera che nel (ex) primo mondo si perdono il 20-30% delle derrate per attacchi fungini e\o batterici. Questa sale al 40-70% nel Paesi tropicali ove le alte temperature e l’umidità facilitano la proliferazione dei microrganismi.
Per esemplificare il problema prendiamo l’esempio di una mela trentina che si deve conservare per il maggior tempo possibile e deve arrivare in Sicilia.
La procedura convenzionale è quella di immergerle in vasconi pieni di acqua e... pesticidi (tecnicamente definiti Fitofarmaci o trattamenti post-raccolta).
Avendo studiato la natura chimica di questi composti ho notato che quasi tutti contengono un anello aromatico o un legame immidico che sono notoriamente accostabili alle cancerogenesi. Altri invece hanno una natura steroidea e possono (teoricamente) interferire con i controlli ormonali.
Questi fitofarmaci ammazzano i microorganismi andando ad interferire con le sue funzioni biologiche «a singolo punto». Cioè individuano un solo punto nel pattway metabolico (cioè nelle varie reazioni biochimiche che avvengono) del microorganismo e lo inibiscono in modo tale che quel determinato composto non si formi e il microbo, in sua assenza, perisca. Oppure trovano un punto debole del microrganismo e lo distruggono ammazzando il germe (come agiscono gli antibiotici). Però compare sempre il microorganismo che è resistente a questi trattamenti e rende nullo il fitofarmaco. Questo è possibile per via dell’azione puntiforme del fitofarmaco stesso, un po’ come se vuoi vincere una guerra usando solo gli aerei (USA docet) e non prevedi l’importanza della fanteria, delle truppe corazzate, della marina, ecc...
Quindi le multinazionali fanno uscire, dal cilindro magico dei loro centri di ricerca, nuovi fitofarmaci ancora più potenti rimanendo i padroni indiscussi di questo campo tecnologico e scientifico. Infatti non fa a tempo a scadere il brevetto di un principio attivo che esso è già stato superato dalla natura e la multinazionale l’ha gia rimpiazzato con un neobrevettato pesticida.
Per non avere il problema della perdita delle derrate alimentari oltre al buon senso di mangiare frutti di stagione che provengono dal campo a pochi km dal consumatore (e che quindi non abbisognano di trattamenti) esiste un approccio biotecnologico. In pratica si selezionano dei microrganismi detti «antagonisti» che riescono a controllare la proliferazione (crescita esponenziale) dei microrganismi agenti di danno (cioè che fanno andare a male il frutto). Questi antagonisti non vengono da Marte; infatti sono normalmene presenti su tutte le superfici (anche sul nostro corpo) e tranquillamente li ingeriamo.
Alcuni di essi fanno anche parte (come il genere Lactobacillus) della microflora intestinale con evidenti benefici di salute. Possiamo dire tranquillamente che non hanno alcun effetto sull’uomo o che nl’effetto che danno è positivo. Questi microrganismi con vari meccanismi (competizione, micovirus, predazione, ecc) riescono a controllare i microrganismi «cattivi» colpendolo su vari fronti (strategia a più punti o biotica) sicchè il microrganismo fitopatogeno (quello cattivo) viene mantenuto a bassi livelli che impediscono sia la fuoriuscita dei marciumi che la nascita di super-patogeni.
Questa biotecnologia ha per la pecca di non essere economicamente remunerativa per il costitutore poiché non brevettabile. Infatti non si può brevettare qualcosa che c’è già in natura, non si è inventato niente, al più si è scoperto qualcosa. E le scoperte vengono ricompensate con una pacca sulla spalla e un minimo di riconoscimento e non con i milioni di euro di diritto d’autore. Siccome le multinazionali non si accontentano di una pacca sulla spalla, che ne dite se diamo loro due pedate dove non batte il sole?
Michele L.
(lettore EFFEDIEFFE)
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