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Il Metodo Di Bella
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Ho ritenuto che potesse essere di qualche interesse sul piano scientifico, etico e sociale, la segnalazione del caso di una donna nella cui mammella sinistra erano state individuate obiettivamente e confermate mediante ecografia e mammografia tre lesioni neoplastiche che avevano provocato adenopatie satelliti ascellari e sospette lesioni osteolitiche della teca cranica.

Due biopsie hanno evidenziato un tipo istologicamente aggressivo di tumore della mammella, il carcinoma duttale infiltrante. Questa diagnosi istologica è stata formulata dall’Istituto di Anatomia Patologica dell’Università di Ferrara, e confermata da un Istituto Universitario bolognese di Anatomia Patologica, il quale ha documentato con quattro foto (inserite poi nella pubblicazione), gli aggregati cellulari neoplastici, e completato gli accertamenti immunoistochimici. Dall’oncologia era stata proposta alla paziente una mastectomia totale preceduta e seguita da chemio, con radioterapia post operatoria. L’ammalata, dopo aver rifiutato sia l’intervento, che la chemio e la radioterapia, all’inizio del 2006, si è presentata nel mio studio richiedendo la terapia del professor Di Bella, che ho prescritto. Ho consigliato frequenti controlli strumentali ed ematochimici per monitorare l’effetto del MDB, che in sette mesi, ha prodotto senza tossicità, una risposta obiettiva parziale del 50%, e totale in 14 mesi, estesa alle adenopatie ascellari bilaterali, e alle lesioni craniche. L’ecografista ha potuto osservare e refertare che le tre lesioni neoplastiche si sono progressivamente ridotte a due, poi a una, fino a scomparire. A questo punto l’ecografista stesso consigliò una risonanza magnetica delle mammelle e cavi ascellari con mezzo di contrasto, che risultò negativa, come la scintigrafia la CT-PET, e le altre indagini ematochimiche e strumentali periodicamente effettuate. A distanza di oltre 3 anni non vi è alcun segno di recidiva, la cura è stata progressivamente ridotta e limitata a quei modesti dosaggi che consentono un’efficace e razionale prevenzione dei tumori. La paziente ha potuto effettuare la cura a domicilio, senza necessità di ricovero o Day Hospital, e gestire liberamente un’impegnativa attività imprenditoriale senza perdere un giorno di lavoro, ha evitato il trauma chirurgico e i rilevanti effetti tossici, altamente mutageni, e pertanto potenzialmente cancerogeni di chemio e radioterapia. Ho inviato l’intera documentazione a una nota rivista scientifica internazionale, che nel numero di  dicembre 2008 ha pubblicato integralmente il caso consentendomi di inserire per intero il razionale d’impiego e il meccanismo d’azione sinergico di ogni componente del MDB, documentato dal relativo riscontro bibliografico.

Gli esami ematochimici diversamente dalla chemio-radioterapia, non hanno evidenziato tossicità, ma una progressiva riduzione della concentrazione nel sangue di ormoni mitogeni (potenziali induttori di tumori), quali la  Prolattina, (1) l’Estradiolo, e di somatomedine (IGF1), noti fattori di crescita oncogeni, oltre al mantenimento di bassi livelli dell’ormone della crescita (GH)
responsabile della più potente induzione alla crescita sia fisiologica che neoplastica (10, 14).

Il risultato obiettivo, in assenza di tossicità, di questo caso, rappresenta l’ennesima smentita della sperimentazione, confermando l’efficacia e tollerabilità di quegli stessi principi terapeutici di cui al contrario nel 1998 la sperimentazione ministeriale del MDB aveva stabilito inefficacia e tossicità.

Questo risultato è conforme ai positivi risultati già pubblicati sull’uso del MDB nei LNH a basso grado (linfomi maligni ad elevata aggressività e leucemie linfatiche croniche) (19, 20, 21) e carcinomi polmonari al 3° e 4° stadio (12,13).

Documenta anche che nel tumore della mammella l’applicazione precoce del solo MDB come terapia di prima linea (in un organismo non debilitato dagli effetti tossici mutageni e immunodepressivi della chemio–radioterapia), può conseguire la guarigione. Il caso è pubblicato nel numero di dicembre 2008 di Neuroendohrinolgy Letters (3) reperibile nel sito www.metododibella.org. Questa pubblicazione invita ad un maggiore interesse, studio e approfondimento sulle possibilità aperte in oncologia dalla terapia biologica e recettoriale MDB.

Per illustrare e rendere accessibili i meccanismi d’azione del MDB, il suo razionale, allego una sintesi delle basi scientifiche e dei meccanismi di biologia molecolare del MDB.

Il razionale del MDB

In estrema sintesi  il MDB persegue 3 obiettivi essenziali:

1) la messa in difesa dall’aggressione neoplastica di tutte le strutture, tessuti, parenchimi, e funzioni biologiche vitali.

2) L’Inibizione della proliferazione e disseminazione neoplastica.

3) L’Inibizione delle mutazioni della cellula tumorale, cioè di quei processi biologici che la rendono progressivamente sempre più resistente, proliferativa, mobile, tossica. Le mutazioni rappresentano un meccanismo di difesa della cellula tumorale di elevatissima efficienza, arduo da superare.

1) Difesa

Considerando la storia militare, la tattica e la strategia, si comprende come impostare razionalmente la «strategia terapeutica» nella guerra ad un nemico così micidiale. Quando si è sotto attacco, sotto bombardamento, la prima cosa da fare è cercare o creare un rifugio. Quando l’uomo è sotto attacco dal tumore, la prima cosa da fare è quella di ripararsi, quella di aumentare le difese, quella di attivare questo rifugio biologico. Ad esempio quando con il MDB si inseriscono molecole apolari come l’alfatocoferolo (Vit E) e il betacarotene tra i fosfolipidi di una membrana cellulare, la si stabilizza preservandola da danni ossidativi e radicali liberi. Sia nelle situazioni che predispongono al tumore, che nel corso della malattia neoplastica, frequentemente vengono sovvertiti struttura e potenziali della membrana cellulare e, conseguentemente, l’espressione e le funzionalità recettoriali, mediante l’esasperazione dei processi ossidativi e conseguente picco di radicali liberi. In un centomilionesimo di secondo i radicali liberi possono rompere legami, creare nuove molecole, sovvertire membrane cellulari, alterarne i potenziali di superficie e i canali ionici, la permeabilità e gli scambi tra la cellula e la sostanza vivente circostante  e lontana. In presenza dei dosaggi di retinoidi e Vit. E, previsti dal MDB, in pratica le reazioni ossidative e i radicali liberi non hanno alcuna possibilità di agire, e si ottiene pertanto sia un effetto preventivo che terapeutico.

Questo esempio è relativo a una delle tante funzioni e reazioni vitali che il MDB ottimizza ed esalta difendendole dall’aggressione neoplastica.

Il MDB asseconda ed esalta le reazioni vitali. Il tumore è deviazione dalla vita normale, per cui occorre riportare, le reazioni deviate, alla norma, attraverso l’esaltazione di tutti quei mezzi che la Fisiologia considera essenziali per la vita normale. Questo obiettivo si realizza utilizzando vitamine  come Retinoidi, Vit E, Vit D3, Vit C, ecc, e neurotrasmettitori come la Melatonina (MLT) (secondo la formulazione del professor Di Bella MLT 12%, Adenosina 51% e Glicina 37%), componenti essenziali della Matrice Extracellulare come Calcio, Glucosamina solfato, Galattosamina solfato.

Retinoidi, e Melatonina sono le sole sostanze fisiologiche bifasiche, per il loro potere di preservare e attivare il  trofismo, la funzionalità di cellule sane, nello stesso momento in cui deprimono e inibiscono la progressione e vitalità delle popolazioni neoplastiche. Si tratta di molecole che, con meccanismi diversi, esercitano effetti spettacolari in quantità esigue. Retinoidi e Melatonina hanno un denominatore comune: l’esaltazione della vitalità ed efficienza biologica, e al tempo stesso l’inibizione della crescita e della cellula tumorale.

Questa apparente contraddizione deriva dal fatto che i retinoidi sono i più potenti attivatori non ormonali unicamente della crescita ordinata, strutturale, funzionale e finalizzata all’equilibrio biologico ottimale, mentre inibiscono decisamente la crescita neoplastica disordinata e afinalistica, portando la cellula tumorale all’apoptosi (morte cellulare). Le vitamine sono catalizzatori fisiologici fra energia e materia.

Caratteristica essenziale della vita è il ricevimento, l’elaborazione e la cessione di materiale da parte delle vitamine. Questo con la finalità di mantenere costanti forma, struttura, funzioni cellulari, rapporti endogeni, qualità, quantità, densità delle varie forme di energia. Il terreno biologico, organico, animato dalla vita, la sua struttura chimica, il rapporto tra materia ed energia e i riflessi energetici dei mutamenti della materia, il finalismo delle attività della sostanza vivente, che tende a mantenere costanti la realtà materiale e quella energetica, pur in contrasto alle sollecitazioni esogene o endogene, sono stati gli elementi basilari dal cui esame approfondito il professor Di Bella ha elaborato il suo metodo. La materia che compone l’universo muta in base all’entità, concentrazione e natura dell’energia che la anima, di cui non conosciamo razionalmente origine ed essenza, ma solo modalità e velocità di reazioni con cui agisce. Queste reazioni possono essere convenzionalmente positive o negative e dall’entità nel tempo di queste reazioni si ha l’equilibrio organico, che oscilla entro margini ristretti. Esso è rivolto a mantenere costante il rapporto tra composizione materiale e contenuto energetico. Ogni mutamento ha un aspetto materiale, biochimico e biofisico che interagiscono. Le cellule e gli organuli che contengono, rappresentano la sede in cui avvengono le reazioni, cioè i cambiamenti materiali della sostanza vivente.

Dall’equilibrio di queste reazioni positive e negative origina quella situazione di stabilità che è condizione ed aspetto essenziale della vita, considerando che ogni cambiamento della materia vivente non può prescindere da un adeguamento dello stato energetico. Solo minime variazioni quantitative di produzione, assorbimento, cioè elaborazione del terreno biologico e del suo corrispettivo energetico, sono compatibili con la vita, cioè le reazioni devono procedere per passaggi graduali di entità minima materiali-energetici, reciprocamente compensati nel tempo. Per l’estrema gradualità di queste reazioni apparentemente nulla è cambiato perché si è realizzato con equivalenza materiale-energetico di costruzione e distruzione, di produzione e assorbimento di energia e materia. Ciò si realizza se la materia trasformata è di entità minima, con trasmutazione attraverso gradi ugualmente minimi. Questo continuo divenire, per le eccezionali finalità cui tende, deve essere modulato e graduato con estrema finezza, e nelle sue linee essenziali sarebbe impossibile senza le vitamine, il cui fine è il condizionamento e la regolazione di quell’equilibrio materia-energia su cui poggia la vita.

La piena conoscenza delle vitamine equivale alla conoscenza dei più fini equilibri e dei rapporti energia-materia e di tutti i riflessi sull’attività vitale. Se questa è l’essenza della vita, se ne può comprendere il peso determinante nelle deviazioni tumorali, dalla vita fisiologica.

La conoscenza della composizione chimica, della formazione, della localizzazione all’interno della cellula, del momento del loro intervento, della regolazione e dell’entità della loro attività consente di cogliere l’essenza della vita fisiologica e di correggere le sue deviazioni patologiche, perciò dal suo ruolo originario biochimico-vitale, la vitaminologia è assurta nel MDB, a quello terapeutico razionale essenziale sia nella prevenzione, che nella cura di varie patologie.

Pertanto la conoscenza approfondita dei meccanismi regolatori della vita normale, fisiologica, consente la predisposizione di contromisure efficaci per evitare deviazioni degenerative o neoplastiche.



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La membrana cellulare (in azzurro, contenente lo strato fosfolipidico in rosso) è una difesa, un filtro vitale attraverso cui transita tutto, dall’interno della cellula all’esterno, vengono recepiti e analizzati gli stimoli e i condizionamenti dall’esterno all’interno e viceversa, avviene la comunicazione, vengono emessi e ricevuti impulsi e segnali. Ottimizzarla, renderla efficiente, vuol dire rendere la cellula capace di difendersi in condizioni ottimali, potenziarla: La  Vitamina E col Betacarotene proteggono e stabilizzano la membrana, la MLT ne modula fisiologicamente i potenziali regolando i canali di membrana ,e tutta la dinamica ed espressione recettoriale



Per comprendere l’enorme valenza nell’economia biologica dei retinoidi, basta considerare che essi forniscono l’alto costo energetico per mantenere ordinata nell’ambito fisiologico la crescita cellulare, e impedire le derive neoplastiche. La crescita della sostanza vivente comporta un altissimo dispendio energetico, ma l’ordine fisiologico della crescita comporta un pari ed ugualmente elevato fabbisogno di energia.

2) Inibizione della proliferazione neoplastica

Nessuno può negare che il tumore sia crescita (della biomassa, composta dalle cellule e dalla sostanza biologica extracellulare) anche se la velocità di crescita varia sensibilmente nelle varie neoplasie. La crescita incontrollata locale, nel punto d’insorgenza, o a distanza (metastasi) è un denominatore comune a tutte le neoplasie.



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Senza apporto dell’ormone della crescita (GH) e dei Fattori di Crescita (GF) prodotti dai tessuti  per azione del GH, pertanto strettamente GH dipendenti, non esiste crescita fisiologica nè tumorale. Le mutazioni cellulari avvengono per varie cause, di ordine fisico, chimico, infettivo, traumatico. Diversi componenti del MDB (MLT, Vit D3, C, E, Retinoidi, componenti ECM) hanno un effetto differenziante (le propietà antimutagene di una molecola sono definite differenzianti



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La crescita in tutti tumori dipende dal GH (ormone della crescita), dai fattori di crescita GH dipendenti (GF) e, dalla PRL (Prolattina). Il potente antidoto biologico, e non tossico del GH e dei GF è la Somatostatina (SST), come bromocriptina e cabergolina lo sono per la prolattina. La Melatonina, l’Ac retinoico, la Vit D3 potenziano sinergicamente l’azione della somatostatina e degli inibitori prolattinici.




Ormai è assurto a dignità di evidenza scientifica, cioè di dato certo e definitivamente acquisito, che la crescita, sia fisiologica, che neoplastica è dipendente dall’ormone della crescita (GH)(10) dai Fattori di Crescita GH dipendenti (GF) e dalla Prolattina (PRL) (2). Cioè qualsiasi crescita sia fisiologica che tumorale può realizzarsi solo e unicamente attraverso GH, GF e PRL. Nella crescita dei  tumori ormono-dipendenti, interviene anche l’estrogeno (tumori  della mammella e utero), e il testosterone (carcinoma prostatico). E’ stato dimostrato che la cellula tumorale utilizza, in dosi moltiplicate rispetto alla cellula sana, GH e PRL (in certe situazioni estreme di elevato indice proliferativo tumorale come nei melanomi, nello stesso intervallo di tempo in cui una cellula sana utilizza una molecola di GH, GR quella tumorale è in grado di utilizzarne circa cinquecento GR).



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L’ormone della crescita, (GH), i fattori di crescita GH dipendenti, e la prolattina (PRL) per indurre la crescita della cellula, sia sana che tumorale, devono attivare i rispettivi recettori sulla membrana cellulare, GHR PRLR GFR. Da questo contatto, si avvia la reazione chimica, (traduzione e amplificazione del segnale), che dalla superficie esterna della cellula, dalla membrana cellulare, raggiunge il nucleo e dà inizio al ciclo cellulare che porta alla duplicazione della cellula e pertanto alla  proliferazione cellulare e alla crescita tumorale.



Meccanismo recettoriale della crescita


Le molecole GH, GF e PRL agiscono sulle cellule attraverso strutture specifiche definite recettori, localizzate sulla membrana cellulare, GHR, GFR e PRLR, che avviano una reazione chimica e trasferiscono il segnale dalla membrana cellulare al nucleo, centrale operativa primaria (GHR, GFR e PRLR rappresentano l’interruttore che attivato accende la reazione). Più alta è la quantità di recettori per il GH in una cellula tumorale (GHR), maggiore è la sua capacità di utilizzare il GH, e pertanto di crescere, sia localmente, che di espandersi anche a distanza.

Nello storico studio di Lincoln (10) è ampiamente dimostrato il rapporto dose-dipendente tra espressione recettoriale del GH nelle cellule tumorali, e la loro capacità e velocità di espandersi localmente e di migrare producendo metastasi (cioè proporzionalmente alla quantità di recettori per l’ormone della crescita presenti sulla sua membrana, la cellula tumorale, utilizzando l’ormone della crescita, cresce e si espande).

Per questo, essendo definitivamente e scientificamente documentato che il tumore è crescita, e che questa crescita dipende da GH, GF e PRL, l’ovvio obiettivo terapeutico primario della cura di qualsiasi tumore, non può logicamente e ovviamente prescindere dall’inibizione di GH, GF e PRL mediante Somatostatina e gli inibitori prolattinicici Cabergolina e/o Bromocriptina. Pertanto l’inibizione della crescita tumorale attraverso il blocco dell’ormone della crescita per mezzo del suo antidoto biologico, la Somatostatina (SST), GRS (che inibisce alla cellula tumorale l’utilizzo del GH e dei Fattori di crescita GH-dipendenti, che i tessuti sani producono per effetto del GH) GRS, ha una logica semplice, lineare, comprensibile e matematica.




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L’ormone della crescita GH, a diretto contatto col rispettivo recettore GHR, a livello della membrana cellulare (in blu). Il contatto avvia una reazione di trasduzione e amplificazione di segnale al nucleo, (in rosso) [avvia reazioni chimiche con produzione di energia, trasferita al nucleo e utilizzata per avviare il ciclo cellulare, la duplicazione della cellula, e pertanto la crescita del tumore]. Le reazioni sono di fosforilazione, proteinchinasi e tirosinchinasi. Queste reazioni sono bloccate da un’azione antitumorale diretta della somatostatina (SST) che a contatto sulla membrana cellulare col rispettivo recettore SSTR, avvia sistemi enzimatici OPPOSTI di fosfatasi che inattivano e bloccano la catena di reazioni della crescita cellulare (Proetin- tirosin chinasi, fosforilazioni) inibendo la proliferazione neoplastica. Questa azione antitumorale diretta della SST sulla cellula tumorale, si somma a quella indiretta, altrettanto potente, consistente nell’abbattimento della concentrazione nel sangue del GH e conseguentemete di GF.



Lo stesso concetto, lo stesso razionale terapeutico, viene applicato al blocco farmacologico della Prolattina mediante i rispettivi inibitori specifici, quali la  Bromocriptina e la Cabergolina.



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Tutte le cellule tumorali hanno indici di crescita relativi all’espressione del recettore dell’ormone della crescita (GHR) inibito dalla somatostatina.

Inoltre l’ormone della crescita (GH) nei tessuti sani produce diversi fattori di crescita (IGF1, VEGF, EGF, FGF, HGF, PDGF, NGF, ecc…) mitogeni (potenzialmente cancerogeni), che spingono potentemente la crescita tumorale. Pertanto la SST, bloccando la più potente spinta alla proliferazione tumorale, GH e GF, rappresenta una condizione generalizzata ed essenziale nella cura dei tumori, con o senza presenza di recettori della somatostatina. E’ ampiamente documentato che la SST impedisce a livello di DNA l’espressione genica di tutti i GF, ne blocca a livello di RNA la trascrizione, e giunge a bloccare espressione e trascrizione dei rispettivi recettori. Già abbattendo con la SST il tasso di GH circolante si sottrae la molecola base con cui i tessuti producono il GF. Il dato di fatto che gli anticorpi monoclonali sono in grado di incrementare la mediana di sopravvivenza di un periodo oscillante fra una settimana e due mesi, conferma il limite di queste terapie.

Fattori di crescita (GF)

Il GH pertanto promuove la crescita tumorale anche con un meccanismo indiretto, i «Fattori di crescita», molecole fortemente mitogene che i tessuti sani possono produrre solo ed esclusivamente se attivati dal GH.

In assenza dell’ormone della crescita (GH) nessun tessuto può produrre i Fattori di crescita (GF). Pertanto il GH ha un essenziale, forte e duplice ruolo mitogeno:

1) diretto sulla crescita della cellula tumorale, mediante attivazione dei rispettivi recettori GHR, sulla superficie della cellula tumorale

2) indiretto attraverso l’induzione nei tessuti di fattori di crescita (GF), che a loro volta, rappresentano una formidabile accelerazione della crescita neoplastica.



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I fattori di crescita GH dipendenti che svolgono un ruolo primario nell’induzione e progressione neoplastica sono EGF Fattore di crescita epidermico, FGF fibroblastico, HGH di derivazione dagli epatociti, IGF1-2 prodotto dal fegato, NGG di derivazione dalle cellule nervose, PDGF, prodotto dalle piastrine, VEGF del tessuto vascolare, TGF fattore di trasformazione.



Bloccando con la somatostatina il GH e i GF dipendenti, si agisce pertanto decisamente contro la crescita tumorale con o senza recettori per la somatostatina (SSTR). Inoltre, quando non vengono evidenziati recettori della somatostatina (SSTR) nel tumore, sono comunque e sempre reperibili nei vasi peritumorali.



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In blu la  membrana cellulare con i recettori della somatostatina SSTR, in verde il citoplasma della cellula (o citosol) all’interno della membrana; in esso avvengono le reazioni chimiche attivate dal contatto tra la somatostatina (SST), e il suo recettore SSTR. Queste reazioni, (fosfatasi) segnate con la freccia bianca bloccano le reazioni chimiche della  proliferazione tumorale (protein-tirosin chinasi) indotte dal GH e GF. Sul lato DX della figura la rappresentazione schematica dei vasi sanguigni che circondano il tumore dandogli apporto nutritivo.



I vasi sanguigni che circondano il tumore presentano sempre una concentrazione di recettori (SSTR) che, se attivati dalla somatostatina, bloccano la formazione di vasi sanguigni tumorali inibendone lo sviluppo. Anche nei casi in cui non viene riscontrato alcun recettore (SSTR) nella cellula neoplastica, la somatostatina, agisce direttamente ed efficacemente bloccando la crescita tumorale attraverso l’inibizione dell’angiogenesi. Infatti è un dato di fatto incontestabile che senza angiogenesi non può svilupparsi alcun tumore. Ad esempio nel sarcoma di Kaposi, in cui è stata documentata l’assenza di recettori somatostatinici, la crescita è completamente bloccata dalla somatostatina. Nel sarcoma di Kaposi, infatti, è stata riscontrata un’alta densità di SSTR nei vasi sanguigni peritumorali, per cui il blocco della crescita è sicuramente dovuto all’inibizione dell’angiogenesi da parte della SST.

Azione diretta della SST sulla cellula tumorale

Fino al momento in cui le cellule che costituiscono il primo aggregato tumorale di pochi millimetri, non riescono a crearsi  un proprio sistema di vasi sanguigni, (Angiogenesi neoplastica), esse crescono con estrema lentezza e sono destinate a non superare le dimensioni di qualche millimetro rimanendo allo stadio di «cancro in situ». L’espansione tumorale avviene solo quando il tumore realizza l’angiogenesi, riesce cioè a costruirsi una rete di vasi sanguigni per l’apporto di sostanze nutritive e l’eliminazione di scorie metaboliche. La letteratura mondiale ha dimostrato in modo assolutamente certo che tutti i passaggi dell’angiogenesi sono bloccati dalla somatostatina e dai suoi analoghi, ma, anche se in misura minore, da tutti gli altri componenti del MDB. Sel’espansione neoplastica ha nell’angiogenesi un passaggio obbligato, e se l’angiogenesi  è totalmente inibita dalla somatostatina è ulteriormente chiarita e documentata la sua indicazione in tutti i tumori, in presenza o meno, di recettori per la somatostatina.



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Componenti dell’angiogenesi sinergicamente inibiti dalla somatostatina e da ogni componente del MDB
Ossido-Nitrico-Sintasi endoteliale (NOSe)
Interleuchina 8 (Il8)
Chemiotassi dei Monociti GH indotta (C. M)
Prostaglandina 2 (PG2)
Fattore fibroblastico di crescita (FGF)
Fattore di crescita di derivazione dagli epatociti (HGF)
Fattore di crescita di derivazione epatica (IGF 1-2)
Fattore di crescita de derivazione piastrinica (PDGF)
Fattore di crescita vascolare (VEGF)
Fattore di crescita di trasformazione (TGF)




L’effetto antiproliferativo e antiangiogenico della SST, in base ad ampia e documentata conferma della letteratura scientifica, è sinergicamente potenziato dagli altri componenti del MDB (18).

3) Inibizione delle mutazioni della cellula tumorale

L’altro aspetto fondamentale della progressione neoplastica, e pertanto obiettivo della razionalità terapeutica del MDB, è costituito dalle mutazioni delle cellule tumorali, perché ad ogni mutazione, la cellula seleziona vantaggi, per cui mutazione dopo mutazione, la cellula tumorale diventa sempre più resistente, proliferativa, tossica, mobile. Le molecole che si oppongono alle mutazioni si definiscono differenzianti. Le proprietà antiossidanti, antiradicali liberi, differenzianti e stabilizzatrici delle membrane cellulari, proprie della Melatonina e delle vitamine impiegate nel MDB (Retinoidi, VIT E, C, D3), si oppongono alla spiccata tendenza mutagena del geno - fenotipo neoplastico (caratteristiche biologiche mutagene  della cellula tumorale).



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In azzurro, sulla membrana cellulare, sono riportati i relativi siti recettoriali (siti su cui agiscono le molecole per attivare una reazione): RAR dei retinoidi, con 3 sottogruppi (alfa, beta e gamma), MELR della melatonina, ECMR della matrice extracellulare. Nel nucleo, in rosso, sono riportati i recettori nucleari RXR dell’Acido Retinoico, VDR della vitamina D3, Mel 1-2 della Melatonina.

Tutti questi recettori, sia di membrana che nucleari, sono attivati dai rispettivi ligandi (molecole  che attivano la risposta recettoriale) che sono componenti del MDB, e hanno un effetto differenziante, cioè di inibizione delle mutazioni della cellula. Se impiegati tempestivamente e contemporaneamente tutti questi blocchi recettoriali delle mutazioni, difficilmente possono essere superati dalla cellula neoplastica. Nella zona di membrana ingrandita con i segni + e - alle estremità, sono localizzati i canali del calcio, sodio e potassio, modulati dalla melatonina attraverso il controllo dei potenziali di membrana. Passaggio di vitale importanza per l’equilibrio biologico e il contrasto al tumore. L’effetto differenziante (di contrasto alle mutazioni) si realizza con reazioni chimiche di fosforilazione, mutilazione, Acetilazione, attivate dai componenti del MDB, segnalate nella figura all’interno della cellula.




Gli obiettivi strategici di una cura antiblastica pertanto, non possono prescindere dal controllo delle mutazioni, che rappresentano una caratteristica essenziale e un denominatore comune delle cellule tumorali, non meno della citata dipendenza per la crescita da GH, PRL, e GF.

Un tipico esempio delle mutazioni è quello di un batterio che mutando seleziona la resistenza all’antibiotico. Se le cellule del nostro organismo (somatiche) mutassero, la vita non sarebbe possibile. Germi e cellule neoplastiche esprimono capacità mutagena. Per chiarire quest’ultimo e fondamentale aspetto riporto in sintesi il concetto scientifico recente che ha ormai raccolto una  serie ampia e significativa di conferme e consensi. Sulle mutazioni delle cellule neoplastiche aspetti innovativi e di estremo interesse furono esposti magistralmente dal professor Fabio Truc (ordinario di Fisica al Politecnico di Torino) in una relazione al primo congresso sul MDB nel maggio 2004 a Bologna, di cui riporto una sintesi:

«La cellula tumorale è caratterizzata da una frequenza di mutazioni crescente, e segue nella sua progressione un programma predefinito di sopravvivenza ereditato dai batteri, (cui è stato trasferito dai procarioti) definito da Radman ‘SOS’, represso nella cellula sana, al quale essa accede in condizione di stress acuto. Questo programma di sopravvivenza, dà avvio a un percorso predefinito che consente alla cellula divenuta neoplastica di adattarsi con grande rapidità ed efficacia alle condizioni avverse con una progressione modulata da un meccanismo evolutivo predeterminato».

Il paradigma ancora dominante, i canoni ufficiali dell’oncologia, non hanno ancora recepito questo essenziale aspetto dell’evoluzione neoplastica, ormai necessario per una comprensione della biologia oncologica e per dare una lettura in termini evoluzionistici della progressione della malattia tumorale (da non confondere con una concezione darwinista). I protagonisti dell’evoluzione in realtà sono la selezione naturale e la variazione genetica. La selezione naturale agisce sulla variazione genetica conferendo un vantaggio evolutivo a fenotipi e genotipi che meglio si sono adattati all’ambiente.

La fonte della diversità genetica è la mutazione nelle sequenze del DNA, e la mutazione è un fenomeno, per definizione, totalmente casuale, integralmente gestito dal caso.
Quindi nell’ambito dell’evoluzione, in cui agiscono le mutazioni e la selezione naturale, è chiaro che tutto viene pilotato dal caso.

Naturalmente anche il cancro segue questa prassi evolutiva, e sicuramente è un processo di evoluzione somatica totalmente pilotato dal caso, che porta alla carcinogenesi. Nell’uomo essa è un processo genetico, la cui dinamica è regolata dall’interazione fra mutazione, selezione, e i meccanismi di omeostasi antiblastica (i mezzi che l’organismo umano ha per difendersi dal tumore) dell’organizzazione tissutale, propria degli organismi complessi pluricellulari superiori e ovviamente ad essi limitata. L’evoluzione di una cellula verso la malignità ha inizio con una o più mutazioni casuali, queste mutazioni conferiscono ovviamente alla cellula un vantaggio in termini proliferativi e dunque vengono in qualche modo trattenuti dalla selezione. Quindi la lettura attuale della malattia tumorale è in termini evolutivi. Naturalmente l’accumulazione di mutazioni produrrà ondate successive di espansioni clonali.

In questa concezione è racchiuso quello che è il paradigma prevalente della visione ortodossa del cancro. Il cancro è una malattia genetica, originata soprattutto dalla mutazione di 2 classi di geni, gli oncogeni (potenziali induttori di neoplasie) e gli oncosoppressori (inibitori neoplastici), pertanto da mutazioni dei geni che regolano la differenziazione e la crescita, direttamente coinvolti nell’evoluzione, e di quelli preposti a mantenere l’integrità del DNA, deputati alla sorveglianza della fedeltà della sintesi del DNA, e alla sua riparazione mediante i molteplici meccanismi apparsi nel corso dell’evoluzione. Tra i geni che regolano l’omeostasi antiblastica un ruolo fondamentale è svolto da quelli che generano l’apoptosi, il suicidio cellulare delle cellule tumorali.

Ogni qualvolta si presenti una mutazione in questi geni, una o più mutazioni, si assiste ad una progressione della malattia tumorale. Così quando si verifica una mutazione soprattutto nei geni di riparazione del danno del DNA, si verifica quella che è stata definita instabilità genetica, cioè il fenotipo mutante. Una semplice mutazione di una cellula sana, non riuscirebbe a spiegare questo accumulo di mutazioni e quindi si invoca la presenza di un fenotipo molto più instabile.

Probabilmente c’è un errore di posizione sul concetto di instabilità genetica. Nella concezione di Radman (15) (basata su un sistema di sopravvivenza definito SOS), sostenuta da Israel (7, 8), Truc (22), due attori fondamentali sono il gene LexA, e il gene RecA e le relative proteine.
Il gene LexA è un repressore trascrizionale, mentre il gene RecA è invece un regolatore positivo. Rimando alle pubblicazioni citate per approfondimenti.

In condizioni di stabilità il programma di sopravvivenza «SOS» non è attivo, è represso dal gene LexA. Il sistema «SOS» comprende circa una ventina di geni e quindi quando il DNA viene danneggiato o comunque la sopravvivenza della cellula è in pericolo, la proteina LexA in qualche modo viene inattivata dalla produzione di un’altra proteina, la RecA, ed è a questo punto che si attivano i geni. Sicuramente questo programma è stato messo a punto da mutazioni casuali, selezionate favorevolmente e trattenute dalla cellula che ha accesso a questa informazione in condizioni particolari.

Vi sono forti indizi per ritenere, con gli autori citati, che questo programma che è stato trattenuto dall’evoluzione ed è presente negli eucarioti, sia stato trasmesso alle nostre cellule.
La ricerca di un programma «SOS» nelle cellule eucariote e negli organismi multicellulari come il nostro, ha già dato risultati positivi. Gli studi del professor Israel, portano a ricercare omologie, tra le proteine e i geni del sistema «SOS» batterico e quelli trattenuti nelle nostre cellule.

Uno di questi geni è stato già identificato. C’è un’omologia molto marcata tra la proteina batterica RecA e una proteina presente nelle nostre cellule, la Rad51. Dunque abbiamo fondate ragioni di ritenere che il sistema «SOS», anche in una sua versione molto più evoluta, possa esistere anche nelle nostre cellule. Ad un approfondito esame, l’attuale paradigma dominante della visione della progressione maligna come totalmente gestita dal caso, cioè interamente prodotta da una somma di mutazioni successive, ma sempre casuali, non regge, per il carattere piuttosto prevedibile della progressione maligna. Ad eccezione degli eventi iniziali, sicuramente gestiti da casuali mutazioni, la progressione della malattia tumorale è sicuramente molto stereotipata, è la recita di un copione.

Le cellule tumorali acquisiscono con gradualità e progressione, crescenti proprietà e caratteristiche, ed «imparano» a svolgere tutta una serie di attività. Un fenotipo così caratterizzato, necessita di circa un migliaio di generazioni, considerando che un tempo di generazione è di circa 48 ore, in un periodo relativamente breve le cellule tumorali sono in grado di produrre fattori di crescita che le loro omologhe non endocrine non sanno sintetizzare; le cellule tumorali esprimono dei recettori a questi fattori, che influenzano la proliferazione selettiva limitata alle stesse popolazioni neoplastiche.

Esse inoltre acquisiscono sempre maggiori motilità e formabilità per meglio raggiungere i capillari e aumentare il proprio potenziale di metastasi, sanno inoltre acquistare capacità di sopravvivenza e di proliferazione in parenchimi anche diversi, e ricoprirsi di molecole che le mascherano al sistema immunitario. Successivamente sono in grado di secernere delle proteasi (enzimi che scindono le proteine) che, lisando le membrane, permettono una invasione per contiguità, oltre a indurre angiogenesi e immunodepressione locale e sistemica. In un lavoro pubblicato su «Nature» si documenta come una cellula di melanoma attaccata da un linfocita, sia in grado di produrre «apoptosi» nel linfocita; quindi le popolazioni neoplastiche raggiungono la capacità di eliminare le cellule del sistema immunitario che tentano l’aggressione.

Per ultimo la cellula tumorale è in grado di modificare l’ambiente cellulare circostante, inducendo le cellule vicine a sostenere la propria proliferazione.

Il fatto stesso che siano agevolmente in grado di codificare i passaggi essenziali della progressione verso la malignità e di acquisire un graduale incremento di aggressività, proliferazione, adattamento, contraddice una visione evolutiva strettamente casuale della malattia tumorale.

Ci sono ulteriori aspetti che danno conforto a questa posizione, le sindromi paraneoplastiche, una sorta di cartina di tornasole della progressione verso la malignità. Un dato significativo, è costituito dal fatto che, se queste mutazioni fossero gestite dal caso, o meglio se la progressione fosse totalmente gestita dal caso, dovremmo assistere sia a mutazioni favorevoli, che sfavorevoli o comunque neutre rispetto all’evoluzione tumorale. In realtà questo non succede (il tema è svolto in un lavoro di Israel).

Le sindromi paraneoplastiche documentano come la produzione di sostanze anomale da parte della cellula tumorale, mostri sempre un’utilità biologica per il tumore, che produce soltanto sostanze che gli tornano utili.

Ciò è fortemente in contraddizione con l’idea oncologica ufficiale di una progressione casuale, perché in questo caso dovremmo assistere anche a produzione di sostanze (se è il caso che gioca), neutre o comunque anche sfavorevoli rispetto alla progressione tumorale. Se il cancro è una malattia genetica, esistono alcuni eventi genetici caratterizzanti la progressione tumorale, che non sono delle mutazioni, ma semplici riattivazioni e repressioni o amplificazioni di geni non mutati ma silenti.

Questo inevitabilmente ci porta a dire che sicuramente gli organismi multicellulari più evoluti come noi, hanno ereditato parti di genoma dai batteri, come emerge chiaramente nei recenti lavori di genetica molecolare in cui si documenta che certi geni batterici si sono assolutamente conservati nelle nostre cellule.

Nell’evoluzione degli organismi pluricellulari verso una sempre maggiore complessità, il destino di ogni cellula si lega a quello della collettività a cui appartiene.

L’evoluzione verso la complessità, verso un organismo pluricellulare prevede una sorta di cooperazione della collettività cellulare e dunque l’introduzione di nuove regole; in questo senso l’evoluzione ha messo a punto una sorta di controprogramma o comunque di sistema, che controlla l’omeostasi tissutale, cosa che ovviamente non è possibile e necessaria in un ambiente batterico o unicellulare.

Questo è il sistema degli oncosopressori, che assicura l’omeostasi cellulare antiblastica impedendo ad ogni singola cellula di affrancarsi e acquistare una propria autonomia che potrebbe mettere a rischio l’intera collettività tissutale.

L’evoluzione ha prodotto questo sistema, sicuramente più giovane, quindi più imperfetto, con delle lacune, che è il sistema degli oncosoppressori.

Conseguentemente la ricerca non ha evidenziato negli eucarioti gli omologhi degli oncosoppressori, quindi abbiamo ragione di ritenere che gli oncosoppressori siano dei geni emersi evolutivamente più tardi.

Tra gli oncosoppressori è di particolare interesse il gene p53, guardiano del genoma, direttamente coinvolto nell’attivazione di un programma cellulare fondamentale per l’omeostasi antiblastica, quello dell’apoptosi.

Mi sono dilungato sul programma di sopravvivenza di Radman per evidenziare, anche alla luce di queste acquisizioni, la razionalità dei criteri, dei tempi d’impiego, degli obiettivi del MDB. Le ricerche di Radman recepite e sviluppate dai professori Israel e Truc, esposte al I° Congresso Nazionale MDB del maggio 2004, hanno dato maggiore consapevolezza che la proteiforme capacità di adattamento della cellula tumorale, la sua formidabile vitalità, capacità mutagena e di recupero, sconosciute alla biologia umana fisiologica, per quanto già ammesse, sono state gravemente sottovalutate. L’esatta e realistica valutazione dei pressoché illimitati potenziali biologici neoplastici porta ad una logica terapeutica esattamente conforme ai postulati e al razionale del MDB: solo un precoce attacco multiterapico sinergico e concentrico, senza discontinuità spazio-temporale può tenere testa, contenere e prevalere su una forma di vita diversa e drammaticamente superiore alla fisiologica, con altissime capacità di adattamento e superamento di ogni singola condizione avversa la medicina possa creare.

La cellula neoplastica supera facilmente qualsiasi  singolo ostacolo, per quanto efficace; pertanto solo la contemporanea attivazione di tutta una serie di blocchi alle mutazioni neoplastiche può impedire il più micidiale meccanismo di difesa della cellula tumorale, la mutazione. Solo l’effetto fattoriale sinergico dei componenti multiterapici differenzianti citostatici e antiproliferativi del MDB, può contrastare ad un tempo la proliferazione esponenziale del geno-fenotipo neoplastico e la sua elevatissima capacità mutagena, efficientissimo sistema difensivo difficilmente penetrabile.

E’ necessario agire contemporaneamente su elementi critici del processo neoplastico come la differenziazione, attraverso la contemporanea attivazione di molteplici bersagli recettoriali differenzianti (bloccanti le mutazioni) come i VDR (recettori nucleari della Vit D3), RXR (recettore nucleare dell’ac.retinico), RAR-alfa, beta, gamma (recettori di membrana dei retinoidi), Mel-1,2 RZR/ROR (recettori di membrana e nucleari della Melatonina) (figura 11). Al tempo stesso occorre sottrarre alla cellula neoplastica la maggiore varietà e la massima entità, concentrazione possibile di energia, rappresentata da GH, GF, fattori di crescita correlati, e PRL. Obiettivo realizzato sia inibendo la produzione di GH ipofisario e relativi GF, con SST e analoghi, MLT, Retinoidi, inibitori prolattinici, che inattivandone l’azione sulla cellula neoplastica attraverso il blocco dei meccanismi recettoriali. Infatti per attivare la crescita cellulare neoplastica, GH, e fattori di crescita correlati, devono attivare il rispettivo recettore cellulare (devono «accendere» il loro «interruttore»), ma la SST e altri componenti del MDB non consentono la formazione di questi recettori (fanno mancare l’interruttore per accendere questa reazione).

Un’ampia rassegna della relativa letteratura (circa 2.000 voci) è riportata nel volume «Il Metodo Di Bella» (6). La MLT esercita un particolare, determinante e multifunzionale effetto di regolazione negativa dell’angiogenesi, sia inibendone un essenziale componente, il PDGF, che regolando (con meccanismo omeostatico di modulazione serotoninergica consentito anche dal suo legame di idrogeno con l’adenosina), il tasso trombocitemico, (la quantità di piastrine in circolo) l’aggregazione piastrinica (sinergicamente all’Alfa MSH), il tono vasale e la permeabilità endoteliale (attraverso la modulazione di EDRF ed EDCF), fattori essenziali per la liberazione del PDGF (4, 5).

Bersagli terapeutici innovativi del MDB sono anche l’ambiente in cui vive la cellula tumorale, la regolazione fisiologica dei potenziali di membrana cellulare, le membrane basali, dotate di documentata attività differenziante, le proteine di adesione, le fasce di contenimento dell’espansione neoplastica, tutta la matrice extracellulare, il trofismo ed efficienza di parenchimi e tessuti, e degli endoteli con relativa riconduzione e livello fisiologico della permeabilità vasale degli scambi e della perfusione emo-tissutale. Anche l’immunità, e la regolazione del ciclo circadiano, sovvertiti nel paziente neoplastico, sono obiettivi del MDB. Pertanto gli elementi innovativi del MDB non si limitano alla contemporanea attivazione di più bersagli cellulari neoplastici, ma si estendono all’obiettivo di esaltare efficienza, trofismo e attività delle cellule sane, e ripristinare l’equilibrio biologico in funzione di contenimento dell’espansione neoplastica.

Tra le finalità del MDB il recupero a livello fisiologico dei ritmi biologici circadiani, alterati nelle neoplasie, mediante la modulazione della biodisponibiltà degli indoli pinealici (Melatonina e altri neurotrasmettitori prodotti dall’Epifisi, definita anche Pineale) in un contesto di continuità terapeutica temporale, intesa come assedio continuativo di una cellula tumorale già sensibilizzata dai numerosi agenti differenzianti cui vengono al tempo stesso sottratti numerosi fattori di crescita, senza concederle (diversamente dai cicli chemioterapici) pause di recupero, il tutto integrato da minimali dosaggi apoptotici, non citotossici e non mutageni di chemioterapici, la cui tollerabilità è esaltata dalla MLT e dalle vitamine del MDB.

Giuseppe Di Bella




Bibliografia

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22) Truc F., Relazione al primo Congresso Nazionale sul MDB, Bologna, 8 maggio 2004,
«Il cancro: un programma di sopravvivenza ereditato dai batteri».


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