Il Metodo Di Bella
Giuseppe Di Bella
07 Luglio 2009
Ho ritenuto che potesse essere di qualche interesse sul piano
scientifico, etico e sociale, la segnalazione del caso di una donna
nella cui mammella sinistra erano state individuate obiettivamente e
confermate mediante ecografia e mammografia tre lesioni neoplastiche
che avevano provocato adenopatie satelliti ascellari e sospette lesioni
osteolitiche della teca cranica.
Due biopsie hanno evidenziato un tipo istologicamente aggressivo di
tumore della mammella, il carcinoma duttale infiltrante. Questa
diagnosi istologica è stata formulata dall’Istituto di Anatomia
Patologica dell’Università di Ferrara, e confermata da un Istituto
Universitario bolognese di Anatomia Patologica, il quale ha documentato
con quattro foto (inserite poi nella pubblicazione), gli aggregati
cellulari neoplastici, e completato gli accertamenti immunoistochimici.
Dall’oncologia era stata proposta alla paziente una mastectomia totale
preceduta e seguita da chemio, con radioterapia post operatoria.
L’ammalata, dopo aver rifiutato sia l’intervento, che la chemio e la
radioterapia, all’inizio del 2006, si è presentata nel mio studio
richiedendo la terapia del professor Di Bella, che ho prescritto. Ho
consigliato frequenti controlli strumentali ed ematochimici per
monitorare l’effetto del MDB, che in sette mesi, ha prodotto senza
tossicità, una risposta obiettiva parziale del 50%, e totale in 14
mesi, estesa alle adenopatie ascellari bilaterali, e alle lesioni
craniche. L’ecografista ha potuto osservare e refertare che le tre
lesioni neoplastiche si sono progressivamente ridotte a due, poi a una,
fino a scomparire. A questo punto l’ecografista stesso consigliò una
risonanza magnetica delle mammelle e cavi ascellari con mezzo di
contrasto, che risultò negativa, come la scintigrafia la CT-PET, e le
altre indagini ematochimiche e strumentali periodicamente effettuate. A
distanza di oltre 3 anni non vi è alcun segno di recidiva, la cura è
stata progressivamente ridotta e limitata a quei modesti dosaggi che
consentono un’efficace e razionale prevenzione dei tumori. La paziente
ha potuto effettuare la cura a domicilio, senza necessità di ricovero o
Day Hospital, e gestire liberamente un’impegnativa attività
imprenditoriale senza perdere un giorno di lavoro, ha evitato il trauma
chirurgico e i rilevanti effetti tossici, altamente mutageni, e
pertanto potenzialmente cancerogeni di chemio e radioterapia. Ho
inviato l’intera documentazione a una nota rivista scientifica
internazionale, che nel numero di dicembre 2008 ha pubblicato
integralmente il caso consentendomi di inserire per intero il razionale
d’impiego e il meccanismo d’azione sinergico di ogni componente del
MDB, documentato dal relativo riscontro bibliografico.
Gli esami ematochimici diversamente dalla chemio-radioterapia, non
hanno evidenziato tossicità, ma una progressiva riduzione della
concentrazione nel sangue di ormoni mitogeni (potenziali induttori di
tumori), quali la Prolattina,
(1)
l’Estradiolo, e di somatomedine (IGF1), noti fattori di crescita
oncogeni, oltre al mantenimento di bassi livelli dell’ormone della
crescita (GH)
responsabile della più potente induzione alla crescita sia fisiologica che neoplastica
(10, 14).
Il risultato obiettivo, in assenza di tossicità, di questo caso,
rappresenta l’ennesima smentita della sperimentazione, confermando
l’efficacia e tollerabilità di quegli stessi principi terapeutici di
cui al contrario nel 1998 la sperimentazione ministeriale del MDB aveva
stabilito inefficacia e tossicità.
Questo risultato è conforme ai positivi risultati già pubblicati
sull’uso del MDB nei LNH a basso grado (linfomi maligni ad elevata
aggressività e leucemie linfatiche croniche)
(19, 20, 21) e carcinomi polmonari al 3° e 4° stadio
(12,13).
Documenta anche che nel tumore della mammella l’applicazione precoce
del solo MDB come terapia di prima linea (in un organismo non
debilitato dagli effetti tossici mutageni e immunodepressivi della
chemio–radioterapia), può conseguire la guarigione. Il caso è
pubblicato nel numero di dicembre 2008 di Neuroendohrinolgy Letters
(3) reperibile nel sito
www.metododibella.org.
Questa pubblicazione invita ad un maggiore interesse, studio e
approfondimento sulle possibilità aperte in oncologia dalla terapia
biologica e recettoriale MDB.
Per illustrare e rendere accessibili i meccanismi d’azione del MDB, il
suo razionale, allego una sintesi delle basi scientifiche e dei
meccanismi di biologia molecolare del MDB.
Il razionale del MDB
In estrema sintesi il MDB persegue 3 obiettivi essenziali:
1) la messa in difesa dall’aggressione neoplastica di tutte le strutture, tessuti, parenchimi, e funzioni biologiche vitali.
2) L’Inibizione della
proliferazione e disseminazione neoplastica.
3) L’Inibizione delle
mutazioni della cellula tumorale,
cioè di quei processi biologici che la rendono progressivamente sempre
più resistente, proliferativa, mobile, tossica. Le mutazioni
rappresentano un meccanismo di difesa della cellula tumorale di
elevatissima efficienza, arduo da superare.
1) Difesa
Considerando la storia militare, la tattica e la strategia, si
comprende come impostare razionalmente la «strategia terapeutica» nella
guerra ad un nemico così micidiale. Quando si è sotto attacco, sotto
bombardamento, la prima cosa da fare è cercare o creare un rifugio.
Quando l’uomo è sotto attacco dal tumore, la prima cosa da fare è
quella di ripararsi, quella di aumentare le difese, quella di attivare
questo rifugio biologico. Ad esempio quando con il MDB si inseriscono
molecole apolari come l’alfatocoferolo (Vit E) e il betacarotene tra i
fosfolipidi di una membrana cellulare, la si stabilizza preservandola
da danni ossidativi e radicali liberi. Sia nelle situazioni che
predispongono al tumore, che nel corso della malattia neoplastica,
frequentemente vengono sovvertiti struttura e potenziali della membrana
cellulare e, conseguentemente, l’espressione e le funzionalità
recettoriali, mediante l’esasperazione dei processi ossidativi e
conseguente picco di radicali liberi. In un centomilionesimo di secondo
i radicali liberi possono rompere legami, creare nuove molecole,
sovvertire membrane cellulari, alterarne i potenziali di superficie e i
canali ionici, la permeabilità e gli scambi tra la cellula e la
sostanza vivente circostante e lontana. In presenza dei dosaggi di
retinoidi e Vit. E, previsti dal MDB, in pratica le reazioni ossidative
e i radicali liberi non hanno alcuna possibilità di agire, e si ottiene
pertanto sia un effetto preventivo che terapeutico.
Questo esempio è relativo a una delle tante funzioni e reazioni vitali
che il MDB ottimizza ed esalta difendendole dall’aggressione
neoplastica.
Il MDB asseconda ed esalta le reazioni vitali. Il tumore è deviazione
dalla vita normale, per cui occorre riportare, le reazioni deviate,
alla norma, attraverso l’esaltazione di tutti quei mezzi che la
Fisiologia considera essenziali per la vita normale. Questo obiettivo
si realizza utilizzando vitamine come Retinoidi, Vit E, Vit D3, Vit C,
ecc, e neurotrasmettitori come la Melatonina (MLT) (secondo la
formulazione del professor Di Bella MLT 12%, Adenosina 51% e Glicina
37%), componenti essenziali della Matrice Extracellulare come Calcio,
Glucosamina solfato, Galattosamina solfato.
Retinoidi, e Melatonina sono le sole sostanze fisiologiche bifasiche,
per il loro potere di preservare e attivare il trofismo, la
funzionalità di cellule sane, nello stesso momento in cui deprimono e
inibiscono la progressione e vitalità delle popolazioni neoplastiche.
Si tratta di molecole che, con meccanismi diversi, esercitano effetti
spettacolari in quantità esigue. Retinoidi e Melatonina hanno un
denominatore comune: l’esaltazione della vitalità ed efficienza
biologica, e al tempo stesso l’inibizione della crescita e della
cellula tumorale.
Questa apparente contraddizione deriva dal fatto che i retinoidi sono i più potenti attivatori non ormonali
unicamente della
crescita ordinata, strutturale, funzionale e finalizzata all’equilibrio
biologico ottimale, mentre inibiscono decisamente la crescita
neoplastica disordinata e afinalistica, portando la cellula tumorale
all’apoptosi (morte cellulare). Le vitamine sono catalizzatori
fisiologici fra energia e materia.
Caratteristica essenziale della vita è il ricevimento, l’elaborazione e
la cessione di materiale da parte delle vitamine. Questo con la
finalità di mantenere costanti forma, struttura, funzioni cellulari,
rapporti endogeni, qualità, quantità, densità delle varie forme di
energia. Il terreno biologico, organico, animato dalla vita, la sua
struttura chimica, il rapporto tra materia ed energia e i riflessi
energetici dei mutamenti della materia, il finalismo delle attività
della sostanza vivente, che tende a mantenere costanti la realtà
materiale e quella energetica, pur in contrasto alle sollecitazioni
esogene o endogene, sono stati gli elementi basilari dal cui esame
approfondito il professor Di Bella ha elaborato il suo metodo. La
materia che compone l’universo muta in base all’entità, concentrazione
e natura dell’energia che la anima, di cui non conosciamo razionalmente
origine ed essenza, ma solo modalità e velocità di reazioni con cui
agisce. Queste reazioni possono essere convenzionalmente positive o
negative e dall’entità nel tempo di queste reazioni si ha l’equilibrio
organico, che oscilla entro margini ristretti. Esso è rivolto a
mantenere costante il rapporto tra composizione materiale e contenuto
energetico. Ogni mutamento ha un aspetto materiale, biochimico e
biofisico che interagiscono. Le cellule e gli organuli che contengono,
rappresentano la sede in cui avvengono le reazioni, cioè i cambiamenti
materiali della sostanza vivente.
Dall’equilibrio di queste reazioni positive e negative origina quella
situazione di stabilità che è condizione ed aspetto essenziale della
vita, considerando che ogni cambiamento della materia vivente non può
prescindere da un adeguamento dello stato energetico. Solo minime
variazioni quantitative di produzione, assorbimento, cioè elaborazione
del terreno biologico e del suo corrispettivo energetico, sono
compatibili con la vita, cioè le reazioni devono procedere per passaggi
graduali di entità minima materiali-energetici, reciprocamente
compensati nel tempo. Per l’estrema gradualità di queste reazioni
apparentemente nulla è cambiato perché si è realizzato con equivalenza
materiale-energetico di costruzione e distruzione, di produzione e
assorbimento di energia e materia. Ciò si realizza se la materia
trasformata è di entità minima, con trasmutazione attraverso gradi
ugualmente minimi. Questo continuo divenire, per le eccezionali
finalità cui tende, deve essere modulato e graduato con estrema
finezza, e nelle sue linee essenziali sarebbe impossibile senza le
vitamine, il cui fine è il condizionamento e la regolazione di
quell’equilibrio materia-energia su cui poggia la vita.
La piena conoscenza delle vitamine equivale alla conoscenza dei più
fini equilibri e dei rapporti energia-materia e di tutti i riflessi
sull’attività vitale. Se questa è l’essenza della vita, se ne può
comprendere il peso determinante nelle deviazioni tumorali, dalla vita
fisiologica.
La conoscenza della composizione chimica, della formazione, della
localizzazione all’interno della cellula, del momento del loro
intervento, della regolazione e dell’entità della loro attività
consente di cogliere l’essenza della vita fisiologica e di correggere
le sue deviazioni patologiche, perciò dal suo ruolo originario
biochimico-vitale, la vitaminologia è assurta nel MDB, a quello
terapeutico razionale essenziale sia nella prevenzione, che nella cura
di varie patologie.
Pertanto la conoscenza approfondita dei meccanismi regolatori della
vita normale, fisiologica, consente la predisposizione di contromisure
efficaci per evitare deviazioni degenerative o neoplastiche.
La
membrana cellulare (in azzurro, contenente lo strato fosfolipidico in
rosso) è una difesa, un filtro vitale attraverso cui transita tutto,
dall’interno della cellula all’esterno, vengono recepiti e analizzati
gli stimoli e i condizionamenti dall’esterno all’interno e viceversa,
avviene la comunicazione, vengono emessi e ricevuti impulsi e segnali.
Ottimizzarla, renderla efficiente, vuol dire rendere la cellula capace
di difendersi in condizioni ottimali, potenziarla: La Vitamina E col
Betacarotene proteggono e stabilizzano la membrana, la MLT ne modula
fisiologicamente i potenziali regolando i canali di membrana ,e tutta
la dinamica ed espressione recettoriale
Per comprendere l’enorme valenza nell’economia biologica dei retinoidi,
basta considerare che essi forniscono l’alto costo energetico per
mantenere ordinata nell’ambito fisiologico la crescita cellulare, e
impedire le derive neoplastiche. La crescita della sostanza vivente
comporta un altissimo dispendio energetico, ma l’ordine fisiologico
della crescita comporta un pari ed ugualmente elevato fabbisogno di
energia.
2) Inibizione della proliferazione neoplastica
Nessuno può negare che il tumore sia crescita (della biomassa, composta
dalle cellule e dalla sostanza biologica extracellulare) anche se la
velocità di crescita varia sensibilmente nelle varie neoplasie. La
crescita incontrollata locale, nel punto d’insorgenza, o a distanza
(metastasi) è
un denominatore comune a tutte le neoplasie.
Senza apporto dell’ormone della crescita (GH) e dei Fattori di Crescita
(GF) prodotti dai tessuti per azione del GH, pertanto strettamente GH
dipendenti, non esiste crescita fisiologica nè tumorale. Le mutazioni
cellulari avvengono per varie cause, di ordine fisico, chimico,
infettivo, traumatico. Diversi componenti del MDB (MLT, Vit D3, C, E,
Retinoidi, componenti ECM) hanno un effetto differenziante (le propietà
antimutagene di una molecola sono definite differenzianti
La crescita in tutti tumori dipende dal GH (ormone della crescita), dai
fattori di crescita GH dipendenti (GF) e, dalla PRL (Prolattina). Il
potente antidoto biologico, e non tossico del GH e dei GF è la
Somatostatina (SST), come bromocriptina e cabergolina lo sono per la
prolattina. La Melatonina, l’Ac retinoico, la Vit D3 potenziano
sinergicamente l’azione della somatostatina e degli inibitori
prolattinici.
Ormai è assurto a dignità di evidenza scientifica, cioè di dato certo e
definitivamente acquisito, che la crescita, sia fisiologica, che
neoplastica è dipendente dall’ormone della crescita (GH)
,
(10)
dai Fattori di Crescita GH dipendenti (GF) e dalla Prolattina (PRL)
(2). Cioè
qualsiasi crescita sia fisiologica che tumorale può realizzarsi solo e unicamente attraverso GH, GF e PRL. Nella
crescita dei tumori ormono-dipendenti, interviene anche l’estrogeno
(tumori della mammella e utero), e il testosterone (carcinoma
prostatico). E’ stato dimostrato che la cellula tumorale utilizza, in
dosi moltiplicate rispetto alla cellula sana, GH e PRL (in certe
situazioni estreme di elevato indice proliferativo tumorale come nei
melanomi, nello stesso intervallo di tempo in cui una cellula sana
utilizza una molecola di GH, GR quella tumorale è in grado di
utilizzarne circa cinquecento GR).
L’ormone
della crescita, (GH), i fattori di crescita GH dipendenti, e la
prolattina (PRL) per indurre la crescita della cellula, sia sana che
tumorale, devono attivare i rispettivi recettori sulla membrana
cellulare, GHR PRLR GFR. Da questo contatto, si avvia la reazione
chimica, (traduzione e amplificazione del segnale), che dalla
superficie esterna della cellula, dalla membrana cellulare, raggiunge
il nucleo e dà inizio al ciclo cellulare che porta alla duplicazione
della cellula e pertanto alla proliferazione cellulare e alla crescita
tumorale.
Meccanismo recettoriale della crescita
Le molecole GH, GF e PRL agiscono sulle cellule attraverso strutture
specifiche definite recettori, localizzate sulla membrana cellulare,
GHR, GFR e PRLR, che avviano una reazione chimica e trasferiscono il
segnale dalla membrana cellulare al nucleo, centrale operativa primaria
(GHR, GFR e PRLR rappresentano l’interruttore che attivato accende la
reazione). Più alta è la quantità di recettori per il GH in una cellula
tumorale (GHR), maggiore è la sua capacità di utilizzare il GH, e
pertanto di crescere, sia localmente, che di espandersi anche a
distanza.
Nello storico studio di Lincoln
(10) è ampiamente dimostrato il
rapporto
dose-dipendente tra espressione recettoriale del GH nelle cellule
tumorali, e la loro capacità e velocità di espandersi localmente e di
migrare producendo metastasi (cioè proporzionalmente alla quantità
di recettori per l’ormone della crescita presenti sulla sua membrana,
la cellula tumorale, utilizzando l’ormone della crescita, cresce e si
espande).
Per questo, essendo definitivamente e scientificamente documentato che
il tumore è crescita, e che questa crescita dipende da GH, GF e PRL,
l’ovvio obiettivo terapeutico primario della cura di qualsiasi tumore,
non può logicamente e ovviamente prescindere dall’inibizione di GH, GF
e PRL mediante Somatostatina e gli inibitori prolattinicici Cabergolina
e/o Bromocriptina. Pertanto l’inibizione della crescita tumorale
attraverso il blocco dell’ormone della crescita per mezzo del suo
antidoto biologico, la Somatostatina (SST), GRS (
che
inibisce alla cellula tumorale l’utilizzo del GH e dei Fattori di
crescita GH-dipendenti, che i tessuti sani producono per effetto del GH) GRS, ha una logica semplice, lineare, comprensibile e matematica.
L’ormone
della crescita GH, a diretto contatto col rispettivo recettore GHR, a
livello della membrana cellulare (in blu). Il contatto avvia una
reazione di trasduzione e amplificazione di segnale al nucleo, (in
rosso) [avvia reazioni chimiche con produzione di energia, trasferita
al nucleo e utilizzata per avviare il ciclo cellulare, la duplicazione
della cellula, e pertanto la crescita del tumore]. Le reazioni sono di fosforilazione, proteinchinasi e tirosinchinasi.
Queste reazioni sono bloccate da un’azione antitumorale diretta della
somatostatina (SST) che a contatto sulla membrana cellulare col
rispettivo recettore SSTR, avvia sistemi enzimatici OPPOSTI di fosfatasi che inattivano e bloccano la catena di reazioni della crescita cellulare
(Proetin- tirosin chinasi, fosforilazioni) inibendo la proliferazione
neoplastica. Questa azione antitumorale diretta della SST sulla cellula
tumorale, si somma a quella indiretta, altrettanto potente, consistente
nell’abbattimento della concentrazione nel sangue del GH e
conseguentemete di GF.
Lo stesso concetto, lo stesso razionale terapeutico, viene applicato al
blocco farmacologico della Prolattina mediante i rispettivi inibitori
specifici, quali la Bromocriptina e la Cabergolina.
Tutte le cellule tumorali hanno indici di crescita relativi
all’espressione del recettore dell’ormone della crescita (GHR) inibito
dalla somatostatina.
Inoltre l’ormone della crescita (GH) nei tessuti sani produce diversi
fattori di crescita (IGF1, VEGF, EGF, FGF, HGF, PDGF, NGF, ecc…)
mitogeni (potenzialmente cancerogeni), che spingono potentemente la
crescita tumorale. Pertanto la SST, bloccando la più potente spinta
alla proliferazione tumorale, GH e GF, rappresenta una condizione
generalizzata ed essenziale nella cura dei tumori, con o senza presenza
di recettori della somatostatina. E’ ampiamente documentato che la SST
impedisce a livello di DNA l’espressione genica di tutti i GF,
ne blocca a livello di RNA la trascrizione, e giunge a bloccare
espressione e trascrizione dei rispettivi recettori. Già abbattendo con
la SST il tasso di GH circolante si sottrae la molecola base con cui i
tessuti producono il GF. Il dato di fatto che gli anticorpi monoclonali
sono in grado di incrementare la mediana di sopravvivenza di un periodo
oscillante fra una settimana e due mesi, conferma il limite di queste
terapie.
Fattori di crescita (GF)
Il GH pertanto promuove la crescita tumorale anche con un meccanismo indiretto, i
«Fattori di crescita», molecole fortemente mitogene che
i tessuti sani possono produrre solo ed esclusivamente se attivati dal GH.
In assenza dell’ormone della crescita (GH) nessun tessuto può produrre i
Fattori di crescita (GF). Pertanto il GH ha un essenziale, forte e duplice ruolo mitogeno:
1) diretto sulla
crescita della cellula tumorale, mediante attivazione dei rispettivi
recettori GHR, sulla superficie della cellula tumorale
2) indiretto attraverso
l’induzione nei tessuti di fattori di crescita (GF), che a loro volta,
rappresentano una formidabile accelerazione della crescita neoplastica.
I
fattori di crescita GH dipendenti che svolgono un ruolo primario
nell’induzione e progressione neoplastica sono EGF Fattore di crescita
epidermico, FGF fibroblastico, HGH di derivazione dagli epatociti,
IGF1-2 prodotto dal fegato, NGG di derivazione dalle cellule nervose,
PDGF, prodotto dalle piastrine, VEGF del tessuto vascolare, TGF fattore
di trasformazione.
Bloccando con la somatostatina il GH e i GF dipendenti, si agisce pertanto
decisamente contro la crescita tumorale
con o senza recettori per la somatostatina
(SSTR). Inoltre, quando non vengono evidenziati recettori della
somatostatina (SSTR) nel tumore, sono comunque e sempre reperibili nei
vasi peritumorali.
In
blu la membrana cellulare con i recettori della somatostatina SSTR, in
verde il citoplasma della cellula (o citosol) all’interno della
membrana; in esso avvengono le reazioni chimiche attivate dal contatto
tra la somatostatina (SST), e il suo recettore SSTR. Queste reazioni, (fosfatasi) segnate con la freccia bianca bloccano le reazioni chimiche della proliferazione tumorale
(protein-tirosin chinasi) indotte dal GH e GF. Sul lato DX della figura
la rappresentazione schematica dei vasi sanguigni che circondano il
tumore dandogli apporto nutritivo.
I vasi sanguigni che circondano il tumore presentano sempre una concentrazione di recettori
(SSTR)
che, se attivati dalla somatostatina, bloccano la formazione di vasi
sanguigni tumorali inibendone lo sviluppo. Anche nei casi in cui non
viene riscontrato alcun recettore (SSTR) nella cellula neoplastica, la
somatostatina, agisce direttamente ed efficacemente bloccando la
crescita tumorale attraverso l’inibizione dell’angiogenesi. Infatti è
un dato di fatto incontestabile che senza angiogenesi non può
svilupparsi alcun tumore. Ad esempio nel sarcoma di Kaposi, in cui è
stata documentata l’assenza di recettori somatostatinici, la crescita è
completamente bloccata dalla somatostatina. Nel sarcoma di Kaposi,
infatti, è stata riscontrata un’alta densità di SSTR nei vasi sanguigni
peritumorali, per cui il blocco della crescita è sicuramente dovuto
all’inibizione dell’angiogenesi da parte della SST.
Azione diretta della SST sulla cellula tumorale
Fino al momento in cui le cellule che costituiscono il primo aggregato
tumorale di pochi millimetri, non riescono a crearsi un proprio
sistema di vasi sanguigni, (
Angiogenesi neoplastica),
esse crescono con estrema lentezza e sono destinate a non superare le
dimensioni di qualche millimetro rimanendo allo stadio di «cancro in
situ».
L’espansione tumorale avviene solo quando il tumore realizza l’angiogenesi,
riesce cioè a costruirsi una rete di vasi sanguigni per l’apporto di
sostanze nutritive e l’eliminazione di scorie metaboliche. La
letteratura mondiale ha dimostrato in modo assolutamente certo che
tutti
i passaggi dell’angiogenesi sono bloccati dalla somatostatina e dai
suoi analoghi, ma, anche se in misura minore, da tutti gli altri
componenti del MDB. Sel’espansione neoplastica ha nell’angiogenesi
un passaggio obbligato, e se l’angiogenesi è totalmente inibita dalla
somatostatina è ulteriormente chiarita e documentata la sua indicazione
in tutti i tumori, in presenza o meno, di recettori per la
somatostatina.
Componenti dell’angiogenesi sinergicamente inibiti dalla somatostatina e da ogni componente del MDB
Ossido-Nitrico-Sintasi endoteliale (NOSe)
Interleuchina 8 (Il8)
Chemiotassi dei Monociti GH indotta (C. M)
Prostaglandina 2 (PG2)
Fattore fibroblastico di crescita (FGF)
Fattore di crescita di derivazione dagli epatociti (HGF)
Fattore di crescita di derivazione epatica (IGF 1-2)
Fattore di crescita de derivazione piastrinica (PDGF)
Fattore di crescita vascolare (VEGF)
Fattore di crescita di trasformazione (TGF)
L’effetto antiproliferativo e antiangiogenico della SST, in base ad
ampia e documentata conferma della letteratura scientifica, è
sinergicamente potenziato dagli altri componenti del MDB
(18).
3) Inibizione delle mutazioni della cellula tumorale
L’altro aspetto fondamentale della progressione neoplastica, e pertanto
obiettivo della razionalità terapeutica del MDB, è costituito dalle
mutazioni delle cellule tumorali, perché ad ogni mutazione, la cellula
seleziona vantaggi, per cui mutazione dopo mutazione, la cellula
tumorale diventa sempre più resistente, proliferativa, tossica, mobile.
Le molecole che si oppongono alle mutazioni si definiscono
differenzianti. Le proprietà antiossidanti, antiradicali liberi,
differenzianti e stabilizzatrici delle membrane cellulari, proprie
della Melatonina e delle vitamine impiegate nel MDB (Retinoidi, VIT E,
C, D3), si oppongono alla spiccata tendenza mutagena del geno -
fenotipo neoplastico (caratteristiche biologiche mutagene della
cellula tumorale).
In
azzurro, sulla membrana cellulare, sono riportati i relativi siti
recettoriali (siti su cui agiscono le molecole per attivare una
reazione): RAR dei retinoidi, con 3 sottogruppi (alfa, beta e gamma), MELR della melatonina, ECMR della matrice extracellulare. Nel nucleo, in rosso, sono riportati i recettori nucleari RXR dell’Acido Retinoico, VDR della vitamina D3, Mel 1-2 della Melatonina.
Tutti questi recettori, sia di membrana che nucleari, sono attivati dai
rispettivi ligandi (molecole che attivano la risposta recettoriale) che sono componenti del MDB, e hanno un effetto differenziante, cioè di inibizione delle mutazioni della cellula. Se impiegati tempestivamente e contemporaneamente tutti questi blocchi recettoriali delle mutazioni, difficilmente possono essere superati dalla cellula neoplastica.
Nella zona di membrana ingrandita con i segni + e - alle estremità,
sono localizzati i canali del calcio, sodio e potassio, modulati dalla
melatonina attraverso il controllo dei potenziali di membrana.
Passaggio di vitale importanza per l’equilibrio biologico e il
contrasto al tumore. L’effetto differenziante (di contrasto alle
mutazioni) si realizza con reazioni chimiche di fosforilazione,
mutilazione, Acetilazione, attivate dai componenti del MDB, segnalate nella figura all’interno della cellula.
Gli obiettivi strategici di una cura antiblastica pertanto, non possono
prescindere dal controllo delle mutazioni, che rappresentano una
caratteristica essenziale e un denominatore comune delle cellule
tumorali, non meno della citata dipendenza per la crescita da GH, PRL,
e GF.
Un tipico esempio delle mutazioni è quello di un batterio che mutando
seleziona la resistenza all’antibiotico. Se le cellule del nostro
organismo (somatiche) mutassero, la vita non sarebbe possibile. Germi e
cellule neoplastiche esprimono capacità mutagena. Per chiarire
quest’ultimo e fondamentale aspetto riporto in sintesi il concetto
scientifico recente che ha ormai raccolto una serie ampia e
significativa di conferme e consensi. Sulle mutazioni delle cellule
neoplastiche aspetti innovativi e di estremo interesse furono esposti
magistralmente dal professor Fabio Truc (ordinario di Fisica al
Politecnico di Torino) in una relazione al primo congresso sul MDB nel
maggio 2004 a Bologna, di cui riporto una sintesi:
«La cellula tumorale è caratterizzata da una frequenza di mutazioni
crescente, e segue nella sua progressione un programma predefinito di
sopravvivenza ereditato dai batteri, (cui è stato trasferito dai
procarioti) definito da Radman ‘SOS’, represso nella cellula sana, al
quale essa accede in condizione di stress acuto. Questo programma di
sopravvivenza, dà avvio a un percorso predefinito che consente alla
cellula divenuta neoplastica di adattarsi con grande rapidità ed
efficacia alle condizioni avverse con una progressione modulata da un
meccanismo evolutivo predeterminato».
Il paradigma ancora dominante, i canoni ufficiali dell’oncologia, non
hanno ancora recepito questo essenziale aspetto dell’evoluzione
neoplastica, ormai necessario per una comprensione della biologia
oncologica e per dare una lettura in termini evoluzionistici della
progressione della malattia tumorale (
da non confondere con una concezione darwinista). I protagonisti dell’evoluzione in realtà sono la
selezione naturale e la
variazione genetica.
La selezione naturale agisce sulla variazione genetica conferendo un
vantaggio evolutivo a fenotipi e genotipi che meglio si sono adattati
all’ambiente.
La fonte della diversità genetica è la mutazione nelle sequenze del
DNA, e la mutazione è un fenomeno, per definizione, totalmente casuale,
integralmente gestito dal caso.
Quindi nell’ambito dell’evoluzione, in cui agiscono le mutazioni e la
selezione naturale, è chiaro che tutto viene pilotato dal caso.
Naturalmente anche il cancro segue questa prassi evolutiva, e
sicuramente è un processo di evoluzione somatica totalmente pilotato
dal caso, che porta alla carcinogenesi. Nell’uomo essa è un processo
genetico, la cui dinamica è regolata dall’interazione fra mutazione,
selezione, e i meccanismi di omeostasi antiblastica (i mezzi che
l’organismo umano ha per difendersi dal tumore) dell’organizzazione
tissutale, propria degli organismi complessi pluricellulari superiori e
ovviamente ad essi limitata. L’evoluzione di una cellula verso la
malignità ha inizio con una o più mutazioni casuali, queste mutazioni
conferiscono ovviamente alla cellula un vantaggio in termini
proliferativi e dunque vengono in qualche modo trattenuti dalla
selezione. Quindi la lettura attuale della malattia tumorale è in
termini evolutivi. Naturalmente l’accumulazione di mutazioni produrrà
ondate successive di espansioni clonali.
In questa concezione è racchiuso quello che è il paradigma prevalente
della visione ortodossa del cancro. Il cancro è una malattia genetica,
originata soprattutto dalla mutazione di 2 classi di geni, gli oncogeni
(potenziali induttori di neoplasie) e gli oncosoppressori (inibitori
neoplastici), pertanto da mutazioni dei geni che regolano la
differenziazione e la crescita, direttamente coinvolti nell’evoluzione,
e di quelli preposti a mantenere l’integrità del DNA, deputati alla
sorveglianza della fedeltà della sintesi del DNA, e alla sua
riparazione mediante i molteplici meccanismi apparsi nel corso
dell’evoluzione. Tra i geni che regolano l’omeostasi antiblastica un
ruolo fondamentale è svolto da quelli che generano l’apoptosi, il
suicidio cellulare delle cellule tumorali.
Ogni qualvolta si presenti una mutazione in questi geni, una o più
mutazioni, si assiste ad una progressione della malattia tumorale. Così
quando si verifica una mutazione soprattutto nei geni di riparazione
del danno del DNA, si verifica quella che è stata definita instabilità
genetica, cioè il fenotipo mutante. Una semplice mutazione di una
cellula sana, non riuscirebbe a spiegare questo accumulo di mutazioni e
quindi si invoca la presenza di un fenotipo molto più instabile.
Probabilmente c’è un errore di posizione sul concetto di instabilità genetica. Nella concezione di Radman
(15) (basata su un sistema di sopravvivenza definito SOS), sostenuta da Israel
(7, 8), Truc
(22), due attori fondamentali sono il gene LexA, e il gene RecA e le relative proteine.
Il gene LexA è un repressore trascrizionale, mentre il gene RecA è
invece un regolatore positivo. Rimando alle pubblicazioni citate per
approfondimenti.
In condizioni di stabilità il programma di sopravvivenza «SOS» non è
attivo, è represso dal gene LexA. Il sistema «SOS» comprende circa una
ventina di geni e quindi quando il DNA viene danneggiato o comunque la
sopravvivenza della cellula è in pericolo, la proteina LexA in qualche
modo viene inattivata dalla produzione di un’altra proteina, la RecA,
ed è a questo punto che si attivano i geni. Sicuramente questo
programma è stato messo a punto da mutazioni casuali, selezionate
favorevolmente e trattenute dalla cellula che ha accesso a questa
informazione in condizioni particolari.
Vi sono forti indizi per ritenere, con gli autori citati, che questo
programma che è stato trattenuto dall’evoluzione ed è presente negli
eucarioti, sia stato trasmesso alle nostre cellule.
La ricerca di un programma «SOS» nelle cellule eucariote e negli
organismi multicellulari come il nostro, ha già dato risultati
positivi. Gli studi del professor Israel, portano a ricercare omologie,
tra le proteine e i geni del sistema «SOS» batterico e quelli
trattenuti nelle nostre cellule.
Uno di questi geni è stato già identificato. C’è un’omologia molto
marcata tra la proteina batterica RecA e una proteina presente nelle
nostre cellule, la Rad51. Dunque abbiamo fondate ragioni di ritenere
che il sistema «SOS», anche in una sua versione molto più evoluta,
possa esistere anche nelle nostre cellule. Ad un approfondito esame,
l’attuale paradigma dominante della visione della progressione maligna
come totalmente gestita dal caso, cioè interamente prodotta da una
somma di mutazioni successive, ma sempre casuali, non regge, per il
carattere piuttosto prevedibile della progressione maligna. Ad
eccezione degli eventi iniziali, sicuramente gestiti da casuali
mutazioni, la progressione della malattia tumorale è sicuramente molto
stereotipata,
è la recita di un copione.
Le cellule tumorali acquisiscono con gradualità e progressione,
crescenti proprietà e caratteristiche, ed «imparano» a svolgere tutta
una serie di attività. Un fenotipo così caratterizzato, necessita di
circa un migliaio di generazioni, considerando che un tempo di
generazione è di circa 48 ore, in un periodo relativamente breve le
cellule tumorali sono in grado di produrre fattori di crescita che le
loro omologhe non endocrine non sanno sintetizzare; le cellule tumorali
esprimono dei recettori a questi fattori, che influenzano la
proliferazione selettiva limitata alle stesse popolazioni neoplastiche.
Esse inoltre acquisiscono sempre maggiori motilità e formabilità per
meglio raggiungere i capillari e aumentare il proprio potenziale di
metastasi, sanno inoltre acquistare capacità di sopravvivenza e di
proliferazione in parenchimi anche diversi, e ricoprirsi di molecole
che le mascherano al sistema immunitario. Successivamente sono in grado
di secernere delle proteasi (enzimi che scindono le proteine) che,
lisando le membrane, permettono una invasione per contiguità, oltre a
indurre angiogenesi e immunodepressione locale e sistemica. In un
lavoro pubblicato su «Nature» si documenta come una cellula di melanoma
attaccata da un linfocita, sia in grado di produrre «apoptosi» nel
linfocita; quindi le popolazioni neoplastiche raggiungono la capacità
di eliminare le cellule del sistema immunitario che tentano
l’aggressione.
Per ultimo la cellula tumorale è in grado di modificare l’ambiente
cellulare circostante, inducendo le cellule vicine a sostenere la
propria proliferazione.
Il fatto stesso che siano agevolmente in grado di codificare i passaggi
essenziali della progressione verso la malignità e di acquisire un
graduale incremento di aggressività, proliferazione, adattamento,
contraddice una visione evolutiva strettamente casuale della malattia
tumorale.
Ci sono ulteriori aspetti che danno conforto a questa posizione, le
sindromi paraneoplastiche, una sorta di cartina di tornasole della
progressione verso la malignità. Un dato significativo, è costituito
dal fatto che, se queste mutazioni fossero gestite dal caso, o meglio
se la progressione fosse totalmente gestita dal caso, dovremmo
assistere sia a mutazioni favorevoli, che sfavorevoli o comunque neutre
rispetto all’evoluzione tumorale. In realtà questo non succede (il tema
è svolto in un lavoro di Israel).
Le sindromi paraneoplastiche documentano come la produzione di sostanze
anomale da parte della cellula tumorale, mostri sempre un’utilità
biologica per il tumore, che produce soltanto sostanze che gli tornano
utili.
Ciò è fortemente in contraddizione con l’idea oncologica ufficiale di
una progressione casuale, perché in questo caso dovremmo assistere
anche a produzione di sostanze (se è il caso che gioca), neutre o
comunque anche sfavorevoli rispetto alla progressione tumorale. Se il
cancro è una malattia genetica, esistono alcuni eventi genetici
caratterizzanti la progressione tumorale, che non sono delle mutazioni,
ma semplici riattivazioni e repressioni o amplificazioni di geni non
mutati ma silenti.
Questo inevitabilmente ci porta a dire che sicuramente gli organismi
multicellulari più evoluti come noi, hanno ereditato parti di genoma
dai batteri, come emerge chiaramente nei recenti lavori di genetica
molecolare in cui si documenta che certi geni batterici si sono
assolutamente conservati nelle nostre cellule.
Nell’evoluzione degli organismi pluricellulari verso una sempre
maggiore complessità, il destino di ogni cellula si lega a quello della
collettività a cui appartiene.
L’evoluzione verso la complessità, verso un organismo pluricellulare
prevede una sorta di cooperazione della collettività cellulare e dunque
l’introduzione di nuove regole; in questo senso l’evoluzione ha messo a
punto una sorta di controprogramma o comunque di sistema, che controlla
l’omeostasi tissutale, cosa che ovviamente non è possibile e necessaria
in un ambiente batterico o unicellulare.
Questo è il sistema degli oncosopressori, che assicura l’omeostasi
cellulare antiblastica impedendo ad ogni singola cellula di affrancarsi
e acquistare una propria autonomia che potrebbe mettere a rischio
l’intera collettività tissutale.
L’evoluzione ha prodotto questo sistema, sicuramente più giovane,
quindi più imperfetto, con delle lacune, che è il sistema degli
oncosoppressori.
Conseguentemente la ricerca non ha evidenziato negli eucarioti gli
omologhi degli oncosoppressori, quindi abbiamo ragione di ritenere che
gli oncosoppressori siano dei geni emersi evolutivamente più tardi.
Tra gli oncosoppressori è di particolare interesse il gene p53,
guardiano del genoma, direttamente coinvolto nell’attivazione di un
programma cellulare fondamentale per l’omeostasi antiblastica, quello
dell’apoptosi.
Mi sono dilungato sul programma di sopravvivenza di Radman per
evidenziare, anche alla luce di queste acquisizioni, la razionalità dei
criteri, dei tempi d’impiego, degli obiettivi del MDB. Le ricerche di
Radman recepite e sviluppate dai professori Israel e Truc, esposte al
I° Congresso Nazionale MDB del maggio 2004, hanno dato maggiore
consapevolezza che la proteiforme capacità di adattamento della cellula
tumorale, la sua formidabile vitalità, capacità mutagena e di recupero,
sconosciute alla biologia umana fisiologica, per quanto già ammesse,
sono state gravemente sottovalutate. L’esatta e realistica valutazione
dei
pressoché illimitati potenziali biologici neoplastici porta ad una logica terapeutica esattamente conforme ai postulati e al razionale del MDB: solo un
precoce attacco
multiterapico sinergico e concentrico,
senza discontinuità spazio-temporale
può tenere testa, contenere e prevalere su una forma di vita diversa e
drammaticamente superiore alla fisiologica, con altissime capacità di
adattamento e superamento di ogni singola condizione avversa la
medicina possa creare.
La cellula neoplastica supera facilmente qualsiasi singolo ostacolo, per quanto efficace; pertanto solo la
contemporanea attivazione di
tutta una serie di blocchi alle mutazioni neoplastiche
può impedire il più micidiale meccanismo di difesa della cellula
tumorale, la mutazione. Solo l’effetto fattoriale sinergico dei
componenti multiterapici differenzianti citostatici e antiproliferativi
del MDB, può contrastare ad un tempo la proliferazione esponenziale del
geno-fenotipo neoplastico e la sua elevatissima capacità mutagena,
efficientissimo sistema difensivo difficilmente penetrabile.
E’ necessario agire
contemporaneamente su elementi critici del processo neoplastico come la differenziazione, attraverso la
contemporanea attivazione
di molteplici bersagli recettoriali differenzianti (bloccanti le
mutazioni) come i VDR (recettori nucleari della Vit D3), RXR (recettore
nucleare dell’ac.retinico), RAR-alfa, beta, gamma (recettori di
membrana dei retinoidi), Mel-1,2 RZR/ROR (recettori di membrana e
nucleari della Melatonina)
(figura 11). Al tempo stesso
occorre sottrarre alla cellula neoplastica la maggiore varietà e la
massima entità, concentrazione possibile di energia, rappresentata da
GH, GF, fattori di crescita correlati, e PRL. Obiettivo realizzato sia
inibendo la produzione
di GH ipofisario e relativi GF, con SST e analoghi, MLT, Retinoidi,
inibitori prolattinici, che inattivandone l’azione sulla cellula
neoplastica attraverso il blocco dei meccanismi recettoriali. Infatti
per attivare la crescita cellulare neoplastica, GH, e fattori di
crescita correlati, devono attivare il rispettivo recettore cellulare
(devono «accendere» il loro «interruttore»), ma la SST e altri
componenti del MDB non consentono la formazione di questi recettori
(fanno mancare l’interruttore per accendere questa reazione).
Un’ampia rassegna della relativa letteratura (circa 2.000 voci) è riportata nel volume «Il Metodo Di Bella»
(6).
La MLT esercita un particolare, determinante e multifunzionale effetto
di regolazione negativa dell’angiogenesi, sia inibendone un essenziale
componente, il PDGF, che regolando (con meccanismo omeostatico di
modulazione serotoninergica consentito anche dal suo legame di idrogeno
con l’adenosina), il tasso trombocitemico, (la quantità di piastrine in
circolo) l’aggregazione piastrinica (sinergicamente all’Alfa MSH), il
tono vasale e la permeabilità endoteliale (attraverso la modulazione di
EDRF ed EDCF), fattori essenziali per la liberazione del PDGF
(4, 5).
Bersagli terapeutici innovativi del MDB sono anche l’ambiente in cui
vive la cellula tumorale, la regolazione fisiologica dei potenziali di
membrana cellulare, le membrane basali, dotate di documentata attività
differenziante, le proteine di adesione, le fasce di contenimento
dell’espansione neoplastica, tutta la matrice extracellulare, il
trofismo ed efficienza di parenchimi e tessuti, e degli endoteli con
relativa riconduzione e livello fisiologico della permeabilità vasale
degli scambi e della perfusione emo-tissutale. Anche l’immunità, e la
regolazione del ciclo circadiano, sovvertiti nel paziente neoplastico,
sono obiettivi del MDB. Pertanto gli elementi innovativi del MDB non si
limitano alla contemporanea attivazione di più bersagli cellulari
neoplastici, ma si estendono all’obiettivo di esaltare efficienza,
trofismo e attività delle cellule sane, e ripristinare l’equilibrio
biologico in funzione di contenimento dell’espansione neoplastica.
Tra le finalità del MDB il recupero a livello fisiologico dei ritmi
biologici circadiani, alterati nelle neoplasie, mediante la modulazione
della biodisponibiltà degli indoli pinealici (Melatonina e altri
neurotrasmettitori prodotti dall’Epifisi, definita anche Pineale) in un
contesto di continuità terapeutica temporale, intesa come assedio
continuativo di una cellula tumorale già sensibilizzata dai numerosi
agenti differenzianti cui vengono al tempo stesso sottratti numerosi
fattori di crescita, senza concederle (diversamente dai cicli
chemioterapici) pause di recupero, il tutto integrato da minimali
dosaggi apoptotici, non citotossici e non mutageni di chemioterapici,
la cui tollerabilità è esaltata dalla MLT e dalle vitamine del MDB.
Giuseppe Di Bella
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