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La Cina si riprende il suo oro
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Hong Kong sta ritirando tutte le sue riserve d’oro da Londra (dove erano depositate) per rimpatriarle e conservarle, diciamo così, vicine-vicine. La municipalità autonoma cinese ha costruito un suo proprio caveau di massima sicurezza sotto l’aeroporto, dove accumulerà i suoi lingotti (1).

Subito l’oro ha subito un rincaro senza precedenti da sei mesi, fino a una punta di 992,55 dollari l’oncia. Per motivi «tecnici», hanno detto gli analisti occidentali, e per inquietudine sull’economia americana (2). Gli analisti occidentali non hanno collegato il rincaro con la mossa cinese, che è invece molto indicativa.

Anzitutto, perchè colpisce al cuore la London Bullion Market Association, dove i lingotti cinesi erano conservati, e che era l’indiscusso «hub» planetario per il metallo; secondo gli analisti asiatici, Hong Kong vuole diventare «un hub mercantile dell’oro e argento in verghe (bullion) di tipo svizzero, ciò che diminuirà l’importanza di Londra come centro di conservazione e di transazione» per la regione asiatica.

Ciò è confermato dal fatto che Pechino ha di recente liberalizzato le procedure per l’acquisto di oro da parte dei privati, incitando anzi i suoi cittadini a convertire parte dei loro risparmi in oro e argento - sintomo fin troppo preciso di quanto il regime cinese si fidi della solidità a lungo termine del dollaro, e delle divise occidentali in genere; e forse presentimento del’inflazione prossima ventura.

Ma c’è anche un altro motivo per cui Hong Kong si vuol tenere i suoi lingotti nella nuova cassaforte di casa: il sospetto che la centrale di Londra abbia venduto sulla carta molte volte il valore dell’oro che conserva per conto terzi, spacciando certificati-oro e futures di cui - se i proprietari lo reclamassero - non potrebbe consegnare il corrispettivo fisico.

Se questo è vero, la Cina sta dicendo ai maghi di Wall Street che li punirà, perchè hanno dimostrato (resistendo ad ogni tentativo di regolamentazionee) di non sapere nè volere gestire le loro finanze in modo onesto.

E’ questo il parere anche di Martin Hennecke, direttore associato del fondo d’investimento Tyche e autorevole consulente in investimenti finanziari. Hennecke, invitato dal network CNBC Asia alla trasmissione dal significativo titolo «Protect your wealth» (proteggete la vostra ricchezza), ha detto che - data la situazione attuale dei mercati finanziari - l’oro e l’argento restano i suoi consigli primari d’investimento, tanto più che la Cina, che è stato il maggior compratore di metalli preziosi quest’anno, probabilmente comprerà gran parte della nuova offerta d’oro (3).

Poi l’analista ha precisato: «Gli investitori si procurino oro fisico piuttosto che certificati-oro cartacei, perchè questi non sono pienamente coperti. Il metallo che rappresentano può essere stato noleggiato o usato per i derivati. C’è attualmente sul mercato 80 volte più oro-carta che metallo fisico esistente sul pianeta».

Dato questo, ha aggiunto Hennecke, «l’oro non è ancora aumentato tanto quest’anno». Ed ha ragione. Se l’oro o l’argento in verghe diventano mezzi d’investimento di massa (come solito nei periodi di mancanza di fiducia nelle monete) anzichè, come fino ad oggi, oggetto di trading specializzati, essi possono schizzare ben oltre gli attuali 992  dollari l’oncia per il solo fatto che i titoli in oro sono «short», ossia senza copertura, 80 volte più del metallo disponibile. Dunque è ancora conveniente.

Ciò non significa che il prezzo dell’oro stia per moltiplicarsi per 80. Le BancheC, e i banchieri che le possiedono, non lo permetteranno. Nell’ipotesi che altri grandi clienti reclamino l’oro in custodia a Londra o a Fort Knox, scoprendo il bluff della finanza occidentale, di sicuro i cambisti di metalli invocheranno in lacrime nuove «regole», che consentiranno loro di adempiere alle loro obbligazioni di consegna in divise o in altre merci anzichè in lingotti; e otterranno dagli Stati quelle regolamentazioni di loro gusto, al contrario di quelle che non gli piacciono e che riescono a bloccare.

Dopotutto, è quel che abbiamo visto nel settore finanziario speculativo: dove i titoli più fantasiosi, come le obbligazioni composte di mutui subprime, e le presunte «assicurazioni» costituite dai derivati Credit Default Swaps, si sono rivelate prive di copertura. Il «rischio della controparte» che non paga perchè non ha i mezzi che diceva di avere (counterparty risk) è onnipresente, anche nel mercato dei metalli.

Gli Stati, e le Banche Centrali loro padrone, sono volati a soccorrere i mascalzoni insolventi, iniettando oceani di liquidità. Lo faranno tanto più per l’oro, perchè tutta la finanza speculativa e la creazione di moneta privata bancaria si basa su principio che l’oro non è più moneta. Il trucco fondamentale dell’usura è quello che va salvaguardato ad ogni costo: anche di depressione nell’economia reale, o di iper-inflazione.

In questo caso, consentendo agli insolventi di pagare le loro obbligazioni in parte in divise, il metallo sarà mantenuto ad un livello ancora artificialmente basso; ma comunque significativamente più alto dell’attuale. Sicchè l’oro «non è ancora molto caro».

Ancor più sinistramente, Hennecke ha raccomandato ai suoi ascoltatori asiatici l’investimento in «agricoltural commodities», in beni agricoli; ed anche qui, ha detto, sono da preferire gli investimenti diretti in agricoltura rispetto agli investimenti in titoli-merce.

«I prezzi agricoli sono simili a quelli dei metalli preziosi», ha detto: mentre i titoli sono già rialzati (per manipolazioni sul mercato dei futures e altri derivati), «le merci fisiche stanno per lo più calando, salvo lo zucchero e poche altre merci. Sicché le merci sono ancora sottovalutate e a buon prezzo per ora; saliranno probabilmente in modo sostanziale».

E’ evidente che Hennecke pensa ad un periodo inflattivo estremo, e di estrema sfiducia nelle monete ex nihilo (4). Difatti, ha spiegato, l’ambiente degli investimenti resterà volatile, in quanto «gli USA saranno aggravati da un pesantissimo carico di debito per i prossimi dieci anni».

Dieci anni dunque, secondo l’analista può durare l’attuale depressione da cui (secondo tutti gli altri ufficiali commentatori) siamo già usciti.

«Sia che vediamo una ripresa o un’altra crisi globale, con l’inflazione che riprende forza», ha concluso Hennecke, «l’oro dovrebbe reggere bene...».




1) Chris Oliver, «Hong Kong recalls gold reserves, touts high-security vault», MarketWatch, 3 settembre 2009.
2) «Gold hits six-month high», Telegraph, 4 settembre 2009.
3) «Go for gold and silver: strategist», CNBC, 2 settembre 2009.
4) Per adesso, il problema immanente è la deflazione. I prezzi sono calati del 2,2% in Giappone, del 2,1% in USA, dell’1,4% in Spagna, dello 0,70% in Francia e dello 0,60% in Germania (l’eccezione patologica è l’Italia, dove i prezzi aumentano: segno, ritengo, dell’immane potere d’acquisto delle caste parassitarie e della malavita organizzata, che spendono soldi non guadagnati, contro i quali non sono stati prodotti merci e servizi). Persino la Cina è in deflazione (indice dei prezzi -1,8%), nonostante le potenti iniezioni di credito all’economia reale. La Banca d’Inghilterra starebbe considerando di imporre tassi negativi alle banche, sulle riserve che esse detengono presso la Banca Centrale, per obbligarle a prestare, e contrastare la paralisi deflazionista. Questa condizione attuale non esclude affatto l’inflazione più tardi: perchè tutte le economie rimpiccioliscono (il Giappone del -10%), mentre i debiti pubblici, ingigantiti dai «salvataggi» delle banche, non scendono ma aumentano; e non possono essere «serviti» da economie, e quindi introiti fiscali, in calo drammatico. La Cina  s’è detta preoccupata per la scatenata politica di rilassamento monetario della Federal Reserve, che alimenta una bolla speculativa immobiliare e azionaria. Siccome le FED tiene gli interessi bassissimi, la Banca Centrale cinese non può rialzare i suoi, perchè sarebbe inondata di liquidità «vivente» speculativa. Si noti inoltre che economisti «pratici» come Bill Gross e Nuriel Roubini prevedono un movimento dell’economia (americana ma non solo) a «W», con la ripresina che ricadrà nella depressione, quando l’effetto degli stimoli pubblici cesserà.


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