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Mobilitiamoci, il pericolo è estremo
23 Febbraio 2012
Dopo matura riflessione, invito i lettori ad aderire all’appello riportato qui: L’Italia non deve aderire all'ESM. Ecco la mozione. Scrivete in massa ai politici, parlamentari, ministri, eurodeputati, giornali, opinion makers in genere: è l’ultima possibilità di impedire la perdita definitiva e permanente della sovranità, o di quel che ne resta. Cancellata quella, finisce anche la libertà, una conquista che è costata secoli di lotte e sangue, e che i nostri figli e nipoti dovranno riconquistare con altre lacrime e sangue. La mozione da inviare ai politici è già nel sito palermitano (grazie per una volta, siciliani!), e basta scaricarlo. I dettagli del pericolo estremo li spiega molto bene la giovane economista Lidia Undiemi (che non conosco di persona) nel video; chi ha tempo, legga il materiale in pdf. Mi limito ad un sunto: i poteri finanziari stanno creando una entità finanziaria sovrannazionale sovraordinata non solo agli Stati, ma persino all’Unione Europea e financo alla Banca Centrale (BCE), che diverrebbe un’ausiliaria di questo «super-governo» di una qualità inaudita. Si tratta di un «governo dei creditori» contro gli Stati debitori che imporrà «rigori e austerità» per assicurarci che continuiamo a servire il debito. Nella neolingua anodina, questa entità è denominata «Meccanismo Europeo di Stabilità» (ESM), e nel linguaggio demagogico del professor Monti, «Fondo Salva-Stati» (1). Il suo vero nome è «Fondo Ammazza-Stati». Come dice benissimo la Undiemi, a questa entità gli Stati (sono 17, fra cui l’Italia) parteciperanno non come sovrani, ma «in qualità di soci e debitori»; e in qualità di debitori Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda riceveranno istruzioni su quali tagli, austerità e rigori applicare ai loro cittadini (sudditi) «al fine di ottenere la liquidità necessaria per evitare il default» (un default che sarebbe saggio fare subito)... Nell’ultimo «accordo», gli europei-creditori hanno imposto alla Grecia di inserire nella sua Costituzione una norma che dà assoluta priorità al pagamento del debito su ogni altro tipo di spesa pubblica: sanità, istruzione, pensioni comprese. Il destino che hanno riservato alla Grecia, commissariata dalla Troika, diventerà il nostro. Lo ESM avrà il potere di svuotare le casse degli Stati senza che governi, parlamenti e cittadini possano opporsi. Per sostenere un euro agonizzante e un sistema bancario che merita di subire le conseguenze del crack mondiale che ha provocato, comincia il saccheggio senza limiti e senza controllo democratico. Questo farà anche a noi lo ESM. Una dittatura dell’Usura sui popoli europei. Una dittatura permanente. Perchè, contrariamente al Meccanismo Europeo di Stabilizzazione Finanziaria che già esiste, e spirerà nel 2013, questo ESM viene dotato di poteri vastissimi; che potrà esercitare per sempre. Dotata della più totale impunità. Perché «nel trattato fondativo, si dichiara che l’ESM, il suo personale, i suoi dirigenti e i suoi beni, ‘godono dell’immunità da ogni forma di giurisdizione’», ossia nessuna magistratura potrà mai chiamarli in giudizio, qualunque magistratura europea. Anche la documentazione che l’ente produce durante le sue manipolazioni e i suoi affari, «non può essere oggetto di perquisizione, sequestro, confisca (...) derivanti da azioni esecutive, giudiziarie, amministrative e normative». Il segreto più assoluto coprirà i suoi atti. Un simile livello di immunità supra legem, erano un tempo prerogative dei sovrani per diritto divino. Un tempo che si credeva del tutto passato. Invece, adesso le oligarchie ci restituiscono un monarca, il Re Usura. Anzi, è peggio. Perchè lo ESM non è una pubblica istituzione di qualche genere. È un ente privatistico che «opera come un qualsiasi istituto finanziario, eroga prestiti, si rivolge ai mercati finanziari» per raccolta di fondi, «ed ha come scopo il profitto». In pratica, funzionerà come una banca. Nonostante ciò, godrà di totale esenzione fiscale sui suoi profitti. Ed avrà poteri totali sugli Stati indebitati. E perchè mai un ente a scopo di lucro dovrebbe essere così totalmente insindacabile e superiore alle leggi di ogni Stato? Fino al punto di godere di totale esenzione fiscale? Soprattutto, perchè vuol essere dichiarato immune da ogni indagine giudiziaria in via preliminare? Evidentemente, ha in progetto di commettere azioni, che secondo i diritti vigenti in Europa, sono criminali. Probabilmente, ipotizza la Undiemi, si prepara così a svendere senza aste e concorsi i beni degli Stati e dei privati, con sequestri e pignoramenti e grandi «privatizzazioni», per darli agli amici suoi. Violerà i diritti di proprietà, o anche peggio.. Si sta realizzando quel mostro finanziario anticristico che potrà obbligare «tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, a farsi mettere un marchio sulla mano destra o sulla fronte. E nessuno poteva comprare o vendere se non portava il marchio, cioè il nome della bestia» secondo Apocalisse 13:16-18. Solo un ultimo ostacolo trattiene ancora questa Bestia: il trattato ESM, per entrare in vigore, deve essere ratificato dai parlamenti nazionali. Quello italiano non lo ha ancora ratificato. Non c’è dubbio che, se noi elettori non gli facciamo paura, ratificherà anche quest’ultimo tradimento. Il Parlamento attuale non ci ha risparmiato alcuno spettacolo della sua vergognosa bassezza, nessuno scandalo, nessuna esibizione di ladrocinio e di viziostà, di avidità e disonestà. È la propaggine residuale di una classe politica che ci ha portato a questa condizione di schiavi passo passo: aumentando il debito pubblico a livelli abnormi per ingrassare clientele; ratificando tutte le direttive eurocratiche che ci hanno privato della sovranità – la sovranità che gli avevamo delegato perchè la difendessero; abolendo anche da noi le norme che vietavano la commistione fra attività bancaria creditizia e speculativa; non opponendosi ad una globalizzazione che oggi mostra la sua faccoia devastatrice; è la classe che ci ha fatto entrare nell’euro al solo scopo di continuare ad indebitarsi, approfittando dei tassi d’interesse più miti. Tutte le volte avrebbe potuto dire un «no», opporsi, rallentare il processo; non l’ha mai fatto. Ed ora, dopo il disastro provocato, di fronte agli interessi aggravati (lo spread), questa classe politica ha auto-certificato la propria indegnità e incapacità, cedendo il governo a «tecnici», a cui per giunta presta la foglia di fico democratica, sostenendo questo governo nominato dalle oligarchie e dai tedeschi, con il voto parlamentare. Una maggioranza parlamentare mai vista, e concordemente bipartisan. Questa classe politica si adatta benissimo la sua nuova, vergognosa condizione di traditrice della nazione; la perdita della sovranità non la angoscia; conta di sopravvivere coi suoi emolumenti e prebende appunto nella nuova veste di votatrice automatica dei salassi e dei saccheggi che Monti esegue su ordine del supergoverno anonimo e pignoratore che si chiamerà ESM. Proprio in queste settimane, la cricca parlamentare sta accordandosi dietro le quinte per confezionare una legge elettorale proporzionale, il cui solo scopo è di garantire a se stessa di sopravvivere alla propria inutilità certificata, di continuare ad esistere e a ricevere le prebende a dispetto della fine della democrazia e della sovranità popolare. Dovrà solo votare per qualcosa che si avrà cura di nascondere all’opinione pubblica sotto il gergo anodino della flaccida dittatura eurocratica: «Modifica dell’articolo 136 del Trattato sul Funzionamento della UE». E la Bestia si leverà torreggiante su di noi. Bisogna far paura a questi servi. Avvertirli che nessuno di loro – nessuno di coloro che oggi occupano un seggio nelle due Camere – sarà mai più votato. Bisogna scrivere ai giornali, esigere che rompano il loro complice silenzio sulla reale natura dello ESM. Naturalmente, tutti i complici e i disonesti saranno lì a giustificare la cessione di sovranità invocando la «situazione obbiettiva» di enormi debitori che devono elemosinare il denaro ai «mercati»; implicheranno che la sovranità è un lusso che non possiamo più permetterci – come il posto fisso, salari decenti e assistenza sanitaria. Invocheranno la «forza maggiore». Tutte balle. Recentemente, in una conferenza a Roma, m’è capitato di rievocare un caso (l’unico) in cui la sovranità italiana fu vittoriosamente difesa a dispetto di una «situazione obbiettiva» infinitamente più tragica dell’attuale, una economia bombardata, una penuria di mezzi che riduceva le capacità di reazione quasi a nulla, e la pesante tutela di una potenza europea rigida e spietata che ci stava sul collo. È un esempio estremo, politicamente scorretto, impronunciabile: la Repubblica Sociale Italiana. Certo non era facile affermare la sovranità diuna repubblica creata dal nulla dai tedeschi, bisognosa del loro appoggio, nella condizione della disfatta, in un piccolo territorio di un Paese già largamente occupato (liberato) dagli Alleati, e per di più travagliato dalla guerra civile. Che potevano fare i ministri di quella repubblica prossima a sparire nel sangue (durò infatti venti mesi), se non adeguarsi alla condizione di Stato-fantoccio del tedesco, e pensare intanto a salvare la pelle propria, il proprio futuro, a mettere in salvo le famiglie? Ebbene, non andò così. Un mese dopo la sua nomina, il ministro delle Finanze di quello Stato evanescente come il fumo, Domenico Pellegrini Giampietro (un napoletano), ingiunse ai tedeschi di ritirare immediatamente dalla circolazione i «marchi d’occupazione» (Reichskreidit Kassenscheine) con cui le truppe germaniche, ogni volta che entravano in una bottega a comprare le poche merci esistenti, commettevano di fatto un esproprio senza indennizzo (nel Meridione liberato, gli americani continuarono per anni a inondare il Paese della loro moneta d’occupazione, le AM-lire). Ma la RSI non era più territorio occupato, era un alleato: dunque le truppe germaniche favorissero adempiere ad ogni pagamento esclusivamente in lire italiane. E di cessare requisizioni e prelievi di fondi dalle nostre banche. Anzi, visto che c’erano lavoratori italiani nel Terzo Reich, Pellegrini Giampietro pretese ed ottenne il trasferimento in Italia dei loro risparmi. Frattanto, impedì il trasferimento del Poligrafico di Stato a Vienna; fece restituire buona parte dell’oro che la Wehrmacht aveva sottratto alla Banca d’Italia, e mise al sicuro le sue riserve d’oro e valute a Fortezza, dove gli americani le trovarono intatte nel ‘45 (2). Nello stesso tempo – e nonostante la repubblica dovesse versare ai tedeschi ogni mese 7 miliardi di lire come «contributo per le spese militari, fortificazioni, riattazione delle vie di comunicazione» –, il ministro riuscì a mantenere il potere d’acquisto della lira, anche con un ferreo controllo sui prezzi. Chi ha vissuto quei tempi al Nord, li ha ricordati, non senza motivo, come tempi di paura e di tessere alimentari da fame: ma i dati dicono che al Nord, nel periodo, gli alimentari rincararono del 50%, mentre nel Meridione liberato, del 400%. E la repubblica di Salò riuscì ad aumentare la razione di pane nei mesi invernali. La stampa di carta moneta fu oculatamente controllata: dei 137,8 miliardi autorizzati, ne stampò 110,9. Il Nord dunque non conobbe l’inflazione galoppante del Sud, dove infuriava inoltre il colossale mercato nero (alimentato dai surplus americani), la prostituzione per scatolette, sigarette e calze di nylon, la criminalità impunita e la fame – talchè si può dire che il collasso morale di Napoli, divenuta capitale del malaffare, risalga a quella «liberazione». Con un introito fiscale devastato dalle distruzioni e dalla povertà (ma nei primi mesi del ‘45 Pellegrini Giampietro era riuscito ad aumentare il gettito a 2 miliardi al mese), ebbe perfino la capacità di restituire il valore di parità ai titoli di Stato (che dopo l’8 settembre erano crollati al 30% del loro valore facciale). Come fece? Personalmente non so. Ma forse una cattedra alla Bocconi, tralasciando lo studio delle meraviglie speculative di Wall Street e della City, potrebbe dedicare un «master in political economy» per capire i segreti della finanza pubblica in condizioni finanziarie ed economiche disperate, la scienza in cui Pellegrini Giampietro si rivelò maestro. Il materiale documentale c’è: il ministro repubblichino riuscì a pubblicare, per l’esercizio finanziario, 1944-45, regolari bilanci di previsione e consuntivi, regolarmente pubblicati dalla Gazzetta Ufficiale. Vi si può constatare che le entrate dello stato di Salò (386,8 miliardi) superarono le uscite (359,6), configurando dunque un attivo di bilancio di quasi 21 miliardi. Sarebbe istruttivo apprendere come ci riuscì. La cosa stupì anche gli americani. Il senatore Victor Wickersham, venuto a visitare le macerie d’Europa, dichiarò nell’agosto del ‘45: «La situazione economica dell’Italia settentrionale (quella su cui aveva governato la RSI) è molto migliore non solo rispetto alle altre regioni dell’Italia meridionale e centrale (quella occupata da loro), ma anche in confronto ad altri Paesi europei in precedenza visitati dalla Commissione di controllo... Germania, Olanda, Norvegia, Belgio e certe zone della Francia». (Il Popolo, 25 agosto 1948) (3). E non si creda che l’affermazione della sovranità in qualche modo venisse da sè, fosse accettata con legalistico scrupolo dai tedeschi. No, ogni vittoria fu strappata dal piccolo (di statura) Pellegrini Giampietro in aspri confronti con l’ambasciatore Rahn, che si sentiva ovviamente il governatore della colonia, e finì per aver quasi paura di quel «neapolitaner» che si opponeva punto per punto con incredibile competenza e oratoria, che per ogni «contributo» che gli dava, li obbligava a firmare protocolli in cui si riaffermava la sovranità monetaria dello Stato, che i tedeschi dovevano riconoscere, quindi, nero su bianco. I tedeschi provavano continuamente a smantellare le industrie esistenti e trasferirle in Germania, a mettere le mani sull’oro pubblico, i comandi della Wehrmacht facevano requisizioni, sentendosi in diritto dato il «tradimento» di questo popolo di traditori. Si doveva ad ogni istante, con tutte le forze ed anche senza aver forze reali, lottare contro il disprezzo che trasudava da ogni azione e parola dell’«alleato», ahimè giustificato. No, non fu certo facile. Pellegrini era in qualche modo un tecnico, ma lo sosteneva qualcosa d’altro: coraggio personale e amor di Patria (4), entrambi inflessibili. Due cose che la Bocconi non insegna. Due cose che i politici non hanno mai considerato necessarie ai loro successi. Per gente così, esiste sempre la «forza maggiore».
1) Occorre constatare che persino in demagogia il professor Monti supera di gran lunga il Berlusconi. Tronca le pensioni e aggrava le tasse, e chiama il decreto «Salva-Italia». Non fa nulla per stroncare i parassitismi, se non un tentativo di disciplinare i tassisti, e chiama questo nulla «liberalizzazioni», anzi «Cresci-Italia». Quando impapocchia le sue «riforme», e le sue «liberalizzazioni», Monti e il suo governo tecnico stanno attentissimi a non toccare, nemmeno sfiorare, i gangli maggiori dei parassiti pubblici, vera causa del debito. Per esempio, si veda la furbesca «lotta» ingaggiata coi sindacati per l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Ciò che rende illicenziabili i fannulloni, gli assenteisti cronici e i ladri in azienda, non è in sè l’articolo 18: è il modo in cui lo interpreta la magistratura del lavoro, che continua a fare la Rivoluzione e la Lotta di Classe dai palazzi di giustizia, imponendo il reintegro dei suddetti ladri, assenteisti e fancazzisti. È quella che andrebbe abolita. Monti lo sa benissimo. 2) Intanto il ministro dell’Economia Corporativa, Angelo Tarchi, sventava i ripetuti tentativi dei tedeschi di trasferire gli impianti industriali del Nord nel Reich, con la plausibile scusa che qui erano esposti ai bombardamenti. Già ANIC e Montecatini ed altre erano state trasferite. Il ministro Tarchi riuscì a far firmare ai tedeschi un accordo in cui questi garantivano la restituzione degli impianti il loro ripristino, la sostituzione (se necessario) con complessi di uguale potenzialità e caratteristiche nell’ipotesi di distruzione, con spese totali a carico del Reich, oltre alla restituzione di materie prime asportate, prodotti semilavorati e la fideiussione della Deutsche Bank secondo le norme previste dalle convenzioni (...). Sulla base di tale accordo, il governo della RSI emanava in data 31 maggio 1944 un documento (numero 340) che sanciva la competenza italiana in materia di politica industriale con valutazione degli impianti produttivi, per quanto atteneva alla loro capacità industriale, sulle materie prime, per la loro entità e quantità, sull’utilizzazione degli impianti in relazione alle commesse belliche, per le necessità civili, l’impiego della mano d’opera e le controversie relative in materia di tutela e decentramento degli impianti nel nord Italia (http://www.italia-rsi.org/uomini/giampietropellegrini.htm). 3) Dopo la «liberazione», il governo italiano antifascista (Bonomi) nviò nel Nord il ministro del Tesoro Marcello Soleri a constatare quel che aveva lasciato il collasso della Repubblica Sociale. Soleri riconobbe: «L'importo della circolazione monetaria durante la RSI, è risultato notevolmente inferiore all’andamento previsto, poiché il governo repubblicano ha fatto più largo ricorso al debito fluttuante (...). Sono stati stampati e messi in circolazione soltanto lire 110.881.000.000 sul totale di lire 137.840.000.000 autorizzate. Tutto ciò è abbastanza confortante (...). Tali situazioni economiche-fìnanziarie, malgrado il protrarsi dell’occupazione tedesca, sono risultate meno disa-strose di quanto si temeva, cosicché gli oneri previsti per la ricostruzione, rimarranno limitati in misura inferiore a quanto previsto e la ripresa della produzione industriale dell’Alta Italia potrà essere rapida...» (confronta Il Globo numero 104 del 6 giugno 1945). 4) Il patriottismo di Pellegrini Giampietro fu riconosciuto da un testimone sorprendente: la Corte di Cassazione dell’Italia antifascista, che ovviamente processò il ministro di Salò con l’accusa di collaborazionismo. La Corte lo definì un «protagonista della difesa del tesoro nazionale», riconobbe che la sua opera aveva impedito che il Nord-Ialia «divenisse completa preda dei tedeschi», e concluse nella motivazione della sentenza di assoluzione: «La sua opera fu ispirata ad amor patrio, non già ad asservimento al nemico, tanto più meritevole in quanto svolta fra pericoli d’ogni genere». Nonostante l’assoluzione, Pellegrini Giampietro andò in esilio, prima in Brasile, poi in Argentina e Uruguay, dove fondò banche e diresse giornali, e dove la morte lo prese il 18 giugno 1970. Era nato nel 1899, adolescente aveva combattuto volontario nella Grande Guerra (era un «ragazzo del ‘99»), e poi nella guerra di Spagna.
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