L’oro non è caro
25 Aprile 2009
Un lettore ha scritto che l’oro è ormai troppo caro. Non è questo il parare, fra gli altri, di Europe 2020, che si stupisce del contrario: come mai, nonostante da mesi grossi investitori si buttano a investire parte del loro portafoglio in oro, «fino a provocare scarsità di lingotti e conii su vari mercati», l’oro rimane ancorato sui 920 dollari l’oncia?
L’oro è fortemente manipolato, dagli Stati e dalle Banche Centrali, che vi vedono un nemico mortale: ossia, in tempi di crisi, un rivale invincibile per le loro monete create ex nihilo. E ce n’è stato un indizio molto recente.
«L’oro rischia di salire a 1.500!»: così ha lanciato l’allarme il Telegraph il 20 aprile
(1). Il perchè, lo ha spiegato Charles Gibson, un analista aureo alla Edison Inbestment Research. Gli attuali tassi d’interesse sono negativi (ossia non coprono l’inflazione) e ciò inceppa il meccanismo del «leasing» dell’oro,
Di che si tratta?
«In tempi normali - dice Gibson - le aziende minerarie vendono una parte del loro prodotto in anticipo attraverso le banche dell’oro. Queste banche coprono le loro posizioni «affittando» (leasing) l’oro dalle Banche Centrali. Questo traffico crea normalmente un eccesso di fornitura di 500 tonnellate ogni anno».
Ma tassi negativi, nessuno è così fesso da prestare o «affittare» oro. Chi presterebbe 100 grammi d’oro per averne poi indietro 97? Il sistema finanziario lo fa con la moneta-debito, nel gran gioco delle tre tavolette che si chiama inflazione; infatti sono le banche che creano la moneta come debito, e sanno come guadagnarci spelando il debitore. La moneta-debito è un «attivo» che dipende dai debiti di qualcuno, una controparte che può essere insolvente. L’oro ha il suo attivo dentro di sè.
Sicchè, ora che i tassi reali d’interesse sono negativi, «il processo del leasing è stato rovesciato, creando una penuria di 500 tonnellate». E il processo si accelera quanto più i tassi diventano negativi, fino a «far correre gli attori di questo mercato ad accaparrarsi oro fisico».
A conferma dell’allarme (e della manipolazione), già ai primi d’aprile il G-20 aveva dato il via libera al Fondo Monetario Internazionale (che detiene 3.200 tonnellate d’oro: il terzo detentore dopo USA e Germania) di venderne 430 tonnellate. Una quantità molto vicina a quelle 500 tonnellate venute a mancare nel cosiddetto «mercato» dell’oro in leasing. Il solo annuncio (è dubbio che la vendita sia avvenuta) era bastato a far calare i «futures» in oro del 2,2%, a 905 l’oncia. La Banca Centrale Europea ha già venduto - e l’ha fatto sapere - 35,5 tonnellate d’oro, sempre per raffreddare il mercato
(2).
L’effetto non pare sia durato molto. Il 22 aprile, il solito Telegraph
(3) segnalava: «La corsa agli ETF (speciali fondi d’investimento) in oro è continuata nel trimestre, periodo nel quale gli investitori hanno comprato 469 tonnellate d’oro, il triplo del precedente trimestre, che era già stato un record (145 tonnellate). Ora l’ammontare totale di oro in ETF è di 1.658 tonnellate, pari a 48,6 miliardi di dollari, secondo il World Gold Council».
Si noti en passant: il caro Bernie Madoff, con la sua truffa, ha fatto sparire da solo patrimoni finanziari per 50 miliardi. Quanto valgono, oggi, 1.700 tonnellate d’oro. E’ davvero caro, l’oro ai prezzi attuali?
Le ragioni per questa corsa, secondo il Telegraph, sono: la «risk aversion» che continua nella finanza, l’incertezza sui prezzi, la una nuova e vigorosa ricerca di qualcosa per «diversificare» i portafogli, devastati da tutti gli altri «attivi»: azioni, titoli, mutui, divise, persino materie prime.
L’oro salva dall’inflazione, eppure ci sono oggi tendenze alla deflazione. Ma, come spiega il Telegraph, «entrambi gli scenari sono positivi per l’oro. L’oro non è efficace solo nelle crisi della finanza. Gli specialissimi meccanismi della domanda e dell’offerta del metallo fanno sì che le variazioni di prezzo dell’oro non si correlano con i prezzi degli altri attivi finanziari, qualunque sia la salute del sistema finanziario o dell’economia». Ossia: l’oro non dipende dai debitori.
La stessa finanza britannica scopre dunque che l’oro va sempre bene come rifugio. E da 920 può salire a 1.500 (successe già negli anni ‘70). E’ caro?
E’ un immobilizzo, certo. Dunque caro se ci sono in giro investimenti più attraenti, ossia se l’economia è in ripresa vigorosa e se il sistema bancario del credito (che crea moneta) è sano e forte. L’oro serve a salvarsi dalla bancarotte sovrane (di Stato) e dalle insolvenze bancarie gigantesche.
Come stanno le banche europee?
La risposta viene dall’economista francese Eric Dor, direttore dell’IESEG di Lilla: le banche europee sono messe peggio di quelle americane
(4). Già secondo il FMI, le perdite totali delle banche mondiali possono arrivare a 4.508 miliardi di dollari - perdite sugli «attivi» (ossia sui prestiti fatti) solo negli Stati Uniti - più altri 898 miliardi per gli «attivi» di altre parti del mondo. La ripartizione delle perdite potenziali si calcola in 2.212 miliardi per le banche USA, e di 1.607 per le europee.
Ma attenzione: il totale degli «attivi» (prestiti accesi, su cui i debitori devono continuare a pagare gli interessi più i ratei di restituzione del capitale) delle banche europee ammonta a 25 mila miliardi di euro, ossia al 270% del prodotto interno lordo della zona euro - ossia tre volte la ricchezza che i debitori delle banche producono ogni anno. Se vi si aggiungono gli «attivi» delle nostre banche verso l’europa dell’Est e gli USA, si sale a 41.000 miliardi di euro. Ossia il 400% del PIL europeo.
Si aggiunga il tasso eccessivo di «leverage» delle nostre banche, più alto di quello USA: Deutsche Bank è ha prestato 59 volte il suo capitale, UBS 47 volte, Dexia 65 volte... Cosa significa? Che basta che pochi debitori (più pochi che in USA) diventino insolventi, perchè la nostre banche vadano in fallimento.
Ricordiamo: tutti gli «attivi» delle banche sono i passivi di qualcun altro. Tutta la pseudo-moneta che creano, la creano dal nulla prestando a privati e aziende (e a Stati). Il valore di questi «attivi» dipende dal fatto che questi debitori continuino a sgobbare a guadagnare, che le aziende producano e smercino le loro merci con buon profitto, in modo che continuino a «servire» il debito, ossia a restituire i ratei del capitale più gli interessi. Se smettono di pagare perchè licenziati o falliti, quegli «attivi» valgono molto poco. O nulla.
Guardatevi attorno: come funziona l’economia europea? Vi pare che prosperi, che le fabbriche marcino a tutto spiano, che i consumatori aumentino i loro consumi? Tanto per cominciare, le imprese nostre sono più indebitate di quelle USA: al 95% del PIL europeo, contro il 50% del PIL USA per le aziende americane.
Nella zona euro, la produzione industriale è caduta del 18,4% in un anno (e del 2,3% nel solo mese di febbraio). Le vendite di auto nuove, sono cadute del 17%, con punte del -43 in Spagna e del meno 64,6 in Irlanda. La Germania fa eccezione, ma solo per lo sconto di 3 mila euro su ogni auto decretato dallo Stato, e dunque pagato dai contribuenti: trucco di breve durata. Gli ordinativi crollano dovunque. I prestiti alle imprese, specie alle piccole e medie, sono diventati un sogno proibito. La disoccupazione aumenta dalla Spagna (già oltre il 17%, e sfiorerà il 20% nel 2010) alla Germania, coi suoi 4 milioni di disoccupati, dove si temono disordini sociali
(5).
Conclusione: è molto improbabile che i debitori delle banche continuino, entusiasti, a «servire» il debito, e dunque a pompare «valore» nei cosiddetti attivi. E’ persino possibile che gli Stati, dissanguati dallo sforzo di iniettare capitali in banche e imprese, diventino essi stessi insolventi. E che l’euro, come il dollaro, perda potere d’acquisto in modo tragico. Perchè anche l’euro è un attivo che corrisponde al passsivo di qualcuno, che giorno dopo giorno diventa più insolvente. Una seconda crisi bancaria a fine estate diventa probabile, con buona pace di chi vede la luce in fondo al tunnel.
Ricordiamo: Deutsche Bank ha riserve sufficienti a coprire un tasso di insolvenze dello 0,7%, e ha già «attivi non performanti» (insolvenze) dell’1,67%. Il Crédit Agricole ha riserve bastanti per 2,63% di defaults, ma un tasso crediti andati a male per il 3,64%. Delle banche italiane taciamo, perchè sono le meno trasparenti. Per confronto, Citigroup, il colosso in pericolo USA, ha riserve per far fronte al 4% di insolvenze, e insolvenze per il 3,22%. JP Morgan ha riserve atte a coprire il 3,11%, e insolvenze in atto pari all’1,95%.
L’oro comincia a parere a buon prezzo.
Attenzione però: il gran traffico di oro di questi mesi è condotto essenzialmente in titoli-oro, certificati, futures, ETF, ossia in oro-carta. Sostanzialmente, si tratta di certificati che vi assicurano che siete proprietari di uno, dieci o cento chili d’oro, che dorme in una cassaforte - precisamente nella cassaforte dell’istituto che ve l’ha venduto, e che potete ritirarlo a richiesta. E’ molto più comodo che portarsi 100 chili d’oro a casa e seppellirli nel giardinetto.
I venditori di oro in certificati devono, per legge, possedere il 90% di oro fisico rispetto ai certificati che emettono. Credete che lo detengano veramente? Che questi operatori, situati a Wall Street e alla City, siano la luminosa eccezione in un mondo di truffatori finanziari, quale quello di cui abbiamo cominciato a conoscere le imprese criminose?
Secondo Europe 2020, «il mercato dell’oro-carta non funziona più secondo le norme, e che certi operatori non rispettino il vincolo del 90% di oro fisico in garanzia. Impossibile sapere a quale livello di copertura agiscano, ma è probabile che sia oggi molto basso, in ogni caso a un livello che porrebbe problemi gravi se metà dei loro clienti esigesse la conversione dei loro certificati in metallo fisico».
E’ già avvenuto in passato. In fondo, il dollaro fino al 1970 era un certificato-oro, la FED garantiva che fosse coperto in metallo fisico. Poi Nixon nel 1971 annunciò che non era vero, che l’oro non c’era in cassa, e che il venditore dei certificati, lo Stato, non avrebbe onorato i contratti.
Naturalmente, il corso dell’oro dipende dall’offerta: ossia da quanto oro le Banche Centrali sono disposte a vendere per farne abbassare il prezzo.
Ebbene: gli Stati Uniti sono i massimi detentori di oro, e da qualche anno, con vari trucchi (cambiando i nomi delle diverse componenti delle loro riserve oro), non fanno più sapere quanto ne hanno realmente nel leggendario Fort Knox - chissà perchè. In ogni caso, la riserve oro degli USA, se vendute, non renderebbero più di 300 miliardi di dollari ai prezzi attuali: una briciola ridicola rispetto alle migliaia di miliardi impegnati dallo Stato americano per i suoi «salvataggi» bancari. L’equivalente di sei Bernie Madoff... Per la FED, vendere oro, non risolve alcun problema. E non ha abbastanza oro per manipolare ancora i prezzi al ribasso a lungo
(6).
Dunque l’oro non è caro. Del resto, come dice giudiziosamente Europe 2020 raccomandando di tenere un po’ di metalli preziosi, «non si tratta assolutamente di approfittare dell’evoluzione dei corsi dell’oro, ma della sicurezza dell’investimento realizzato: che l’acquirente abbia un pezzo d’oro nelle mani, anzichè un pezzo di carta senza valore». Sia azione, prodotto finanziario, o certificato-oro.
A questo siamo. Non si tratta più di speculare, ma di avere monete che il contadino sia disposto ad accettare in cambio del suo mezzo quintale di fagioli con cui sfamerete la famiglia, quando le altre monete-debito non gli parranno valere nemmeno un fagiolo.
Certo, se arriveremo a questo, far sapere che si detiene oro può suscitare le malevolenti attenzioni di criminali. E’ il rischio dei periodi duri, di collasso sociale. E non è il solo. Il vero grande criminale in questi casi estremi, può essere lo Stato.
L’oro è «confiscabile» in tempi di crisi. E’ già accaduto più volte nella storia, che lo Stato vieti il possesso di oro ai privati, e li obblighi a venderglielo a prezzi ridicoli. Non può succedere nelle «democrazie», direte voi.
Beh, la più grande e democratica democrazia della storia, la democrazia-modello, ossia gli Stati Uniti, hanno vietato la detenzione di oro anche in gioielli nel 1934, in piena depressione rooseveltiana. E questi divieto, nella democrazia pùdemocratica di tutte le democrazie mai esistite, è stato mantenuto fino al 1974.
Nel libero Paese, i liberi americani non potevano avere nemmeno una catenina al collo.
1) Ambrose Evans-Pritchard, «Gold price could hit $1,500», Telegraph, 20 aprile 2009.
2) Moming Zhou, «G20 supports IMF's plan to sell 403 tons of gold», Market Watch, 2 aprile 2009.
3) Ambrose Evans-Pritchard, «Gold: Inflows into ETFs up by more than 300pc», Telegraph, 22 aprile.
4) Eric Dor, «La périlleuse situation des banques européennes! ContreInfo, 24 aprile 2009.
5) Ambrose Evans-Pritchard, «Germany’s slump risks ‘explosive’ mood as second banking crisis looms - Warning that downturn will see unemployment hit 4.7m by 2010», Telegraph, 23 aprile 2009.
6) Tanto più che Pechino ha ammesso che sta cambiando le sue reserve di dollari in oro (400-600 tonnellate). Vedi Alfred Cang e Tom Miles, «China admits to building up stockpile of gold», Reuters, 24 aprile 2009.
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