>> Login Sostenitori :              | 
header-1

RSS 2.0
menu-1
TUTTI |0-9 |A |B |C |D |E |F |G |H |I |J |K |L |M |N |O |P |Q |R |S |T |U |V |W |X |Y |Z

Archivio Articoli FREE

Il golpe (parte IV)
Stampa
  Text size
Da J. M. Keynes a Mario Draghi

Mario Draghi ed il suo maestro


Mario Draghi è stato allievo di Federico Caffè, un grande economista keynsiano nato a Pescara nel 1914 e, come Maiorana, misteriosamente scomparso nel 1987 a Roma. Sulla sua scomparsa non è mai stata fatta chiarezza. C’è chi dice che si sia rifugiato, sotto mentite spoglie in un convento deluso dal vedere avanzare senza nessuna resistenza culturale e politica il neoliberismo del quale presentiva tutto il cinismo e che lui rigettava come immorale e disumano. C’è, invece, chi pensa che l’economista si sia suicidato. Altri ritengono che sia stato ucciso dai servizi segreti essendo venuto a conoscenza, nella sua attività di consulente governativo, di inconfessabili segreti occulti scontrandosi con oscuri interessi che agivano dietro le quinte del palcoscenico politico.

Nel testo che egli faceva usare ai suoi studenti di economia, Lezioni di economia politica, Federico Caffè scriveva cose come queste:

Federico Caffè
  Federico Caffè
«Poiché il mercato è una creazione umana, lintervento pubblico ne è una componente necessaria e non un elemento di per sé distorsivo e vessatorio. Non si può non prendere atto di un recente riflusso neoliberista, ma è difficile individuarvi un apporto intellettuale innovatore». E, nello stesso testo, non mancava poi di porre in evidenza: « ... i limiti intrinseci alloperare delleconomia di mercato, anche nellipotesi eroica che essa funzioni in condizioni perfettamente concorrenziali. È molto frequente nelle discussioni correnti rilevare uninsistenza metodica sui vantaggi operativi del sistema mercato, e magari su tutto ciò che ne intralci lospontaneomeccanismo, senza alcuna contestuale avvertenza sui connaturali difetti del meccanismo stesso».

Appare quindi sconcertante che un allievo di un tal maestro sia potuto poi diventare, nell’ordine, dirigente del Tesoro all’atto della svendita, concordata nel giugno 1992 sul panfilo di Sua Maestà Britannica Britannia con le banche d’affari angloamericane, del patrimonio pubblico nazionale, poi dirigente di Goldman Sachs Europa, quindi Governatore della Banca d’Italia ed infine Governatore della BCE, trasformandosi nel campione del monetarismo che il suo, tradito, maestro riteneva invece un «riflusso neoliberista». La svolta di Draghi si spiega alla luce del suo incontro, dopo la laurea, con Guido Carli, il Governatore che sancì, d’accordo con Andreatta, il «divorzio» tra Tesoro e Banca d’Italia, primo atto in Italia del processo di autonomizzazione e di privatizzazione del potere central-bancario. Di fronte alla scelta tra diventare, come il suo maestro, un docente di economia mosso da principi etici e sociali e quella di scalare le vette del Gotha finanziario globale, Draghi scelse la seconda opzione abbandonando il maestro al suo idealismo. Un idealismo con il quale non si fa carriera negli ambienti mondiali che contano.

Gente come Mario Draghi, Trichet, Bernanke dovrebbe essere pubblicamente processata per l’esproprio, cui essi hanno contribuito, della democrazia. Sul banco degli imputati insieme a loro dovrebbero comparire i dirigenti della agenzie di rating nonché i money manager del capitalismo finanziario, che ci sta portando alla rovina, con i loro camerieri ossia i nani e le ballerine che affollano, sanguisughe dell’erario, i nostri parlamenti, locali, nazionali e sovranazionali (chissà perché mai Stella e Rizzo, così solerti nel denunciare i misfatti di una «casta» di second’ordine come quella della politica nazionale, non fanno altrettanto anche con i misfatti dell’eurocrazia e della bancocrazia? Personalmente crediamo che non scriveranno mai un libro su questo argomento, perché ci vuole troppo coraggio per toccare il vero potere: e Stella e Rizzo, nonostante passino per «eroi» presso il grande pubblico, non ne hanno tenendo comunque anche essi famiglia!). Ormai, per quanto ci riguarda, non speriamo più che il giudizio possa venire dagli uomini e, pertanto, ci affidiamo al Vero Giudizio che solo Lui sa come decretare e per vie da noi impreviste.

Giocando con il fuoco mentre la finanza espropria la democrazia
. I nuovi Bardi

La finanza globale ha espropriato la democrazia. Ma questo in fondo era già nei voti occulti sin dalle origini. Le rivoluzioni sono sempre state foraggiate dalla finanza. Più che sulla democrazia forse bisogna mettere l'accento sul Politico: perché in realtà la finanza ha prevalso, contro Rivelazione e contro natura, sulla Comunità Politica, indipendentemente dal fatto che essa abbia forma democratica o monarchica.

Nel XV secolo il Re d’Inghilterra, Edoardo III, indebitato con la potente famiglia bancaria dei Bardi, quando comprese che ripagare il debito significava prostrare il regno, lo ripudiò facendo fallire i suoi strozzini. I laudatori del primato del mercato sul Politico e della finanza sull’economia reale, come Oscar Giannino (vedasi il suo editoriale su Il Messaggero dell’11 gennaio 2012), affermano che quello di Re Edoardo non fu un atto morale e che qualsiasi governo, qualunque forma politica abbia, è il «Nemico» della felicità universale.

Questo modo di vedere la questione è tipicamente liberale ed americana – non a caso negli Stati Uniti il governo si chiama, come in un’azienda, amministrazione – e dovrebbe suonare come un caveat per quanti, proprio tra i lettori di questo sito, scandalizzati dai nani e dalle ballerine, spesso si danno all’antipolitica più becera, apprezzano un corifeo del liberismo come Giannino e dimenticano che l’impolicità fa scendere l’umanità ad un livello sub-bestiale (Aristotele: «Luomo è animale politico») . Che il ripudio del debito da parte di Re Edoardo non sia stato un gesto morale è vero come del resto è vero che il Re si era indebitato per le sue guerre e non certo per il bene comune: ed anche questo non era morale. Ma non sarebbe stato un atto morale neanche gettare nella miseria il regno per pagare gli interessi agli strozzini fiorentini. E morale non era neanche il prestito usuraio che i Bardi praticavano, anche nei confronti dei sovrani e dei Papi.

Oggi purtroppo la Comunità Politica nella sua forma democratica, sottomessa come è al potere della finanza globale, non è neanche sfiorata dalla tentazione di ripudiare il debito sovrano.

Quasi una ironia, una beffa: sembra, infatti, che di sovrano agli Stati sia rimasto solo il debito.

Debito che certo hanno contribuito tutti, politici, imprese e cittadini, a creare ma finanziando il quale, a tassi di interesse sempre più proibitivi, i fondi di investimento globali, i Bardi di oggi, lo hanno saputo far fruttare a loro esclusivo vantaggio privato. Ora quegli stessi neo-Bardi chiedono ai popoli sacrifici, lacrime e sangue, per ripianare il debito. Bisognerebbe, invece, ripudiarlo come fece il Re di Inghilterra. E come ha fatto ad esempio l’Argentina nel 2002 (e l’Islanda nel 2008). Liberatasi dal debito, l’Argentina ora viaggia ad un tasso di crescita del 7% annuo. Invece l’UE, prigioniera di una BCE che lavora per il sistema bancario privato e per l’usurocrazia globale, non può – non sono stati neanche previsti gli strumenti giuridici: anzi vi sono norme sanzionatorie per impedirlo – ripudiare i debiti sovrani. In questo modo l’unica possibilità improbabile di crescere, quella stabilita dal paradigma bancocratico, a disposizione degli Stati dell’UE è tagliare la spesa sociale.

Resta un mistero, del quale solo gli iniziati del monetarismo liberista conoscono l’arcano, come si possa crescere quando il lavoro diventa precario, i salari sono costretti a mantenersi a livelli miserevoli e gli Stati non possono sostenere mediante una saggia, controllata ed oculata spesa pubblica la domanda interna, correggendo le inefficienze economiche e le iniquità sociali insite nel mercato che non è affatto regolato da presunte, ed intoccabili, leggi naturali, come vogliono far credere i sacerdoti del culto di Mammona. Chi non ha certezze di stabilità di vita, almeno nel medio periodo, tende per forza di cose a risparmiare, contribuendo al processo deflazionista, cui porta il liberismo rigorista e dogmatico, e a deprimere l’economia. Non è necessario un premio Nobel dell’economia per capire questo. Lo capiscono anche i bambini.

Il primato ormai stabilitosi della finanza sul Politico, ovvero sui popoli, che vuole rendere perpetuo il sistema di strozzinaggio globale (salvo l’irruzione dell’Imprevisto, che gli usurai planetari, servi del mordoriano Oscuro Signore, del paolino figlio della perdizione, dell’apocalittico Anticristo, non tengono in conto), viene esercitato applicando la legge del pidocchio: succhiare il sangue dell'animale parassitato fino a stremarlo ma senza ucciderlo, quindi lasciargli il tempo di riprendersi un poco e continuare a succhiargli altro sangue fino a stremarlo di nuovo e così via.

L’Europa sta giocando con il fuoco e rischia di bruciarsi. La testardaggine della Merkel ha già provocato un grave ritardo nello spegnere l’incendio greco ed ora la Grecia è alla fame ed alla disperazione. Anche negli anni Trenta del secolo scorso si tardò ad intervenire perché l’ortodossia liberista lo impediva pontificando nelle Università, nei parlamenti e sui giornali. Intanto le cose precipitavano ogni giorno di più. In Germania la marea nazista, ossia nazional-socialista, conquistava ampi consensi proprio tra operai, disoccupati, ceti popolari ed alla fine conquistò anche il potere instaurando una dittatura neopagana, che seppe far rientrare la disoccupazione e riavviare con strumenti interventisti l’economia ma con tutte le conseguenze che sappiamo (tra le quali quella di aver irretito l’Italia, storicamente e culturalmente del tutto aliena dal razzismo, in una fosca alleanza senza la quale e senza la guerra gli esiti del regime avrebbero potuto essere completamente diversi). Quando la situazione diventò tragica, con l’elezione di Roosevelt la più grande potenza industriale dell’epoca ruppe ogni indugio, anticipata come detto dall’Italia fascista e sociale, cambiando completamente strada e tentando una virata, in questo seguita dagli altri Paesi occidentali, in extremis. Purtroppo i ritardi accumulati per le responsabilità dell’ortodossia liberista impedirono l’aggiustamento delle cose senza una guerra. Ci chiediamo se la Merkel, tedesca, conosca la storia recente del suo Paese, dell’Occidente e dell’Europa oppure se essa, che certo non ha le avvenenti fattezze per essere una ballerina, non sia piuttosto una nana della politica e come tale destinata ad essere ricordata dagli storici.

Conclusione provvisoria. Ancora la parola ad un economista


Per ora ci fermiamo qui. Ma lasciamo citando un economista, Pierluigi Garau, che già dal 2008, non unico, lanciava l’allarme inascoltato come tanti altri. Il suo articolo, che ci perdonino i lettori, è necessario riportare integralmente perché meglio di noi sa spiegare certe cose con proprietà di linguaggio tecnico, testimonia che la crisi attuale avrebbe potuto essere affrontata con un diverso e più efficace approccio. La mancanza di senso etico e di responsabilità politica lo ha, finora, impedito.

«La recessione globale – scriveva dunque nel 2008 Garau – sembra imminente e gli Stati Uniti dAmerica ne sono i principali responsabili tecnici e ideologici. Vediamo perché. Fra tutte le ricerche per uscire dalla crisi la riduzione delle imposte pare la più affascinante, ma potrebbe rivelarsi poco efficace. La politica più incisiva rimane lintervento diretto dello Stato volto a creare occupazione, accettando un più alto deficit nei conti pubblici. Oggi landamento di numerosi indicatori economici sembra anticipare un notevole rallentamento, se non, addirittura, un rallentamento globale. In Italia i dati ISTAT confermano che siamo in recessione. Tecnicamente si considera infatti recessione il susseguirsi di due trimestri di crescita negativa del Prodotto Interno Lordo. Nel 2008, in effetti, i tassi di crescita del Prodotto Interno Lordo per il II e III trimestre sono stati, rispettivamente, -0,4% e -0,5%. Gli Stati Uniti dAmerica sono i principali responsabili della crisi sia dal punto di vista tecnico che da quello ideologico: dal punto di vista tecnico, intanto, perché hanno esportato i loro titoli avvelenati collegati ai mutui subprime; dal punto di vista ideologico in quanto sono stati i divulgatori dellideologia di libero mercato deregolamentato. Ora la crisi si sta rapidamente diffondendo ai Paesi emergenti;la lista dei Paesi che chiedono aiuto al Fondo Monetario Internazionale si fa sempre più lunga: Ungheria, Islanda, Pakistan, Ucraina, Bielorussia… Però, come sostiene il premio Nobel per leconomia Joseph Stiglitz, cè la preoccupazione che il Fondo Monetario Internazionale possa far ricorso alle sue vecchie ricette economiche, che si sono rivelate disastrose in passato: politiche monetarie e fiscali restrittive, ossia contenimento del deficit pubblico e alti tassi di interesse per tenere sotto controllo linflazione, che acuirebbero la crisi nei Paesi meno sviluppati. Si potrebbe avere il paradosso che mentre i Paesi sviluppati pongono in essere politiche espansive cosiddette anticicliche, volte a contrastare il ciclo economico avverso per uscire dalla recessione, i Paesi meno sviluppati sarebbero obbligati ad adottare politiche economiche di segno contrario, altamente destabilizzanti (…). (Quali le) possibili politiche economiche (?). I vari Stati stanno facendo a gara nel proporre misure per uscire dalla crisi, come testimoniano le prime pagine di tutti i giornali. Ora, le possibili linee di intervento sono sostanzialmente tre: a) La riduzione dei tassi di interesse da parte delle Banche Centrali (politica monetaria); b) La riduzione delle tasse su cittadini e imprese; c) Lintervento diretto dello Stato finalizzato a creare occupazione. Il ribasso dei tassi di interesse definito politica monetaria – entusiasma da sempre lapparato finanziaria (establishment) per il semplice fatto che non gli costa niente. Esso gode altresì di buona stampa: non cè infatti giornale finanziario che non invochi un ribasso dei tassi. Tuttavia presenta un non piccolo inconveniente; in tempi di recessione, con alta disoccupazione e parte rilevante della capacità produttiva inutilizzata, la sua efficacia è molto ridotta. È difficile che un ribasso dei tassi di interesse convinca la schiera dei disoccupati a consumare selvaggiamente o induca le imprese, che già hanno impianti non utilizzati, ad accendere finanziamenti per acquistarne di nuovi sfruttando il credito a buon mercato. Per incrementare gli investimenti sono determinanti le prospettive a lungo termine sullandamento della domanda, come insegna John Maynard Keynes, mentre i tassi di interesse hanno un effetto marginale. Nonostante ciò la politica monetaria viene tuttora considerata la panacea di tutti i mali: ‘Una convinzione quasi religiosa trionfa sullesperienza, la quale dimostra decisamente il contrario’ (John Kenneth Galbraith). La seconda misura – la riduzione delle tasse su cittadini e imprese – manda in delirio imprenditori e politici demagoghi. Largomento a favore di una riduzione delle tasse è che i contribuenti avranno più denaro da spendere in consumi, e le imprese, con la prospettiva di un reddito maggiore, saranno incentivate a investire. Il problema è che non vi è alcuna certezza che il maggior denaro nelle mani dei consumatori si traduca automaticamente in maggiore flusso di domanda o che le imprese, con la prospettiva di maggiori redditi al netto delle tasse, saranno incentivate a investire. In tempi di crisi i cittadini beneficiati da minori tasse saranno indotti a mettere da parte in buona misura il loro denaro piuttosto che a spenderlo. La diminuzione del carico fiscale favorisce quella che Keynes definì la preferenza di liquidità’: il desiderio di disporre di contanti, che poco aggiunge alla domanda aggregata. In tempi di recessione o di ristagno dellattività economica la misura più efficace rimane lintervento diretto dello Stato volto a creare occupazione. Per Galbraith, nel suo saggio La buona società’, ‘lunica azione di governo veramente sostanziale è fare in modo di garantire un posto di lavoro a coloro ch altrimenti sarebbero destinati alla disoccupazione’. Si tratta di una linea di intervento che provoca, ovviamente, laumento del deficit pubblico, che va affrontato con ulteriori strumenti e con saggia e tempestiva gradualità. Lo Stato, secondo le ricette keynesiane, dovrebbe intraprendere un programma di investimenti in infrastrutture pubbliche: strade, scuole, aeroporti, alloggi, che oltre a creare nuova occupazione accrescono il livello di benessere e ricchezza della intera collettività. Naturalmente tali politiche devono essere utilizzate oculatamente e le misure attentamente studiate, senza proclami demagogici. Leconomista francese Jean Paul Fitoussi si domanda come mai gli Stati europei, che ultimamente hanno investito massicciamente nel settore bancario per fronteggiare la crisi, non investano in settori come la conoscenza, lenergia, lambiente, le infrastrutture materiali e immateriali, obiettivi che da anni definiscono prioritari. Cè purtroppo uno scollamento vistoso fra dichiarazioni di intenti e azione politica. In conclusione, in periodi di recessione è pur giusto che i tassi di interesse scendano, ma la via maestra per uscire dalla crisi è lintervento diretto dello Stato nelleconomia produttiva» (1).

Lo scollamento tra dichiarazioni e azione politica, lamentata purtroppo dal Garau sin dal 2008, non è scomparsa negli anni successivi all’inizio della crisi, con l’esplodere della bolla dei sub-prime, ma anzi sembra aumentato. Senza la restaurazione del giusto ordine delle cose, ossia senza il primato del Teologico sul Politico, del Politico sull’Economico e dell’economia reale sulla finanza, ogni possibilità di restituire un domani sicuro ai popoli è vana speranza. Almeno fino a quando un evento imprevedibile non appaia sullo scenario della storia. «Devi anche sapere che negli ultimi tempi verranno momenti difficili. Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, senza religione, senza amore, sleali, maldicenti, intemperanti, intrattabili, nemici del bene, traditori, sfrontati, accecati dallorgoglio, attaccati ai piaceri più che a Dio, con la parvenza della pietà, mentre ne hanno rinnegata la forza interiore» (San Paolo, 2Timoteo 3, 1-5).

«Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il dilagare delliniquità, lamore di molti si raffredderà» (Matteo 24, 11-12).

Non possiamo certo lamentarci di non essere stati avvertiti in anticipo.

(fine quarta e ultima parte)

Luigi Copertino


Il Golpe (parte I)

Il Golpe (parte II)
Il Golpe (parte III)





1
) Confronta Pier Luigi Garau, Il rischio di recessione globale, disponibile su www.associazionenuovegenerazioni.blogspot.com


L'associazione culturale editoriale EFFEDIEFFE, diffida dal copiare su altri siti, blog, forum e mailing list i suddetti contenuti, in ciò affidandosi alle leggi che tutelano il copyright.   


 
Nessun commento per questo articolo

Aggiungi commento


Libreria Ritorno al Reale

EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.

Servizi online EFFEDIEFFE.com

Archivio EFFEDIEFFE : Cerca nell'archivio
EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal
2004 in poi.

Lettere alla redazione : Scrivi a
EFFEDIEFFE.com

Iscriviti alla Newsletter : Resta
aggiornato con gli eventi e le novita'
editorali EFFEDIEFFE

Chi Siamo : Per conoscere la nostra missione, la fede e gli ideali che animano il nostro lavoro.



Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com

Contatta EFFEDIEFFE : Come
raggiungerci e come contattarci
per telefono e email.

RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds

effedieffe Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità