Happy end?
Piero Cammerinesi
05 Giugno 2009
Ma ci rendiamo conto dell’abisso di follia in cui stiamo precipitando -
complici gli smisurati interessi di «Big Pharma» e delle classi
dominanti i cui media ormai hanno preso pieno possesso delle nostre
coscienze - con eventi come questi, a seguito dei quali sembra che
tutti abdichino allegramente al sano giudizio?
Ma andiamo per ordine. Di Daniel Hauser la stampa italiana ha parlato
poco e male. D’altra parte abbiamo anche noi italiani in questo periodo
le nostre belle gatte da pelare. Tuttavia quello che oggi accade da
questa parte dell’Atlantico potrebbe domani verificarsi anche in
Europa, ed in alcuni casi si è già verificato.
Allora cerchiamo di capire di che si tratta.
Daniel Hauser è un tredicenne del Minnesota cui nel gennaio scorso è
stato diagnosticato un linfoma Hodgkin. Ha fatto il primo dei sei cicli
di chemio che gli sono stati prescritti, ma al momento di sottoporsi al
secondo, il ragazzino non si è più presentato in ospedale.
I genitori, convocati dai medici, hanno apertamente appoggiato la sua
scelta di non sottoporsi più alla chemioterapia ma di curarsi con
metodi naturali, ad esempio quelli sostenuti da un gruppo di nativi
americani, Nemenhah (www.nemenhah.org). Hanno affermato con decisione
che, nonostante abbia appena 13 anni, dovrebbe essere Daniel a decidere
cosa sia meglio per lui. In effetti le cure naturali iniziate stavano
dando, a detta della madre di Daniel, degli ottimi effetti ed il
ragazzo stava visibilmente migliorando giorno dopo giorno.
Ma l’oncologo che ha in cura il ragazzo non ci sta e minaccia i
genitori affermando che, sottoponendosi alla chemioterapia, Daniel avrà
il 90% di possibilità di sopravvivere; in caso contrario «quasi
sicuramente morirà». I genitori, Coleen e Anthony Hauser si rifiutano
di sottoporre il ragazzo al trattamento e così il personale medico li
denuncia. I due sono chiamati a comparire davanti al giudice. Ma ecco
che - colpo di scena - dal giudice si presenta solo il padre, dicendo
di non sapere dove siano madre e figlio, che hanno, nel frattempo,
fatto perdere le loro tracce.
Il giudice allora spicca un mandato d'arresto nei confronti della madre ed affida il ragazzo all’assistenza sociale.
Da quel momento inizia la caccia ai due fuggiaschi, rei di essersi
sottratti alla chemioterapia coatta. La fuga dura una settimana; madre
e figlio vagano nel sud della California, probabilmente cercando di
entrare in Messico dove vi sono molte opportunità di cure alternative,
considerate da anni illegali sul territorio americano, come l’Essiac
(http://www.essiacinc.com) o il metodo Hoxsey
(http://www.cancure.org/hoxsey_clinic.htm).
Tuttavia, vista la piega che stava prendendo la faccenda, con la
grancassa mediatica dedicata al caso, evidentemente rinunciano a
tentare di passare il confine federale per non peggiorare la propria
situazione, che avrebbe portato all’arresto della madre ed
all’allontanamento di David dalla famiglia. Decidono quindi di
ritornare a casa, affiancati da un avvocato che li aiuta ad affrontare
la vicenda legale, patteggiando con il tribunale la sospensione del
mandato d’arresto nei confronti della madre se Daniel si lascerà
visitare da un oncologo.
Così è stato e naturalmente il dottor Michael Richards, da cui è stato
prontamente visitato il ragazzo, ha puntualmente affermato che il
tumore nel petto di Daniel era notevolmente aumentato da quando aveva
terminato il primo ciclo di chemioterapia in febbraio. Il medico ha
anche aggiunto che tale secondo ciclo «avrebbe dovuto» migliorare la
situazione visto che il primo ciclo aveva avuto un buon risultato, ma,
che se «così non fosse stato», si sarebbe dovuto passare a protocolli
più forti o a nuovi piani terapeutici. I medici hanno anche escluso di
accogliere la richiesta, avanzata dalla famiglia Hauser, di sospendere
per periodi più lunghi la chemio, in quanto ciò potrebbe rendere il
tumore chemio-resistente.
I genitori e Daniel stesso sono stati quindi costretti ad abiurare
pubblicamente davanti alle telecamere al loro proposito di affidarsi a
cure alternative, rinunciando espressamente alle medicine tradizionali
dei nativi americani per le quali intendevano optare per contrastare il
tumore di Daniel.
Così Daniel ha dovuto sottoporsi - pena il ricovero coatto ed il
distacco dalla famiglia - al secondo ciclo di chemioterapia presso
l’ospedale pediatrico di Minneapolis.
Inoltre, visto che né lui né la madre appaiono convinti di quanto sono
stati costretti a scegliere, sono sotto stretta sorveglianza da parte
della polizia e dei servizi sociali della Brown County.
Fin qui la cronaca recentissima.
Naturalmente sui media americani e sui siti web è divampata la polemica
libertà si-libertà no, diritti del malato e obblighi dei genitori e chi
più ne ha più ne metta.
Tutto ragionevole e verosimile, con motivazioni valide da una parte e dall’altra.
Il tutto però sempre eludente un aspetto fondamentale: la questione
della possibile validità delle cure cosiddette «alternative», che non
viene mai presa in seria considerazione.
In estrema sintesi la maggior parte dei commentatori sostiene che sì,
un adulto dovrebbe avere la libertà di terapia anche se non efficace,
ma che un ragazzino no, perché non in grado di decidere autonomamente.
Ma ci sono i genitori che lo hanno fatto per lui, dicono gli altri. No,
non basta, perché loro si affidano ad improbabili cure «alternative»
che farebbero morire il ragazzo.
Ma qualcuno si è degnato di andare ad indagare se le cure cosiddette
«alternative» siano più o meno dannose o più o meno «efficaci» delle
cure ufficiali, che in questo caso vengono addirittura somministrate in
maniera coercitiva?
Nessuno. Si parte dal pregiudizio che, non essendo riconosciute dalla
Associazione Medica Americana, non possano tout-court essere valide.
Eppure di casi come quello di Daniel ve ne sono stati altri in passato
qui negli USA, a partire da quello di Billy Best, anche lui con una
diagnosi di linfoma Hodgkin a sedici anni, anche lui costretto a
sottoporsi alla chemio. Ma dopo quattro cicli di chemioterapia, che lo
avevano quasi ucciso - come lui stesso racconta - Billy decise che ne
aveva abbastanza.
Così pensò bene di scappare da genitori e da medici e, aiutato da
persone che conoscevano altri percorsi curativi, iniziò delle terapie
naturali ed una alimentazione appropriata che lo portarono alla
guarigione in breve tempo. Questo quindici anni fa; oggi Billy Best è
vivo e sta bene, con buona pace del medico che gli aveva garantito
morte certa se non si fosse lasciato sottoporre alla chemioterapia.
«I dottori mi dicevano che c’erano solo tre modi per guarire dal
cancro: chirurgia, chemio e radio. Mi volevano togliere anche la milza,
nonostante non fosse stata colpita dal male. Mi dissi che se Dio me
l’aveva data, qualche ragione c’era. Così lasciai un biglietto ai miei
dicendo loro che me ne andavo perché la chemio mi stava uccidendo
invece di aiutarmi».
(http://www.naturalnews.com/podcasts/InterviewBillyBest.mp3)
Ma i genitori gli risposero che se fosse tornato a casa non sarebbe
stato costretto a fare la chemio dato che c’erano altri metodi per
affrontare il suo male. Così Billy tornò a casa ed iniziò una dieta
priva di carne rossa, di farina, di zucchero, latte e derivati,
mangiando prevalentemente vegetali biologici ed utilizzando un potente
rimedio naturale, l’Essiac (http://www.essiacinc.com) in grado di
eliminare le tossine del corpo. Billy usò anche il 714X
(http://www.billybest.net/714X.htm) che guarì la sua malattia in appena
due mesi e mezzo.
Pensare che il suo medico gli aveva detto che le sue probabilità di sopravvivenza senza chemioterapia erano inferiori al 5%!
Intervistato oggi sulla vicenda di Daniel, Billy Best oltre a
sorprendersi dell’atteggiamento del Tribunale - nel suo caso ebbe
parere favorevole nel lontano 1994 - ribadisce che ancora oggi
rifiuterebbe senza esitazioni il trattamento.
Ciò detto, cosa dobbiamo pensare di tutta la vicenda?
Ebbene, a mio avviso, in un caso come questo la questione non è tanto -
o, meglio, non è solo - se il nostro teenager abbia o meno il diritto
di scegliere per sé la cura che ritiene più consona alle sue idee e
valutazioni. Il problema è decisamente mal posto.
Infatti, a prescindere dal fatto che, come dicono i medici, la
chemioterapia «possa» avere una elevata efficacia sui giovanissimi
(mentre il tasso di sopravvivenza degli adulti a cinque anni non supera
il 3%), il vero problema è che la medicina cosiddetta alternativa non
viene considerata di fatto una… alternativa. E questo a causa
dell’ostracismo e della ridicolizzazione messa in atto da decenni da
parte della medicina ufficiale - negli USA dalle potentissime AMA e FDA
- di ogni metodo che non rientri nella «sacra triade»: chirurgia,
chemioterapia, radioterapia.
Mettendo all’indice, con una pervicacia e violenza in tutto e per tutto
simile a quella praticata nel passato dalla Santa Inquisizione,
qualsiasi percorso curativo che non venga «benedetto»
dall’establishment medico. Questo stato di cose ha di fatto impedito
che fossero resi noti al grande pubblico dei dati scientifici
«oggettivi» sui risultati delle terapie ufficiali confrontati con
quelle… «eretiche».
Pertanto la diatriba libertà sì-libertà no dei due schieramenti è falsata alla base da questa fondamentale mancanza.
Non si può scegliere se non si conosce.
La libertà nasce solo dalla possibilità di disporre di dati adeguati
per esprimere un giudizio. Ed i dati sono oggi falsati da una parte
(medicina ufficiale) ed ignoti ai più dall’altra (medicina alternativa).
Solo un atteggiamento autenticamente scientifico che consenta di
produrre sperimentazioni coerenti dei vari metodi curativi, ufficiali
ed alternativi, potrebbe dare luogo ad una reale possibilità di scelta.
Fino a quel momento la libertà di scelta sarà solo una bella parola senza contenuto.
Piero Cammerinesi per EFFEDIEFFE.com
(giornalista italiano, vive e lavora a Los Angeles)
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