Di fronte
all’ideale cristiano di una Chiesa universale, il Poeta vuol ergere l’ideale
umano ghibellino o cesarista, di un impero
universale sotto l’autorità di un solo imperatore, che doveva svolgere il
ruolo che il Papa svolgeva nella Chiesa. Il fiorentino prende dalla Chiesa
l’ideale di una cristianità universale e lo laicizza. E’ l’eterno problema, che
ritorna continuamente, in filosofia polìtica, dei rapporti tra potere
spirituale e potere temporale. Il «ghibellin
fuggiasco» ha giocato abilmente
citando soprattutto Aristotele (ma è l’Aristotelismo averroista che insegna il
Poeta, come spiega il Gilson; inoltre Aristotele, non conosceva il concetto di
creazione, di creatura-Creatore, di fine ultimo soprannaturale, quindi la sua Politica
è pagana e San Tommaso, grazie alla luce della Rivelazione, l’ha completata e
in alcune parti raddrizzata), e anche l’Angelico, che avevano definito l’uomo
un animale sociale. Ora la società ha bisogno di un’autorità e proprio San
Tommaso aveva detto che la miglior forma di governo è quella di uno solo: la
monarchia.
«San
Tommaso, tuttavia, era così lungi da
pensare a una monarchia universale che... definiva il re come colui che governa
il popolo di una città o di una provincia in vista del bene comune» (2).
Nella Monarchia (libro II)
l’Alighieri afferma che l’impero romano, ancora sussistente nel medioevo
ghibellino, è un potere legittimo voluto da Dio per il bene comune. Ora il
Papato si pone egualmente come un’autorità di origine divina. Quindi si pone il
dilemma di come accordare il Papa e l’imperatore. Il problema che si presenta a
Dante è di sapere se il potere venga all’imperatore immediatamente e direttamente
da Dio, oppure indirettamente e mediante il Papa (libro III, 1).
Abbiamo già visto, di sfuggita, come Dante risolva il problema, ma cerchiamo di
vederlo ancora meglio. Contro il Papa Dante dichiara di avvalersi della
intercessione del re Salomone, la cui «santità» (Salomone in realtà è morto in
concubinato e politeista) giudica i Papi e al cui servizio è mobilitato il
cristianesimo (di qui è nata la leggenda
di Dante esoterico, esposta da Guénon; essendo Salomone il costruttore del
primo Tempio di Gerusalemme, al quale si rifanno gli iniziati e i massoni in
genere, che hanno come scopo la ricostruzione del terzo Tempio, come... Sharon
o Nethaniahu.). Inoltre i cristiani - secondo Dante - debbono al Papa non tutto
ciò che si deve a Cristo, ma solo ciò che si deve a Pietro.
«L’abile formula - commenta il Gilson - usata dal Poeta per limitare l’estensione della sua obbedienza al Papa:
‘tutto ciò che si deve non al Cristo, ma a Pietro’. Porre questa clausola come qualcosa che va da sé, significa chiudere la questione in partenza,
poiché equivale ad affermare che vi sono
dei privilègi del Cristo che né Pietro,
né i suoi successori hanno ereditato (...) equivaleva ad escludere dai privilegi di Cristo ereditati da Pietro e
dai suoi successori, quello stesso
primato temporale che Dante si accingeva a negare loro» (3).
Ma mettiamo a confronto Dante e San Tommaso:
a) Dante (De Monarchia, III, 3): «Il
Sommo Pontefice, vicario di Gesù
Cristo e successore di Pietro cui dobbiamo non ciò che è dovuto a Cristo, ma solo ciò che è dovuto a Pietro».
b) San Tommaso (De regimine principum, I, 14): «Al
Sommo Sacerdote, successore di Pietro, Vicario di Cristo, al Romano Pontefice, al
quale tutti i re del popolo cristiano devono essere sudditi, come allo stesso Gesù Cristo».
Gilson commenta: «Tutto il problema è condensato in queste due
frasi, di cui colpisce l’opposizione quasi letterale, tanto che non si può fare a meno di
chiedersi se Dante, scrivendo la sua
frase, non si ricordasse di quella di
San Tommaso. Ad ogni modo, le tesi
definite da queste due formule sono in flagrante contraddizione. Ambedue
riconoscono la supremazia del potere temporale di Cristo; ma San Tommaso afferma che Cristo ha
trasmesso la sua duplice regalità, spirituale
e temporale, a Pietro e a tutti i
successori di Pietro, a cui i re del
popolo cristiano debbono, per
conseguenza, essere sottomessi come
allo stesso Gesù Cristo; per Dante, al contrario, se Gesù Cristo ha posseduto,
comeDio, una sovranità temporale, di
cui non ha voluto far uso, quest’autorità temporale è risalita al cielo con
Lui. I Papi non l’hanno ereditata.
Tra il Papa di San Tommaso che detiene l’apice di tutti e due i poteri (ma
non vuole usare, come Cristo, quello
temporale) e il Papa di Dante, escluso dal controllo di ogni potere
temporale, è necessario scegliere: è impossibile conciliarli» (4).
Per Dante solo Dio è sovrano del temporale e dello spirituale, l’imperatore
deriva la sua autorità unicamente da Dio, «vuole un’autorità imperiale che derivi la sua esistenza direttamente da Dio, non dal Papa; eserciti un potere la cui fonte sia in se stessa, non nell’autorità del Papa (De
Monarchia, lib. III, 4)» (5). Gilson spiega che se visitare il
mondo di Dante da pagani equivale a visitarlo da stranieri, viver nel mondo
politico (non quello della Divina
Commedia) dantesco da tomisti, conduce a dei malintesi, infatti: «ciò
che è proprio al pensiero di Dante, è
l’eliminazione delle subordinazioni
gerarchiche essenziali al tomismo... In San Tommaso, la distinzione reale degli ordini fonda ed esige la loro subordinazione; in Dante essa la esclude»(6).
Dante, inoltre, assegna all’uomo due fini: un fine ultimo in quanto egli ha un
corpo mortale, e un altro fine ultimo, in quanto ha un’anima immortale. Per San
Tommaso è vero tutto il contrario: l’uomo ha un solo fine ultimo: la
beatitudine eterna, che si può cogliere solo grazie alla Chiesa, fuori della
quale non c’è salvezza. Per questo motivo i re devono essere sottomessi al
Papa, come a Cristo, di cui il Romano Pontefice è il Vicario. Per Dante ci sono due ordini non
gerarchizzati nésubordinati l’uno all’altro, per San Tommaso i due
ordini distinti sono subordinati, egli
distingue per unire, come nel caso dell’uomo composto di anima e corpo, vi
sono due realtà una temporale e una spirituale, distinte l’una dall’altra ma
subordinate a formare un solo uomo un
unum per se, e non un’unità accidentale, un unum per accidens, come volevano Platone o Cartesio, in cui solo
l’anima è uomo mentre il corpo è come un cavallo su cui siede l’uomo. Così è
per lo Stato, che secondo San Tommaso, ha come fine ultimo far pervenire i
cittadini, grazie ad una vita virtuosa, al godimento di Dio che non è soltanto
il bene comune temporale e basta. Una volta gerarchizzati, con rigore
filosofico, i fini lo sono anche coloro che presiedono al conseguimento dei
fini da parte degli uomini, poiché coloro ai quali spetta la cura del fine
prossimo devono essere sottomessi a colui al quale spetta la cura del fine
ultimo.
«Vi
è dunque, nel tomismo autentico, un capo supremo che dirige tutti gli altri
capi, proprio perché ‘colui al quale spetta la cura del fine
ultimo si trova sempre a dirigere coloro che si occupano dei mezzi ordinati al
fine ultimo’... Vi è un’opposizione dottrinale tra Dante e San
Tommaso, e sembra che ciò non possa
essere negato» (7).
L’Enciclica di Benedetto XV su Dante: «In
praeclara summorum» (1921)
«Sappiamo - scrive lo Chevalier - che per Dante tra Papa e imperatore, cioè tra queste due metà di Dio, oppure (Purgatorio, canto XVI) tra questi due soli che devono illuminare
due strade, quella del mondo e quella
di Dio, c’è reciproca indipendenza...
Ma se resta esclusa ogni subordinazione tra le due sfere (spirituale e temporale) viene mantenuto e richiesto esplicitamente
che ci sia coordinazione. Dante non può dimenticarsi che la felicità terrena è
in qualche modo ordinata alla felicità eterna (...). Se la luna è creata direttamente da Dio ed emette i propri raggi ed ha
un suo movimento, il sole le fornisce
soltanto il modo per illuminare meglio e con maggiore intensità. Analogamente
il potere spirituale, che non riceve
l’autorità di cui è dotato dal potere
spirituale, deve a questo il poter
agire meglio, cioè gli deve la luce
della Grazia (...). Dante amava il
Papato (...) che non usurpasse la
funzione altrui (...) però aveva
voluto che Papato e Impero fossero rispettivamente indipendenti l’uno dall’altro» (8). La dottrina polìtica di Dante, come
si vede, non è ortodossa; ma non è neppure quella di Marsilio da Padova o di
Occam. Dante è un sincero cattolico, da un punto di vista religioso, ma
purtroppo ghibellino dal punto di vista politico, il che è contraddittorio, è
un caso analogo a quello del «catto-liberale». E’ quello che spiega, mirabilmente
Benedetto XV, nella sua Enciclica, per il sesto centenario della morte di
Dante.
«Nella
gloriosa stirpe dei genii, che (...) fanno onore al cattolicesimo (...) particolarmente nel campo delle lettere (...) occupa un posto particolare Dante
Alighieri... Nella Divina Commedia (...)
sono esaltate, la Santissima Trinità, la Redenzione (...) compiuta dal Verbo di Dio (...), l’immensa bontà e lagenerosità della Vergine Maria, (...) la beatitudine Celeste degli eletti...; infine tra paradiso e inferno, il purgatorio: la dimora delle anime, che
una volta consumato il periodo dell’espiazione,
vedono schiudersi il Cielo davanti a loro
(...) Egli chiama la Chiesa ‘la tenerissima madre’ (...) benché egli affermi che la dignità dell’imperatore venga direttamente da Dio
(...). E’ vero che pronunciò invettive (...) offensive contro i Papi (...).
Ma si deve perdonare ad un uomo agitato dai flutti di enormi sfortune, se si lasciò sfuggire dal cuore ulcerato
qualche giudizio che sembra aver passato il segno (...)» (9).
Ecco spiegato il dilemma: come può un Papa scrivere un’Enciclica in onore di
Dante, se davvero questi non è completamente ortodosso? Basta leggere
l’Enciclica... e Dante.
Per gentile concessione di don Curzio Nitoglia
1) E. Gilson, «Dante e la filosofia», Jaca Book, 1987, pagina 152, nota 2.
EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.
Servizi online EFFEDIEFFE.com
Archivio EFFEDIEFFE :Cerca nell'archivio EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal 2004 in poi.
Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità