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La svendita del pensiero cattolico
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La ragione della Chiesa è guidare il pensiero umano alla sua Causa; al Pensiero e al Verbo di Dio. Questo è essenzialmente il senso della Religione derivata dal Pensiero che deve guidare le volontà, a immagine e somiglianza della Volontà di Cristo. A questa luce si può intendere il senso nefasto delle eresie come pensieri che divergono dal Pensiero che costituisce la Religione di Dio, fuori della quale non c’è salvezza per l’uomo, essere capace di pensiero e perciò di un volere cosciente.
Lasciamo allora un po’ da parte tutto quel sapere della Scolastica, dei grandi Dottori della Chiesa e del Magistero sui problemi generali del pensare lungo i tempi, per attenerci soltanto alle verità cruciali della Fede, ossia le «alienazioni» storiche dell’uomo, per il cui condono il Verbo divino s’è incarnato e istituì la Chiesa. La Chiesa, quindi, ha per missione formare le coscienze nella Dottrina derivata dal Pensiero divino, per condurre le anime al condono del Peccato originale (generale).

Da questo derivano tutti i peccati e la stessa condizione decaduta dell’uomo. E riconoscere la «colpa alienante» è la prima condizione per l’assoluzione divina. Torniamo allora al peccato, che si può descrivere come alienazione del bene in favore del male, come risultato di una deliberata scelta mentale dell’errore e del falso da parte delle anime, ma anche delle società e dei popoli. La prima alienazione dei primi genitori fu quel grave errore di disubbidienza alla Parola di Dio e l’adesione al falso «bene» proposto dal nemico di Dio e degli uomini. Per sanarlo Dio Padre ha voluto eleggere un popolo per accogliere e predicare il Verbo di Dio incarnato. Il rifiuto del popolo ebreo di raccogliere e proclamare la divina venuta, a favore di un pensiero centrato sul potere terreno, rappresenta la seconda alienazione storica. Davanti a queste «alienazioni» cruciali della storia umana, che mettevano in rischio la via per salvare gli uomini, il Verbo di Dio incarnato istituì la Chiesa per proclamare e applicare alla vita di tutti i popoli la Via che quel popolo aveva rifiutato.

Una diametrale opposizione universale di obiettivi che coinvolge l’intero mondo. Tra l’insuperabile splendore e benevolenza dell’evento Incarnazione e la gravità del suo rifiuto da parte del popolo eletto per il privilegio d’accoglierlo e onorarlo, era inevitabile che derivasse una frattura d’ordine «teologica». E’ il disaccordo intrinseco, inconciliabile tra la Fede cristiana e quella che sussiste per la sua sconfessione. Certo questi termini si applicano tra la Fede della Chiesa e quella della Sinagoga negazionista, non per le persone che si possono convertire, come spesso è successo.

Quindi, l’abbaglio inaudito del Vaticano II, che ora si prolifica all’infinito, è la ricerca della conciliazione tra opposti. La conciliazione con persone e popoli è possibile e anche desiderabile; tra fedi contrarie è fumo modernista e… satanico, poiché sarebbe come voler conciliare il Mandato divino e la tentazione del serpente; la venuta di Cristo e la Sua negazione; la Religione di Dio che si è fatto Uomo e la fede nell’uomo che si fa dio. Insomma, una religione della conciliazione ribaltata! 
Il disaccordo inconciliabile della storia. Quanto ricordato implica che dal tempo dell’Incarnazione divina il corso della storia umana si svolse come una lotta ben precisa, anche se spesso sorda e invisibile ai più, come è inevitabile per uno scontro d’ordine teologico. La via cristiana della Chiesa è quella della conversione per la salvezza di tutti, secondo la Nuova Alleanza.

Il disegno della Sinagoga talmudica è quella di screditarla diffamando Gesù Cristo, Sua Madre, e la Sua Fede, in nome dell’antica Alleanza. Tale lotta appare, quindi, come un contrasto tra due Alleanze stabilite da Dio, lotta ostinata dalla parte degli ebrei che non vogliono credere che la prima era per la seconda; la sua ragione originale. In altre parole, la prima era ovviamente preparatoria di quell’Evento annunciato che avrebbe compiuto e stabilito l’Alleanza eterna. Dietro questo pensiero «negazionista», che si voleva rifatto al Pensiero divino, la fede dell’Alleanza antica e incompiuta procurò potere e così come avvenne con la prima alienazione originale, che da ribellione personale s’allargò a rivoluzione globale contro Dio, questa fede talmudica s’impiantò come rivoluzione contro Gesù Cristo. Rivoluzione il cui traguardo finale è quello di annientare se possibile, o altrimenti «convertire» i seguaci della Fede cristiana al riconoscimento della «ragione divina» di un giudeo-cristianesimo, ossia della precedenza e primogenitura nell’alleanza eterna con Dio del popolo dell’Antica Alleanza riguardo i «gentili».

La prova di questo disegno verrebbe oggi dal suo raggiunto potere, a un tempo terreno e pure di una segreta influenza «religiosa» nello scacchiere mondiale. Che sia un potere d’ordine religioso, ma alla rovescia, lo sappiamo dalla profezia di Gesù stesso sul Giudizio di Dio, che si è avverata allora e si completa nel nostro tempo sui «negazionisti» della Redenzione.


Adesso rileggiamo questi discorsi escatologici del Signore per riconoscere i tempi storici che riguardano proprio lo scontro tra il Vangelo predicato nelle nazioni, e le campagne per vanificarlo.

Compiuto questo «tempo», avverrà il ritorno al «tempo» degli ebrei secondo il motto: tutto il potere al millenarismo antivangelo dell’antica Gerusalemme; quello della farisaica insofferenza verso la verità, accusata da Gesù: «Serpenti, razza di vipere, come sfuggirete al castigo della Geenna? Perciò, ecco che vi mando profeti, sapienti e scribi. Di essi, parte ne ucciderete mettendoli in croce, parte ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città.
Verrà così su di voi tutto il sangue innocente sparso sulla terra, dal sangue del giusto Abele fino a quello di Zaccaria figlio di Barachia, che uccideste fra il santuario e l’altare. In verità vi dico: tutto ciò verrà su questa generazione. Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho tentato di raccogliere i tuoi figli, come la gallina raduna i suoi pulcini sotto le ali e voi non avete voluto! Ecco: la vostra casa vi sarà lasciata deserta. Vi dico infatti: d’ora in poi non mi vedrete, fino a quando non direte: ‘Benedetto colui che viene nel nome del Signore!’ (Matteo 23, 33-39)».

Sarà che quelli che invocavano la morte di Gesù urlando: «Che il sangue suo ricada su noi e sui nostri figli», ignoravano o rispondevano a queste previsioni?

Seguono i Discorsi escatologici di Gesù centrati sulla predicazione della Parola, secondo San Matteo e poi secondo San Luca, che contiene la profezia di un «tempo» futuro che ora si dimostra presente, sempre riguardo alla predicazione evangelica. «Badate che nessuno v’inganni! Poiché molti verranno nel mio nome dicendo: ‘Io sono il Cristo’, e molta gente sarà tratta in inganno (Matteo 24, 4-5)».

Seguono le tribolazioni… che sono l’inizio delle sofferenze.

«Allora vi consegneranno ai supplizi e vi uccideranno; sarete odiati da tutte le genti a causa del mio nome. Molti soccomberanno; si tradiranno l’un l’altro odiandosi a vicenda. Sorgeranno molti falsi profeti, i quali trarranno molti in inganno. Per il dilagare dell’iniquità, l’amore dei più si raffredderà. Ma chi avrà perseverato sino alla fine si salverà. ‘Quando questo vangelo del regno sarà predicato in tutta la terra, quale testimonianza a tutte le genti, allora verrà la fine’ (ibidem 8-14)».

La misura del «tempo» è qui la predicazione del Vangelo, ma oltre ad essa il «Segno decisivo» riguarda il Culto di Dio.

«Quando dunque vedrete nel Luogo santo l’abominio della desolazione, di cui parla il profeta Daniele - chi legge intenda! - allora… (ibidem 15) vi sarà una grande tribolazione, quale mai c’è stata dall’origine del mondo fino a ora, né mai vi sarà. Se non fossero abbreviati quei giorni, nessun uomo si salverebbe. Tuttavia, a causa degli eletti saranno abbreviati (ibidem 21-22)».

«Allora se uno vi dirà: ‘Ecco, il Cristo è qui!’, oppure: ‘E’ là’, non ci credete. Sorgeranno, infatti, falsi cristi e falsi profeti, che faranno gran segni e prodigi, tanto da indurre in errore, se possibile, pure gli eletti. Ecco ve l’ho predetto (ibidem 23-25)».

Quale tribolazione peggiore che quella dei falsi cristi che indicano la falsa via? Cosa vi aggiunge San Luca?

«Ma prima di tutto ciò vi prenderanno con violenza e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti ai loro re e ai loro governatori, a causa del Mio Nome. Allora avrete occasione di dare testimonianza. Siate sicuri di non dovervi preoccupare di quello che direte per difendervi; Io stesso vi darò linguaggio e sapienza, così che i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete consegnati persino dai genitori e dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e molti di voi saranno uccisi; sarete odiati da tutti per causa del Mio Nome. Eppure, nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime (Luca 21,10-17)»… «Vi sarà infatti grande tribolazione nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno portati via come schiavi tra tutti i popoli… (ibidem 21, 24)».

Qui si dovrebbe riconoscere: Parola di Dio e non silenzio di Dio! Si tratta del male che segue la negazione di Dio. L’effetto di una responsabilità tradita. Lo strumento di questo castigo saranno uomini, assiri o romani, tedeschi o russi, che dovranno rispondere per i mali compiuti, ma la vera responsabilità religiosa è tutt’altra. E qui torniamo al presente, quando un rabbino può capire meglio il disegno di Dio di quanto chi si presenta come Suo Vicario per accusare il Suo silenzio! Sarà il rabbino Carucci a puntare al nocciolo della questione del silenzio di Dio.

«E’ vero che nelle fonti biblico-ebraiche citate dal Papa, e nella letteratura rabbinica che le rielabora, questo tema compare, come pure quello del nascondimento del volto di Dio, ma ciò per gli ebrei interpella innanzitutto la responsabilità umana, non quella divina. Il silenzio di Dio, in altri termini, comporta l’assoluta responsabilità dell’uomo». Il commento continua: «Volevano strappare le nostre radici comuni. Dov’era Dio in quei giorni?, si è domandato il Papa davanti alle lapidi di Auschwitz. ‘Perché Egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male?’. E ha citato il Salmo 44, il lamento dell’Israele sofferente, quasi a suffragare l’intento di riconciliazione, ricacciando la responsabilità del male nell’orbita del paganesimo. ‘Quando il Papa dice che con la distruzione di Israele volevano strappare anche la radice su cui si basa la fede cristiana è un fatto rilevante, che potrebbe essere interpretato in modo duplice: sostituendola con la fede fatta da sé, la fede nel dominio dell’uomo, del forte, mentre il silenzio di Dio che per la tradizione ebraica è un atto di forza che Dio fa su se stesso, quando decide di non mostrarsi, viene interpretata come assenza di Dio, come sopraffazione dell’uomo di Israele e di altre genti. Tant’è vero che i nazisti dicevano ‘Gott mit Uns’».
 
La profezia è Parola e non silenzio di Dio

Torniamo ora alla profezia evangelica che segue tale «olocausto» storico:

«… Gerusalemme sarà calpestata dalle nazioni, finché saranno compiuti i tempi delle nazioni (Luca 21, 24)». «Ci saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle; e sulla terra angoscia di popoli in preda allo smarrimento per il fragore del mare e dei flutti. Gli uomini verranno meno per il timore e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Infatti, le forze dei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sopra una nube con grande potenza e splendore. Quando queste cose cominceranno ad accadere, drizzatevi e alzate la testa, perché la vostra redenzione è vicina (ibidem 25-28)».

Le forze dei cieli, cioè la predicazione della Parola di Dio e del Suo culto spirituale, saranno sconvolte. Cos’altro se non la confusione nella celebrazione del Santo Sacrificio e nella predica della cruciale distinzione tra il Vangelo del Figlio di Dio Incarnato e il perfido rifiuto da parte del popolo eletto per il privilegio d’accoglierLo?

Solo la confusione su queste due prediche opposte, tra le quali vi è un disaccordo intrinseco, una frattura d’ordine «teologica», è in grado di portare il massimo sconvolgimento alle potenze del cielo. Si tratta dell’improponibile dialogo conciliare tra la Fede cristiana e quella che sussiste per sconfessare il nostro Dio Uno e Trino.

Non è proprio questo il piano venuto alla luce col Vaticano II e il suo seguito? I fatti sono noti, dalle iniziative d’accordo di Bea volute da Giovanni XXIII, a quelle di Paolo VI che indossò l’ephod di Caifa, alle visite e scuse di Giovanni Paolo II a queste di Benedetto, che traspaiono nel suo discorso ad Auschwitz. Costoro ripetono la parola d’ordine per l’unità, cui si deve mirare lavorando più su quanto unisce persone e religioni, che a quanto le divide. Eppure, quel che divide è niente meno che Gesù Cristo e Dio Uno e Trino!

Cosa ci unisce allora che compensi mettere da parte questa Fede? Forse il turismo in Terra Santa o la pace del nuovo ordine pilotato da Manhattan? Certo anche di molte cose ci si potrà occupare insieme. Sempre che non ci vada di mezzo la Fede.

Un discorso rivelatore dell’idea conciliare

Per il pensiero cattolico, quali argomenti possono giustificare mettere da parte la Fede a favore dell’ONU, dell’United Religions Initiative o della Comunità Cattolica d’Integrazione, come fa la chiesa conciliare?

Joseph Ratzinger, nel febbraio 1994, dichiarò (riportato da Avvenire del 28 aprile 2009):

«La storia dei rapporti tra Israele e la cristianità è intrisa di lacrime e sangue, è una storia di diffidenza e di ostilità, ma anche - grazie a Dio - una storia sempre attraversata da tentativi di perdono, di comprensione, di accoglienza reciproca (grazie alla carità cristiana, ndr). Dopo Auschwitz il compito della riconciliazione e dell’accoglienza si è presentato davanti a noi in tutta la sua imprescindibile necessità».

Si tratta qui della «riconciliazione» conciliare nell’ambito dottrinale come si vedrà:

«Pur sapendo che Auschwitz è la terrificante espressione di un’ideologia che non si limitava a volere la distruzione dell’ebraismo, ma che odiava l’eredità ebraica anche nel cristianesimo e cercava di cancellarla, dinanzi a eventi di questo genere resta la domanda sulle ragioni della presenza nella storia di tanta ostilità tra coloro che, invece, avrebbero dovuto riconoscere la propria affinità in forza della fede nell’unico Dio e della professione della sua volontà. Questa ostilità proviene forse proprio dalla fede dei cristiani, dall’‘essenza del cristianesimo’, così che per giungere a una vera riconciliazione, bisognerebbe di necessità astrarre da questo nucleo e negare il contenuto centrale del cristianesimo? Si tratta di un’ipotesi che, dinanzi agli orrori della storia, è stata formulata negli ultimi decenni proprio da alcuni (deviati, ndr) pensatori cristiani. Ma allora la professione di fede in Gesù di Nazareth come figlio del Dio vivente e la fede nella croce come redenzione dell’umanità implicano necessariamente una condanna degli ebrei per la loro ostinazione e cecità, in quanto colpevoli della morte del figlio di Dio? Davvero le cose stanno così, quasi che il nucleo stesso della fede cristiana porti all’intolleranza, anzi all’ostilità nei confronti degli ebrei e che, al contrario, l’auto-considerazione degli ebrei, la difesa della loro dignità storica e delle loro convinzioni più profonde esiga da parte dei cristiani la rinuncia al centro stesso della propria fede, e dunque una rinuncia alla tolleranza? Il conflitto è insito nella natura più intima della religione e può essere superato solo con il suo abbandono?».

Tale ragionamento sembra ancora non concedere a questo dubbio, ma in verità conferma la validità del dubbio, perché parla di un conflitto più interno alla Fede della Caduta originale che all’animo dell’uomo decaduto, il quale potrebbe trovare soluzioni o piantando tale fede o prodigandosi per conciliarla con altre scelte religiose.

«In questa sua drammatica acutizzazione il problema si pone oggi ben al di là di un dialogo puramente accademico tra le religioni, coinvolgendo le scelte fondamentali di questo momento storico. Si cerca spesso di sdrammatizzare il problema presentando Gesù come un maestro ebreo che, nella sostanza, non si è di molto scostato da quel che era concepibile nella tradizione giudaica. La sua uccisione dovrebbe allora essere intesa nel quadro delle tensioni tra giudei e romani: in effetti, la sua condanna a morte fu eseguita secondo modalità che l’autorità romana riservava alla punizione dei ribelli politici. La sua esaltazione come figlio di Dio sarebbe quindi avvenuta in seguito, nel quadro del contesto culturale ellenistico, e la responsabilità della sua morte in croce sarebbe stata trasferita dai romani ai giudei proprio in considerazione della situazione politica dell’epoca. (una rilettura dei Vangeli che…) può forse essere anche di qualche utilità. Tuttavia letture di questo genere non parlano del Gesù delle fonti storiche, ma costruiscono un Gesù nuovo e differente; relegano nell’ambito mitico la fede storica della Chiesa in Cristo. Egli appare così come un prodotto della religiosità greca e di particolari interessi politici nell’impero romano. In tal modo, però, non si rende ragione della serietà della questione, semplicemente ci si ritrae da essa. Resta allora la domanda: può la fede cristiana, senza perdere il suo rigore e la sua dignità, non solo tollerare l’ebraismo, ma accoglierlo nella sua missione storica? Può esserci vera riconciliazione senza abbandono della fede oppure la riconciliazione è legata a una simile rinuncia? Per rispondere a questa domanda non voglio esporre le mie riflessioni, ma piuttosto cercare di mostrare quale sia la posizione del Catechismo della Chiesa cattolica edito nel 1992. Questo libro fu pubblicato dal magistero della Chiesa come espressione autentica della propria fede; allo stesso tempo, proprio avendo davanti agli occhi Auschwitz e il compito lasciato dal Vaticano II, la questione della riconciliazione vi è affrontata come intimamente connessa alla questione stessa della fede. Vediamo dunque in che modo esso si ponga rispetto alla nostra domanda a partire da questo suo compito (...)».

Ecco una furberia inutile poiché è noto che tale catechismo conciliare non è fonte ma prodotto della nuova fede che vuole ebrei e cristiani in «attesa analogica del Messia»! L’orientamento del Vaticano II giustifica inoltre l’incredulità dei farisei davanti a Gesù a causa del loro «profondo senso della trascendenza»! La parte del pensiero di Ratzinger in esso come perito vaticano, come sostenitore della Comunità Cattolica d’Integrazione e come Prefetto nella Congregazione della Fede viene ora comprovata anche da queste citazioni e iniziative.

Non si sa se piangerà sul Muro, né se vi arriverà senza il Crocefisso, ma sulla sua dottrina conciliarista si sa quasi tutto e può bastare. Vediamo.

«Non c’è nulla di tanto (perfidamente) discusso quanto la questione del Gesù storico. Il Catechismo, come libro della fede, muove dalla convinzione che il Gesù dei Vangeli è l’unico Gesù autenticamente storico (meno male! Ndr)».

Segue un’interpretazione delle lacerazioni ebraico-cristiane come se dipendessero da una contrapposizioni di Gesù al potere clericale: «Farisei e sacerdoti vi compaiono come sostenitori di un rigido legalismo, come rappresentanti della legge eterna del potere costituito, delle autorità religiose e politiche, che impediscono la libertà e vivono dell’oppressione altrui».

In tal modo Ratzinger sposta la battaglia di Gesù a quella … «contro il dominio dell’uomo sull’uomo mascherato dalla religione». Per concludere: «Se Gesù dev’essere visto così, se la sua morte va intesa in un contesto del genere, il suo messaggio non può essere la riconciliazione».

Questo è evidente, ma come si vede c’è qui la ricerca di una falsa opposizione nel campo civile, per poi creare la possibilità della riconciliazione nel campo religioso.

«E’ di per sè chiaro che il Catechismo non condivide quest’ottica. Per tali questioni esso si attiene soprattutto all’immagine di Gesù del Vangelo di Matteo e vede in Gesù il Messia, il più grande nel regno dei cieli; come tale egli si sapeva obbligato a osservare la Legge, praticandola nella sua integralità fin nei minimi precetti» (578). «Il Catechismo collega dunque la particolare missione di Gesù alla sua fedeltà alla Legge; vede in lui il Servo di Dio, che porta davvero il diritto (Isaia 42,3) e diventa perciò ‘Alleanza del popolo’ (Isaia 42,6; Catechismo 580). Il nostro testo è dunque molto lontano dai superficiali tentativi di armonizzazione della storia di Gesù carica di tensioni. E anziché interpretare il suo cammino in modo superficiale, nel senso di un presunto attacco profetico al rigido legalismo, cerca di far emergere la sua autentica profondità teologica».

Eppure, niente di più superficiale per non dire malizioso, alludere alla fedeltà di Gesù alla Legge, quando è in questione la fedeltà degli ebrei alla Parola della Legge che Lo rivela Figlio di Dio. Questo è il punto nodale sempre insegnato dalla Chiesa. La Legge era ordinata sì a «preparare il popolo a quell’inaudito intervento di Dio che sarà…» la venuta del Messia salvatore, e non perché Egli, l’unico Giusto, «col pieno adempimento della Legge» prendesse «su di sé ‘la maledizione della legge’ (Galati 3,13 ), in cui erano incorsi coloro che non erano rimasti fedeli a tutte le cose scritte nel libro della Legge’ (Galati 3,10)» (580).

«La morte in croce trova così una spiegazione teologica a partire dall’intima solidarietà con la Legge e con Israele; in questo contesto il Catechismo pone un legame con il giorno dell’Espiazione e intende la morte di Cristo come il grande evento espiativo-conciliativo, come piena e completa realizzazione di ciò che i segni del giorno dell’Espiazione significano (433; 578)».

Ma queste esili confusioni teologiche sulla questione: la Legge è per la Fede, o il contrario?, non sono già state illustrate da San Paolo proprio ai Galati spiegando: «Che nella Legge nessuno venga giustificato presso Dio è manifesto, poiché il giusto vive per la fede» (Galati 3, 11). Sì, l’Espiazione universale per la prima alienazione originale, che include tutti i popoli, implica la confessione di Gesù Redentore, l’Agnello di Dio. Senza questa riconoscenza si avrebbe solo una rinnovata alienazione d’apparenza «legale»; l’opposto dell’Espiazione!

Ratzinger vuole il dialogo usando parole comuni, ma di senso opposto:

«Con queste affermazioni siamo giunti al centro del dialogo ebraico-cristiano, al decisivo punto nodale tra riconciliazione e lacerazione. Laddove il conflitto di Gesù con il giudaismo del suo tempo (soltanto? Ndr) viene presentato in maniera superficialmente polemica, si finisce per derivarne un’idea di liberazione che può intendere la Torah solo come una servitù a riti e osservanze esteriori. La visione del Catechismo porta logicamente a una prospettiva del tutto diversa: la Legge evangelica dà compimento ai comandamenti della Legge (= della Torah). Il Discorso del Signore sulla montagna, lungi dall’abolire o dal togliere valore alle prescrizioni morali della Legge antica, ne svela le virtualità nascoste e ne fa scaturire nuove esigenze: ne mette in luce tutta la verità divina e umana. Esso non aggiunge nuovi precetti esteriori, ma arriva a riformare la radice delle azioni, il cuore, là dove l’uomo sceglie tra il puro e l’impuro, dove si sviluppano la fede, la speranza e la carità (...). Così il Vangelo porta la Legge alla sua pienezza mediante l’imitazione della perfezione del Padre celeste (...) dall’unico comandamento dell’amore di Dio e del prossimo dipendono tutta la Legge e i Profeti. Per i popoli l’inclusione nella discendenza di Abramo si compie concretamente aderendo alla volontà di Dio, in cui precetto morale e confessione dell’unicità di Dio, sono inseparabili, come risulta particolarmente chiaro nella versione marciana di questa tradizione, in cui il duplice comandamento è espressamente legato… al sì all’unico Dio. All’uomo viene comandato di assumere come criterio la misura di Dio e la sua perfezione».

Dialogo ebraico-cristiano?

Qui si nota lo sforzo di avvicinare giudaismo e cristianesimo con il comandamento comune dell’amore di Dio comune alle due religioni. Ma questo è falso e non solo per gli ebrei che rifiutavano il Figlio, ma anche per quelli che seguivano già da secoli le deviazioni dalla Torah, rogna che la «riconciliazione» conciliare evita col silenzio per continuare il «dialogo ebraico-cristiano». Un dialogo ebraico-cristiano che non è né l’ebraico, cioè della dottrina unica e originale, libera delle distorsioni talmudiche e cabalistiche, né cristiano, perché non è proposto con la dottrina integra, ma conciliare; è un dialogo nato nella confusione ecumenista più trasformista. E’ vero che entrambe le parti, alienate dal vero, possono tramare un avvicinamento umano, ma che non si sottintenda una convergenza all’Essere divino, come si vuole in seguito.

«Con ciò si palesa anche la profondità ontologica di queste affermazioni: con il sì al duplice comandamento l’uomo assolve il compito della sua natura, che è stata voluta dal creatore come immagine e somiglianza di Dio e che, in quanto tale, si realizza nella condivisione dell’amore divino (ma scartando l’imitazione del Figlio di Dio, ndr). Qui, al di là di tutte le discussioni storiche e strettamente teologiche, veniamo a trovarci proprio al cuore della responsabilità presente di ebrei e cristiani dinanzi al mondo contemporaneo (non a Dio! Ndr). Questa responsabilità consiste precisamente nel sostenere la verità dell’unica volontà di Dio davanti al mondo e di porre così l’uomo davanti alla sua verità interiore (soggettiva, ndr), che è al tempo stesso la sua via (ecumenista, ndr). Ebrei e cristiani devono rendere testimonianza all’unico Dio, al creatore del cielo e della terra» (… eludendo il Nome di Chi è Via, Verità e Vita? Ndr).

«Mi pare però che il nucleo fondamentale di tale compito traspaia da quanto si è detto e risalti di per se stesso: ebrei e cristiani devono accogliersi reciprocamente in una più profonda riconciliazione, senza nulla togliere alla loro fede (?) e, tanto meno, senza rinnegarla (?), ma anzi a partire dal fondo di questa stessa fede (noachita? Ndr). Nella loro reciproca riconciliazione essi dovrebbero divenire per il mondo una forza di pace. Mediante la loro testimonianza davanti all’unico Dio, che non vuole essere adorato in nessun altro modo che attraverso l’unità tra amore di Dio e amore del prossimo, essi dovrebbero spalancare nel mondo la porta a questo Dio, perché sia fatta la sua volontà e ciò possa avvenire in terra così come ‘in cielo’: ‘perché venga il Suo Regno’».

La fraternizzazione finale dell’ora presente

Secondo Ratzinger, che era allora il Prefetto della Congregazione per la Fede, la «volontà di Dio» era di mettere sotto il letto la Fede in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, in vista dell’ideale superiore della fraternizzazione del mondo attuale! In preparazione dell’ora culminante, che è il suo viaggio in Israele, il mondo ascoltò il discorso pronunciato da Benedetto XVI nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau domenica 28 maggio 2006 (Il Corriere della Sera, 29 maggio  2006):

«In un luogo come questo vengono meno le parole, in fondo può restare soltanto uno sbigottito silenzio - un silenzio che è un interiore grido verso Dio: Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo? E’ in questo atteggiamento di silenzio che ci inchiniamo profondamente nel nostro intimo davanti alla innumerevole schiera di coloro che qui hanno sofferto e sono stati messi a morte; questo silenzio, tuttavia, diventa poi domanda ad alta voce di perdono e di riconciliazione, un grido al Dio vivente di non permettere mai più una simile cosa… Dovevo venire. Era ed è un dovere di fronte alla verità e al diritto di quanti hanno sofferto, un dovere davanti a Dio, di essere qui come successore di Giovanni Paolo II e come figlio del popolo tedesco - figlio di quel popolo sul quale un gruppo di criminali raggiunse il potere mediante promesse bugiarde… Quante domande ci si impongono in questo luogo! Sempre di nuovo emerge la domanda: Dove era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male? Ci vengono in mente le parole del Salmo 44, il lamento dell’Israele sofferente: ‘...Tu ci hai abbattuti in un luogo di sciacalli e ci hai avvolti di ombre tenebrose... Per te siamo messi a morte, stimati come pecore da macello. Svegliati, perché dormi, Signore? Destati, non ci respingere per sempre! Perché nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e oppressione? Poiché siamo prostrati nella polvere, il nostro corpo è steso a terra. Sorgi, vieni in nostro aiuto; salvaci per la tua misericordia!’ (Salmo 44,20.23-27). Questo grido d’angoscia che l’Israele sofferente eleva a Dio in periodi di estrema angustia, è al contempo il grido d’aiuto di tutti coloro che nel corso della storia - ieri, oggi e domani - soffrono per amor di Dio, per amor della verità e del bene; e ce ne sono molti, anche oggi. Noi non possiamo scrutare il segreto di Dio - vediamo soltanto frammenti e ci sbagliamo se vogliamo farci giudici di Dio e della storia. Non difenderemmo, in tal caso, l’uomo, ma contribuiremmo solo alla sua distruzione. No - in definitiva, dobbiamo rimanere con l’umile ma insistente grido verso Dio: Svegliati! Non dimenticare la tua creatura, l’uomo! (…) Noi gridiamo verso Dio, affinché spinga gli uomini a ravvedersi, così che riconoscano che la violenza non crea la pace, ma solo suscita altra violenza (…). Il luogo in cui ci troviamo è un luogo della memoria che nello stesso tempo é luogo della Shoah. Il passato non è mai soltanto passato. Esso riguarda noi e ci indica le vie da non prendere e quelle da prendere… I potentati del Terzo Reich volevano schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità; eliminarlo dall’elenco dei popoli della terra. Allora le parole del Salmo: ‘Siamo messi a morte, stimati come pecore da macello’ si verificarono in modo terribile. In fondo, quei criminali violenti, con l’annientamento di questo popolo, intendevano uccidere quel Dio che chiamò Abramo, che parlando sul Sinai stabilì i criteri orientativi dell’umanità che restano validi in eterno. Se questo popolo, semplicemente con la sua esistenza, costituisce una testimonianza di quel Dio che ha parlato all’uomo e lo prende in carico, allora quel Dio doveva finalmente essere morto e il dominio appartenere soltanto all’uomo - a loro stessi che si ritenevano i forti che avevano saputo impadronirsi del mondo. Con la distruzione di Israele volevano, in fin dei conti, strappare anche la radice, su cui si basa la fede cristiana, sostituendola definitivamente con la fede fatta da sé, la fede nel dominio dell’uomo, del forte».

L’alienazione del pensiero e della voce apostolica

Un discorso paradossale. Dalla scelta di campo del debole contro il forte, ossia di Israele, che non ha mai voluto impadronirsi del mondo e ora è vittima dei terroristi di Gaza!; del Salmo 44 in cui il sofferente Israele chiede la salvezza al Signore, ma è vittima proprio di quanti confessano il Salvatore promesso, ma da loro rifiutato! La salvezza umana dipende pure dall’intelletto e, quindi, dal retto pensiero che rispetta il principio d’identità e non contraddizione. Come allora si può essere per Cristo, ma al contempo con quelli che lo diffamano davanti a Dio e ai propri figli? E’ vero, l’imperfezione atavica del pensiero umano è una certezza, ma proprio per questo Dio volle il Suo Verbo incarnato e poi la Sua Volontà perfetta insegnata dalla Chiesa e confermata dall’autorità ferma e lucida del Suo Vicario in terra. Se è vero, come crede ogni cattolico, che il Magistero della Chiesa sia indispensabile per la vita dello spirito del quale dipendono il bene in questo mondo e la salvezza di tutti gli uomini, quello che la deturpa è vettore di menzogna e di male. Per contenerlo Gesù ha suscitato l’ardore apostolico e San Paolo insegna che il suo stesso popolo che Lo rifiuta è nemico di tutti gli uomini. Parimenti il Papa cattolico non può tacere sul fatto che quanti si oppongono alla Dottrina di Cristo sono nemici dell’umanità intera e della loro stessa anima. Annullare o traviare il Cristianesimo, che rappresenta il Vero e il Buono, con un operato negazionista è male assoluto. Ciò può non applicarsi ai singoli che possono convertirsi prima o poi, ma si applica all’idea anticristiana del giudaismo che la Chiesa non può che condannare, come perfidia che apre all’Anticristo finale.

Nell’ora presente, non solo questa voce è tolta di mezzo, come il Vescovo vestito di bianco accompagnato dal suo seguito del Segreto di Fatima, ma prevale l’altra che invita alla riconciliazione «teologica» della Fede di Cristo con quella che Lo nega. Tale processo di riconciliazione solleva dei problemi inauditi per i cattolici. Poiché è di fede che chi rifiuta Gesù Cristo e non riceve il Suo Battesimo si perde, e questa riconciliazione escludendo conversioni implica che ciò non si applica agli ebrei, chi la promuove dimostra: o di non avere la fede cattolica, o di non avere la speranza cattolica che tutti si possano convertire, o non s’importa della conversione degli ebrei e lascia che si perdano, e non ha la carità cattolica. Se poi occupa un’alta carica ordinata proprio alla conferma universale di queste virtù suscitate da Dio per la conversione a Cristo, ma opera in modo che si creda che la responsabilità davanti a queste sia dispensabile per salvarsi, allora si comporta da nemico di tutte le anime, dei cristiani come degli ebrei, assecondando, volenti o nolenti, come diceva monsignor Lefebvre, l’opera dell’Anticristo; l’occupazione della Chiesa, poiché la voce che lo fermava, rappresentando Nostro Signore Gesù Cristo, è stata tolta di mezzo.

Che Dio ci aiuti perché l’attuale alienazione «cattolica» conferma che ci siamo.

Arai Daniele




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