La pace assoluta è possibile su questa terra? Il buon senso
e l’esperienza rispondono di no. L’uomo potrà sperimentarla solo in Cielo; su
questa terra dovrà, purtroppo, sostenere sempre una lotta contro se stesso, gli
altri, il mondo e il diavolo. Per quanto riguarda la pace esterna, l’ordine
della Società può essere un rimedio al suo relativo
mantenimento. Infatti in ogni Società ben ordinata c’è un potere che vigila
sull’ordine della città. Ma è soprattutto nei rapporti tra popoli o delle nazioni
tra di loro che la guerra rimane un male possibile o necessario, anche se Kant
lo nega. La guerra giusta è definita come unintervento a mano armata di uno Stato
contro un altro Stato. Ne segue che mai un privato cittadino ha il diritto
di organizzare o di fare la guerra; perciò la prima condizione perché una
guerra possa essere detta giusta è che sia di uno Stato contro un altro Stato.
Bisogna, inoltre, che tutte le strade per
addivenire a una soluzione pacifica del conflitto siano state percorse e infine
che vi sia retta intenzione o causa giusta, vale a dire una colpa
proporzionatamente grave e responsabile; e che ci si ostini a non voler
riparare, da parte di uno Stato, la qual cosa rende indispensabile una reazione
così grave come la guerra da parte dello Stato aggredito (1).
Sant’Agostino d’Ippona gettò le prime fondamenta alla
soluzione del problema della guerra giusta (2). Il Santo insegnò che il fine di ogni guerra è la pace.
Inoltre abbozzò la teoria delle tre condizioni perché si abbia una guerra
giusta:
A) essa deve
esser dichiarata dall’autorità competente.
C) Chi è
attaccato deve aver commesso una colpa da punire.
C) L’intenzione
di chi dichiara la guerra deve essere pura, cioè essa deve esser fatta non per
odio, ma per evitare un male maggiore e ottenere un bene.
Inoltre nel «Contra Faustum», Sant’Agostino insegna che «un soldato che uccide un nemico per obbedire
alla legittima autorità non è colpevole di omicidio; anzi se non obbedisse,
sarebbe colpevole di aver disertato il suo dovere». Papa Leone IV (nel IX secolo) dichiarò che «ai soldati che sarebbero
morti in battaglia contro i saraceni, per
difendere la Chiesa, sarà spalancato
ilRegno dei Cieli».
La «reconquista» della Spagna e le Crociate (riconquista della Terra Santa),
furono viste nell’ottica di guerre difensive contro un ingiusto aggressore. San
Bernardo di Chiaravalle nel «De laude novaemilitiate», Milano,
Biblioteca del Senato, 2004, scrive che «i cavalieri di Cristo… non peccano quando
uccidono il nemico…, anzi la morte
data o ricevuta per Cristo merita una grande gloria, simile al martirio. (…). Il
cavaliere con serenità uccide, con
serenità muore». Anche il «sollevamento» del generalissimo Francisco Franco
contro il bolscevismo iberico, fu visto dall’episcopato spagnolo e da Roma come
una crociata in difesa della fede e della patria.
San Tommaso perfezionò tali basi agostiniane nella Somma
Teologica (II-II, q. 29). L’Angelico spiega: «Si richiede una causa giusta, affinché coloro che sono attaccati mèritino
di esserlo a causa di una certa colpa grave» (3).
E continua: «Se una nazione è stata negligente nel
vendicare ciò che è stato fatto d’iniquo
da uno dei suoi membri, o nel rendere
ciò che era stato rubato ingiustamente da un suo cittadino, è una colpa contro la giustizia». Perciò una guerra solo di espansione
o di conquista è un’aggressione ingiusta, mentre la guerra di legittima difesa
è giusta. In breve ciò che rende giusta
la guerra è lalegittima difesa
(come per il singolo): «vim vi repellere licet». Vi può essere il caso di una guerra apparentemente offensiva, ma realmente difensiva, come quando, per
esempio, una guerra «offensiva» è motivata da una colpa contro il diritto, commessa dallo Stato
che si attacca.
«Infatti uno Stato che lasciasse commettere
contro di sé impunemente tutte le ingiustizie possibili, s’avvierebbe
fatalmente verso il declino e il disfacimento e questo sarebbe un male più
grande di tutti i mali che una guerra trascinerebbe dietro a sé» (4).
Nel Vangelo San Giovanni Battista, non comanda ai soldati di
abbandonare le armi, ma di combattere legittimamente, senza giungere a vendette
ingiuste. San Roberto Bellarmino
(«Icatechismi.
Breve dottrina cristiana e Dichiarazione della dottrina cristiana», Milano, La Favilla, 1941),
interpreta tale episodio evangelico, come ordine di astenersi dalla vendetta
personale e non dalla guerra difensiva. Pio XII, il 21 maggio del 1948
insegnava che «un popolo minacciato, se
vuole pensare e agire cristianamente, non può rimanere in un’indifferenza passiva… come semplice
spettatore chiuso in un atteggiamento di impassibile neutralità».
Ma se lo Stato che attacca giustamente volesse sorpassare,
nella repressione, i limiti della colpa commessa e infliggere un castigo sproporzionato, la guerra che
era inizialmente giusta diventa ingiusta. Inoltre, essendo la guerra un
intervento a mano armata di uno Stato contro un altro Stato per risolvere -
mediante la forza - un problema sorto tra i due Stati, ne segue che l’essenza
del conflitto consisterà nel proporzionare il modo d’intervento alla natura del
conflitto. Il fine che si vuole ottenere è di ridurre lo Stato che si ritiene «ingiusto
aggressore» ad accettare, con la
forza, le condizioni di giustizia che non ha voluto accettare liberamente e pacificamente.
Quindi si ha il diritto di condurre la guerra nel modo tale che lo Stato in
torto sia ridotto - mediante la lotta - alla sottomissione allo Stato aggredito
ingiustamente. Non si tratta di un atto di predazione, né di un atto del boia
che deve annichilare la vittima, come invece è divenuta la guerra a partire dal
primo conflitto mondiale (1914-1918), perciò l’atto violento o la guerra deve
essere onesto vale a dire che nella
lotta sia rispettato il diritto naturale, evitando di uccidere - possibilmente
- innocenti, donne, bambini e vecchi. Inoltre non è giusto rendere lo Stato
vinto una tabula rasa, quando si può
riottenere il mal tolto con un castigo parziale; però la guerra è diventata -
col 14/18 - un’azione non più di forza, ma di annientamento, in cui tutti i
mezzi sono necessari per distruggere il nemico, anche gli innocenti! Quindi «nella
lotta... vi sono règole di giustizia e di morale naturale imprescrittibili.
Perciò non si potrà colpire un nemico disarmato che si arrende; a maggior ragione se è ferito» (5). Onde non tutto è
necessariamente giusto, nella guerra
giusta.
La«rappresaglia»secondo il diritto naturale e cristiano
«Le rappresaglie si distinguono dalle guerra
per parecchi aspetti; questa è l’ultimo mezzo al quale lo Stato può far
ricorso dopo aver esperiti tutti i diritti di composizione pacifica e, come tale, richiede un causa proporzionata ai gravi danni che suole produrre».
La rappresaglia non raggiunge - scrive padre Antonio
Messineo S.J. nell’Enciclopedia Cattolica - l’intensità della guerra
nell’esercizio della coazione, e può quindi essere adoperata per una causa meno
grave (...). Anche con l’intervento la rappresaglia ha una spiccata
somiglianza; si può tuttavia tracciare tra i due istituti una linea di
divisione. La rappresaglia si esaurisce nella lesione del diritto altrui
proporzionale all’offesa ricevuta, così che lo Stato, che vi ricorre, messo in
atto il processo coattivo prescelto a titolo di reazione, non può ricorrere ad
altre misure, se non interviene una nuova lesione del diritto. Nell’intervento,
invece, l’ampiezza del procedimento è più estesa e permette l’uso reiterato dei
mezzi coattivi, finché la volontà della parte contraria non si sia piegata alle
giuste richieste dell’altra. L’elemento specifico poi, che distingue la
rappresaglia dalla ritorsione, consiste nel fatto che questa non richiede come
suo presupposto, una lesione di diritto, né la reazione dèroga ad alcuna norma
giuridica vigente; quella invece suppone sempre la lesione di diritto, alla
quale risponde con un’eguale infrazione (...). Gli antichi giuristi e
moralisti, come anche i moderni, concordano nell’ammettere in linea di
principio la liceità della rappresaglia
(...) Una tal quale concordanza di opinioni esiste circa il principio di
proporzionalità tra l’azione illecita e le vie di fatto, scelte a titolo di
rappresaglia. Il fondamento giuridico e morale della rappresaglia risiede...
nella lesione del diritto, e la sua finalità consiste nella riparazione del
torto. Posto ciò, quando le rappresaglie hanno raggiunto i limiti dell’offesa,
cade il fondamento della loro legittimità...
Conseguentemente ogni eccedenza dalla stretta legge della proporzione tra
azione illecita e risposta violenta si pone fuori dell’ambito della giustizia e
diventa illegale. Un’eguale concordanza non si è ancora raggiunta sulla
questione se il diritto di rappresaglia
si possa esercitare verso i privati cittadini. I teologi antichi, quali ad
esempio, il Vitoria e Molina, furono in favore della soluzione positiva, movendo dal principio della responsabilità
collettiva dei sudditi con il sovrano.
Qualche autore moderno... ricalca ancora le vestigia della
dottrina antica (per esempio nel caso delle Fosse Ardeatine dopo l’attentato
proditorio di via Rasella, la morale cattolica non condanna ipsofacto
la rappresaglia fatta sui civili, in quanto corresponsabili con il loro capo,
Vittorio Emanuele III che tradì il suo vecchio alleato e fuggì vergognosamente;
e non sentènzia che chi eseguì l’ordine di fucilare i prigionieri abbia
commesso ipso facto un peccato
mortale, e che per non commetterlo doveva non eseguirlo a costo di farsi
fucilare; tenendo anche conto della circostanza del moetus che diminuisce e può anche togliere del tutto, se è molto
forte, la volontarietà dell’atto, nda) altri, invece, escludono in modo
categorico, che si possano colpire direttamente i privati (...). La regola
generale, è che devono essere ritenute sempre illecite le rappresaglie che
lèdono il diritto umano e fondamentale; lécite al contrario, saranno quelle
poste in deroga al diritto positivo, il cui valore dipende unicamente dalla
volontà contrattuale degli Stati (...). Per rendere chiara questa divisione,
possono servire come esempio la legge di guerra italiana dell’8 luglio 1938 e
gli annessi della convenzione dell’Aja del 18 settembre 1907. Il principio
direttivo è che «non si devono recare al nemico sofferenze
superflue e danni in distruzioni inutili. Applicazioni concrete di questo
principio sono quelle con le quali si proibisce:
1) di adoperare veleni
e armi avvelenate;
2) di usare violenza
proditoria ovvero uccidere o ferire un nemico a tradimento, o quando questi avendo deposto le armi o
non avendo più modo di difendersi, si
sia arreso a discrezione;
3) di sparare contro i
naufraghi del mare o dell’aria;
4) di dichiarare che
non si dà quartiere;
5) di impiegare
proiettili esplosivi;
6) di impiegare
pallottole che si dilatano o si schiacciano facilmente nel corpo umano;
7) di saccheggiare le località;
8) di distruggere i
beni nemici o di impadronirsene...»
(6).
Per il diritto
internazionale la rappresaglia non è illegittima. Solo un eccesso di rappresaglia costituisce una
violazione del diritto internazionale. Il diritto internazionale stabilisce che
non ci deve essere una sproporzione evidente tra il numero delle vittime e il
numero dei giustiziati, ma non si dà un criterio che règoli la proporzionalità.
Per esempio durante la seconda guerra mondiale la Francia applicò una
proporzione di 25 a 1, l’URSS di 50 a 1, gli USA di 200 a 1, la Germania di 10
a 1, come alle fosse Ardeatine dopo l’attentato di via Rasella, ma... «guai
ai vinti», il novantaseienne
Erich Priebke è condannato all’ergastolo, cinquanta anni dopo aver obbedito ad
un ordine di rappresaglia, impartitogli dal legittimo superiore; mentre chi
nascose, vestito da spazzino, la
bomba nel carretto dei rifiuti ha
ricevuto la medaglia d’oro al valor militare.
La «justa
vindicatio» contro i terroristi
Un insigne teologo domenicano italiano, padre Tito Centi
scriveva sulla giusta vendetta: «La
pena capitale, contro la banda armata, che con atti terroristici tenta di
sopraffare l’autorità costituita,
può e (in certi casi) deve essere
applicata come arma di rappresaglia, su
tutti e singoli i componenti della banda medesima [si riferiva alle Brigate
Rosse che uccisero Aldo Moro e la suascorta,
ndr]. Il pericolo costituito dalle
associazioni per delinquere è talmente grave e oggettivo, da non aver bisogno di dimostrazione.
... Però tutti avvertono con sgomento,
quando le bande armate si scatenano in
atti di terrorismo proditorio, che lo
Stato è impotente a reprimerne l’audacia...
Il capo dello Stato si è limitato ad una constatazione [durante il caso
Moro]: è la guerra! Siamo in guerra. E
sarebbe già molto, se da questa
constatazione si sapessero tirare le conseguenze; perché una nazione che si rispetti di fronte all’aggressione armata reagisce con atti di
guerra, per non lasciare indifesi i
propri cittadini... La guerra non potrà mai essere vinta da chi si rifiuta di
combattere; né potrà esser vinta da
chi subisce le angherie più sanguinose,
senza ripagare il nemico con la stessa moneta. Di qui la necessità della
rappresaglia (...). Verso il nemico
che calpesta ogni diritto, come verso
il terrorista che insidia con le sue imprese criminali la vita degli onesti
cittadini, lo Stato deve quindi
accettare a malincuore di scendere sul piano della rappresaglia.... La forza
della banda armata risiede nella solidarietà dei suoi componenti. Ebbene, lo Stato deve combatterla e colpirla nei
singoli, come se si trattasse di un’unica persona fisica. Esattamente come fanno
i terroristi, che mirano a colpire lo
Stato nei singoli suoi funzionari.
Perciò quando i terroristi...
con un sequestro di persona, tentano
di ricattare lo Stato, nessuno può
impedire a quest’ultimo di procedere
alla decimazione degli ostaggi, ossia
dei criminali in carcere, di cui i
terroristi in libertà chiedono la liberazione...» (7). Un altro domenicano spagnolo, ancora
vivente come padre Centi, padre Antonio Royo Marìn ha scritto:«La
vendetta o giusto castigo... ha lo scopo di punire il malfattore del peccato
commesso (...). A questa virtù si oppongono
due vizi: uno per eccesso, la crudeltà, e un altro per difetto, la
eccessiva indulgenza, che può animare
il colpevole a continuare le sue cattive azioni» (8).
Egli cita la Somma Teologica di San Tommaso il quale spiega
che l’istinto di vendicare un male, come moto di ripulsa verso esso, è buono;
perciò la giusta vendetta che vuol riparare l’ordine violato dal delinquente
facendo il male ed emendare il colpevole è cosa buona e giusta; occorre specificare
che l’elemento primario della penaèvendicativo (ristabilire l’ordine e
punire il male), mentre quello secondario
èmedicinale (aiutare il
colpevole a riscattarsi).
Invece oggi la pena è vista solo come medicinale e si ignora
il suo lato afflittivo, correttivo, riparatore o «vendicativo». Inoltre bisogna conoscere il
significato etimologico della parola vendetta, che nulla ha a che fare con odio
o rancore o farsi giustizia da sé, come oggi comunemente si crede. Vendicare
significa: proteggere, liberare. La parola è composta di vim (forza) e dicare o dicere
(proferire, dire, offrire); ossia denunziare
o minacciare la violenza. Così vendetta è l’attodella redenzione o liberazione; e il
vindice o vendicatore è colui che riscatta
o libera l’oppresso epunisce l’ingiusto aggressore , per poterlo poi anche emendare (9).
La tortura
«Non si può dubitare della liceità della t(ortura)
come pena afflittiva, supposta la liceità della penadi morte e supposta la liceità della
mutilazione e della verberazione - scriveva il cardinal Pietro Palazzini
sull’Enciclopedia Cattolica - pene
ugualmente afflittive. Come intimidazione contro un innocente per carpirne un
segreto è doppiamente illecita, e
come ingiustificato atto di violenza e come estorsione di un segreto. La
questione della liceità dell’applicazione
della tortura come mezzo di indagine giudiziaria, su individui già indiziati più o meno gravemente, allo scopo di carpirne la confessione
giudiziaria, ha avuto soluzioni
diverse. Per alcuni, supposto il
diritto del giudice di indagare per appurare la verità dei fatti, quando, in determinate circostanze,
fossero esauriti i mezzi normali, il
bene comune può esigere che l’imputato venga sottoposto anche a mezzi
costrittivi, quali la tortura. Si
tratta dell’interesse che ha la
società di precisare le responsabilità di un determinato individuo, di un
diritto alla prova. Non si nega il diritto a tacere... ma questo cede al
diritto che ha la società di sapere chi minaccia il bene comune, di rivendicare la norma giuridica
conculcata. Lo svantaggio di non riuscire a scoprire l’autore di un determinato delitto provocherebbe a volte danni ben
maggiori alla società di quanti non ne possano venire dalla violazione della
libertà nell’esigere e volere la
manifestazione di un determinato individuo (J. De Lugo, ‘De justitia etjure’, disp. XXXVII, ed. Fournials, VII, Parigi 1869, pagina 724). Tuttavia... anche in tal corrente di
pensiero, per essere lecita la
tortura deve essere contenuta entro limiti ben definiti:
a) a carico del
soggetto vi siano già degli indizi, che
costituiscano una prova semiplena;
b) si tratti di
persona che può essere sottomessa a tortura (...) ;
c) sia stato esperito
ogni altro mezzo di indagine più mite;
d) la tortura né
totalmente né relativamente insopportabile al soggetto cui viene inflitta;
e) sia consentita in
piena tranquillità una ratifica o ritrattazione della confessione estorta
(confronta Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Th. mor. , IV, cap. 3, a. 3, n° 202,
II)» (10).
Conclusioni sulla
guerra
Parlando della guerra occorre evitare due estremi: l’errore
per eccesso e quello per difetto.
a) Errore per eccesso:
Il darwinismo politico applica ai popoli il principio di
sopravvivenza del più forte. I popoli son nati per combattersi e per far
prevalere il più forte sul più debole. Inoltre la filosofia polìtica, con
Machiavelli e Nietzsche e gli adoratori della ragion di Stato, i sostenitori
della teoria del super-uomo e del super-Stato o della super-Razza, inneggiano
alla forza quale unico fondamento delle relazioni tra Stati. «J.
De Maistre arditamente proclama la guerra come cosa divina. Al fondo del suo
pensiero - scrive padre Antonino Messineo S. J. - sta il concetto erroneo che la vita tutta quanta sia dominata dalla
legge della distruzione sino al conseguimento del silenzio della morte. A
questa legge divina ubbidirebbe l’uomo,
quando scende sui campi di battaglia... senza comprendere quello che fa» (11).
b) Errore per difetto:
La guerra è sempre illecita. L’umanitarismo, il
filantropismo, la globalizzazione, il mondialismo vorrebbero non esistessero le
divisioni nazionali, per dare ai popoli la «pace perpetua» sognata già da Kant. I pacifisti seguono questi «idealisti» e filantropi, e infine sfilano i «cristiani
per la pace», che appoggiandosi
erroneamente ad alcuni passi del Vangelo, mal interpretati, concludono che la
guerra è sempre immorale, pur facendo azioni di... guerriglia (non di guerra,
si badi bene...) «urbana»!
c) La dottrina
cattolica:
In medio et cùlmen
tra questi due errori si erge la dottrina cattolica, come una vetta tra
due burroni. Essa ha sempre considerato la guerra come un flagello e ha cercato
quindi di renderla il meno disumana possibile. Alla base della concezione
cattolica della guerra vi è il dogma del Peccato Originale che spinge, senza
determinare, l’uomo alla violenza, agli istinti brutali, all’orgoglio e alla
volontà di potenza; tuttavia, l’uomo resta libero e padrone dei suoi atti dei
quali è perciò responsabile, nonostante il Peccato Originale. La pace è dunque
un bene da mantenere possibilmente. Però «non è un bene da mantenersi ad ogni costo
col sacrificio del diritto e della giustizia - scrive ancora padre Messineo
- che vanno piuttosto difesi. L’uso della forza e la guerra hanno come scopo
la pace, l’ordine del consorzio civile,
e possono essere adoperati contro i perturbatori. La dottrina cattolica è
pacifica ma non pacifista, è umana ma
non umanitaria. Questa approvazione di principio dell’uso della forza... non è contraria agli insegnamenti del Vangelo. Il
Vangelo è un codice di vita dettato per la santificazione dell’individuo, al quale sono rivolti i consigli della non resistenza al male... I
medesimi precetti e consigli non possono essere trasferiti alla vita collettiva, senza che ne segua l’impunità dei malvagi e la disgregazione
sociale» (12).
Obiezione: la guerra nucleare
La guerra moderna, totale o mondiale, che coinvolge
tutta la nazione nelle ostilità, compresi gli innocenti, le donne i vecchi e i
bambini, non rende nulla la distinzione tra guerra giusta o difensiva e guerra
ingiusta o offensiva? I teologi cattolici accreditati rispondono che la guerra
difensiva è sempre un atto lecito e giusto, poiché il diritto permette allo
Stato aggredito ingiustamente di esercitare la facoltà naturale della legittima
difesa, respingendo la forza con la forza (vim vi repellere licet). Padre
Angelo Brucculeri S. .J. scrive: «Non tutti certamente consentiranno a quell’altro atteggiamento di pensiero, con cui si afferma che al presente la
guerra è sempre illecita. Il 19 ottobre del 1931 alcuni teologi... vennero alla
seguente conclusione: ‘La guerra
moderna non potrebbe essere una procedura legittima. Giacché essa, a causa della sua tecnica... genera sì
grandi rovine materiali, spirituali, individuali, familiari, sociali, religiose, e diviene una tale calamità mondiale, ch’essa cessa di essere un
mezzo proporzionato al fine... ossia:
l’instaurazione d’un ordine più umano e la pace’. Secondo questi teologi parrebbe la guerra
moderna sempre illecita. Che cosa si deve rispondere? (...) Se con queste proposizioni si vuole
intendere che lo scoppio d’una
guerra non può mai esser lecito ai nostri giorni, ... Non potremmo per parte nostra sottoscrivere ad una tesi così assoluta...
Nella civiltà presente, è ancora
concepibile che uno Stato sia obbligato ad una guerra giusta, fosse
pure una guerra di sterminio. Quindi non si può sostenere in maniera assoluta
che la guerra ai nostri giorni sia sempre illecita... Si può anche oggi
supporre che uno Stato, per esempio
il sovietico, muova guerra con
l’intento espresso di distruggere i princìpi giuridici e morali della nostra
cultura cristiana. Si ha allora il dovere di affrontare tutti i mali della
guerra, che sono sempre inferiori
alla rovina della civiltà cristiana (...). Un nuovo problema è nato sull’applicazione...
dell’arma atomica. Alcuni moralisti
pensano che non possa in maniera assoluta condannarsi l’uso della bomba atomica, giacché è un mezzo sicuro e rapido di
distruggere le forze militari ed economiche del nemico e per convincerlo di
porre fine al cozzo armato. La morte di tanti innocenti si giustificherebbe per
le stesse ragioni con cui si giustifica allorché era prodotta da altre armi...
Altri tengono una via intermedia... una discriminazione fondata sulle
circostanze e gli obiettivi dell’attacco
con la bomba atomica. Altra cosa sarebbe, per esempio, usarne contro le
squadre nemiche in pieno oceano, altra
cosa sarebbe usarne contro i grandi centri industriali (o abitati)» (13).
Altra cosa è stata... gettarla sul Giappone, nazione
popolatissima, nel 1945, quando la guerra era già persa e la potenza nipponica
pronta alla resa.
Fine della guerra:
la pace
San Tommaso afferma che «pure coloro i quali fanno la guerra, la fanno soltanto in vista dellapace»
(14). Perciò è estremamente importante,
quando si dichiara guerra, che essa termini come conviene, vale a dire con una pace onorevole, che armonizzi le volontà
degli Stati già opposti l’uno l’altro. Altrimenti la guerra non sarebbe davvero
finita e ci si preparerebbe soltanto a ricominciarla (come fu la seconda guerra
mondiale dopo l’iniquo patto di pace di Versailles che «poneva fine» alla prima). E’ vero che una pace
assoluta, perfetta, perpetua, su questa terra, è una chimera; ma bisogna
cercare di non lasciar sussistere o non creare cause di nuovi confitti,
mediante trattati di pace, quando queste dipendono da noi, o esigere la resa incondizionata, come avvenne da
parte anglo-americana verso la fine della Seconda Guerra Mondiale nei confronti
della Germania, mentre Pio XII si adoperava a chiedere una resa onorevole, cosa che la Germania avrebbe accettato, ma di
fronte alla resa incondizionata, fu
costretta alla resistenza incondizionata.
Per gentile concessione di don Curzio Nitoglia
1) Queste condizioni in Iraq, nel 2003, non si
erano verificate. Quindi la guerra fu un’ingiusta aggressione da parte degli USA
e Gran Bretagna, spinti da Israele.
2) Sant’Agostino, «De Civitate Dei», lib.
19, cap. 12, 1.
4) Padre. T. Pegues, O. P., «Saint Thomas d’Aquin et la guerre», Paris, Tequi, 1916, pagine 12-13.
Confronta anche Francisco Suarez, «De Charitate. Disputatio XIII, De Bello», sectio I, n umero 2, pagina 737, Opera omnia, Venetiis,
Sebastianus Coleti, 1740-1751, ristampa Parigi, Vivès, 1958.
Francisco De Vitoria, «De
Jure Belli», I, Opera, Salamanca,
1565, traduzione italiana, Roma-Bari, Laterza, 2005. Id., «Relecciones teologicas»,
3 volumi Madrid, 1933-1935. Id., «Relectio
de Indis», traduzione italiana,
Bari, Levante, 1996. Clemente d’Alessandria, «Il protrettico. Il pedagogo»,
Torino, Utet, 1971. Cajetanus, «Summa
totius Theologiae», Venezia, 1588. M.
T. Fumagalli Beonio, Brocchieri, «Cristiani
in armi», Roma-Bari, Laterza, 2006.
6) Enciclopedia Cattolica, volume X, coll.
526-530, Città del Vaticano, 1953.
7) Tito S. Centi O.P, «Giusta vendetta e rappresaglia contro il terrorismo», in Cristianità, aprile 1980, numero
60, pagine 3-5. Confronta S.T., I-II, q.108, a.1-2. «Dictionnaire de Théologie Catholique», Vengeance, volume 15, coll. 2613-2623.
8) A. Royo Marìn, «Teologia della perfezione cristiana», Edizioni Paoline, 6ª edizione, Roma, 1965, pagine 696-697. Idem,
«Teologia della carità», Roma, Paoline, 1965. M. Spataro, «Dal caso Priebke al Nazi-gold», Roma, Settimo Sigillo, 2 volumi,
2001. E. Priebke, «Autobiografia», Roma, Uomo e Libertà, 2003.
9) Confronta O. Pianigiani, «Vocabolario etimologico della lingua
italiana», Firenze, 1907.
10) Enciclopedia Cattolica, volume XII, coll.
337-343, Città del Vaticano, 1954.
11) Enciclopedia Cattolica, volume VI, 1951, Città
del Vaticano, coll. 1232.
12) Enciclopedia Cattolica, ivi. Confronta
S.T., II-II, q. 40. Pio XII, ha tenuto vari discorsi sul soggetto: il 20
ottobre 1939 ha promulgato l’Enciclica «Summi
Pontificatus», il 21 aprile
1940 ha tenuto un Discorso, un altro Discorso il 24 giugno 1944, un
Radiomessaggio il 24 dicembre 1948, il 19 luglio 1950 ha promulgato un’altra
Enciclica, la «Summi Maeroris», il 19 ottobre 1953 ha tenuto
un’Allocuzione, e nel 1954, il 30 settembre, un Discorso, infine un Radiomessaggio
il 23 dicembre 1956 (confronta Pio XII, «Discorsi
e Radiomessaggi», Paoline, Roma,
1939-1959). F. de Vitoria, «Relectiones
theologicae. De Indis; De bello»,
Salamanca, 1565. F. Suarez, «De
caritate», disp. XIII, «De bello», Opera omnia, Venetiis, Sebastianus Coleti, 1740-1751. F. Molina,
«De justitia et jure», Conchae-Moguntiae, 1593-1609. H.
Mazzella, «Il catechismo della
guerra», Roma, 1916.
L. Taparelli, «Saggio
teoretico del diritto naturale», 8ª
edizione, Roma, 1950.
13) A. Brucculeri S. J., «Moralità della guerra»,
edizione La Civiltà Cattolica, Roma, 1953, pagine 61-65.
14) II-II, q. 29, a. 2, ad 2um. S. T. ,
I-II, q.40, a.1, ad 2um. Confronta M. T. Fumagalli-B. Brocchieri, «Il pensiero politico medievale», Laterza, Bari, 2000. G. Tabacco, «Le ideologie politiche del medioevo», Einaudi, Torino, 2000. G. G. Merlo, «Eretici ed eresie medievali», Il Mulino, Bologna, 1989. J. J.
Chevalier, «Storia del pensiero
politico», 3 volumi, Il Mulino,
Bologna, 1981. W. Ulmann, «Il
pensiero politico del medioevo»,
Laterza, Bari, 1984. J. Touchard, «Storia
del pensiero politico», Etas Libri,
Milano, 1978.
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