Il volume sarà in libreria a fine aprile, in occasione del centenario della nascita del professore. In quasi 500 pagine Di Bella-figlio racconta la vita del padre, un grande medico tanto elogiato, da essere candidato al Nobel, quanto dileggiato per il suo metodo contro il cancro, la terapia Di Bella.
La biografia rivela documenti sconosciuti, dai carteggi con gli scienziati del tempo (Guglielmo Marconi premiò il professore e lo avrebbe voluto al CNR; il famoso ematologo Edoardo Storti collaborò con lui e gli inviò numerosi pazienti), alle ricerche condotte con Pietro Tullio, candidato al Nobel nel 1930 e al vivo interesse per la sua terapia manifestata dal professore Domenico Campanacci, autore negli anni Cinquanta del famoso Manuale di patologia medica.
Accanto alle commoventi lettere dei pazienti guariti, c’è testimonianza dei contatti con entourage di personaggi celebri (nel 1993 Jacqueline Kennedy – che, come re Hussein di Giordania nel 1998 - non fece nemmeno in tempo a iniziare la cura) e di altri vip che intrapresero in extremis la terapia (il musicista Jerry Mullighan). Per alcuni di questi, tuttora in vita, l’autore preferisce rispettare l’anonimato (anche se non mancano riferimenti indiretti eppur eloquenti…). Ci sono prove risalenti ai primi anni Settanta sul farmaco cardine della terapia, la somatostatina, che ne attestano la priorità d’impiego nella terapia dei tumori, grazie al carteggio con l’azienda tedesca Serono, depositaria del brevetto, che fornì al professore i primi campioni. Fino al clamoroso documento, sufficiente da solo a invalidare la sperimentazione ministeriale del 1998, che conferma l’affermazione dello scienziato di non avere mai firmato i relativi protocolli.
Ecco come l’autore ci presenta la biografia:
“Mio padre aveva espresso più volte il desiderio di raccogliere in un libro le sue memorie, dedicandolo principalmente ai giovani. La sua aspirazione era fornire loro ragioni di speranza nel futuro e ‘linee guida’ sane, antitetiche a quelle che sembrano dominare la società contemporanea, dato che i giovani sono stati diseredati di ideali e di autonomia di ragionamento e giudizio, oltre che della possibilità di costruire con serenità il loro avvenire. Nel corso dei quarantacinque anni di docenza universitaria ha sempre coniugato l’insegnamento della materia al proposito formativo, forte della consapevolezza di disporre dell’unico strumento efficace per realizzare questa meta: l’esempio personale. Studenti, specializzandi o assistenti lo consideravano il riferimento sul quale basarsi, tutti consapevoli che il suo rigore, l’indisponibilità a compromessi di qualsiasi tipo, un’attività incessante, l’umiltà di fronte ai limiti della conoscenza e della comprensione umana, erano indispensabili per raggiungere elevati livelli professionali. Al rigore si univa sempre una umanità tanto prorompente quanto pudica, fatta di concretezza e non di parole. Tutta la sua esistenza è stata finalizzata al continuo miglioramento di se stesso, a trasformare in realtà quelle potenzialità che ogni individuo ha in misura più o meno ampia. Il ‘messaggio’ lanciato ai giovani è che, con impegno, costanza, senso di sacrificio, si riesce a superare qualsiasi ostacolo e dare un contributo per migliorare un mondo che, oggi specialmente, tende a greggificare tutto e tutti, ed esercitare sull’uomo una tirannia insidiosissima, perché occulta. Questa è stata una delle ragioni per le quali mi sono accinto al lavoro: tentare di realizzare un progetto che la morte gli ha impedito di compiere”.
La biografia vuole rendere giustizia a Luigi Di Bella ma è anche una forma di “ritorsione” verso di chi lo ha contrastato e denigrato?
“Certamente la biografia passa in rassegna tanti episodi di malevolenza dei quali è stato vittima, ma non è da una loro sottolineatura – che non c’è - quanto dalla descrizione del suo operato, che emerge, potente e luminosa, la figura di scienziato e di uomo. Perciò è assente qualsiasi proposito ‘vendicativo’, anzitutto per rispetto della sua memoria (non indulgeva mai a rancorosità o malevolenza, nemmeno nei confronti di autori di bassezze e malvagità); in secondo luogo perché le tare umane emergono autonomamente, senza necessità di esecrazioni. La biografia è quindi una…. biografia, non un libello né una catilinaria. Le pagine del libro coprono novant’anni di vita e di storia, ricomprendono – direi prevalentemente – il calore degli affetti familiari e dei rapporti umani. Su sedici capitoli solo uno si occupa in dettaglio del periodo della maggiore notorietà”.
Ha impiegato sette anni di lavoro...
“La responsabilità che mi stavo assumendo era grande ed altrettanto lo era il timore che affermazioni non supportate da riscontri dimostrabili potessero portare a giudizi opposti a quelli che auspicavo. Inoltre c’erano periodi della vita di mio padre – specie se antecedenti la nascita mia e di mio fratello – sui quali avevo notizie parziali e imprecise che esigevano una ricostruzione ed un compendio realizzabili solo reperendo il materiale necessario. A parte inevitabili ricerche d’archivio, mi sono trovato di fronte ad una quantità di materiale sbalorditiva, che mai avrei immaginato di scoprire: intere casse di documenti e di lettere, non poche delle quali dal contenuto clamoroso o emozionante”.
Ad esempio?
“Non credevo ai miei occhi quando ho trovato il primo lavoro pubblicato da mio padre nel 1932. Era studente del second’anno di medicina ed aveva ancora diciannove anni. Il lavoro riguardava l’influenza dei campi elettrici variabili – tema, oggi, di attualità – sui riflessi neuromotori e accanto al suo figurava il nome del professor Pietro Tullio, candidato al Nobel nel 1930 e nel 1932. Analogo stupore ed emozione ho provato trovando documenti che testimoniavano dei rapporti con Guglielmo Marconi, che lo avrebbe voluto come ricercatore al CNR, di cui era presidente e che gli conferì un premio. O quando mi sono trovato tra le mani un libro di Chimica Biologica scritto nel 1937, ancora venticinquenne, quando era già docente della stessa materia e di Fisiologia all’Università di Parma. Emozioni diverse, ma non meno intense, quelle provate nel ritrovare copiosissima corrispondenza con colei che sarebbe diventata nostra madre. Vi sono lettere di una bellezza indescrivibile, degne di figurare in un testo letterario. Parlo di scritti che risalgono anche agli anni 1930-31.
Tutto conservato con la massima cura. Ma noi figli non sapevamo nulla dei riconoscimenti citati e di altri, dei quali chiunque menerebbe legittimamente vanto. Per lui contava solo quello che doveva ancora realizzare, non quanto aveva fatto. Comunque la biografia privilegia la descrizione dell’uomo, del padre, del marito, del docente, e spero di essere riuscito a far ‘assistere’ il lettore, quasi nascosto in un angolino o camminandogli accanto, al succedersi degli eventi della sua esistenza. Per riuscire in questo intento ho cercato di ricreare le immagini della Sicilia che lo aveva visto bambino tormentato dalle privazioni della povertà; della Messina post terremoto nella quale trascorse l’adolescenza e la prima giovinezza. Allo stesso modo in cui, ricorrendo a tante lettere e ai nostri ricordi, ho rievocato l’immenso amore che nutriva per la famiglia, tante scene di vita domestica, i nostri meravigliosi ed intimi Natali, la passione per l’arte, le fatate domeniche pomeriggio, quando con mia madre suonavano intere opere a quattro mani. Sono molti anche gli episodi di spensieratezza, di allegria, di comicità: come succede nella vita di qualsiasi uomo ed in qualsiasi famiglia. Sarei felice se fossi riuscito a far sentire il lettore come un ospite invisibile della nostra casa. Un intimo amico che ha letto la bozza della biografia mi ha detto che non era riuscito a ‘staccarsi’ dal libro fino all’ultima pagina. Per me è stata la gratificazione più grande”.
Il libro documenta anche i rapporti di Luigi Di Bella con gli studiosi e i responsabili degli istituti di ricerca…
“Il materiale documentale esistente consentirebbe di scrivere un’intera biblioteca, non un libro soltanto. Ho dovuto limitarmi alle citazioni più significative, per non annoiare i lettori. Emerge comunque, innegabile, l’altissima considerazione che avevano per lui scienziati di prestigio e fama internazionali, e questo provocherà inevitabilmente molti imbarazzi tra le schiere dei suoi detrattori, anche se non era questo il fine che mi proponevo riportando certe testimonianze”.
Parla anche dei pazienti famosi?
“Ho preferito limitarmi a qualche accenno, ritenendo di essere moralmente vincolato al segreto professionale, anche se, a dire la verità, si è affacciata spesso la tentazione di fare nomi e cognomi di persone che, recuperata vita e salute, sono state colte da crisi di opportunistica smemoratezza. Alcune testimonianze rendono peraltro evidente, pur in modo indiretto, che molti vip di ogni settore siano ricorsi a lui. Basterebbe la commovente lettera che ci ha indirizzato Luciano Pavarotti quando abbiamo perduto nostro padre. Non si dichiara che “… il mondo della medicina perde un personaggio unico che per me sarà sempre il vero ed unico vincitore del Premio Nobel”… senza nutrire una stima profonda e senza aver potuto osservare l’efficacia della terapia su amici intimi e colleghi, come accadde al grande artista scomparso”.
La toccante prefazione del libro è scritta da don Alessandro Pronzato, scrittore cattolico prediletto da Papa Wojtyla. È stato lui a definire il professore “poeta della scienza”?
“No, l’idea di questo titolo è stata mia, e don Pronzato l’ha condivisa. In nostro padre era immanente l’idea della bellezza. La bellezza della Sicilia, la sua terra d’origine, della musica, delle arti figurative, della letteratura; ma anche – e direi in primo luogo – di quel mondo misterioso e ‘incantato’ che si schiude ai grandi ricercatori. L’ho sorpreso tante volte con lo sguardo trasognato dopo che aveva decifrato meccanismi e processi fisio-biologici prima sconosciuti, e il termine che ricorreva sempre sulle sue labbra era bellezza. La stessa bellezza che associava alla bontà, alla gioia di fare del bene, per cui si attuava in lui quella ineguagliabile fusione di bello e buono che costituì uno dei pilastri concettuali del più grande popolo apparso sulla terra, quello degli antichi Greci: il famoso kalòs kai agatòs. Questo vuole significare il titolo. Ma nessuno poteva, meglio di lui, suggellare questi suoi ideali con una frase, scritta nel settembre 2002, presago della fine imminente: “L’animo mi dice che non sono vissuto inutilmente, perché ho fatto del bene ed ho gioito per il bene fatto”.
Gioia Locati
Fonte > Giornale.it