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La guerra giusta
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La pace assoluta è possibile su questa terra? Il buon senso e l’esperienza rispondono di no. L’uomo potrà sperimentarla solo in Cielo; su questa terra dovrà, purtroppo, sostenere sempre una lotta contro se stesso, gli altri, il mondo e il diavolo. Per quanto riguarda la pace esterna, l’ordine della Società può essere un rimedio al suo relativo mantenimento. Infatti in ogni Società ben ordinata c’è un potere che vigila sull’ordine della città. Ma è soprattutto nei rapporti tra popoli o delle nazioni tra di loro che la guerra rimane un male possibile o necessario, anche se Kant lo nega. La guerra giusta è definita come un intervento a mano armata di uno Stato contro un altro Stato. Ne segue che mai un privato cittadino ha il diritto di organizzare o di fare la guerra; perciò la prima condizione perché una guerra possa essere detta giusta è che sia di uno Stato contro un altro Stato. Bisogna, inoltre, che tutte le strade per addivenire a una soluzione pacifica del conflitto siano state percorse e infine che vi sia retta intenzione o causa giusta, vale a dire una colpa proporzionatamente grave e responsabile; e che ci si ostini a non voler riparare, da parte di uno Stato, la qual cosa rende indispensabile una reazione così grave come la guerra da parte dello Stato aggredito (1).

Sant’Agostino d’Ippona gettò le prime fondamenta alla soluzione del problema della guerra giusta (2). Il Santo insegnò che il fine di ogni guerra è la pace. Inoltre abbozzò la teoria delle tre condizioni perché si abbia una guerra giusta:

 

A) essa deve esser dichiarata dall’autorità competente.

C) Chi è attaccato deve aver commesso una colpa da punire.

C) L’intenzione di chi dichiara la guerra deve essere pura, cioè essa deve esser fatta non per odio, ma per evitare un male maggiore e ottenere un bene.

 

Inoltre nel «Contra Faustum», Sant’Agostino insegna che «un soldato che uccide un nemico per obbedire alla legittima autorità non è colpevole di omicidio; anzi se non obbedisse, sarebbe colpevole di aver disertato il suo dovere». Papa Leone IV (nel IX secolo) dichiarò che «ai soldati che sarebbero morti in battaglia contro i saraceni, per difendere la Chiesa, sarà spalancato il Regno dei Cieli».

 

La «reconquista» della Spagna e le Crociate (riconquista della Terra Santa), furono viste nell’ottica di guerre difensive contro un ingiusto aggressore. San Bernardo di Chiaravalle nel «De laude novae militiate», Milano, Biblioteca del Senato, 2004, scrive che «i cavalieri di Cristo… non peccano quando uccidono il nemico…, anzi la morte data o ricevuta per Cristo merita una grande gloria, simile al martirio. (…). Il cavaliere con serenità uccide, con serenità muore». Anche il «sollevamento» del generalissimo Francisco Franco contro il bolscevismo iberico, fu visto dall’episcopato spagnolo e da Roma come una crociata in difesa della fede e della patria.

 

San Tommaso perfezionò tali basi agostiniane nella Somma Teologica (II-II, q. 29). L’Angelico spiega: «Si richiede una causa giusta, affinché coloro che sono attaccati mèritino di esserlo a causa di una certa colpa grave» (3).

E continua: «Se una nazione è stata negligente nel vendicare ciò che è stato fatto diniquo da uno dei suoi membri, o nel rendere ciò che era stato rubato ingiustamente da un suo cittadino, è una colpa contro la giustizia». Perciò una guerra solo di espansione o di conquista è un’aggressione ingiusta, mentre la guerra di legittima difesa è giusta. In breve ciò che rende giusta la guerra è la legittima difesa (come per il singolo): «vim vi repellere licet». Vi può essere il caso di una guerra apparentemente offensiva, ma realmente difensiva, come quando, per esempio, una guerra «offensiva» è motivata da una colpa contro il diritto, commessa dallo Stato che si attacca.

«Infatti uno Stato che lasciasse commettere contro di sé impunemente tutte le ingiustizie possibili, savvierebbe fatalmente verso il declino e il disfacimento e questo sarebbe un male più grande di tutti i mali che una guerra trascinerebbe dietro a sé» (4).

 

Nel Vangelo San Giovanni Battista, non comanda ai soldati di abbandonare le armi, ma di combattere legittimamente, senza giungere a vendette ingiuste. San Roberto Bellarmino

(«I catechismi. Breve dottrina cristiana e Dichiarazione della dottrina cristiana», Milano, La Favilla, 1941), interpreta tale episodio evangelico, come ordine di astenersi dalla vendetta personale e non dalla guerra difensiva. Pio XII, il 21 maggio del 1948 insegnava che «un popolo minacciato, se vuole pensare e agire cristianamente, non può rimanere in unindifferenza passiva… come semplice spettatore chiuso in un atteggiamento di impassibile neutralità».

Ma se lo Stato che attacca giustamente volesse sorpassare, nella repressione, i limiti della colpa commessa e infliggere un castigo sproporzionato, la guerra che era inizialmente giusta diventa ingiusta. Inoltre, essendo la guerra un intervento a mano armata di uno Stato contro un altro Stato per risolvere - mediante la forza - un problema sorto tra i due Stati, ne segue che l’essenza del conflitto consisterà nel proporzionare il modo d’intervento alla natura del conflitto. Il fine che si vuole ottenere è di ridurre lo Stato che si ritiene «ingiusto aggressore» ad accettare, con la forza, le condizioni di giustizia che non ha voluto accettare liberamente e pacificamente. Quindi si ha il diritto di condurre la guerra nel modo tale che lo Stato in torto sia ridotto - mediante la lotta - alla sottomissione allo Stato aggredito ingiustamente. Non si tratta di un atto di predazione, né di un atto del boia che deve annichilare la vittima, come invece è divenuta la guerra a partire dal primo conflitto mondiale (1914-1918), perciò l’atto violento o la guerra deve essere onesto vale a dire che nella lotta sia rispettato il diritto naturale, evitando di uccidere - possibilmente - innocenti, donne, bambini e vecchi. Inoltre non è giusto rendere lo Stato vinto una tabula rasa, quando si può riottenere il mal tolto con un castigo parziale; però la guerra è diventata - col 14/18 - un’azione non più di forza, ma di annientamento, in cui tutti i mezzi sono necessari per distruggere il nemico, anche gli innocenti! Quindi «nella lotta... vi sono règole di giustizia e di morale naturale imprescrittibili. Perciò non si potrà colpire un nemico disarmato che si arrende; a maggior ragione se è ferito» (5). Onde non tutto è necessariamente giusto, nella guerra giusta.

 

La «rappresaglia» secondo il diritto naturale e cristiano 

«Le rappresaglie si distinguono dalle guerra per parecchi aspetti; questa è lultimo mezzo al quale lo Stato può far ricorso dopo aver esperiti tutti i diritti di composizione pacifica e, come tale, richiede un causa proporzionata ai gravi danni che suole produrre».

 

La rappresaglia non raggiunge - scrive padre Antonio Messineo S.J. nell’Enciclopedia Cattolica - l’intensità della guerra nell’esercizio della coazione, e può quindi essere adoperata per una causa meno grave (...). Anche con l’intervento la rappresaglia ha una spiccata somiglianza; si può tuttavia tracciare tra i due istituti una linea di divisione. La rappresaglia si esaurisce nella lesione del diritto altrui proporzionale all’offesa ricevuta, così che lo Stato, che vi ricorre, messo in atto il processo coattivo prescelto a titolo di reazione, non può ricorrere ad altre misure, se non interviene una nuova lesione del diritto. Nell’intervento, invece, l’ampiezza del procedimento è più estesa e permette l’uso reiterato dei mezzi coattivi, finché la volontà della parte contraria non si sia piegata alle giuste richieste dell’altra. L’elemento specifico poi, che distingue la rappresaglia dalla ritorsione, consiste nel fatto che questa non richiede come suo presupposto, una lesione di diritto, né la reazione dèroga ad alcuna norma giuridica vigente; quella invece suppone sempre la lesione di diritto, alla quale risponde con un’eguale infrazione (...). Gli antichi giuristi e moralisti, come anche i moderni, concordano nell’ammettere in linea di principio la liceità della rappresaglia (...) Una tal quale concordanza di opinioni esiste circa il principio di proporzionalità tra l’azione illecita e le vie di fatto, scelte a titolo di rappresaglia. Il fondamento giuridico e morale della rappresaglia risiede... nella lesione del diritto, e la sua finalità consiste nella riparazione del torto. Posto ciò, quando le rappresaglie hanno raggiunto i limiti dell’offesa, cade il fondamento della loro legittimità...
Conseguentemente ogni eccedenza dalla stretta legge della proporzione tra azione illecita e risposta violenta si pone fuori dell’ambito della giustizia e diventa illegale. Un’eguale concordanza non si è ancora raggiunta sulla questione se il diritto di rappresaglia si possa esercitare verso i privati cittadini. I teologi antichi, quali ad esempio, il Vitoria e Molina, furono in favore della soluzione positiva, movendo dal principio della responsabilità collettiva dei sudditi con il sovrano.

 

Qualche autore moderno... ricalca ancora le vestigia della dottrina antica (per esempio nel caso delle Fosse Ardeatine dopo l’attentato proditorio di via Rasella, la morale cattolica non condanna ipso facto la rappresaglia fatta sui civili, in quanto corresponsabili con il loro capo, Vittorio Emanuele III che tradì il suo vecchio alleato e fuggì vergognosamente; e non sentènzia che chi eseguì l’ordine di fucilare i prigionieri abbia commesso ipso facto un peccato mortale, e che per non commetterlo doveva non eseguirlo a costo di farsi fucilare; tenendo anche conto della circostanza del moetus che diminuisce e può anche togliere del tutto, se è molto forte, la volontarietà dell’atto, nda) altri, invece, escludono in modo categorico, che si possano colpire direttamente i privati (...). La regola generale, è che devono essere ritenute sempre illecite le rappresaglie che lèdono il diritto umano e fondamentale; lécite al contrario, saranno quelle poste in deroga al diritto positivo, il cui valore dipende unicamente dalla volontà contrattuale degli Stati (...). Per rendere chiara questa divisione, possono servire come esempio la legge di guerra italiana dell’8 luglio 1938 e gli annessi della convenzione dell’Aja del 18 settembre 1907. Il principio direttivo è che «non si devono recare al nemico sofferenze superflue e danni in distruzioni inutili. Applicazioni concrete di questo principio sono quelle con le quali si proibisce:

 

1) di adoperare veleni e armi avvelenate;

2) di usare violenza proditoria ovvero uccidere o ferire un nemico a tradimento, o quando questi avendo deposto le armi o non avendo più modo di difendersi, si sia arreso a discrezione;

3) di sparare contro i naufraghi del mare o dellaria;

4) di dichiarare che non si dà quartiere;

5) di impiegare proiettili esplosivi;

6) di impiegare pallottole che si dilatano o si schiacciano facilmente nel corpo umano;

7) di saccheggiare le località;

8) di distruggere i beni nemici o di impadronirsene...» (6).

 

Per il diritto internazionale  la rappresaglia non  è illegittima. Solo un eccesso di rappresaglia costituisce una violazione del diritto internazionale. Il diritto internazionale stabilisce che non ci deve essere una sproporzione evidente tra il numero delle vittime e il numero dei giustiziati, ma non si dà un criterio che règoli la proporzionalità. Per esempio durante la seconda guerra mondiale la Francia applicò una proporzione di 25 a 1, l’URSS di 50 a 1, gli USA di 200 a 1, la Germania di 10 a 1, come alle fosse Ardeatine dopo l’attentato di via Rasella, ma... «guai ai vinti», il novantaseienne Erich Priebke è condannato all’ergastolo, cinquanta anni dopo aver obbedito ad un ordine di rappresaglia, impartitogli dal legittimo superiore; mentre chi nascose, vestito da spazzino, la bomba nel carretto dei rifiuti ha ricevuto la medaglia d’oro al valor militare.

 

La «justa vindicatio» contro i terroristi

Un insigne teologo domenicano italiano, padre Tito Centi scriveva sulla giusta vendetta: «La pena capitale, contro la banda armata, che con atti terroristici tenta di sopraffare lautorità costituita, può e (in certi casi) deve essere applicata come arma di rappresaglia, su tutti e singoli i componenti della banda medesima [si riferiva alle Brigate Rosse che uccisero Aldo Moro e la sua scorta, ndr]. Il pericolo costituito dalle associazioni per delinquere è talmente grave e oggettivo, da non aver bisogno di dimostrazione. ... Però tutti avvertono con sgomento, quando le bande armate si scatenano in atti di terrorismo proditorio, che lo Stato è impotente a reprimerne laudacia... Il capo dello Stato si è limitato ad una constatazione [durante il caso Moro]: è la guerra! Siamo in guerra. E sarebbe già molto, se da questa constatazione si sapessero tirare le conseguenze; perché una nazione che si rispetti di fronte allaggressione armata reagisce con atti di guerra, per non lasciare indifesi i propri cittadini... La guerra non potrà mai essere vinta da chi si rifiuta di combattere; né potrà esser vinta da chi subisce le angherie più sanguinose, senza ripagare il nemico con la stessa moneta. Di qui la necessità della rappresaglia (...). Verso il nemico che calpesta ogni diritto, come verso il terrorista che insidia con le sue imprese criminali la vita degli onesti cittadini, lo Stato deve quindi accettare a malincuore di scendere sul piano della rappresaglia.... La forza della banda armata risiede nella solidarietà dei suoi componenti. Ebbene, lo Stato deve combatterla e colpirla nei singoli, come se si trattasse di ununica persona fisica. Esattamente come fanno i terroristi, che mirano a colpire lo Stato nei singoli suoi funzionari.

Perciò quando i terroristi... con un sequestro di persona, tentano di ricattare lo Stato, nessuno può impedire a questultimo di procedere alla decimazione degli ostaggi, ossia dei criminali in carcere, di cui i terroristi in libertà chiedono la liberazione...» (7). Un altro domenicano spagnolo, ancora vivente come padre Centi, padre Antonio Royo Marìn ha scritto:«La vendetta o giusto castigo... ha lo scopo di punire il malfattore del peccato commesso (...). A questa virtù si oppongono due vizi: uno per eccesso, la crudeltà, e un altro per difetto, la eccessiva indulgenza, che può animare il colpevole a continuare le sue cattive azioni» (8).

 

Egli cita la Somma Teologica di San Tommaso il quale spiega che l’istinto di vendicare un male, come moto di ripulsa verso esso, è buono; perciò la giusta vendetta che vuol riparare l’ordine violato dal delinquente facendo il male ed emendare il colpevole è cosa buona e giusta; occorre specificare che lelemento primario della pena è vendicativo (ristabilire l’ordine e punire il male), mentre quello secondario è medicinale (aiutare il colpevole a riscattarsi).

 

Invece oggi la pena è vista solo come medicinale e si ignora il suo lato afflittivo, correttivo, riparatore o «vendicativo». Inoltre bisogna conoscere il significato etimologico della parola vendetta, che nulla ha a che fare con odio o rancore o farsi giustizia da sé, come oggi comunemente si crede. Vendicare significa: proteggere, liberare. La parola è composta di vim (forza) e dicare o dicere (proferire, dire, offrire); ossia denunziare o minacciare la violenza. Così vendetta è latto della redenzione o liberazione; e il vindice o vendicatore è colui che riscatta o libera loppresso e punisce lingiusto aggressore , per poterlo poi anche emendare (9).

 

La tortura 

«Non si può dubitare della liceità della t(ortura) come pena afflittiva, supposta la liceità della pena di morte e supposta la liceità della mutilazione e della verberazione - scriveva il cardinal Pietro Palazzini sull’Enciclopedia Cattolica - pene ugualmente afflittive. Come intimidazione contro un innocente per carpirne un segreto è doppiamente illecita, e come ingiustificato atto di violenza e come estorsione di un segreto. La questione della liceità dellapplicazione della tortura come mezzo di indagine giudiziaria, su individui già indiziati più o meno gravemente, allo scopo di carpirne la confessione giudiziaria, ha avuto soluzioni diverse. Per alcuni, supposto il diritto del giudice di indagare per appurare la verità dei fatti, quando, in determinate circostanze, fossero esauriti i mezzi normali, il bene comune può esigere che l’imputato venga sottoposto anche a mezzi costrittivi, quali la tortura. Si tratta dellinteresse che ha la società di precisare le responsabilità di un determinato individuo, di un diritto alla prova. Non si nega il diritto a tacere... ma questo cede al diritto che ha la società di sapere chi minaccia il bene comune, di rivendicare la norma giuridica conculcata. Lo svantaggio di non riuscire a scoprire lautore di un determinato delitto provocherebbe a volte danni ben maggiori alla società di quanti non ne possano venire dalla violazione della libertà nellesigere e volere la manifestazione di un determinato individuo (J. De Lugo, ‘De justitia et jure’, disp. XXXVII, ed. Fournials, VII, Parigi 1869, pagina 724). Tuttavia... anche in tal corrente di pensiero, per essere lecita la tortura deve essere contenuta entro limiti ben definiti:

 

a) a carico del soggetto vi siano già degli indizi, che costituiscano una prova semiplena;

b) si tratti di persona che può essere sottomessa a tortura (...) ;

c) sia stato esperito ogni altro mezzo di indagine più mite;

d) la tortura né totalmente né relativamente insopportabile al soggetto cui viene inflitta;

e) sia consentita in piena tranquillità una ratifica o ritrattazione della confessione estorta (confronta Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Th. mor. , IV, cap. 3, a. 3, n° 202, II)» (10).

 

Conclusioni sulla guerra 

Parlando della guerra occorre evitare due estremi: l’errore per eccesso e quello per difetto.

 

a) Errore per eccesso:

Il darwinismo politico applica ai popoli il principio di sopravvivenza del più forte. I popoli son nati per combattersi e per far prevalere il più forte sul più debole. Inoltre la filosofia polìtica, con Machiavelli e Nietzsche e gli adoratori della ragion di Stato, i sostenitori della teoria del super-uomo e del super-Stato o della super-Razza, inneggiano alla forza quale unico fondamento delle relazioni tra Stati. «J. De Maistre arditamente proclama la guerra come cosa divina. Al fondo del suo pensiero - scrive padre Antonino Messineo S. J. - sta il concetto erroneo che la vita tutta quanta sia dominata dalla legge della distruzione sino al conseguimento del silenzio della morte. A questa legge divina ubbidirebbe luomo, quando scende sui campi di battaglia... senza comprendere quello che fa» (11).

 

b) Errore per difetto:

La guerra è sempre illecita. L’umanitarismo, il filantropismo, la globalizzazione, il mondialismo vorrebbero non esistessero le divisioni nazionali, per dare ai popoli la «pace perpetua» sognata già da Kant. I pacifisti seguono questi «idealisti» e filantropi, e infine sfilano i «cristiani per la pace», che appoggiandosi erroneamente ad alcuni passi del Vangelo, mal interpretati, concludono che la guerra è sempre immorale, pur facendo azioni di... guerriglia (non di guerra, si badi bene...) «urbana»!

 

c) La dottrina cattolica:

In medio et cùlmen  tra questi due errori si erge la dottrina cattolica, come una vetta tra due burroni. Essa ha sempre considerato la guerra come un flagello e ha cercato quindi di renderla il meno disumana possibile. Alla base della concezione cattolica della guerra vi è il dogma del Peccato Originale che spinge, senza determinare, l’uomo alla violenza, agli istinti brutali, all’orgoglio e alla volontà di potenza; tuttavia, l’uomo resta libero e padrone dei suoi atti dei quali è perciò responsabile, nonostante il Peccato Originale. La pace è dunque un bene da mantenere possibilmente. Però «non è un bene da mantenersi ad ogni costo col sacrificio del diritto e della giustizia - scrive ancora padre Messineo - che vanno piuttosto difesi. Luso della forza e la guerra hanno come scopo la pace, lordine del consorzio civile, e possono essere adoperati contro i perturbatori. La dottrina cattolica è pacifica ma non pacifista, è umana ma non umanitaria. Questa approvazione di principio delluso della forza... non è contraria agli insegnamenti del Vangelo. Il Vangelo è un codice di vita dettato per la santificazione dellindividuo, al quale sono rivolti i consigli della non resistenza al male... I medesimi precetti e consigli non possono essere trasferiti alla vita collettiva, senza che ne segua limpunità dei malvagi e la disgregazione sociale» (12).

 

Obiezione: la guerra nucleare 

La guerra moderna, totale o mondiale, che coinvolge  tutta la nazione nelle ostilità, compresi gli innocenti, le donne i vecchi e i bambini, non rende nulla la distinzione tra guerra giusta o difensiva e guerra ingiusta o offensiva? I teologi cattolici accreditati rispondono che la guerra difensiva è sempre un atto lecito e giusto, poiché il diritto permette allo Stato aggredito ingiustamente di esercitare la facoltà naturale della legittima difesa, respingendo la forza con la forza (vim vi repellere licet). Padre Angelo Brucculeri S. .J. scrive: «Non tutti certamente consentiranno a quellaltro atteggiamento di pensiero, con cui si afferma che al presente la guerra è sempre illecita. Il 19 ottobre del 1931 alcuni teologi... vennero alla seguente conclusione: ‘La guerra moderna non potrebbe essere una procedura legittima. Giacché essa, a causa della sua tecnica... genera sì grandi rovine materiali, spirituali, individuali, familiari, sociali, religiose, e diviene una tale calamità mondiale, chessa cessa di essere un mezzo proporzionato al fine... ossia: linstaurazione dun ordine più umano e la pace’. Secondo questi teologi parrebbe la guerra moderna sempre illecita. Che cosa si deve rispondere? (...) Se con queste proposizioni si vuole intendere che lo scoppio duna guerra non può mai esser lecito ai nostri giorni, ... Non potremmo per parte nostra sottoscrivere ad una tesi così assoluta... Nella civiltà presente, è ancora concepibile che uno Stato sia obbligato ad una guerra giusta,  fosse pure una guerra di sterminio. Quindi non si può sostenere in maniera assoluta che la guerra ai nostri giorni sia sempre illecita... Si può anche oggi supporre che uno Stato, per esempio il sovietico, muova guerra con l’intento espresso di distruggere i princìpi giuridici e morali della nostra cultura cristiana. Si ha allora il dovere di affrontare tutti i mali della guerra, che sono sempre inferiori alla rovina della civiltà cristiana (...). Un nuovo problema è nato sullapplicazione... dellarma atomica. Alcuni moralisti pensano che non possa in maniera assoluta condannarsi luso della bomba atomica, giacché è un mezzo sicuro e rapido di distruggere le forze militari ed economiche del nemico e per convincerlo di porre fine al cozzo armato. La morte di tanti innocenti si giustificherebbe per le stesse ragioni con cui si giustifica allorché era prodotta da altre armi... Altri tengono una via intermedia... una discriminazione fondata sulle circostanze e gli obiettivi dellattacco con la bomba atomica. Altra cosa sarebbe, per esempio, usarne contro le squadre nemiche in pieno oceano, altra cosa sarebbe usarne contro i grandi centri industriali (o abitati)» (13).

Altra cosa è stata... gettarla sul Giappone, nazione popolatissima, nel 1945, quando la guerra era già persa e la potenza nipponica pronta alla resa.

 

Fine della guerra: la pace 

San Tommaso afferma che «pure coloro i quali fanno la guerra, la fanno soltanto in vista della pace» (14). Perciò è estremamente importante, quando si dichiara guerra, che essa termini come conviene, vale a dire con una pace onorevole, che armonizzi le volontà degli Stati già opposti l’uno l’altro. Altrimenti la guerra non sarebbe davvero finita e ci si preparerebbe soltanto a ricominciarla (come fu la seconda guerra mondiale dopo l’iniquo patto di pace di Versailles che «poneva fine» alla prima). E’ vero che una pace assoluta, perfetta, perpetua, su questa terra, è una chimera; ma bisogna cercare di non lasciar sussistere o non creare cause di nuovi confitti, mediante trattati di pace, quando queste dipendono da noi, o esigere la resa incondizionata, come avvenne da parte anglo-americana verso la fine della Seconda Guerra Mondiale nei confronti della Germania, mentre Pio XII si adoperava a chiedere una resa onorevole, cosa che la Germania avrebbe accettato, ma di fronte alla resa incondizionata, fu costretta alla resistenza incondizionata.

 

Per gentile concessione di don Curzio Nitoglia

 


 

1) Queste condizioni in Iraq, nel 2003, non si erano verificate. Quindi la guerra fu un’ingiusta aggressione da parte degli USA e Gran Bretagna, spinti da Israele.

2) Sant’Agostino, «De Civitate Dei», lib. 19, cap. 12, 1.

3) S. T. , II -II, q. 40, a. 1.

4) Padre. T. Pegues, O. P., «Saint Thomas d’Aquin et la guerre», Paris, Tequi, 1916, pagine 12-13.

Confronta anche Francisco Suarez, «De Charitate. Disputatio XIII, De Bello», sectio I, n umero 2, pagina 737, Opera omnia, Venetiis, Sebastianus Coleti, 1740-1751, ristampa Parigi, Vivès, 1958.

Francisco De Vitoria, «De Jure Belli», I, Opera, Salamanca, 1565, traduzione italiana, Roma-Bari, Laterza, 2005. Id., «Relecciones teologicas», 3 volumi Madrid, 1933-1935. Id., «Relectio de Indis», traduzione italiana, Bari, Levante, 1996. Clemente d’Alessandria, «Il protrettico. Il pedagogo», Torino, Utet, 1971. Cajetanus, «Summa totius Theologiae», Venezia, 1588. M. T. Fumagalli Beonio, Brocchieri, «Cristiani in armi», Roma-Bari, Laterza, 2006.

5) T. Pegues, opera citata, pagina 27.

6) Enciclopedia Cattolica, volume X, coll. 526-530, Città del Vaticano, 1953.

7) Tito S. Centi O.P, «Giusta vendetta e rappresaglia contro il terrorismo», in Cristianità, aprile 1980, numero 60, pagine 3-5. Confronta S.T., I-II, q.108, a.1-2. «Dictionnaire de Théologie Catholique», Vengeance, volume 15, coll. 2613-2623.

8) A. Royo Marìn, «Teologia della perfezione cristiana», Edizioni Paoline, 6ª edizione, Roma, 1965, pagine 696-697. Idem, «Teologia della carità», Roma, Paoline, 1965. M. Spataro, «Dal caso Priebke al Nazi-gold», Roma, Settimo Sigillo, 2 volumi, 2001. E. Priebke, «Autobiografia», Roma, Uomo e Libertà, 2003.

9) Confronta O. Pianigiani, «Vocabolario etimologico della lingua italiana», Firenze, 1907.

10) Enciclopedia Cattolica, volume XII, coll. 337-343, Città del Vaticano, 1954.

11) Enciclopedia Cattolica, volume VI, 1951, Città del Vaticano, coll. 1232.

12) Enciclopedia Cattolica, ivi. Confronta S.T., II-II, q. 40. Pio XII, ha tenuto vari discorsi sul soggetto: il 20 ottobre 1939 ha promulgato l’Enciclica «Summi Pontificatus»,  il 21 aprile 1940 ha tenuto un Discorso, un altro Discorso il 24 giugno 1944, un Radiomessaggio il 24 dicembre 1948, il 19 luglio 1950 ha promulgato un’altra Enciclica, la «Summi Maeroris», il 19 ottobre 1953 ha tenuto un’Allocuzione, e nel 1954, il 30 settembre, un Discorso, infine un Radiomessaggio il 23 dicembre 1956 (confronta Pio XII, «Discorsi e Radiomessaggi», Paoline, Roma, 1939-1959). F. de Vitoria, «Relectiones theologicae. De Indis; De bello», Salamanca, 1565. F. Suarez, «De caritate», disp. XIII, «De bello», Opera omnia, Venetiis, Sebastianus Coleti, 1740-1751. F. Molina, «De justitia et jure», Conchae-Moguntiae, 1593-1609. H. Mazzella, «Il catechismo della guerra», Roma, 1916.

L. Taparelli, «Saggio teoretico del diritto naturale», 8ª edizione, Roma, 1950.

13) A. Brucculeri S. J., «Moralità della guerra», edizione La Civiltà Cattolica, Roma, 1953, pagine 61-65.

14) II-II, q. 29, a. 2, ad 2um.  S. T. , I-II, q.40, a.1, ad 2um. Confronta M. T. Fumagalli-B. Brocchieri, «Il pensiero politico medievale», Laterza, Bari, 2000. G. Tabacco, «Le ideologie politiche del medioevo», Einaudi, Torino, 2000. G. G. Merlo, «Eretici ed eresie medievali», Il Mulino, Bologna, 1989. J. J. Chevalier, «Storia del pensiero politico», 3 volumi, Il Mulino, Bologna, 1981. W. Ulmann, «Il pensiero politico del medioevo», Laterza, Bari, 1984. J. Touchard, «Storia del pensiero politico», Etas Libri, Milano, 1978.

 

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