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Cretinismo preter-intenzionale
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Il fatto è accaduto qualche giorno fa a Lerici, un blip in cronaca, non vorrei fosse sfuggito.  Protagonista tale Matteo Acerbi, di anni 43, diconsi 43. Per «fare un dispetto» a quella che i giornali chiamano «la  sua compagna», costui entra alle due del mattino in casa di lei (casa vuota, la «compagna» lavora in un locale notturno, capite i tipi), dà fuoco al materasso; non contento,  accende due bombole di gas, poi se la svigna verso Tellaro per godersi lo spettacolo dall’alto.

Intanto, nell’appartamento superiore invaso dal fumo, muoiono soffocate una nonna con la nipotina di 5 anni; il nonno si getta dal balcone per sfuggire all’asfissia, ed è un fin di vita.

E’ lo stesso Acerbi a telefonare al 113. «Ho fatto un casino», dice. Spero che gli agenti si siano congratulati con lui per questa prima prova, ancorchè minima, di attività neuronale cosciente: un evento pari, per improbabilità, al risveglio di Eluana Englaro.

Perchè questo è il problema. Questo individuo (ma sono tanti come lui) ha potuto arrivare ad un’età che suol definirsi matura, senza aver mai avuto bisogno di usare il cervello, di esercitare pazienza nè previdenza, di apprendere almeno in pratica certi principii elementari della fisica (le fiamme salgono, si appiccano), senza doversi assumere qualche responsabilità verso il prossimo; ha vissuto evidentemente nell’obbedienza immediata ai propri impulsi primari, senza alcuna capacità di considerare le conseguenze perchè - sospetto - mai è stato obbligato a pagare una conseguenza dei suoi gesti.

Come definire un simile tipo umano, che può vivere all’interno di una civiltà complessa senza usare mai l’intelletto? Definirlo neo-selvaggio è offensivo per i selvaggi, gente piena di buon senso, di intuizione e di esperienza appresa in un ambiente difficile, dove gli atti inconsulti si pagano caro:  tra gli aborigeni del deserto australiano, costui non sopravviverebbe cinque minuti; in una tribù amazzonica sarebbe morto nei primi anni, stroncato dalla fatica o dalla fame. O magari, giustamente, esposto ai piranhas.

Perchè questo tipo sub-umano abbia potuto sopravvivere quasi indenne fino alla quarantina, generazioni di uomini prima di lui hanno compiuto gesta grandiose.

Trecento spartani si son lasciati massacrare alle Termopili, Socrate ha combattuto da oplita a Salamina, perchè l’Occidente non diventasse persiano. Per non farci diventare fenici, 70 mila soldati romani sono morti a Canne in una sola giornata. Perchè non diventassimo turchi, Cervantes perse tre dita a Lepanto, insieme a migliaia di altri coraggiosi che vi persero la vita in arrembaggi sulle passerelle; e più di un secolo dopo, migliaia di europei si sacrificarono con rassegnazione e coraggio per sbarrare il passo del turco sotto Vienna. Miriadi di martiri si sono esposti alle fiere col nome di Gesù sulle labbra, per instaurare una civiltà che fosse pietosa anche verso i deboli (di mente) e gli sprovveduti, una civiltà umanitaria, che non esponesse più i bambini e non rendesse schiavi altri uomini.

Per espandere la mente, la coscienza, e lo spazio d’azione dell’uomo occidentale, navigatori intrepidi hanno rischiato tutto, vincendo l’orrore dell’ignoto e i suoi mostri, spesso non scampando a naufragi, su vascelli fetenti e pericolanti. Magellano si è fatto uccidere in un’isola del Pacifico, che fu il primo a traversare, e quasi tutti i suoi equipaggi morirono di scorbuto.

Per debellare le infezioni e le pestilenze, ingenii straordinari ed altruisti hanno studiato per secoli, speso notti insonni a capezzali di morenti contagiosi, consumato la propria salute; la scoperta della asepsi (Semmelveiss), dei microbi (Pasteur), della penicillina (Fleming) è costata infiniti sforzi, eccezionale costanza, volontà e ostinazione. Altri geniali inventori, scienziati o - più spesso - semplici tecnici, hanno inventato macchine rotanti e volanti onde l’uomo potesse superare i limiti angusti che la natura gli aveva imposto: locomotive, navi a vapore, automezzi, aerei sempre più sicuri.

Innovazioni agricole straordinarie sono state adottate per liberare l’uomo occidentale dalla carestia ricorrente. Le società sono diventate organizzazioni eccezionalmente complesse di redistribuzione onde fornirgli la sicurezza nelle strade contro i malviventi, nella vecchiaia con la previdenza sociale, l’assistenza sanitaria gratuita nella malattia. Rivoluzioni e lotte operaie sanguinose lo hanno liberato dalla soggezione e dalla oppressione di nobili, di signori, di padroni; filosofie illuminate lo hanno sottratto ai terrori immaginari degli dèi, delle superstizioni e dell’aldilà. Tutto per sciogliere l’uomo dai lacci che hanno avviluppato la «vita» per millenni: i nodi dell’angustia, della dura fatica muscolare, della limitazione, della dipendenza e degli obblighi.

L’idea era che l’uomo, così svincolato da tutti i limiti naturali, facilitata la sua vita, liberatala dall’ossessione della penuria, della miseria, delle paure elementari che l’opprimevano, avrebbe potuto dedicare la sua intelligenza alle cose più alte, dispiegare le sue ali verso traguardi più lontani; concentrare le energie risparmiate dal sudore dei solchi a sempre nuove scoperte e conquiste intellettuali e morali; non più appesantito dai bisogni primari, l’occidentale si sarebbe elevato ai vertici dell’arte, alle cime della musica e del pensiero.

E invece, ecco il risultato di una civiltà unica nella storia per umanitarismo e facilitazione: che un Matteo Acerbi ha potuto vivere fino a 43 anni senza mai usare il cervello, e senz’altra preoccupazione più urgente che fare un dispetto alla sua donna, bruciare un materasso e, come effetto collaterale, ammazzare due o tre persone al piano di sopra. Bulletti che a scuola imparano l’analfabetismo e si riprendono col telefonino mentre compiono idiozie di livello infimo. Madri  tatuate, puttaneggianti, abbronzate dalle lampade, e padri palestrati. Veline.

Nasce un dubbio fondamentale sull’intero, grandioso percorso della civiltà occidentale, quella che cominciò con Socrate, Platone Aristotile. Tre millenni di lacrime, sangue, conquiste e scoperte che nessun’altra civiltà ha mai eguagliato, e per cosa? Per avere come ministro Ignazio Larussa.

E’ evidente che bisogna tornare indietro. Agli inizi primordiali, quando la vita non risparmiava alcuna durezza, e per campare occorreva usare forza, ingegno, almeno destrezza; quando nascere voleva dire essere gettati - come naufraghi in mare - nei rigori e nelle penurie, e bisognava dibattersi per stare a galla.

Forse bisogna cominciare col tornare alle pene di allora: quelle da tempo abolite come inumane, e che invece avevano la saggezza del «contrappasso», collegavano immediatamente nella coscienza del reo la sua azione e il suo effetto.

La gogna e le publiche staffilate sul didietro nudo, forse possono restituire il senso della vergogna perduto; i patiboli e le forche in piazza sono mute lezioni pedagogiche per chi si è abituato a non reprimere i suoi impulsi, e a deridere gli inviti a moderarsi; per chi ha attraversato interi ordini di studi senza imparare mai nulla, nemmeno per caso, la scuola d’ultima istanza possono essere i lavori forzati.



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