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Le radici del potere opaco: I Taiping
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La Compagnia delle Indie Orientali stabilì la prima testa di ponte nella Cina Meridionale nel 1635: subito cominciò il traffico dell’oppio coltivato in India. Nel 1792, il volume della droga narcotica esportata in Cina era quintuplicato. Un cosi ragguardevole successo commerciale, da indurre il governo britannico ad inviare Lord Macartney a Pechino, con il compito di obbligare il governo imperiale ad assicurarlo per trattato. La missione era sotto il segno del liberismo di Adam Smith: si trattava di negoziare «l’apertura al libero commercio» dell’Impero del Centro. Con gran rincrescimento dei liberisti di Londra, Pechino non capì i vantaggi che avrebbe tratto dall’apertura delle frontiere alle merci estere. Nel 1800, Pechino emanò un editto imperiale che vietava l’importazione d’oppio e comminava le pene più atroci ai sudditi sorpresi a fumarlo.

Ma come insegna Adam Smith, non c’è editto che possa impedire alla domanda di incontrare l’offerta. L’oppio continuò ad entrare in Cina di contrabbando per opera di bande cinesi: e senza che gli inglesi c’entrassero per nulla, se non come fornitori della merce franco-consegna e finanziatori del suo acquisto attraverso la sua prestigiosa banca Jardine & Matheson. Nel 1816, una seconda missione commerciale britannica a Pechino tornò con le pive nel sacco.

Nel 1834, spirò la concessione d’esclusiva al commercio con la Cina che la Compagnia delle Indie aveva ottenuto due secoli prima da Sua Maestà Britannica: il rappresentante della Compagnia a Canton fu sostituito dal rappresentante del governo britannico. Il virtuoso funzionario non volle, o forse non seppe, mantenere i rapporti con i contrabbandieri Hong in cui s’era illustrato il suo predecessore; ma deciso più che mai ad espandere il free trade, propose lealmente al governo cinese un trattato mercantile «su basi di parità», che avrebbe eliminato i costi e le noie di quegli intermediari.

Purtroppo, il governo di Pechino - ignaro dei concetti relativi ai terms of trade - non fu in grado di apprezzare l’equità della proposta, e rimase ostinato nella sua volontà di sopprimere - anziché legalizzare - l’importazione di oppio. Nel 1839 l’Impero nominò governatore generale a Canton il Signore Lin Tseu Su con istruzioni precise: ridurre alla ragione i barbari. Era una misura a cui Sua Maestà non poteva rispondere che in un modo. Nel 1840 Londra dichiarò guerra alla Cina.

Non durò molto. Nel 1842, a bordo della H. M. S. Cornwallis, che aveva risalito il Fiume fino a Nanchino, fu firmata la pace. Con essa l’Impero del Centro cedeva alla Gran Bretagna l’isola di Hong Kong, e apriva al commercio e alla residenza di cittadini britannici i porti di Canton, Amoy, Fuchow, Ningpo e Shangai. Dopo questo, gli inglesi si premurarono di chiedere al governo cinese - e di ottenere - il riconoscimento della religione cristiana con le relative libertà per i suoi ministri e missionari.

Nel Trattato di Nanchino non c’era il minimo accenno alla questione dell’oppio. Ma i funzionari di Sua Maestà dovettero pentirsi di questa discrezione. Le autorità imperiali continuarono a provocare dissapori con i residenti britannici, quasi fossero colpevoli del contrabbando, che la legge della domanda e dell’offerta faceva proseguire come prima. Si arrivò al punto che nel 1856 il governatore generale di Canton, Signore Yeh Ming Chin, si rifiutò di ricevere l’inviato britannico, Sir John Bowring. Questo spiacevole sgarbo obbligò Londra a dichiarare la seconda guerra alla Cina: fu chiamata «guerra dell’Arrow», dal nome del bastimento da oppio che aveva dato pretesto all’infrazione della cortesia diplomatica di cui s’era macchiato il governatore cinese. La Francia si unì all’Inghilterra come alleata.

Nel dicembre 1857 fu catturata Canton e il suo governatore generale, il Signore Yeh, che fu inviato priginiero a Calcutta; una commissione congiunta franco-inglese assunse temporaneamente il governo della città, il tempo perché gli alleati potessero portare le loro richieste davanti all’imperatore. Nel giro di un anno, si potè giungere a una bozza di trattato che sarebbe stato ratificato entro un altr’anno. Con esso la Cina riconfermava il Trattato di Nanchino, e inoltre accettava di scambiare personale diplomatico «su un piede di parità» con la Gran Bretagna, di
proteggere i missionari cristiani e i loro convertiti, di permettere a cittadini britannici di viaggiare nell’interno del Paese «per affari o per diporto»: beninteso, i sudditi cinesi avrebbero potuto fare altrettanto in Inghilterra. En passant, furono aperti al commercio estero altri cinque porti, e le isole di Formosa e Hainan, e lo Yangze divenne accessibile alla navigazione dei bastimenti stranieri.

Russia, Stati Uniti e Francia s’affrettarono a stipulare trattati analoghi. Ciò naturalmente condusse a vasti negoziati per regolare le tariffe doganali: l’oppio fu incluso fra le merci che era legittimo importare ed esportare. La Cina veniva dunque spalancata ai benefici della teoria del Vantaggio Comparativo, nei termini descritti da Adam Smith e da David Ricardo: la possibilità di acquistare le merci al prezzo più competitivo sul mercato, con enorme gratificazione dei suoi consumatori. Ciò comportava anche il bene di una crescita inusuale del volume dell’import-export e, di conseguenza, un aumento delle entrate di Stato proveniente dai diritti doganali. Di quest’ultimo aspetto la Cina accettò s’incaricasse un funzionario occidentale, a cui fu affidata l’esazione dei dazi marittimi.

Un anno dopo, quando i rappresentanti delle potenze europee tornarono a Pechino per ratificare il trattato definitivo, scoprirono che l’Impero aveva cambiato idea. Aveva fortificato Tientsin e radunato truppe ragguardevoli. In una parola, pareva deciso ad opporsi con la violenza ai vantaggi universali del libero commercio. Uno scontro d’assaggio con le forze cinesi a Taku convinse gli occidentali a ritirarsi.

Fu necessario dichiarare una terza guerra, piuttosto costosa per le potenze alleate: si trattò di trasportare fin sulle coste cinesi ventimila uomini. Cosi, presi d’assalto i forti di Taku, questa volta, convenne agli anglo-francesi marciare in unità d’intenti su Pechino. L’imperatore Hsien Fung si diede alla fuga; suo fratello, il principe Kung, aprì i negoziati. Le potenze occidentali si limitarono a chiedere la ratifica del Trattato di Tientsin, a parte beninteso un’indennità per le spese sostenute nel portare alla Cina i vantaggi del liberismo. La Gran Bretagna si indennizzò prendendo possesso di due modeste miglia quadrate nella penisola di Kowlun, la lingua di terra continentale prospiciente l’isola di Hong Kong; altre 376 miglia quadrate della penisola le prese in regolare affitto.

Per la Cina cominciava una nuova era, che fra l’altro comportava la tolleranza dei cristiani. Il cristianesimo, più propriamente il cattolicesimo romano, era stato reintrodotto dal 1580 per opera dei gesuiti. Ben presto le dinastie tartare manchu avevano preso a perseguitare il culto straniero: nei riti dell’Ordine di Sant’Ignazio credettero di vedere - fatto degno di nota - una sospetta somiglianza con i rituali interni della Lega Hung, nemica tradizionale dei Manchu. Ormai, questa persecuzione era impossibile. Dal 1842, le potenze occidentali proteggevano i preti cristiani e i convertiti cinesi. La persecuzione della Lega Hung continuò come prima.

Mentre l’Impero del Centro era scosso e logorato da questi eventi, un giovane di nome Hung Siu Ch’un nutriva l’ambizione di diventarne uno dei colti ed onorati funzionari confuciani, la cui carriera era determinata da regolamenti millenari. Ambizione difficile: Hung Siu Ch’un era nato nel 1813 in un villaggio a trenta miglia da Canton, da una modesta famiglia contadina dell’etnia Hakka (1), un gruppo etnico sfavorito e mal sopportato dalla maggioranza cantonese, che stentava ai margini della società; gli esami di Stato che conferivano il titolo di Letterato, ed aprivano alla carriera amministrativa nell’Impero e l’accesso alla classe superiore, erano difficili e disperatamente competitivi.

Nel 1833, il ventenne fece il suo primo tentativo. Mentre gironzolava timido e ansioso nelle vie della grande Canton in attesa di sottoporsi all’esame di Stato, fu attratto da una piccola folla che ascoltava un predicatore. Costui (non se ne conosce il nome) proclamava la fede straniera in Gesù: e dovette credere di aver fatto una forte impressione su quel giovane contadino dall’aria studiosa, col suo fagotto di libri in mano. Gli regalò infatti nove opuscoli, il cui titolo collettivo suona in cinese Keng Sai Leong Yin, «Buone Parole per Esortare l’Epoca»: una raccolta di capitoli del Nuovo Testamento nell’imperfetta traduzione di un pastore anglicano di nome Morrison, più una miscellanea di pessime traduzioni dei Salmi, uniti a calorose e pie esortazioni scritte da un certo Leong Ah Fah - un emigrato tornato a Canton da Malacca - che era stato convertito dal celebre missionario protestante Milne e da questo ordinato come evangelizzatore laico.

Hung Siun Ch’un, timido, accettò i libri; di lì a poche ore affrontò l’esame, e fu respinto. Tornò al suo villaggio, sconfitto e addolorato; agli opuscoli protestanti non pensò più.

Negli anni seguenti, il giovane Hung fece il maestro nella scuola del villaggio, continuando tenacemente a studiare. Nel 1837 ritentò l’esame di Letterato, di nuovo senza successo. Stavolta, la ferita al suo orgoglio danneggiò la sua salute; si chiuse in sé, cominciò a sentire voci, a cadere in trances e ad avere visioni. In una, gli apparve un venerabile anziano, accompagnato da un maestoso uomo di età media, entrambi «venuti dal Cielo».

Il secondo gli annunciò: tutti gli uomini si volgeranno a te, tutti i tesori del mondo saranno nelle tue mani per salvare le genti dalla perversione. Lentamente si ristabilì, e riprese rassegnato il suo modesto lavoro di maestro. Una sera del 1843, cercando tra i suoi libri, gli capitarono in mano gli opuscoli che il predicatore protestante gli aveva dato dieci anni prima. Cominciò a leggerli: credette di trovarvi la spiegazione della sua visione. Indubbiamente, il vecchio venerabile venuto dal Cielo era il Padre Celeste; l’uomo di età media, che l’aveva ammaestrato in sogno, era Gesù il Salvatore.

Negli opuscoli, si parlava della necessità del battesimo. Il giovane Hung ne parlò con un amico di nome Li, e si battezzarono a vicenda. Da quel momento, Hung Siu Ch’un si convinse di essere il fratello minore di Gesù, predestinato a completare la Salvazione.

Cominciò una timida predicazione della nuova verità che aveva scoperto: convertì nel suo villaggio due suoi coetanei, della stessa etnia Hakka, di nome Fung Wan San e Hung Tai Jin.

Il primo, Fung Wan San, era già predisposto all’accettazione di messaggi visionari: era membro della Società del Loto Bianco, un’associazione segreta che il reverendo Hutson assegna alla Scuola Ipnotica.

In realtà, statuti e rituali della società erano ignoti persino alle autorità imperiali. Il Sacro Editto del 1662 la mette fuorilegge, confondendola con la Lega Hung. Couling ritiene che il Loto Bianco fosse sorto come movimento religioso sotto l’imperatore mongolo Wu Tsun (1308-1312): un movimento buddhista e millenarista, poiché proclamava l’imminente avvento di Maitreya; presto la predicazione assunse un carattere rivoluzionario. Il suo capo Han Shan T’ung, nipote del fondatore, si proclamò imperatore di una nuova dinastia puramente cinese, e chiamò alla rivolta; i suoi seguaci indossavano turbanti rossi (la Lega Hung ha tra i suoi segni di riconoscimento turbanti gialli).

Il Loto Bianco riapparve come promotore di sollevazioni nel 1623, nel 1714, nel 1814; la Società fu accusata di aver animato una sedizione dei servi all’interno stesso della Città Proibita; nel 1815 le truppe imperiali disfecero in una battaglia campale una numerosa armata di turbanti rossi; da allora pare che della Società siano sopravvissute piccole logge, dedite alle trances e agli incantesimi ipnotici.

Attorno al 1821 un veggente cantonese di nome Chu Kau Tho fondò nello Kwangtung una nuova società segreta, i cui statuti ricalcavano quelli del Loto Bianco: «Il suo scopo era di far denaro ingannando i creduli», dice la popolare enciclopedia cinese Maan Yau Ch’un Shu (pubblicata a Sgangai nel 1929) alla voce «Rivolta dei Taiping»: «Per questo sparse la voce di possedere poteri magici. Fra l’altro, pretendeva di aver fabbricato un braciere di bronzo su cui poteva navigare il mare. Hung Siu Ch’un e Fung Wan San (ossia il visionario mancato mandarino e il suo primo credente) erano tra i suoi seguaci... Dopo la morte di Chu Kau Tho, Hunh Siu Ch’un cominciò a predicare una nuova dottrina basata su quello che aveva appreso del cristianesimo: la chiamò Shan Ti Kau, Dottrina di Dio, e cambiò il nome dell’Associazione in Sa Tiam Hui, o Società delle Tre Doti».

Probabilmente, il nome era una allusione alla Trinità cristiana. E’ certo che fu soprattutto Fung Wan San - più che il timido, passivo Hung – l’organizzatore della futura rivolta. Anche l’altro dei primi due seguaci del «fratello minore di Cristo», Hung Tai Jin, era di stampo più contemplativo. Si sa che fu impiegato come catechista dalla London Missionary Society ad Hong Kong tra il 1855 e il 1858, mentre infuriava la sollevazione dei Taiping. Si unì alla rivolta, con il titolo di Re Scudo, solo nel 1859, quando molti dei promotori iniziali erano già morti.

I tre, è un fatto, presero a viaggiare per varie regioni, predicando la nuova fede. Nel 1846 cercarono, senza successo, di farsi battezzare da missionari americani nello Kwangsi. Nel 1847 il movimento di Hung aveva già duemila convertiti nello Kwangsi, ed era noto come «Società degli Adoratori di Dio». Le autorità imperiali arrestarono Fung Wan San e lo spedirono in domicilio coatto nella Kwantung, sua provincia d’origine; da quel momento, parecchi membri della setta cominciarono a sperimentare estasi e visioni: in esse, il Dio biblico ed evangelico si trasformò rapidamente in uno degli Invisibili che, nello sciamanesimo, parlano per bocca di un medium. Ma le parole che uscivano dalle bocche ispirate di Hung Siu Ch’un e di Yang Siu Tsing, un altro dei medium, che per le sue doti salì a preminenza nel gruppo, ripetevano abbastanza fedelmente i testi dei nove opuscoli protestanti che erano stati all’origine di tutto.

Ciò manteneva un aspetto semi-cristiano a queste esperienze, che si andarono via via strutturando in una anomala trinità. Yang Siu Tsing si confermò a poco a poco come il medium privilegiato del Padre Celeste; un altro membro dell’associazione, Siau Chiù Kwai, come il medium del Fratello Maggiore, ossia di Cristo. Hung Siu Ch’un era considerato il rappresentante sulla terra delle due Persone Celesti, come figlio minore di Dio. Pareva che la setta dovesse mantenere quel suo carattere visionario e puramente mistico; nulla faceva sospettare una sua violenta irruzione nelle vicende politiche.

Ma dal 1848, il Kwantong e lo Kwangsi furono travagliate da sedizioni che le autorità imperiali definivano «banditismo». La società delle Tre Doti vi era sicuramente estranea, anche perché i «banditi» a cui la polizia imperiale dava la caccia erano tutti Puntei, ossia nativi di Canton - e quasi certamente membri della Triade - e non dell’etnia Hakka, nel cui seno il movimento degli «Adoratori di Dio» s’era sviluppato. Anzi nel 1850, nello Kwangsi, esplose una faida tra le due comunità, pare per via di una fanciulla data in sposa a un ricco Hakka dopo che era stata promessa a un Puntei; nel settembre scoppiarono combattimenti di strada; molti degli Hakka partecipanti agli scontri cercarono rifugio in una delle sedi della Società degli Adoratori di Dio.

Da quel momento, qualcosa cambiò nella mente del mite Hung Siu Ch’un, «fratello minore di Cristo»: si mise a capo della sua etnia, deviandone la furia con violentissimi discorsi contro la dinastia del Ts’ing. La Rivolta dei Taiping era cominciata.





1) Sugli Hakka e la loro storia, riportiamo passi della relazione che un missionario anglicano, il reverando EJ. Eitel, pubblicò sulla China Rewiew (volume II, 1874-74). «... Le tradizioni orali e le loro proprie genealogie s’accordano a indicare il nord della Cina come sede originale degli Hakka verso la fine della dinastia Chow (255 avanti Cristo). La maggior parte delle cronache familiari che ho esaminato fanno menzione dello Shantung come terra avita di questo popolo (...). Le stesse fonti ricordano che i varìi clan degli Hakka furono soggetti a una sanguinosa persecuzione durante la dinastia Ts’ing (240-209 avanti Cristo). Questa pare la causa prima del distacco degli antenati Hakka dalle loro terre d’origine, e dell’inizio di un continuo errare che li avrebbe portati, mille anni dopo, nell’estremo sud, e avrebbe imbevuto i loro discendenti d’oggi di un’inquietudine di vagabondi e pirati. Con la caduta della dinastia Ts’ing, tuttavia, le loro fortune migliorarono e con le dinastie successive godettero non solo pace, ma il favore imperiale, al punto che taluni di loro furono elevati a cariche ufficiali, specie sotto la dinastia Han (202 avanti Cristo - 203 dopo Cristo) e la dinastia Ch’in (265-419). Probabilmente questo favore attirò sugli Hakka lo sdegno della dinastia immediatamente successiva, poichè le cronache familiari registrano un altro mutamento di cielo e una nuova immigrazione alla fine della dinastia Ch’in. Anche le poche tribù Hakka che sono rimaste ostinatamente fedeli, a dispetto delle persecuzioni, alle loro native montagne nello Shantung, hanno dovuto oggi fuggire verso il sud, ad Honam e nelle montagnose regioni meridionali dello Kiangsi fino ai confini della provincia di Fokien. L’avvento della dinastia T’ang (628) costrinse di nuovo gli Hakka a levare le tende; stavolta, a quel che pare, ebbe luogo una separazione (...). Gli Hakka sembrano essere comparsi entro i confini della provincia di Canton dall’'inizio della dinastia Mongola (1280-1333), ma non pare che vi abbiano preso dimora stabile fino all’inizio della dinastia Ming (1368), quando turbolenze nella provincia di Fokien obbligò quegli Hakka i cui antenati vi avevano trovato pacifico ricetto a rifugiarsi a Canton (...). Ma l’inquieto spirito che possedeva i loro antenati non lasciò in pace loro. Inoltre, essendo non solo industriosi ma paurosamente prolifici, essi presto trovarono esigue le zone di confine su cui s’erano stabiliti, e cominciarono a penetrare nel cuore della provincia di Canton: come vagabondi o come calderai, come barbieri o tagliapietre, sistemandosi qua e là dapprima su terre incolte e dissodandole; ma in seguito, con l’afflusso di sempre nuovi emigranti dal nord, anche occupando terre dei Punteis (i cantonesi) e guadagnando terreno tra continue liti coi nativi (...). Ma l’epoca storica più importante per gli Hakka s’è aperta con la sollevazione dei Taiping (...). Basti dire qui che tutta la rivolta, dai suoi flebili inizi nello Kiangsi alla sua soppressione con la presa di Nanchino è stata innescata, sostenuta e controllata fino alla fine da Hakka di Canton».



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