Quanto alla prima obiezione, occorre studiare la storia
dell’Azione Cattolica.
A) Ebbene, de jure o quanto ai princìpi essa è
l’ordinamento principale dei militanti cattolici, in immediata dipendenza dalla
gerarchia ecclesiastica (Papa e vescovi), in vista dell’apostolato dei laici.
Ora, l’apostolato in senso stretto, per istituzione divina, spetta solo agli
Apostoli scelti da Cristo, “cum Petro et sub Petro”. Da essi passa ai vescovi e
al Papa. I sacerdoti, sono cooperatori della gerarchia nell’apostolato in virtù
dell’ordinazione sacerdotale. I laici, invece, in quanto battezzati e
cresimati, sono cristiani e perfetti cristiani o soldati di Gesù, e debbono
cooperare attivamente all’instaurazione del regno sociale di Cristo nel mondo
intero. L’Azione Cattolica quindi non è un partito politico, ma i suoi
appartenenti debbono portare la dottrina del Vangelo, sotto l’alta direzione
della gerarchia e l’assistenza spirituale dei parroci, nella “polis” o società
civile. Onde, essa “non può non fare politica” (Pio XI), intesa come “virtù
della prudenza applicata alla società civile” (Pio XII, 14 ottobre 1951).
B) De facto quanto alla sua storia, nel
1867, Mario Fani e Giovanni Acquaderni promossero la “Società della Gioventù
Cattolica Italiana”, che fu approvata da Pio IX il 2 maggio 1868. Scopo della
Società era la difesa della Chiesa e del Papato, dopo il Risorgimento e la
Questione Romana.
Nel 1875, nasce l’“Opera dei Congressi e Comitati Cattolici” per lottare contro
la Massoneria, il Liberalismo e il Socialismo. Purtroppo, circa trenta anni
dopo, l’“Opera dei Congressi” fu infiltrata da elementi catto-liberali ed entrò
in crisi nel 1899; essa fu sciolta nel 1904 da San Pio X, che riorganizzò l’Azione
Cattolica italiana (“Il fermo proposito”, 1904). Pio XI la incrementò sino a
chiamarla “la pupilla dei suoi occhi” e dette un ordinamento all’Azione
Cattolica italiana, per farne un modello per tutte le nazioni (“Ubi arcano Dei”,
1922). Nel concordato con l’Italia del 1929, Pio XI esigette il riconoscimento
dell’Azione Cattolica, in quanto non partito politico, ma associazione
socio-culturale che svolge la sua azione sotto le dirette dipendenze della Santa
Sede. Quando Mussolini nel 1931 sciolse l’Azione Cattolica per avere il
monopolio dell’educazione della gioventù, Pio XI reagì con veemenza (“Non
abbiamo bisogno”, 1931) ed ottenne il riconoscimento dell’Azione Cattolica da
parte dello Stato italiano. Pio XII sin dall’inizio del suo pontificato (1939)
ne affidò la sua direzione ad un Comitato di tre cardinali; essa ricevette il
suo ultimo aggiornamento nel 1946. Papa Pacelli affidò l’organizzazione pratica
e militante (ferocemente anti-comunista) dell’ Azione Cattolica italiana del
dopo guerra al professor Luigi Gedda (confronta il suo interessantissimo libro,
“18 aprile 1948”, Milano, Mondatori, 1999). Purtroppo con Giovanni XXIII Luigi
Gedda venne defenestrato e l’Azione Cattolica perse il suo carattere militante
di “apostolato dei laici per l’instaurazione del regno sociale di Cristo”
mediante l’affermazione e professione pubblica della verità naturale e
divinamente Rivelata e la lotta (anche fisica, confronta i famosi “baschi blù”)
contro l’errore. Infine, con Paolo VI divenne un covo di catto-comunisti, filo
divorzisti e filo-abortisti. Onde non è l’Azione Cattolica in sé che ha
prodotto il Concilio Vaticano II, ma quella deformata da Giovanni XXIII e da Paolo
VI, con la quale Pio XI non ha nulla a che spartire, come neanche Pio XII.
Quanto alla seconda obiezione, Pietro Gasparri fu Segretario
di Stato dal 1914 (sotto Benedetto XV) solo sino al 1931. Pio XI dopo i fatti
del Messico (1929) lo congedò e dal 1932 al 1937 perseguì la politica del muro
contro muro, parlando anche di liceità della rivolta armata contro la
tirannide. Il Gasparri dal punto di vista dommatico, era pienamente ortodosso (confronta
il suo famosissimo “Catechismo”, che è un vero capolavoro); quanto al diritto
canonico, è stato sommo.
Infatti fu assieme al giovane Pacelli il compilatore del CIC del 1917; quanto
alla politica, se in Messico sbagliò nella pratica e non sui princìpi, quanto
al sionismo fu fermamente contrario (1917 Balfour, 1922 “Libro Bianco”) alla
nascita dello Stato israeliano. Invece, per fare un esempio, il cardinale Louis
Billot, pur essendo un ottimo teologo anti-modernista, sbagliò valutazione
pratica sul sionismo (confronta “La Parousie”) vedendo in esso l’avverarsi
della promessa della futura conversione di Israele (“omnis Israel salvabitur”),
ma non per questo era un liberale. Errare umanum est quanto all’applicazione
dei princìpi al caso concreto. Il liberale invece erra sui princìpi, cercando
di conciliare naturalismo liberale e cattolicesimo, quod repugnat. Gasparri non
ha mai affermato tale spurio connubio, anche se non era un simpatizzante dei
metodi del “Sodalitium Pianum”, che certe volte, dopo la morte di San Pio X
(1914), divennero alquanto esagerati: collaborazione di monsignor Umberto Benigni con l’Ovra (la polizia politica
fascista), rivalutazione del Risorgimento, svalutazione della Compagnia di Gesù
in quanto tale, come “internazionale nera” massonica. E’ vero che Gasparri
testimoniò contro la santità di Pio X e che fu eccessivamente condiscendente
verso Buonaiuti, ma questi suoi due errori, anche gravi, non sono attribuibili
a Pio XI, il quale per carattere e mentalità era l’esatto opposto per diametrum
del liberale. Infatti Papa Ratti era sempre pronto alla lotta e alla polemica -
quasi sin troppo - quando vedeva minacciati i diritti di Dio e della Chiesa,
mentre il catto-liberale, sui princìpi e nella pratica, è sempre pronto al
cedimento, alla prudenza eccessiva o umana, al pacifismo e all’arrendevolezza,
al filantropismo che confonde con la carità soprannaturale; egli vorrebbe
conciliar l’inconciliabile mancando di princìpi, di carattere e avendo orrore
per la lotta (confronta Sarda Y Salvani, “Il liberalismo è peccato” e A.
Roussel, “Libéralisme et Catholicisme”). Ora se il liberalismo è un peccato
grave, contro la fede e la carità, non si può - realisticamente - attribuire a
Pio XI un’attitudine neppure solo tendenzialmente liberale, dacché essa non
corrisponde né ai princìpi né all’azione pratica di Papa Ratti. Si pensi
soltanto al fatto che, quando Hitler venne ufficialmente in Italia nel 1937 e
visitò come capo di Stato Roma, Pio XI per protesta lasciò l’Urbe e si recò a
Castelgandolfo. Certamente in maniera molto poco liberale e diplomatica.
Quanto alla terza obiezione, non si può dire che i frutti
dell’azione del pontificato di Pio XI siano stati cattivi. In Messico, nel 1929
si giudicò praticamente male, ma col senno di poi tutti siamo capaci di
criticare. Tuttavia prima della rivolta (1926-29) non era evidente la
possibilità di riuscita e che la situazione successiva sarebbe stata migliore
di quella precedente. Quando il Papa (1931) si accorse dell’inganno, cambiò
giudizio (e Segretario di Stato, scegliendo Eugenio Pacelli, che certamente non
era un liberale) e si corresse. Questo lo scagiona dall’accusa di liberalismo.
Un liberale avrebbe continuato a cedere e a non volersi correggere. Ora, se in
Messico la situazione degenerò, invece negli altri Paesi il suo pontificato fu
proficuo e portò buoni frutti.
Pastoralmente: le
canonizzazioni del Curato d’Ars, Teresa del Gesù Bambino, Pietro Canisio,
Giovanni Battista Eudes, Roberto Bellarmino, Bernadette Soubirous, don Bosco,
Alberto Magno, Tommaso Moro dettero incremento alla vita spirituale e
all’integrità dottrinale dei fedeli di tutto il mondo.
Apostolicamente:
Pio XI viene chiamato “il Papa delle missioni” perché tra il 1922 e il 1939 ha
fondato 37 missioni, specialmente in Africa e in Cina, in India e Giappone.
Onde la più intensa espansione del cristianesimo in Asia ed Africa è stata soprattutto
opera di papa Ratti.
Politicamente: la
lotta contro il comunismo “intrinsecamente perverso” (“Divini Redemptoris”,
1937), contro il nazionalsocialismo neopagano (“Mit brennender Sorge”, 1937) e
su alcuni aspetti del fascismo, quanto ai rapporti Stato-Chiesa (“Divini illius
Magistri”, 1929 e “Non abbiamo bisogno”, 1931), posero la Chiesa al centro dei
problemi massimi del tempo presente, che Pio XI risolse magistralmente tramite
il suo insegnamento petrino, che è passato alla storia.
Giuridicamente: i
concordati (Lettonia, Baviera, Polonia, Lituania, Romania, Prussia, Italia,
Germania, Iugoslavia), che assicuravano alla Chiesa dei diritti, non
unilateralmente concessi da uno Stato, che si reputava superiore ad essa, ma
per contratto bilaterale, tra due entità perfette, una di ordine naturale e
l’altra soprannaturale, ridettero “le Nazioni a Dio e Dio alle Nazioni” (Pio
XI), secondo la dottrina della regalità sociale di Cristo.
Conclusione
Anche un maurrassiano di ferro, come Yves Chiron, nel suo
interessante libro “Pio XI” (Cinisello Balsamo, San Paolo, 2006), è costretto
ad ammettere che il pontificato di Papa Ratti fu caratterizzato dall’“antimodernismo
della regalità sociale di Cristo” (pagine 155-177), dall’impulso alle missioni,
che portarono il Vangelo in gran parte del mondo non ancora evangelizzato e
approfondirono il cristianesimo nelle anime indigene che già lo avevano
ricevuto (pagine 178-197).
Dall’Azione Cattolica, intesa dal Papa come dover “rifare la società cristiana”
(pagina 229). Anche per quanto riguarda i “cristeros”, Chiron è assai
equilibrato con Pio XI (confronta pagine 376-384; 431-438). Pure in Messico,
sebbene alla fine, i frutti vennero: “Il governo messicano aveva già iniziato a
modificare la sua politica. Durante il 1937 e il 1938 a poco a poco saranno
riaperte tutte le chiese e il numero dei preti autorizzati non subirà più
limitazioni. Questa vittoria è dovuta da una parte alla fermezza dimostrata da
Pio XI nelle sue encicliche e allocuzioni. Ma anche alla resistenza armata e
spirituale dei cattolici messicani, resistenza armata che è stata riconosciuta
legittima dalla Chiesa (e da Pio XI) anche se tardi” (pagina 438). Certamente,
ciò non significa che tutte le scelte pratiche e le azioni di Pio XI, siano
state le migliori possibili, ma neppure che esse siano state gravemente
disordinate e inficiate dal peccato mortale del liberalismo dottrinale o
pratico. Come al solito si tratta di distinguere: né errore per eccesso
(angelismo: che vorrebbe fare del Papa un angelo e un semi-dio), né errore per
difetto (anti-papismo: che tende a svalutare e condannare come gravemente
peccaminoso l’operato pratico-politico di un Papa, quando - col senno di poi -
esso si rivela non pienamente soddisfacente), ma in medio et culmen stat
veritas: se i princìpi sono conformi alla dottrina cattolica e la loro
applicazione è - per quanto umana fragilità lo permetta - conforme alla recta
ratio agibilium, ci si trova di fronte ad un Papa che ha custodito il Deposito
affidatogli da Cristo ed ha cercato di calarlo in pratica, in circostanze non
sempre facili, con la possibilità implicita di non ottenere il massimo, ma pur
sempre con la retta intenzione di correggersi, qualora si accorgesse di aver
fatto falsa strada. Ora Pio XI, mi sembra appartenere proprio a quest’ultima
classe di Papi.
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