Le manovre anti-russe di Obama
30 Aprile 2009
A nostra insaputa (come sempre), la NATO terrà dal 6 maggio manovre militari congiunte con l’esercito della Georgia. Diciannove Paesi dell’Alleanza Atlantica e anche non appartenenti ad essa, parteciperanno a queste esercitazioni a fianco di un regime – quello di Shakashvili – che è proprio in questi giorni contestato da manifestazioni continue di oppositori
(1). Un regime pericolante dopo la guerricciola che ha scatenato e perso – con armi e addestramento israeliano – per riconquistare le regioni secessioniste di Abkhazia e Ossezia del sud. Le manovre militari si terranno in Georgia, i militari stranieri saranno di base a Vaziani, a venti chilometri da Tbilisi, e dureranno fino al primo giugno. Una vera provocazione contro Mosca.
«Lo svolgimento delle manovre non contribuisce alla ripresa della cooperazione tra l’Alleanza e Mosca, ma, invece, rischia di complicarle», ha detto il presidente Dmitry Medvedev, il quale ha chiesto l’annullamento delle manovre in Georgia, annunciando per reazione l’annullamento della riunione del Consiglio NATO-Russia in programma per il 7 maggio.
E «la cancellazione di questo incontro potrebbe non essere l'unica misura», scrive la giornalista Ksena Pronin: «Anche il transito delle merci militari in Afghanistan e la realizzazione delle attività congiunte, sia a livello politico che militare, sono messe a repentaglio».
Come si ricorderà, Mosca ha consentito il transito via terra, sul suo territorio, di materiale logistico essenziale alle truppe NATO in Afghanistan (fra cui i nostri soldati); ora questro favore viene ricambiato con una provocazione, e il transito viene messo in pericolo perchè Washington si ostina a sostenere un regime che è detestato ormai anche dai georgiani.
Dall’ex ambasciatore indiano Bhadrakumar
(2) apprendiamo che Francia e Germania hanno declinato l’invito alle manovre, per non irritare i russi. Dalla Pronin apprendiamo che anche il Kazakhstan, la Lettonia e l’Estonia hanno avuto il buon senso di rifiutare la loro partecipazione alle manovre in territorio georgiano.
Apprendiamo invece che vi partecipa l’Italia. Partecipazione «incomprensibile» sottolinea la Pronin, visto che l’Italia ha «nella ENI la azienda leader nel settore energetico in quella stessa area caspiano-caucasica (vedi: giacimento di Kashagan), alleata alla Russia ed al Khazakistan; in pratica simula l’esercitazione di una «guerra contro se stessa», come ai tragici tempi dell’ARMIR. E, come allora, nell’ esclusivo interesse britannico».
E’ facile cogliere la implicita minaccia. Ringraziamo Frattini e La Russa, se, per il loro servilismo verso Usraele, perderemo i contratti petroliferi e la partnership privilegiata con il Paese da cui dipendiamo per un quarto delle nostre forniture energetiche.
L’autolesionismo idiota di questa adesione militarista alle voglie di Washington – la sola che ha interesse a sostenere il regime di Sakashvili – è confermata da un fatto: la stessa Unione Europea si prepara a dichiarare che fu la Georgia, e non Mosca, a scatenare la guerricciola dell’agosto scorso. Sakashvili ha sempre dichiarato che si stava solo difendendo da un’invasione di carri armati russi.
Ora Der Spiegel
(3) ha rivelato che in mano all’apposita commissione d’inchiesta UE c’è un «documento segreto» che «prova che il presidente georgiano pianificò una guerra di aggressione in Sud Ossetia». Si tratta di un «Ordine numero 2», datato 7 agosto 2008, in cui i comandi georgiani non dicevano che stavano difendendosi da un’aggressione, ma che si muovevano per «ristabilire l’ordine costituzionale» – ossia per prendersi la Osssetia.
La UE ha confrontato questo documento in sua mano con un’intervista, rilasciata alla TV dal generale georgiano Mamuka Kurashjvili il 7 agosto: il cosiddetto generale usò allora proprio le parole «ristabilire l’ordine costituzionale». Quel giorno aveva già ammassato 75 carri armati e 12 mila uomini addestrati dai consiglieri militari USA e israeliani al confine della Sud-Ossetia. L’8 agosto, il presidente Sakashvili proclamò che «la maggior parte del territorio del Sud-Ossetia è stato liberato». Solo l’11 agosto cambiò versione, e annunciò che la Georgia agiva «per autodifesa». A quel punto, le forze armate russe avevano spazzato via il ridicolo esercito israelo-georgiano ed erano arrivate a 30 chilometri da Tbilisi.
Sono stati i russi – le cui truppe, è comprovato, solo l’8 agosto (ad attacco georgiano iniziato) percorsero il tunnel di Roki che unisce la Sud-Ossezia al Nord-Ossezia (territorio russo) – a fornire alla commissione UE il documento chiamato «Ordine numero 2»: il generale Anatoly Nogovitsyn, vice-capo dello Stato Maggiore russo, ha deposto presso la commissione europea e ha detto che le forze armate di Mosca avevano intercettato tale «ordine», che conteneva appunto la frase sul «ristabilimento dell’ordine costituzionale».
Fatto significativo: Shakashvili, richiesto dalla UE di mostrare l’originale dell’Ordine numero 2, non ne ha negato l’esistenza; solo, si è rifiutato di consegnarlo agli atti, sostenendo che è segreto di Stato. Il suo ministro Temur Yakobashvili, che è cittadino israeliano, ha ritorto alla UE che la commissione d’inchiesta europea è... finanziata da Gazprom; una vera chutzpah da parte di un figlio di Yakob, che ha indignato i membri della commissione, la diplomatica svizzera Heidi Tagliavini e l’ex ambasciatore tedesco in Georgia Uwe Schramm, nonchè l’ex ministro degli Esteri Joshcka Fischer, che è consulente della commissione.
Le manovre NATO-georgiane fanno parte di ben altre concertate manovre, trame e mene americane per isolare la Russia, approfittando della sua crisi economica dovuta al crollo del petrolio. Grandi operazioni a suon di mazzette sono in corso per staccare dalla Russia il Tajikistan, l’Uzbekistan e il Turkmenistan, con offerte di pagare le materie prime energetiche di questi Paesi più di quanto faccia Mosca, purchè non passino per i gasdotti e oleodotti russi.
Convinto (dai dollari), il dittatore dell’Uzbekistan ha mancato di partecipare a due importanti incontri nella sfera d’influenza di Mosca: la riunione dei ministri degli Esteri del CSTO (Collective Security Treaty Organization) di Yerevan in Armenia, e la conferenza della Shanghai Cooperation Organization sull’Afghanistan che si è tenuta un mese fa a Mosca.
Gazprom, per tenersi vicini questi staterelli del Caspio petrolifero, aveva offerto prezzi europei per i loro prodotti energetici. Oggi, col calo dei corsi petroliferi ed anche della domanda di gas e petrolio dall’Europa a causa delle recessione, il colosso russo non può permettersi questi costi – e nemmeno, attualmente, ha bisogna di tanto gas e petrolio, visto che ne esporta di meno. Di questa difficoltà ha approfittato l’amministrazione Obama per disarticolare la zona d’influenza russa.
Obama ha anche nominato suo «inviato per l’energia eurasiatica» (sic) Richard Morningstar, un energico diplomatico (attivo sotto Bill Clinton): si tratta dell’uomo che è riuscito ad attuare l’oleodotto BakuTbilisi-Ceyhan, il cui scopo è di portare il petrolio del Caspio in Europa (Ceyhan è in Turchia) lasciando fuori la Russia. Il che significa un nuovo alito di vita nel «Nabucco», il progetto – che incontra difficoltà – di gasdotto da 3.300 chilometri che dovrebbe portare il gas del Caspio in Austria attraverso la Turchia e i Balcani.
Morningstar si è persino dichiarato «aperto» alla possibilità che il gas del Caspio arrivi in Europa (tenetevi forte) attraverso l’Iran – lo Stato che Israele non cessa di minacciare di incenerimento, e verso cui Obama moltiplica le avances, a parole. Anche in questo caso, con lo scopo di tagliar fuori la Russia dai suoi mercati in Europa (
4).
E’ evidente che le manovre militari georgiane fanno parte di un più vasto piano, che è insieme anti-russo ed anti-europeo. Vi si riconosce la mano di Zbigniew Brzezinski, membro del Council on Foreign Relations, ex docente di Obama alla Columbia University, e ora mente pensante del suo Consiglio di Sicurezza Nazionale.
Brzezinski è ostile ad Israele come un impiccio agli interessi imperiali USA, ed insieme, è ossessionato dal progetto (che lui ha formulato) di isolare Mosca e ridurre la Russia a «media potenza asiatica», troncandone i legami con l’Europa occidentale. Molto significativamente, il Consiglio di Sicurezza Nazionale di Obama è il generale Jones, che è stato un comandante supremo della NATO.
Secondo Meyssan (
5), la strategia di Brzezinski parte dalla constatazione che il collasso finanziario USA è una crisi di strategia imperiale; e contrariamente a quel che accadde nel 1939 (dove la guerra fu la soluzione alla depressione del 1929), stavolta la guerra è il problema: troppi impegni, troppi pantani in Afghanistan e Iraq.
La linea d’azione dev’essere dunque triplice: da una parte, obbligare i flussi di capitali a rientrare in USA destabilizzando i Paesi sviluppati concorrenti ossia europei (la «lotta contro i paradisi fiscali» decretata al G-20 farebbe parte di questo piano); mantenere l’illusione della potenza militare americana continuando l’occupazione dell’Afghanistan, cercare di resistere alle richieste più arroganti di Israele, per concentrarsi sul «grande scacchiere» centro asiatico: ossia disarticolare la nascente semi-alleanza Russia-Iran-Siria, e soprattutto la lasca alleanza Cina-Russia, la Shanghai Cooperation Organization. Il tutto con azioni clandestine e pressioni occulte, per dare al Pentagono il tempo di riorganizzarsi.
Obama dunque è solo il commesso viaggiatore di una politica imperiale che tenta di sopravvivere al di là dei suoi mezzi.
Secondo Meyssan, è una strategia che non riuscirà, a causa della «vastità della crisi economica» americana. Alla fine, l’azione degli Stati Uniti si limiterà al mantenimento dello status quo, ad impedire che dei nuovi attori internazionali possano prendere il suo posto egemone. Ma intanto, le manovre militari in Georgia servono ad integrare l’esercito dello staterello nella NATO, e l’Italia partecipa a questa strategia contraria ai propri interessi nazionali.
MANOVRE TURCO-SIRIANE - Per contro, in questo grande gioco va segnalato l’atteggiamento di Ankara: la Turchia terrà esercitazioni congiunte con le forze armate della Siria – un fatto senza precedenti – in un’area che da 25 anni vede i sanguinosi attacchi dei separatisti curdi. Il fatto ha ovviamente allarmato Israele, che ha con la Turchia (membro della NATO) una sorta di alleanza, e che considera la Siria suo nemico mortale
(6).
Così preoccupata, che Sion ha contattato i generali turchi dunmeh (giudei sabbatei), la quinta colonna «laica» su cui può contare per tenere in riga Ankara. L’analista strategico ebreo Efraim Inbar, direttore del «Begin-Sadat Center for Strategic Studies della Bar Illan University di Tel Aviv (Mossad) ha chiamato i generali dunmeh ed è stato in grado di riferire al Jerusalem Post che «le forze armate turche non sono per niente contente della faccenda».
Ma gli alti gradi militari turchi, ha aggiunto la spia israeliana, hanno le mani legate: da un anno è in corso un repulisti tra i gallonati, accusati (con molte prove) di aver pianificato un colpo di Stato per eliminare l’attuale partito al potere, l’islamista AKP. E’ il famigerato scandalo «Ergenekon» (la Gladio turca), che ha portato a duecento arresti, fra i quali si contano decine di alti ufficiali e almeno un agente del Mossad, Daniel Levi, oggi riparato in una sinagoga di Toronto.
Ancora la settimana scorsa quattro ufficiali turchi sono stati arrestati, ed è stato scoperto un deposito occulto di armi. La milizia segreta Ergenekon è praticamente smantellata e sotto i riflettori dell’opinione pubblica.
I generali dunmeh hanno detto a Efraim Inbar che, data la situazione, «l’armata entrerà in azione solo se c’è una minaccia al carattere secolare dello Stato». Secolare significa, nella lingua di legno degli eredi di Ataturk, «massonico».
Gli isareliani non hanno potuto che lamentarsi pubblicamente: «La Siria è un alleato dell’Iran, e il suo esercito è armato dai russi. Di queste esercitazioni congiunte devono chiedere conto Bruxelles (il quartier generale della NATO) e Washington. Sono certo che gli USA hanno già chiesto chiarimenti», ha detto Inbar.
E chi poteva dubitarne?
E pensare che nel 1998 tra Ankara e Damasco si era sfiorato il conflitto armato. La Turchia ammassò truppe ai confini e minacciò di invadere la Siria, se non avesse consegnato il capo dei terroristi curdi, il famoso Ocalan. La Siria si piegò ed espulse Ocalan, chiudendo i campi del PKK (partito comunista curdo) che aveva lasciato aprire sul suo territorio.
Al salvataggio di Ocalan si prestò il deputato rifondarolo comunista Ramon Mantovani, che lo fece arrivare a Roma il 12 dicembre 1998, accompagnandolo alla polizia italiana e pretendendo che al terrorista fosse dato asilo politico. La cosa mise in grave difficoltà il governo (D’Alema), perchè i turchi minacciarono immediatamente ritorsioni economiche. Dopo altri mesi di peregrinazioni, Ocalan fu catturato due mesi dopo a Nairobi da elementi dei servizi segreti turchi – oggi è all’ergastolo.
«La cattura fu resa possibile grazie ai buoni uffici dell’intelligence israeliano», lamenta oggi Inbar. Quando si dice l’ingratitudine.
Ma, come si ricorderà, i rapporti con «l’alleato» israeliano sono cambiati da quando il primo ministro turco Erdogan ha accusato clamorosamente Israele, non Hamas, di aver rotto la tregua a Gaza, e di aver commesso atrocità nella guerra conseguente. Da allora, la politica estera turca è diventata sempre più autonoma dall’asse NATO-Washington-Israele, e sempre più arditamente indipendente, in senso neo-ottomano, verso i Paesi dell’area centro-asiatica.
Per esempio, Ankara ha appena annunciato ufficialmente l’acquisto di armamenti russi, precisamente dei sistemi missilistici anti-aerei S-400 Triumph. I ministri della Difesa dei due Paesi si sono incontrati a febbraio e si sono accordati di intensificare le relazioni militari nonostante la Turchia sia un membro della NATO.
Nella NATO, ai primi di aprile, i turchi si sono opposti alla nomina come segretario generale dell’Alleanza Atlantica del danese Anders Rasmussen, con il pretesto che questo personaggio era implicato direttamente nella pubblicazione delle famigerate vignette blasfeme antiMaometto, che hanno uscitato clamore nei Paesi islamici. In realtà, Rasmussen è un noto servo dei neocon israelo-americani. Ha diretto un governo di centro destra che si è messo immediatamente al servizio di George Bush, di cui ha sostenuto nel 2003 l’invasione dell’Iraq; giungendo ad inviare trupppe danesi, e rompendo così un secolo di tradizione neutralista della Danimarca. Sotto il suo governo, la Danimarca è stato il primo Paese europeo ad inviare truppe in Afghanistan, e quello a dare il maggior numero di soldati per queste operazioni, in rapporto alla popolazione del Paese. Ha anche sostenuto pubblicamente il «diritto» americano di detenere presunti terroristi a Guantanamo, senza capo d’accusa e senza difensori, come «enemy combatants».
Ankara sta lucidamente tirando le conseguenze della crisi epocale, economica e strategica, degli Stati Uniti e del suo sistema di egemoni in piena dislocazione. Ci piacerebbe si potesse dire lo stesso dell’Italia.
1) Da giorni il palazzo presidenziale di Tbilisi è assediato da manifestanti che chiedono le dimissioni di Saakashili, e rifiutano di disperdersi finchè il dittatore non indirà nuove elezioni. A guidare le manifestazioni sono personalità come Nino Burjanadze, uno dei bracci destri della «rivoluzione colorata» che mise Saakashvili al potere, e Irakli Alasania, già ambasciatore della Georgia all’ONU. Saakashvili ha risposto facendo arrestare dieci membri dell’opposizione. Nel 2007 stroncò manifestazioni simili scatenando la sua polizia contro i manifestanti. In queste condizioni, e con questo regime, la NATO compie manovre congiunte.
2) M. K. Bhadrakumar, «West traps Russia in its own backyard», Asia Times, 25 aprile 2009.
3) Conn Hallinan, «Georgian Plots? Saakavili’s Order number 2», Counterpunch, 28 aprile 2009.
4) M. K. Bhadrakumar, «US promotes Iran in energy market», Asia Times, 28 aprile 2009.
5) «Entretien avec Thierry Meyssan», Réseau Voltaire, 14 aprile 2009.
6) «Israel "troubled" by Turkish-Syrian military drill», Reuters, 27 aprile 29009.
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