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Le due Italie
29 Aprile 2012
«Non basta il rigore. Ci vuole la crescita». La crescita, la crescita. Lo dicono tutti: financo la Merkel. Ha incontrato Monti, il quale l’ha convinta: «L’obbiettivo condiviso è individuare politiche che possano stimolare la crescita», scrive il Corriere. Potenza di Monti! Che stupendo presidente del Consiglio ci ha regalato il Papà del Colle! Appena cala nei sondaggi, ecco che Monti convince la Merkel: crescita! Crescita! Il Corriere della Sera giunge a titolare: «Roma e Berlino, un asse per la crescita». Torna l’Asse, eia eia alalà. Bersani grida: «Adesso crescita». Alfano strilla, «Crescita, finalmente, e presto!». La Camusso: Crescita! Persino il furbone Mario Draghi: «Aumentare le tasse è recessivo». Grande scoperta di un titano del pensiero economico. E subito: «Adesso, misure per la crescita». Era quello che due settimane fa diceva: lo Stato sociale all’europea è morto. Allora tutti d’accordo? Spiace dirlo, ma viene da dar ragione ad Emma Bonino, che ad una riunione di radicali ha detto: «Parlano tutti di crescita, ma un’idea che sia una, su come si fa, mica la danno». Non hanno alcuna idea perchè sono infinitamente vuoti e stupidi? Anche. Ma soprattutto, è in corso la strategia di contenimento nel caso che Francois Hollande diventi presidente. Di sinistra, cosiddetta. Il vacuo personaggio però, può vincere con la confluenza determinante dei 6,5 milioni di elettori del Front National. E può diventare, volente o nolente, il capofila di una resistenza europea al totalitarismo finanziario, e il coalizzatore del Club Med, che Monti si sforza di tener diviso (litigando con Madrid ad esempio). Il premier greco, speranzoso, ha già augurato a Hollande una bella vittoria. La finanza speculativa ha già preso le misure. Solo qualche giorno fa, cari lettori, ve l’avevo preconizzato. Era tutto scritto in un rapporto riservato della banca d’affari speculativa del Crédit Agricole per i suoi milleduecento clienti d’alto bordo, fondi pensione e fondi istituzionali anglo-americani, allarmatissimi che uno «di sinistra» andasse all’Eliseo. Detesto autocitarmi. Ma devo riprendere quello che c’era scritto in quel rapporto riservato della banca d’affari: «... Sarebbe politicamente intelligente che i partner dell’eurozona permettessero a Hollande di poter esibire che ha strappato loro qualche concessione, anche se falso in realtà. La richiesta di ri-negoziazione del trattato sarebbe allora utilizzata per ingannare il pubblico francese facendogli accettare riforme opportune, fra cui quella del mercato del lavoro». Insomma, è tutta una finta. Francois Hollande del resto ha già ricevuto degli «avvertimenti», una minaccia di degrado del debito pubblico francese da parte delle agenzie di rating, l’emissione di un derivato che consente di giocare contro il debito francese con una leva da 1 a 20, e soprattutto un articolo dell’Economist che recita: «The rather dangerous Monsieur Hollande». E quando l’Economist ti chiama per nome e ti definisce pericoloso possono accaderti degli incidenti. Tanti anni fa, l’Economist si mise a parlare italiano: mise in copertina la caricatura di Aldo Moro come burattino coi fili, e il titolo diceva: È finita la commedia. In italiano nel testo. Due settimane dopo, Moro fu rapito dalle Brigate Rosse: per la precisione, «le BR di Palazzo Caetani», sede di diverse sedi diplomatiche americane coperte da immunità territoriale; e la Renault rossa in cui fecero trovare il cadavere di Moro la lasciarono infatti in via Caetani, a fianco del palazzo nobiliare: non aveva fatto che pochi metri, stabilì la polizia scientifica... Altre storie. Ma è un fatto che, appena insediato Monti da Napolitano, il 26 novembre il Financial Times gli consigliava caldamente di fare cassa privatizzando Finmeccanica, cedendo la quota di Stato, la golden share: consiglio immediatemente seguito dal degrado di Standard & Poors, che ha affibbiato a Finmeccanica un BBB- con outlook negativo. Il nostro gioiello degli armamenti e tecnologie avanzate, si sa, fa gola alla finanza anglo. La quale s’era facilitata il boccone facendo crollare le azioni Finmeccanica del -64% nel 2011. Ma non bastava: sicché la nostra valorosa magistratura ha scoperto una oscura vicenda di tangenti che puntava a far dimettere il presidente Pier Francesco Guarguaglini. Che infatti ha «spontaneamente» messo le sue dimissioni nelle mani di Monti, che le ha accolte. Ma non bastava ancora, sicchè il procuratore Woodcock ha scoperto che il nuovo amministratore delegato di Finmeccanica, G. Orsi, pagava tangenti all’estero (novità assoluta, nel mercato internazionale delle armi!), aveva 6 Maserati, e avrebbe pagato persino 10 milioni di euro alla Lega. Il tutto agitato a dovere, come fosse verità assoluta, da Corriere e Repubblica. Alla fine, verrà fuori che tutta la campagna di smerdamento della Lega non aveva di mira Bossi o il Trota, ma Finmeccanica. C’è da chiedersi se il giudice Woodcock sia salito sul regale panfilo «Britannia», dove i finanzieri anglo convocarono alcuni amici italiani, il 2 giugno del ‘92, per dare gli ordini necessari alla svendita dei patrimoni di Stato italiani (pardon, «privatizzazioni»). C’era andato Draghi, allora funzionario al Tesoro, dunque colpevole di alto tradimento. Invece, vedete che bella carriera ha fatto. Anche Woodcock la farà certamente. Ma torniamo a noi. Il grido corale di lorsignori: «Adesso crescita!», non è che una finzione perchè Hollande possa esibire un qualche successo «di sinistra» davanti ai francesi. Dunque non perdiamo tempo ad illuderci che lorsignori ci daranno una «crescita». Non lasciamoci distrarre dal teatrino: teniamo concentrata l’attenzione sul Nemico Principale. Ormai dovreste averlo capito da soli: esistono due società italiane. Quelli che i soldi allo Stato li danno; e quelli che i soldi dallo Stato li prendono. Esempio: giorni fa ecco la notizia che il Comune Calalzo di Cadore (Belluno), 2.250 abitanti, ha rinunciato ai servizi di Equitalia – che estrae la sua tangente come esattoria, mica è gratis. Il piccolo Comune s’è messo ad accertare e riscuotere da sè i tributi. Il sindaco Luca Di Carlo dice, tutto contento: non solo siamo più capaci di conoscere i casi delle famiglie e delle aziende in difficoltà, e quindi di chiudere un occhio in certi casi. Soprattutto, «abbiamo risparmiato 13 mila euro», che altrimenti sarebbero andati ad Equitalia per i suoi servizi. Ricordate la cifra: 13 mila euro l’anno. Un bel risparmio, per il comunello del Bellunese. Stessi giorni: Massimo D’Alema fa un discorso a Palermo, dove pendono le elezioni locali. Difende il finanziamento pubblico dei partiti. Parla dei 186 milioni che i partiti dovrebbero ricevere come rata di giugno, e a cui sono invitati a rinunciare. Dice: «186 milioni di euro sono una cifra infinitesimale». Il sindaco di Calalzo considera un gran successo aver risparmiato 13 mila euro. D’Alema considera «infinitesimali» 186 milioni di dinero pubblico, oltre 360 miliardi di vecchie lire. Capito chi è il nemico principale? No, non parlo di D’Alema. Non solo di lui. Parlo delle Regioni che, hanno calcolato i soliti Rizzo e Stella, hanno aumentato le loro uscite del 75% in questi dieci anni: in nome della «autonomia» regionale, naturalmente. Il che significa che non hanno da fare alcuno dei tagli che – dopotutto – stanno calando sull’amministrazione centrale. Le leggi dello Stato, loro, se vogliono non le «recepiscono» (1), e il gioco è fatto: possono sprecare quanto vogliono, a spese di una cittadinanza produttiva tartassata, che ha i salari più bassi d’Europa: il 30% in meno dei tedeschi, il 45% in meno dei lavoratori inglesi. C’è una relazione, amici, fra il troppo che questi si ritagliano, e il pochissimo che i privati ricevono come salario o pensione. Non è un caso: è anche questo un riflesso delle due Italie, quelli che i soldi li danno, e quelli che li prendono. Prendiamo gli uffici della presidenza del Consiglio: il nostro amato tassatore Monti ci ha trovato dentro, ben stipendiati come topi nel formaggio, ben 4.600 dipendenti. Tony Blair ha fatto scandalo perchè, durante la sua permanenza a Downing Street come premier, ha portato i dipendenti della sua segreteria da 70 a 200. Dal 1999 al 2010, le spese di tutti questi topi nel formaggio sono salite da 345 miliardi di lire a 488 milioni di euro: con un aumento, tenendo conto dell’inflazione, del 116%. Il motivo, è anche questo la «autonomia»: come le Regioni, anche la presidenza del Consiglio, intesa come corpo, non ha obbligo di rendiconto. Non deve fare bilanci, nè farli controllare da alcuno. È una conquista recente: la presidenza e i suoi 4.600 parassiti hanno strappato «l’autonomia» e l’incontrollabilità, solo nel 2000. Un regalo di Silvio Berlusconi, che aveva voglia di spendere e spandere senza stare a preoccuparsi di piccinerie: cifre infinitesimali, dopotutto. Nel solo 2000, primo anno della «autonomia», le spese sono cresciute del 28,7%. I soldi usciti dalle casse del premier per pagare il personale «comandato» (ossia preso in prestito da altre amministrazioni) sono cresciute, quell’anno, del 44.5%. I quattrini destinati alle trasferte del premier si moltiplicarono di colpo per 5: da 903 milioni di lire a oltre 5 miliardi. E pensare che avevamo votato Berlusconi pensando: «È ricco, dunque non ruberà. È un imprenditore, dunque abituato a stare attento alle spese». Macchè: basta passare su quelle poltrone, passare dall’Italia che dà all’Italia che prende, e si contrae la malattia dell’«autonomia», del «dei soldi vostri faccio quello che voglio io». Del considerare infinitesimali le centinaia di milioni. Fra parentesi, è stato il Cavaliere a raccontare l’episodio del personale di Downing Street. Era l’8 settembre 2001. Berlusconi raccontò d’aver incontrato una Margaret Thatcher esterrefatta perché Blair aveva portato da 70 a 200 i dipendenti di Downing Street. «Sapete quante persone ho trovato io a Palazzo Chigi? Ne ho trovate 4.500. Penso che serva una rivoluzione pacifica per ammodernare lo Stato». Quando è uscito da palazzo Chigi, aveva aumentato i dipendenti strapagati da 4.500 a 4.600. Un aumento infinitesinale. Ma mica è solo Berlusconi. Anche le due Camere difendono fieramente e con successo la loro «autonomia», intesa come privilegio di non rendere conto delle spese. E si vede. Anche il Capo dello Stato, con le sue migliaia di dipendenti ricchissimi, elicotteri, autoblù, ville pontificali, non ha alcun obbligo di rendiconto. Sicchè, l’Italia è il solo Paese che abbia completamente rovesciato il principio fondamentale del diritto pubblico. Questo principio (ve lo ricordate?) decreta: chiunque riceva denaro pubblico, è obbligato a dimostrare come lo spende, perchè non sono soldi suoi. Grosso modo, vigeva anche da noi fino all’altro ieri. Adesso invece, in Italia, vige il principio giuridico esattamente contrario: Chiunque riceve denaro pubblico non ha obbligo di rendiconto. Non la presidenza del Consiglio, non il Quirinale, non i deputati e i senatori singolarmente e in blocco, non le Regioni, e non i partiti politici: s’è visto nel caso dei milioncini che Lusi ha rubacchiato alla Margherita, è colpevole solo di appropriazione indebita (reato minore) perchè – ci hanno spiegato – essendo i partiti organizzazioni private di fatto, i soldi pubblici che ricevono come «rimborsi elettorali» diventano soldi privati, e come li spendono non deve interessarci. Anche Bossi, dopo gli scandali, i diamanti, il Trota con l’autista, ha bofonchiato: «Dei soldi nostri facciamo quello che vogliamo». Ebbene, ha ragione, come s’è già visto nel caso Lusi-Rutelli. È la nuova Legge. E allora, chi in Italia ha l’obbligo di rendiconto? Ma è evidente: i privati, quelli che i soldi se li guadagnano per darli allo Stato. Vige il principio: chi si guadagna i soldi suoi, deve ad ogni momento rendere conto ad Equitalia di come li ha spesi. Come mai ha una Maserati? Fa vedere se è congrua con la tua dichiarazione dei redditi! Com’è che ti sei comprato questo tappeto persiano, questo diamante, questa vacanza alle Maldive? Perchè detieni banconote da 500 euro? Come mai non pretendi lo scontrino dal barista, la fattura più IVA dall’idraulico? Come hai una seconda casa? Dove hai preso i quattrini? Confessa, evasore, nemico del popolo! È la nuova Legge. È a nome di questa nuova Legge che Napolitano ha difeso i partiti e la partitocrazia: «Nulla può sostituirsi ai partiti», ha sancito dall’alto Colle della repubblica, che ci costa più della monarchia britannica. Ha anche invitato a non dare ascolto «ai demagoghi di turno». Ossia ha condannato Beppe Grillo e il suo partito Cinque Stelle: perchè nella nuova Demokratia, è il capo dello Stato, non l’elettorato, che ha diritto di avere un parere sui partiti, e giudicare quali sono «giusti» e quali «demagogici». E ho pure dovuto ascoltare, su RAI3, Luciano Pellicani (presentato come politologo, era il pensatore di Craxi) dare corda a Napolitano: eh sì, con Grillo, si profila il trionfo dell’antipolitica, «c’è il rischio di una svolta autoritaria». Non dev’essersi accorto, l’ex pensatore craxiano, che la «svolta autoritaria» è già avvenuta. L’ha fatta il Colle dandoci il governo Monti senza elezioni, con tutti i suoi tecnici-ideologi dei miei stivali. Come è paradossale dover dar ragione a Napolitano quando dice: diffidate dei demagoghi di turno. E chi fa più demagogia di lui? Chi più di lui (il comunista amato da Wall Street, ossia dai due internazionalismi) senza pudore fa appello alla Patria e al patriottismo per invitarci ai «sacrifici» per il bene dei partiti? Viene da dar ragione a H. L. Mencken, il più famoso giornalista satirico americano (scrisse sul Baltimore Sun dal 1906 al 1948): «Quando sentite un politico parlare del suo amore per la patria, è segno che si aspetta di essere pagato per questo» (2). Dunque non ci lasciamo distrarre. C’è un Nemico Principale da abbattere subito, urgentemente, per risanare il Paese. È vero che se esistono due Italie – quella per cui 13 mila euro risparmiati in un anno sono tanti, e quella per cui 186 milioni di euro accaparrati sono una cifra infinitesima, esistono anche due altre Italie. Spiace dirlo: a Calalzo, al Comune è facile riscuotere le tasse senza l’aiuto pagato di Equitalia, perchè lassù la gente, le tasse le paga. Nel Nord, l’amministrazione pubblica è più semplice, perchè lì la gente si amministra più o meno da sè. A Napoli, sarebbe possibile? Come sapete, a Napoli, l’assicurazione auto obbligatoria è un problema: troppi napoletani furbissimi fingono incidenti, spesso in complicità con meccanici furbi, periti furbi e falsi testimoni furbi, per lucrare risarcimenti a cui non hanno diritto. Risultato: contrarre un’assicurazione auto a Napoli costa il 240% in più che nel Cadore. Se lassù assicurare un dato veicolo costa 300 euro, laggiù costa 1.000 euro. Da cui si vede che un popolo composto da milioni di furbi dà come risultato il Cretino Collettivo. E il Cretino Collettivo è il grande alleato dello status quo, quello che lascia nelle poltrone Monti, Napolitano, Caghetta Fini e Rutelli.
1) Si scopre così che le Regioni italiane sono molto più sovrane dello Stato. Lo Stato è infatti obbligato a «recepire», ossia a ratificare, le norme europee. Le Regioni non sono obbligate a rarificare le leggi dello Stato di cui fanno parte. 2) Dobbiamo a Mencken la seguente immortale definizione della democrazia: «La democrazia è l’arte di dirigere il circo dalla gabbia delle scimmie» («Democracy is the art of running the circus from the monkey cage»).
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