Ripresa? Aspettate il botto
03 Settembre 2009
Le imprese cinesi di Stato sono state autorizzate a rescindere i contratti derivati sulle «commodities» che hanno in corso, ove questi contratti provochino perdite. L’ordine sarebbe stato emanato dalla SASAC, la statale Commissione di Supervisione ed Amministrazione degli Attivi, che è anche l’azionista nominale delle imprese di Stato cinesi; l’ordine è stato dato in modo discreto – vari operatori e banche non hanno ricevuto la lettera – da far credere ad un «ballon d’essai». Così almeno sperano gli speculatori di Wall Street. Perchè le banche tipo Goldman Sachs e JPMorgan (dice la Reuters) «sperano di vendere tanti derivati contro il rischio (sono i Credit Default Swaps) alla Cina, l’economia in più rapida crescita nel mondo e grande consumatore di materie prime»
(1).
Già questa è la risposta a quei lettori che mi chiedono se, a mio parere, esistono davvero i segni di ripresa industriale di cui parlano i media, di solito sotto il titolo euforizzante «siamo fuori dalla crisi». Su questi segni di ripresa, diremo dopo; ma intanto diciamo che se le imprese cinesi possono ripudiare i loro contratti derivati quando vogliono per salvare se stesse (e colossi come Air China, China Eastern ed il gigante logistico COSCO hanno già accusato enormi perdite sui derivati), possiamo salutare ogni verde germoglio di ripresa. E attendere, al contrario, un nuovo collasso finanziario.
Perchè le cinque maggiori banche USA (fra cui primeggiano Goldman, JP Morgan e Bank of America) contano, quest’anno, di estrarre 35 miliardi di dollari dai loro spacci (trading) di contratti derivati.
«Questi grandi gruppi soffrono oggi di una tale scarsità di opportunità d’investimento, da dover difendere la loro ultima frontiera, l’ultima che rende loro profitti a due o tre cifre», dice Chris Walen, capo-analista di Risk Analytics.
Proprio in questi giorni, tali banche stanno facendo lobby dietro le quinte presso il governo Obama (che non è capace di negare loro nulla) per scongiurare la regolamentazione dei CDS
(2). I CDS, Credit Default Swaps, sono venduti da queste banche come «assicurazioni» contro rischi finanziari varii; col piccolo particolare che – come s’è visto nei mesi scorsi – il presunto «assicuratore» non ha accantonato i soldi per rifondere il compratore del CDS, ove il sinistro finanziario si realizzi. Il compratore è costretto a sborsare «margini» sempre più esosi per un’assicurazione che non c’è.
Molti osservatori qualificati chiedono da tempo di annullare, rescindere o vietare i CDS, e in generale i contratti «over the counter» (OTC, ossia trattati fra il cliente e il venditore, senza pubblicità nè trasparenza, a prezzi spesso assurdi), con l’argomento che sono frodi; e frodi che, finchè vengono tenute in essere, impediscono all’economia reale – appesantita da questa zavorra – di riprendere quota.
E’ una delle proposte di Tremonti. E l’hanno avanzata altri, come il Nobel per l’economia Merton Scholes, che è l’inventore stesso dei CDS. Anzi, persino Georges Soros, ed è tutto dire, ha invocato la messa al bando dei cosiddetti CDS «nudi» (naked), in cui il compratore non cerca di assicurare un proprio investimento, ma scommette col venditore dell’assicurazione che l’investimento di una terza parte andrà a male.
Ma – chissà perchè – i governi occidentali, ossia il regolatori, non hanno ascoltato.
Invece, è la Cina che ha preso la decisione raccomandata da Scholes, Soros e Tremonti. E con ciò, sgozza l’ultima gallina dalle uova d’oro per Goldman, e avvia lo scoppio di questa estrema, e titanica, bolla finanziaria.
Il solo mercato dei CDS vale, sulla carta, 55 trilioni di dollari, ossia più del prodotto lordo del mondo intero (nell’economia reale). Il valore «nozionale» dei contratti derivati è valutato ufficialmente dagli USA in 291 trilioni di dollari, di cui il 95% è posseduto da solo cinque banche americane (JP Morgan, Goldman, Bank of America, Morgan Stanley e Citigroup, già quasi tutte decotte). Ma secondo altre valutazioni, tale mercato ammonta ad almeno 600 trilioni, forse più (manca infatti ogni trasparenza ed ogni dichiarazione pubblica per tali operazioni); per confronto, il PIL degli Stati Uniti non raggiunge i 15 trilioni.
Lo scoppio di questa bolla può dunque spazzar via molte volte la ricchezza americana, anzi del mondo.
Può succedere?
Sì. Harry Markopolos, l’esperto che cercò invano di mettere in guardia contro gli strani profitti di Bernie Madoff, ha predetto recentemente che «saranno presto rivelati scandali nel mercato non regolato da 600 trilioni dei credit default swaps»; scandali di tale proporzione, da far sembrare i 50 miliardi fatti sparire da Madoff «degli spiccioli». Per questo i grandi speculatori sono imbufaliti contro la decisione cinese.
«E’ come se un padre dicesse di colpo ai creditori di un suo figlio pieno di debiti che non terrà più fede agli impegni», ha commentato a loro nome la Beijing Lawyers Association (le multinazionali della speculazione hanno i loro avvocati a Pechino). Ma sarebbe meglio dire: è come se un figlio ingannato da affaristi criminali sia andato a chiedere protezione a suo padre, che è il capo-mafia globale, quello che tiene il debitore globale (USA) per i testicoli.
Janet Tavakoli, presidente di una finanziaria che opera nella finanza strutturata a Chicago, ha detto: «i derivati sono serviti alle banche per mimetizzare i rischi. C’è stato un abuso massiccio di derivati ‘over the counter’, ossia di transazioni che si doveva sapere erano sopravvalutate o eccessivamente care quando sono arrivate sul mercato».
Il ripudio di questi debiti da parte dei cinesi suona male per i signori Goldman, ma anche per l’economia reale.
Sì, paiono esserci segni di una qualche ripresa, ancorchè ambigui e deboli. Il settore industriale USA è in rialzo per la prima volta dopo anni, grazie al deprezzamento del dollaro che rende i prodotti americani più competitivi; la produzione industriale cinese pare parimenti in lieve ripresa. Francia e Germania vanno meglio del previsto.
E ci mancherebbe altro, dopo mesi di potentissime iniezioni e «stimoli», di denaro a interesse zero, e misure di stimolo come lo sconto di Stato a chi acquista auto nuove in USA, Germania, Italia... Infatti molta parte della ripresa presunta è drogata dalla vendita di auto, che crollerà quando mancherà il sussidio (Toyota ha tagliato la sua capacità di un milione di veicoli). D’altra parte, Spagna e Italia non sentono la ripresa, ma il degrado delle condizioni generali; la Gran Bretagna ha avuto un calo imprevisto in agosto. E il Baltic Dry Index, ossia l’indice dei prezzi per noleggiare navi da carico – un indice essenziale del traffico di merci e materie prime – dimezzato in undici settimane, e continua a calare.
Chi parla di segni di «uscita dalla crisi», se è in buona fede, dimentica un fatto cruciale: che le società, comunque sia, devono vivere, la gente mangiare, vestirsi, curarsi, le imprese operare – almeno finchè ci sono riserve e risparmi familiari da consumare. Non è ammissibile dunque un calo delle produzioni e dei traffici a zero, altrimenti saremmo tutti morti. Anche durante la Grande Depressione, con la disoccupazione al 30%, c’era tuttavia un 70% di persone che lavoravano e guadagnavano qualcosa. L’economia funzionava, al 70%.
Così oggi, la «capacità produttiva in eccesso» delle industrie è ai livelli della Grande Depressione: al 70% in Europa, 68% in USA, 65% in Giappone, persino 50% in altri Paesi. Una ripresina da una base collassata a tal punto, non è stupefacente nè significativa
(3). Vuol dire che le imprese, con tale capacità produttiva tagliata, dovranno ancora licenziare e tagliare investimenti.
Al massimo, si può dire che la crisi mondiale si stia assestando sul «new normal»: la «nuova normalità» è una riduzione produttiva del 70%, e decine di milioni di senza-lavoro e senza prospettive di averlo a breve.
Axel Weber, il capo della Banca Centrale tedesca, prevede che la Germania non tornerà al punto in cui era fino al 2013, ed è probabilmente molto ottimista. Lui stesso ha messo in guardia da una seconda ondata di crisi del credito in Germania, con fallimenti e insolvenze.
Provate a figurarvi cosa succede se la crisi dei CDS, di 600 trilioni, in USA esplode come temuto.
Nemmeno il triste «new normal» è assicurato, fino a quando non si mette ordine nella finanza speculativa, con nuove e severe regole pubbliche e legali.
1) «Beijing’s derivative default stance rattles banks», Reuters, 31 agosto 2009.
2) Christine Harper, Matthew Leising, «Wall Street Stealth Lobby Defends $35 Billion Derivatives Haul», Bloomberg, 31 agosto 2009.
3) Ambrose Evans-Pritchard, «Can the soufflé really rise again?», Telegraph, 26 agosto 2009.
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