A) Secondo padre
Guérard des Lauriers, siccome il nuovo rito delle consacrazioni episcopali è
dubbio, qualora fosse stato eletto Papa un soggetto consacrato con il nuovo
rito, non sarebbe stato validamente vescovo e quindi non potrebbe essere
neppure Papa (ossia vescovo di Roma) neanche materialmente. Padre Guérard
parlava, in tale evenienza, di «pure comparse di papi» (Il problema dell’Autorità
e dell’episcopato nella Chiesa, Verrua Savoia, CLS, 2005, pagina 37).
B) Con l’elezione
al Soglio Pontificio di Benedetto XVI (2005), ci siamo venuti a trovare
esattamente in questa situazione: J. Ratzinger infatti è stato consacrato
vescovo con il nuovo pontificale e quindi - per padre Guérard - non sarebbe
stato vescovo né tanto meno Papa, neanche materialmente. Dunque a partire dal
2005 la Chiesa si troverebbe, stando a ciò che padre Guérard aveva scritto nel
1978-1987, in uno stato di vacanza totale (materiale e formale) di Autorità.
C) Ma ciò
ripugna, stando a quanto aveva scritto lui stesso: «Chi dichiara attualmente che
monsignor Wojtyla non è per nulla Papa (neanche materialmente), deve o
convocare il conclave, o mostrare le credenziali che lo costituiscono
direttamente e immediatamente legato di Nostro Signore Gesù Cristo»
(opera citata, pagina 37).
D) La Tesi di
Cassiciacum («papa solo materialiter») è finita, storicamente parlando, con
l’elezione di Benedetto XVI che, secondo la «Tesi», non sarebbe vescovo e
neppure Papa (neanche materialmente). Ora l’ipotesi di Benedetto XVI non
realmente Papa, neppure in potenza, sarebbe inammissibile per padre Guérard,
che ha fondato tutta la sua «Tesi» sulla distinzione tra Papa in atto e «papa»
solo in potenza, negando decisamente la vacanza totale (ossia anche materiale)
della Sede Apostolica.
E) Coloro che
seguono la tesi della Sede totalmente (in potenza e in atto) vacante, si basano
sul fatto che un eretico non può essere capo della Chiesa, in quanto non è
membro di essa. Ma questa è solo un’opinione poco probabile, non ritenuta
solida neppure dai teologi che hanno studiato il problema del Papa
eventualmente eretico; essi - infatti - unanimemente asseriscono (come sentenza
più probabile o addirittura certa) che il Papa non può cadere in eresia.
Tuttavia, ribattono i sedevacantisti totali, un soggetto può essere eretico
prima di essere eletto Papa e allora, la sua elezione sarebbe invalida,
rifacendosi alla Bolla di Paolo IV Cum ex Apostolatu.
F) Mi sembra che
si possa rispondere in tre maniere a tale istanza:
a) secondo
San Tommaso d’Aquino «la simonia viene considerata eresia
(simonia haeresis dicitur)» (S. Th., II-II, q. 100, a. 1, ad 1um), ma
nello stesso tempo l’Angelico insegna che «il Papa può incorrere nel peccato di
simonia»
(ad 7um) e non dice che non è Papa in atto o neppure in potenza. Ad esempio, è
storicamente certo che Alessandro VI prima di divenire Papa comprò
simoniacamente il Papato, ma de facto è annoverato universalmente nel catalogo
ufficiale dei Papi.
b) Inoltre San
Pio X in una «Costituzione pontificia» per la Chiesa universale (e quindi
infallibilmente assistita) «Sede Apostolica Vacante»
del 25 dicembre 1904, insegna che anche se l’eletto ha comprato il Papato
simoniacamente è comunque validamente Papa. Tale questione è quindi non solo
regolata de facto, ma anche de jure e per di più infallibilmente.
c) E’
dottrina comune della Chiesa che ove ci sia elezione canonica e l’eletto
l’abbia accettata, immediatamente diviene Papa con giurisdizione universale in
atto su tutta la Chiesa. Ora «i Papi del Concilio» sono stati eletti
canonicamente ed hanno accettato l’elezione la cui canonicità non è stata messa
in dubbio da nessuno avente autorità.
G) L’Autorità è
l’essenza della società e quindi della Chiesa, che è una società perfetta
d’ordine spirituale; onde il Papa non è accidentale ma essenziale e necessario
alla sussistenza di essa. Senza un Papa che regni in atto non sussiste il Corpo
mistico, che sarebbe simile ad un corpo senza forma o anima, ossia morto.
H) Il caso di «sede
vacante»
o interregno tra un Papa morto e uno che deve ancora essere eletto è
essenzialmente diverso da quello di «vacanza totale o solo attuale di Autorità
nella Chiesa»
(Papa, vescovi e cardinali). Infatti, quando un Papa muore i cardinali,
collegialmente sotto il cardinal decano, suppliscono il Papa defunto, governano
la Chiesa con autorità e assicurano la sua unità e permanenza nell’esistenza,
l’Autorità essendo il principio di unità e di essere della società, che non
sarebbe più una né esisterebbe senza Autorità. Mentre nella sede vacante totale
o formale di Autorità nel Papa, vescovi e cardinali, manca proprio il principio
(Autorità) di unità e di vita della Chiesa, che verrebbe quindi a morire, ma
ciò è contro la fede cattolica. Tanto per fare un esempio, ciò è paragonabile all’anestesia
che mantiene in vita, pur con una «morte chimicamente indotta»
e una vita potenziale, il paziente che deve essere operato, ma una volta
terminata l’operazione, il paziente è riportato, in atto, in piena vita
dall’anestesista. Mentre se l’anima lascia il corpo non c’è più nulla da fare,
è cessata ogni potenzialità di vivere: la morte non è chimicamente indotta, ma
reale e irreversibile. Ora con Benedetto XVI, l’anima o principio vitale di
unità ed esistenza della Chiesa (Autorità), avrebbe lasciato (secondo la «Tesi»)
anche materialmente o potenzialmente il corpo della Chiesa. Quindi Essa non
sarebbe più neppure in potenza, ma sarebbe finita totalmente in atto e in
potenza, cioè morta realmente (cervello, cuore e respirazione piatti).
I) La conclusione
mi pare essere la seguente: Benedetto XVI de facto governa praticamente;
inoltre è Papa de jure o gli spetta il Titolo di Papa; ma l’esercizio di tale
Autorità è difettoso (applicazione del Vaticano II e delle riforme da esso
scaturite). Altrimenti si dovrebbe asserire che la Chiesa, non avendo più
Autorità sia nel Papa che nei vescovi e cardinali (in atto e in potenza) è
morta da cinquanta anni. Dopo il Vaticano II e il Novus Ordo Missae (eventi
apocalittici e tragici che non hanno pari nella storia della Chiesa), la «Tesi»
del «materialiter»
di padre Guérard poteva conciliare la crisi di Autorità con l’indefettibilità
della Chiesa e salvare la sua sussistenza (come una sorta di anestesia), ma
essa ha cessato di esistere nel 2005 con l’elezione al Soglio Pontificio di un
soggetto che non essendo neppure vescovo (stando a quanto aveva scritto padre
Guérard stesso) non può a fortori essere Papa o vescovo di Roma, nemmeno in
potenza (analogamente al caso di morte reale e totale). Alcuni pretendono di correggere
padre Guérard nella spiegazione della «Tesi» del Guérard stesso, e quindi saperne più
di lui sulla sua «Tesi». «Buttiamola sul ridere». Io non ho tempo da perdere
con costoro, per me è un «caso chiuso». Se vogliono riaprirlo scrivano
alla Merlìn.
2) «Papa dubbio, Papa nullo»?
Risposta: San Roberto Bellarmino ne ha trattato nel De
conciliis, libro II, capitolo 19, ad 3um. Il caso è il seguente: si tratta di
un Papa la cui elezione è discutibile, ossia non è certo (o vi è un dubbio) se
sia stato eletto canonicamente. In tal caso bisogna rifare l’elezione canonica
per sapere con certezza se sia stato eletto o meno. Una volta che l’elezione
canonica è certa o non contestata dai cardinali elettori, se l’eletto accetta
diventa Papa. Ora nessun cardinale (neppure monsignor Lefebvre e de Castro
Mayer) ha messo in dubbio l’elezione canonica (per scrutinio) dei «Papi
conciliari».
Quindi è certo che essi sono Papi, anche se esercitano la loro funzione in
maniera deficiente.
3) Un Papa che erra nell’esercizio del potere (sino all’eresia) è vero Papa?
Risposta: quella del Papa eretico è solo un’ipotesi,
un’opinione probabile e non una certezza. I Dottori della Chiesa, soprattutto
nella controriforma, ne hanno discusso senza arrivare ad un accordo unanime e
mai ad una certezza; ognuno ha espresso la sua ipotesi probabile, non una tesi
certa.
a) La prima
ipotesi (San Roberto Bellarmino, De Romano pontifice, libro II, capitolo 30;
Francisco Suarez, De fide, disputa X, sezione VI, numero 11, pagina 319;
cardinal Louis Billot, De Ecclesia Christi, tomo I, pagine 609-610) sostiene
che un Papa non può cadere in eresia dopo la sua elezione.
Ma analizza anche l’altra ipotesi (ritenuta meno probabile) di un Papa che può
cadere in eresia.
Come si vede questa prima ipotesi non è ritenuta certa dal Bellarmino né dal
Billot, ma solo più probabile delle altre. Anzi il Billot (ibidem, pagine
610-612) insegna che la Chiesa docente ha lasciato la libertà di ritenere
possibile che il Papa cada in eresia, anche se a lui sembra meno probabile.
Anche il Bellarmino ammette che tale ipotesi, pur essendo meno probabile, è
possibile (ibidem, libro II, capitolo 30, pagina 418).
b) La
seconda ipotesi (che il Bellarmino qualifica come possibile ma molto
improbabile, ivi) sostiene che il Papa può cadere in eresia anche notoria e
mantenere il Pontificato; essa è sostenuta solo da un canonista francese D.
Bouix (+ 1870) nel Tractatus de Papa, tomo II, pagine 670-671, su 130 autori («una
rondine non fa primavera»).
c) La terza
ipotesi sostiene che il Papa può cadere in eresia e perde il Pontificato solo
dopo che i cardinali o i vescovi abbiano dichiarato la sua eresia (Cajetanus,
De auctoritate Papae et concilii, capitolo XX-XXI). Il Papa eretico non è
deposto ipso facto ma deve essere deposto (deponendus) da Cristo dopo che i
cardinali hanno dichiarato la sua eresia ostinata e manifesta.
d) La quarta
ipotesi sostiene che il Papa può cadere in eresia manifesta e perde ipso facto
il pontificato (depositus). Essa è sostenuta dal Bellarmino (ut supra, pagina
420) e dal Billot (idem, pagine 608-609) come meno probabile della prima, ma
più probabile della terza.
Come vede si tratta solo di ipotesi più o meno probabili,
mai di certezze teologiche, men che mai «specificazioni di un atto di fede».
4) Un vero Papa dovrebbe esercitare la sua
autorità solo rettamente, senza
alcun errore?
Risposta:
a) Alcuni teologi
parlano di «rispettoso
silenzio esterno», ossia interiormente si dissente ma esteriormente non si
contesta l’errore (Diekamp, Pesch, Merkelbach, Hurter, Cartechini).
b) Altri, invece
ammettono anche la resistenza pubblica, come San Paolo resistette a San Pietro
pubblicamente, nel caso di occasione di pericolo imminente per la fede (San
Tommaso d’Aquino) o di aggressione contro le anime che hanno diritto alla
legittima difesa (San Roberto Bellarmino) o di scandalo pubblico (Cornelius a
Lapide) nel dominio dottrinale. (Oltre i tre citati, confronta Vitoria, Suarez,
Wernz-Vidal, Peinador, Camillo Mazzella, Orazio Mazzella, Prummer, Iragui,
Tanquerey, Palmieri). Questa ipotesi mi sembra la più probabile. Ma la Chiesa
non si è pronunciata, onde non la si può imporre come obbligante.
c) Occorre
evitare lo scoglio di coloro che pretendono rendere certa o di fede un’opinione
teologica di una scuola (1), che è del tutto minoritaria: è possibile che documenti del
magistero siano erronei, ma non si deve sospendere l’assenso interno (Choupin,
Pègues, Salaverri).
Infatti le due scuole più comuni ammettono tale possibilità.
Quella più severa nega la liceità della resistenza pubblica, ma ammette la
liceità della dissidenza interna; mentre quella meno comune, ammette la
possibilità di errori, ma non la sospensione dell’assenso [il che mi sembra un
contro(buon)senso].
d)
L’impossibilità di errore, quando il Papa o il Concilio non voglia obbligare o
essere infallibile, è sostenuto da alcuni teologi approvati (Franzelin, Billot)
come pura opinione teologica ed è minoritaria. Vi sono, poi, dei gruppuscoli
estremisti che ne fanno un dogma o una «specificazione di un atto di fede»,
il quale è solo il loro e non della Chiesa; non è neppure teologicamente certo
anzi è solo l’opinione - meno probabile e meno comune - di un gran teologo
(Guèrard des Lauriers). Caso analogo al canonista succitato D. Bouix («una
rondine non fa primavera»).
Onde i documenti del magistero pontificio o anche
conciliare, se non sono vincolanti, possono contenere degli errori. Ora il
Vaticano II non ha voluto vincolare. Quindi può contenere errori. In tal caso
si può e si deve rifiutare l’assenso a questi documenti erronei.
Cosa fare?
Non possiamo rendere certo ciò che è solo probabile. Siamo
liberi di aderire all’opinione che più ci aggrada, ma non possiamo farne un
dogma, non avendone l’autorità. Capisco che di fronte allo scandalo pubblico
dato dai Papi conciliari ci si senta scossi, indignati e anche smarriti, ma non
bisognerebbe sorpassare il limite consentito dalla sana teologiae dal buon
senso. In certis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas (2). Tuttavia,
data la situazione estremamente grave e confusa in cui ci troviamo («hanno
colpito il pastore e il gregge si è disperso»), occorre avere anche molta
comprensione verso coloro che - in buona fede - per difendere la fede cattolica
dall’aggressione modernista, «peccano» per eccesso o per difetto.
Non si può pretendere di vedere chiaro a mezzanotte. Lo stesso Gesù predisse ai
suoi Apostoli di camminare sino a che c’era ancora Lui e quindi la Luce, poiché
sarebbero venute le Tenebre (Crocifissione) e quando si cammina al buio si
inciampa facilmente. Gli stessi Apostoli inciamparono; a fortori possiamo
inciampare noi, onde non ci si deve scandalizzare davanti alle incertezze e
divergenze di opinioni, ma occorrerebbe far fronte comune (ognuno restando
fedele a se stesso e alla sua identità, ma senza reputarsi infallibile ed
impeccabile) contro il nemico reale della Chiesa, il neomodernismo. La
situazione odierna, in campo spirituale, è analoga a quella vissuta, in campo
politico, nell’8 settembre 1943: il re è fuggito i generali si sono dileguati e
i poveri soldati lasciati in balìa di se stessi sono stati inviati al macello.
Non mi sembra che sarebbe stato opportuno sparare sui soldati e i civili che,
allora, furono vittime del loro re; non spariamoci addosso oggi: il fuoco amico
è il più pericoloso.
Don Curzio Nitoglia
1)
Etienne Gilson diceva che «la vera teologia non pretende di essere
portatrice di una verità assoluta, che tutti dovrebbero accettare per Fede.
Un’opinione teologica e una scuola teologica non possono pretendere di imporsi
come verità di Fede, ‘scomunicando’ le altre opinioni e le altre scuole
teologiche».
2)
Papa Vittore I, Santo (189-199) in un primo momento volle imporre la sua
autorità sulla questione della data della Pasqua. Infatti Roma e la Chiesa
latina la festeggiavano la domenica che seguiva il 14° giorno del mese di
Nissàn. Invece la chiesa dell’Asia minore la celebrava il 14 di Nissàn, anche
se non era domenica. Vittore chiese di uniformarsi a Roma, ma la Comunità
asiatica si irrigidì; il Papa allora decise di scomunicare tutta la suddetta
Comunità e il suo vescovo Policrate. Tuttavia molti vescovi latini
manifestarono al Papa le loro perplessità sul suo provvedimento, che avrebbe
provocato uno scisma; decisivo fu l’intervento di Sant’Ireneo vescovo di Lione
(130-202) che convinse il Papa a scendere a più miti consigli, onde Vittore non
dette corso al suo proposito di scomunica. Come si vede, in una questione molto
importante (la Chiesa d’Oriente e quella di Occidente, celebrano tuttora la
Pasqua in due date diverse) un Papa (per di più Santo) lasciò ai cattolici
orientali la possibilità di celebrare la Pasqua anche non di domenica, senza
condannarli, scomunicarli. Purtroppo qualcuno, che si prende per il «Padreterno»
scomunica e condanna «a destra e a manca» chi non ha le sue stesse
opinioni teologiche. Varrebbe la pena di prendere esempio da San Vittore.
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