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Il beato padre Marco d’Aviano
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Un frate politicamente scorretto

Tracciando queste note biografiche su padre Marco d’Aviano vogliamo entrare subito in medias res, descrivendo eventi bellici della fine del Seicento che videro questo grande europeo nel ruolo di assoluto e decisivo protagonista.

L’idea del Sultano era quella di creare un secondo impero turco al centro d’Europa con Vienna capitale. Nel luglio 1683 il Visir Kara Mustafà giunse a Belgrado e la conquistò; nell’avanzare le guarnigioni cristiane venivano massacrate. I turchi dilagarono in Ungheria e l’Imperatore Leopoldo, per non essere fatto prigioniero fuggì a Linz. Le truppe turche arrivate sotto Vienna, trasformarono i subordini in un mare di fuoco. La città subì un assedio di due mesi. La popolazione poteva vedere l’immensità dell’accampamento turco ed udire la sera ed il mattino il terribile grido di Allah Akbar.

Padre Marco, su istanza dell’Imperatore Leopoldo I, fu nominato, da Innocenzo XI, Legato Pontificio. La situazione destava grande preoccupazione ed il Papa temeva per la sorte del cattolicesimo e della cristianità in tutta Europa.

Padre Marco raggiunse immediatamente l’esercito della coalizione che era stata promossa dallo stesso Pontefice. Contro l’esercito turco forte di 150.000 uomini, i principi cristiani ne potevano schierare a malapena 70.000: austriaci al comando del Duca Carlo di Lorena, polacchi guidati dal Re Jan Sobieski, tedeschi guidati dai Duchi di Baviera e di Sassonia, volontari italiani posti agli ordini delle truppe del principe Eugenio di Savoia, tutti erano coscienti del loro ruolo e del loro gravoso compito. Come vedete mancavano del tutto i francesi e gli inglesi. I primi si erano addirittura alleati con la Sublime Porta in chiara posizione antagonista nei confronti dell’Austria: tutto sommato credevano che la caduta del Sacro Romano Impero germanico, avrebbe spalancato la porta alla loro egemonia sul continente, dopo che una dinastia francese aveva già sostituito i sovrani spagnoli.

Padre Marco D’Aviano
  Monumento a Padre Marco D’Aviano a Vienna
Non so se balza alla vista la miopia di questo disegno e l’inconsistenza assoluta di certe mire. Ma se davvero i turchi avessero vinto, forse che si sarebbero fermati a Vienna o, secondo i loro piani politico-religiosi, sarebbero dilagati in Italia e messo in scacco e cercato di mandare in fumo i deliranti disegni del Re di Francia? Gli inglesi, nel loro splendido isolamento insulare, erano pronti a fare affari con un’Europa musulmanizzata, ma alla fine il loro potenziale finanziario avrebbe comunque prevalso e reso dipendente in modo assoluto un Impero che oltre alla vis religiosa altro non offriva se non desertificazione e miseria!

I capi della coalizione cristiana, al solito, erano divisi, ognuno avrebbe voluto essere il capo della coalizione medesima a dispetto degli altri. Il tutto mentre a Vienna si moriva di fame e le sue difese erano sempre più rese inoffensive dalle mine che turchi facevano brillare sotto i forti e sotto le mura della città. Padre Marco con la forza che gli era concessa dal divino, dopo aver parlato con l’Imperatore Leopoldo, riuscì nella improba impresa di portare la pace e l’unità nel campo cristiano. Così si esprimeva in un dispaccio inviato al cardinale Cibo, Segretario di Stato Vaticano: «Due volte composi e sedai il Re di Polonia, altissimamente disgustato et indussi ad affrettare la marcia più di una settimana. Col Divino aiuto potei aggiustar moltissime e gravi differenze insorte nei primi capi dellesercito».

Poi, scrivendo all’Imperatore, affermò: «… Ebbi tanta grazia di Dio da sollecitare il soccorso di almeno 10 giorni di quello che sarebbe conseguito; che essi soli cinque giorni fusse tardato, sarebbe forse caduta Vienna nelle mani dellinimico». L’8 settembre, festa della Natività di Maria, l’esercito cristiano nella pianura di Tulnn si fermò per una giornata di preghiera. Una cosa del genere non si era mai vista prima: Jan Sobieski, il Re polacco, scrisse alla moglie: «Padre Marco ha celebrato la Messa con molta devozione; ha tenuto un infiammato discorso; cè chiesto di avere molta confidenza in Dio e nella Madonna, celata la sua benedizione, facendoci ripetere più volte: Gesù! Maria!».

Alle prime luci dell’alba del 12 settembre 1683, padre Marco, celebra la Messa sulla collina del Kahlemberg, Messa che viene servita dal Re di Polonia e da suo figlio Giacomo. I paramenti usati per questo rito sono ancora conservati a Rizzios di Calalzo in Cadore, ovviamente del tutto ignorati e dimenticati. Certi avvenimenti e reliquie è meglio che cadano nell’oblio, come succede per la vittoria sui protestanti ottenuta da Wallenstein, oppure la Madonna sfregiata dagli stessi protestanti e conservata in Santa Maria delle Vittorie a Roma. È quasi assurdo ma sembra che ci si vergogni di certe vittorie cristiane volute e benedette da Dio. Al rito seguì l’assoluzione e la distribuzione dell’Eucarestia ai comandanti cattolici; i protestanti furono comunque benedetti da padre Marco che, ricordiamolo, era il Legato Pontificio. Seguì la recita di una commovente preghiera da lui stessa composta.

Lo scontro fu brevissimo. Padre Marco, piazzato sulla collina, levava il crocifisso verso il luogo dove maggiormente si manifestava il pericolo per le armi cristiane; Jan Sobieski, a capo della sua cavalleria, spalleggiato dagli alleati si diresse con disprezzo del pericolo e grandissimo coraggio direttamente verso il cuore dell’accampamento turco, la tenda di Kara Mustafà, e superò di slancio anche il fossato che la circondava per difenderla. Il terrore si impadronì del Gran Visir che fece precipitosamente suonare la tromba della ritirata: la rotta fu totale! Il potentissimo esercito turco abbandonò tutto: tende, armamenti, vettovaglie ed anche le ingenti ricchezze frutto dei saccheggi e delle ruberie precedenti. Il numero dei cristiani morti fu basso, ma nel campo turco le perdite furono ingenti, molte dovute alla confusione e al panico che seguì l’assalto delle armate cristiane. A Roma le campane suonarono a festa per tre giorni: in ricordo dell’evento Papa Innocenzo XI estese a tutta la Chiesa la festa del Santo Nome di Maria. Il Re di Polonia Jan Sobieski scrisse al Pontefice: «Venimus, Vidimus et Deus vicit». Lo stesso padre Marco fu convinto che la vittoria era stata un miracolo: niente è impossibile a Dio!

Cosa ancora più toccante: mentre i comandanti cattolici cantarono il solenne Te Deum nella cattedrale di Santo Stefano nella Vienna liberata, padre Marco si ritirò nella chiesa dei Cappuccini per pregare per i soldati caduti, cristiani e musulmani, vittime loro malgrado della violenza bellica.

A Vienna c’è un monumento dedicato al cappuccino: «A padre Marco dAviano, anima della liberazione di Vienna. 12 settembre 1683». Questo è scritto sul cippo del monumento.

L’attività e la sua missione in Austria continuò: riuscì a fare stipulare un’alleanza tra Santa sede, Serenissima Repubblica di Venezia e Polonia, che portò alla liberazione di Buda, capitale ungherese, dopo ben 145 anni di dominazione turca. Padre Marco scrisse all’imperatore: «Viva Gesù e Maria! Buda è stata presa dassalto. È un vero miracolo di Dio!». Padre Marco d’Aviano passò attraverso la breccia della città portando una statua della Madonna che personalmente collocò nel Duomo di Santo Stefano che era stato trasformato in moschea dai turchi. Ottenne dall’Imperatore il restauro di tutte le chiese ungheresi che i turchi avevano devastato e che i sacerdoti svolgessero il ruolo di ufficiali di stato civile.

Nel 1688 anche la strategica roccaforte di Belgrado tornò ai cristiani. Dopo la caduta della città 800 soldati turchi caddero prigionieri: essi temevano moltissimo per l’incolumità della propria vita, dal momento che era loro costume massacrare i prigionieri nemici; padre Marco intercedette per loro presso il Duca di Baviera e per loro ottenne che fossero risparmiati in quanto anch’essi figli di Dio. I prigionieri volevano ricompensare il francescano con doni, ma fedele ai suoi voti di povertà ed umiltà mostrò loro che dovevano ringraziare Gesù Crocefisso. Essendo scoppiata una rivoluzione nell’impero turco, padre Marco tentò di far liberare anche la Bosnia, la Moldavia e la Bulgaria. Non tutti sentivano, come lui, la causa dell’Europa unita in Gesù Cristo e libera dall’oppressione. Possiamo facilmente immaginare, alla luce di ciò, quali esiti completamente differenti avrebbe potuto avere il corso degli avvenimenti recenti nella ex Jugoslavia.

Carlo Domenico Cristofori, questo era il suo nome quando nacque il 17 novembre 1631 ad Aviano, in provincia di Pordenone, da Pasquale Cristofori e da Rosa Zanoni, terzo di undici figli. Come era consuetudine in quei tempi in cui il cristianesimo permeava in pienezza la vita della società intera, il bambino fu battezzato il giorno dopo la sua nascita: tanto prima si battezzava la creatura, tanto meno il demonio aveva tempo per compiere danni o devastarne l’anima. La sua famiglia era di buona condizione sociale e di antica casata: nel 1501 un suo avo, Giorgio Cristofori, era stato ambasciatore della Magnifica Comunità di Pordenone. La madre era una pia donna e lo predilesse sempre sia per l’amore che dimostrava verso i ragazzi poveri, sia perché quando aveva tre anni fu protagonista di un fatto non spiegabile razionalmente, addirittura attestato con un atto notarile, in quanto in ciò si vide un presagio. Marco stava nella sua culla e la madre, improvvisamente, lo vide avvolto da una luce assolutamente non proveniente da fonte naturale: qualcosa di soprannaturale aveva avvolto e circonfuso e il bambino.

Ricevette i primi rudimenti scolastici da un maestro locale, poi frequentò uno zio paterno parroco a San Leonardo di Campagna. Più tardi, in una lettera all’imperatore Leopoldo I d’Asburgo, ricorderà quel periodo della sua infanzia citando questi versi che gli erano rimasti fissati nella memoria:

«Ama Dio e non fallire

Fa pur bene e lascia dire


Lascia dire a chi vuole
,

Ama Dio di buon cuore
».

A 12 anni, il 2 giugno 1643, ricevette la cresima. Come altri rampolli della borghesia fu iscritto nel 1643 al Collegium dei gesuiti a Gorizia. Entrò a far parte, mentre era in collegio, della Purificata, Congregazione Mariana che adottava un particolare e molto impegnativo programma di pratiche religiose. In collegio si davano spesso rappresentazioni teatrali che rappresentavano, sulla scena, la vita di eroi e di martiri. Anche quando era in casa aveva spesso sentito narrare la storia che riguardava la distruzione, avvenuta nel 1499, del castello di Aviano e della deportazione di gran parte della popolazione della sua città da parte dei turchi.

Nella sua mente di adolescente generoso, si consolidò l’idea di cercare il martirio. Aveva solo 16 anni quando pensò di raggiungere l’isola di Creta, dove la Serenissima Repubblica di Venezia stava, con fierezza e grande eroismo, difendendo i suoi possedimenti nell’isola aggredita dall’ondata espansionistica verso ovest dei turchi. In quel tempo la Sublime Porta era retta da Mehmet IV detto Avci, cioè il cacciatore. Egli riuscì a riconquistare Candia nel 1669 ed assediò Vienna nel 1683.

La storia di Marco e di Mehmet IV sono destinate ad incontrarsi, come vedremo poi. Il giovane Marco, infervorato di fede cattolica, desideroso di cercare il martirio, approfittando di una passeggiata con i compagni di collegio, scappa, abbandonando Gorizia e raggiunse Capo d’Istria, dove contava di imbarcarsi su una nave veneziana per raggiungere il fronte di guerra. In realtà si ritrovò stanco ed affamato e finì per chiedere soccorso al convento dei Cappuccini dove il padre superiore lo rimise in forze e lo aiutò a tornare in famiglia.

L’incontro con i francescani fu davvero importante: nel breve soggiorno nel convento di Capo d’Istria, intravide la possibilità di seguire in maniera diversa la sua vocazione sulla strada dell’apostolato e del supremo sacrificio di se stesso nel martirio. Si decise ad abbandonare il mondo e ad abbracciare l’austera impegnativa regola dei Cappuccini che, tra i seguaci di San Francesco, sono quelli più rigorosi. Nel settembre del 1648 fu ammesso al Noviziato di Conegliano Veneto ed un anno dopo, il 21 novembre 1649 prese i voti assumendo il nome di Marco d’Aviano. Fu quindi inviato ad Arzignano, nel vicentino per completare la formazione nel lavoro, nella preghiera e nelle mortificazioni. A ciò seguì il regolare corso di studi consistente in un triennio di studi di filosofia ed un quadriennio di teologia: il 18 settembre 1655 fu ordinato sacerdote a Chioggia dal vescovo Francesco Grasso che, a cavallo tra il 1660 e il 1661, ricevette la patente di predicatore al popolo.

È singolare notare come in tempi in cui c’erano tante vocazioni i giovani, invece di subire una selezione maggiore, venissero ammessi con una certa celerità agli ordini monastici e poi venissero preparati ed istruiti, con la profondità di studi, per accedere al sacerdozio. Una volta ordinato sacerdote il novizio soleva svolgere tutte le sue funzioni: curiosamente ora, in tempi di scaltrezza vocazionale, si fa tutto il contrario: si esercita una forte selezione, si accolgono al ministero giovani alla soglia dei trent’anni, una volta ordinati magari possono dire Messa, ma non confessare, poi li si affianca a padri o parroci anziani dove, per così dire, imparano il mestiere mentre ci sono decine di parrocchie senza pastore. Il tutto per essere sicuri di formare persone al meglio: dopo tutte queste precauzioni l’abbandono al sacerdozio è elevatissimo e la carenza di buoni religiosi altissima. Anche questi segni dei tempi!

Padre Marco esercitò la sua attività di predicatore con grandissimo zelo profondendo le sue migliori energie nell’apostolato della parola ed impegnandosi in maniera particolare durante i tempi importanti della Quaresima dell’Avvento. La sua attività di predicatore gli piaceva molto: «Trattandosi della salute delle anime impiegherò tutto me stesso», scriveva al Provinciale dei Cappuccini del Tirolo; non aveva perduto l’iniziale spinta al martirio: «Volentieri sacrificherò la mia vita per Dio e per il bene delle anime». Tali parole gli uscivano nel cuore, come testimoniato anche dal Generale dei Cappuccini Padre Bernardino d’Arezzo e tutto ciò suscitava l’ammirazione del Santo Padre, come affermava il cardinale Cibo, allora segretario di Stato. Durante una carestia a Smeride raccolse tanto frumento per aiutare tutti bisognosi. A Fratta Polesine e ad Este molte persone, dopo il suo intervento, sacrificarono i loro beni donandoli e poveri. Durante un’epidemia di peste era a Gorizia: «Vorrei essere valevole di poter sollevare (le pene) con il mio proprio sangue, che il farei…».  Continuava a dire che «La missione è quella di medico spirituale»; a Salò, sul Garda, riconciliò i capi del Comune ed il parroco guadagnandosi la gratitudine della cittadinanza. Alla sua già fervida missione aggiunse anche impegni di responsabilità e di governo in seno all’Ordine: nel 1672 fu Superiore del convento di Belluno e nel 1674 diresse la Fraternità di Oderzo. A 45 anni di età, la vita di padre Marco cambiò e lo tolse dal suo nascondimento e dalla sua umile applicazione trascendente esercitata nella sua cella di frate, per essere imposto all’attenzione universale.

L’otto settembre 1676, invitato a predicare nel monastero padovano di San Prosdocimo con la sua preghiera e benedizione guarì istantaneamente suor Vincenza Francesconi che era paralizzata da ben 13 anni; eventi simili si ripeterono un mese dopo a Venezia, a Chioggia, ad Andria e a Verona. La Santa Sede, quando senza polemiche, esercitava in pienezza il suo magistero spirituale, intervenne per difendere il cappuccino da chi, nelle diocesi di Padova e di Venezia, voleva impedirgli l’esercizio delle benedizioni. Oggi dubito fortemente che ciò possa succedere! A Schio, durante una quaresima, resuscitò un bambino morto da quattro giorni e già sepolto: ed i genitori glielo fecero battezzare. Il papa Innocenzo XI lo proclamò «taumaturgo del secolo». Molti dei suoi avvenimenti straordinari furono documentati da Notari nelle cronache cittadine e riconosciuti dalle curie vescovili. La fama di guaritore si espanse e vari vescovi italiani ed europei richiesero la sua opera di predicatore. Padre Marco intraprese, quindi, vari viaggi missionari che durarono mesi in Alta Italia, Francia, Belgio, Olanda, Svizzera, Tirolo, Baviera, Austria ed in molti Stati della Germania. Molto desiderata era la sua benedizione, da lui composta, che egli stesso divulgava con foglietti stampati, mentre nelle domeniche e nelle feste principali dell’anno impartiva personalmente la medesima sempre alle 11 antimeridiane.

Oltre al popolo anche vescovi, cardinali, principi e re la ricevettero con grandi frutti spirituali ed anche corporali; ottenne il privilegio di impartire ai fedeli la Benedizione Papale con annessa Indulgenza Plenaria. Presto i suoi viaggi si trasformarono in un giubileo itinerante. A Lione radunò quasi 100.000 persone. A Ratisbona il suo trionfo fu tale, che gli stessi avversari furono costretti ad ammetterlo. Ad Augusta fu accolto da un’immensa processione: il priore dei Certosini di Bruxeim scrisse al collega di Magonza: «Se lImperatore venisse ad Augusta accompagnato da altri sovrani, non credo che ci sarebbe un tale concorso di gente». La Nunziatura di Colonia disse che il concorso di popolo era tale che «Non sè visto, in questa città a memoria dellhuomini». A Monaco di Baviera il Superiore dei Cappuccini registrò 160 stampelle lasciate da storpi guariti nelle chiese dove padre Marco aveva predicato. Si rivolgeva ai protestanti con grande amorevolezza ed essi andavano ad ascoltare le sue prediche, contro la proibizione dei loro capi.

Ad Augusta così predicò: «Fratelli, so che molti di voi desiderano farsi santi. Ritornate nella Chiesa cattolica. Voi non avete colpa per la separazione. Credete, dunque, ma con una fede che sia operante nella carità». A Worms disse loro: «Una sola fede può essere la vera: professate la fede cattolica per la quale morirono i martiri ed i vostri padri eressero chiese e monasteri». Incitava anche i cattolici a non dare scandalo, a mostrare una condotta timorata di Dio in quanto la fede non è fatta di parole e promesse vuote, perché vivamente operante per mezzo della carità. Migliaia di persone si accostarono al sacramento della confessione e moltissimi erano quelli che da anni non l’avevano più praticata. Molti personaggi come il Re di Spagna Carlo II, il Re di Polonia Jan Sobieski e l’Imperatore d'Austria Leopoldo I furono suoi fedeli seguaci. Dietro le insistenze dell’Imperatore Leopoldo I ed alle sollecitazioni provenienti da Roma, padre Marco si recò Vienna ben 14 volte e partecipò attivamente alla crociata antiturca.

Nel 1682 presiedette la solenne celebrazione di ringraziamento per la cessazione della peste, ma nella piazza del Graben, ispirato dal Signore, gridò: «Vienna, Vienna, convertiti, altrimenti verrà su di te un castigo maggiore». L’anno seguente Mehmet IV, inviò una minacciosa lettera all’Imperatore ed alla Re di Polonia Sobieski: «Io ho in animo di invadere la vostra regione. Condurrò con me 13 re… Per schiacciare il vostro insignificante paese. Soprattutto ti comando, o Imperatore, di attendere me nella tua residenza, perché possa tagliarti la testa».

A proposito di voti di povertà vogliamo ricordare che padre Marco indossava sempre lo stesso saio; l’ambasciatore dell’impero a Venezia, Conte Francesco Ulderico Della Torre, ricordava: «Chi vuole essere suo amico non deve parlargli di regali. Accetta solo immagini sacre da distribuire ai fedeli».

Egli stesso scriveva l'imperatore d'Austria: «Mai ho avuto né per me né per altri (nemmeno per lOrdine) accettare cosa alcuna. Sempre ho camminato senza interesse, con tutta sincerità». Grande fu suo impegno per costruire una solida pace cristiana in Europa: la sua splendida e modestissima presenza si manifestava nelle sue missioni di predicatore e nel suo costante impegno oltre all’assistenza dei feriti negli ospedali da campo, il sostegno morale alle truppe anche nell’organizzazione di peregrinatio Mariae come quella organizzata Vienna nel 1697, dove fece arrivare dall’Ungheria la venerata immagine miracolosa della Vergine di Kalò. E mentre era immerso nella sua preghiera molto intensamente, arrivò fulminea la notizia che l’esercito austriaco, guidato dal principe Eugenio di Savoia, aveva sconfitto i turchi a Zenta sul fiume Tibisco.

Dimostrò anche tangibilmente il suo grande attaccamento alla sua patria, Venezia, tanto che, al termine di un periodo di preghiera dedicato alla Madonna Immacolata, il Doge Silvestro Valier, abbracciando e baciandolo disse: «Padre Marco, siete il rifugio della nostra Repubblica».

Nel luglio 1699 poco prima della sua morte, era ancora in missione a Vienna: «Mi vengono meno le forze, ma il Papa lo vuole. Devo applicarmi con grandissima accuratezza. Faci Dio che tutto riesca bene». Dovette mettersi a letto e, a causa di un’ulcera, era ormai in fin di vita: l’Imperatore gli mise a disposizione i medici di corte, ricevette dal Nunzio Apostolico monsignor Santa Croce la Benedizione Apostolica di Innocenzo XII e ne ricavò una forte spinta spirituale ed una grande forza interiore. Al momento in cui gli fu amministrata l’estrema unzione, rinnovò anche la professione dei suoi voti. Alle ore 11 del 13 agosto 1699, assistito dall’Imperatore Leopoldo e da sua moglie Eleonora, morì stringendo quel crocefisso con il quale, alla stessa ora della morte, soleva benedire le genti d’Europa. La salma rimase esposta fino al 17 agosto con grande partecipazione popolare ed anche con copiosa presenza di eventi prodigiosi. Per volontà imperiale fu sepolto sotto l’altare della Pietà nella Cripta dei Cappuccini cioè nella cripta dove venivano tumulati gli Imperatori d’Austria: lo stesso Leopoldo dettò l’epitaffio per la pietra tombale.

Tomba di padre Marco d’Aviano nella cripta dei Cappuccini
 


È ancora in atto la causa della sua santificazione. Il 15 gennaio del 1991 la candidatura a beato fu discussa da nove teologi scelti dalla Congregazione delle Cause dei Santi, che il successivo 6 giugno emanò il decreto sulla «eroicità delle virtù» che ne stabiliva e sanciva la beatificazione.

Luciano Garofoli



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