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Fini scelto dai poteri forti? Fa troppo ridere
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Il Corriere della Sera parla benissimo di Gianfranco Kippà, in arte Fini, in questi termini: «Aznar l’ha indicato come il successore di Berlusconi, Nancy Pelosi l’ha invitato a Washington, in Israele è atteso per un discorso alla Knesset... (è) una personalità che intesse relazioni con il mondo delle imprese e con i leader internazionali... è normale che Fini incontri Montezemolo... almeno i rapporti con Carlo De Benedetti, Berlusconi non glieli potrà contestare».

Beh, non c’è che dire, è la lista completa dei poteri che promuovono il Kippà, e spiega come questi si diano da fare per legittimarlo e promuoverlo sul piano internazionale, per farlo diventare uno di quei loro gran commis, come Padoa Schioppa e Draghi, così venerabili da non aver bisogno dei voti del popolo. E il Corriere spiattella le trame di Fini coi Montezemolo, con banchieri e finanzieri, financo con l’ingegnere De Benedetti, padrone di Repubblica, intoccabile per via di quel «taglietto» che incuteva rispetto e servilismo anche a Prodi. C’è nè abbastanza per confermare tutti i sospetti di complotto che Berlusconi e i suoi fedeli denunciano a mezza bocca.

E’ la conferma che il complotto esiste, che Fini è il prescelto al «dopo» Salame. E che sta recitando la parte che gli viene dettata dalla lobby e dalle lobby. E’ la conferma di quel che ha segnalato su questo sito il lettore Deciomeridio:

«Corrado Guzzanti, intervistato alla ‘Zanzara’ programma radiofonico di Radio24, ha affermato che Berlusconi incomincierà a declinare dopo la sentenza della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano l’otto Ottobre. La cosa interessante è che ha detto che glielo hanno confermato sia il precedente che l’attuale ambsciatore statunitense in Italia: gli Stati Uniti non vogliono gli accordi energetici che il Cav. ha firmato o firmerà con Putin perchè renderebbe il nostro Paese dipendente dalla Russia che a sua volta investirebbe il ricavato in armamenti. Gli USA non vogliono, ha detto, ritrovarsi un mostro simile all’URSS nel giro di 10 o 15 anni. Guzzanti ha poi detto che lo stesso trattamento è stato fatto a Craxi e che Mani Pulite è una operazione concepita ed eseguita dall’FBI ( Sic ). La caduta di Berlusconi spianerebbe la strada ad un nuovo partito guidato da Luca Cordero Di Montezemolo che raccoglierebbe il democristianume in fuga dal PD nonchè Casini e tutta la  democristianeria di Alleanza Nazionale».

E’ tutto vero dunque. C’è solo un aspetto che non mi convince del tutto: che l’endorsement del Corriere a Fini dimostra «troppo». Da quando in qua lorsignori spiattellano i loro complotti sui loro giornali?

E sì, grosso modo il motivo è quello che ha detto Guzzanti: gli USA sono infuriati per il legame tra Berlusconi e Putin; è verissimo che la rovina di Craxi e Mani Pulite fu organizzata dall’FBI (da Louis Freeh, ex capo dell’FBI e «capostazione» della CIA a Roma, che organizzò le testimonianze di Buscetta). Tutto vero. Ma non mi convince che gli ambasciatori USA lo dicano a Guzzanti, noto incontinente spifferatore.

Qui i casi, mi sembra, sono tre.

A) Lorsignori sono così sicuri del successo delle loro trame, che non gl’importa più di dissimularle. Il Corriere non finge più la compassata oggettività, il mellifluo mielismo dello «storico» Paolo Mieli che dicono molto attivo nella trama.

B) Al contrario, sono disperati e la loro rapidissima pressione per fare di Kippà una figura internazionale è un segno di disperazione.

C) Vogliono far saltare i nervi al Salame, e così indurlo a qualche passo falso irreparabile.

Non so decidere fra le tre ipotesi.

A favore della A) può esserci la loro certezza che la Corte Costituzionale boccerà il lodo Alfano, e il Salame dovrà ciucciarsi le condanne penali che lo distruggeranno; allora Montezemolo sarà scelto per un governo d’emergenza sostenuto dalle «sinistre» e da spezzoni del Pdl.

A favore della B) c’è quel che ha scritto lo stesso Corriere: «Nonostante le polemiche e gli scandali, da luglio a settembre Berlusconi ha perso solo un punto nell’indice di fiducia (50,7%), restando davanti a tutti gli altri leader, anche loro tut¬ti in calo. Di più: il Pdl, in trend positivo da luglio, è arrivato al 38,2%. E la forbice nelle inten¬zioni di voto per coalizioni è aumentato di un punto e mezzo, con il centrodestra oggi al 49,4% e il centrosinistra al 37,9%». «E io non me ne andrò mai, mai, ripete il Cavaliere, conscio che la sua immagine internazionale è irrimediabilmente rovinata, ma forte del consenso nel Paese». Le possibili elezioni anticipate a marzo potrebbero confermare il detestato e detestabile Salame.

Per l’ipotesi C) non credo ci sia bisogno di portare dati. I nervi di Berlusconi sono già saltati, non riesce più ad aprire bocca senza dire qualcosa di ridicolo, di indecente, di excusatio non petita, o qualche delirio di grandezza. Persino quando si fa intervistare dalle TV che possiede come quella tunisina, si danneggia da sè. Se davvero ha un grande disegno con Putin (o con Gheddafi), che è fumo degli occhi per USA e Israele, perchè lo rovina con ridicole indecenze e presta il fianco alla propria ridicolizzazione? Non è un gioco abbastanza pericoloso già quello? Ma è inutile chiederlo, è fatto così.

D’altra parte, non mi pare urgente decidere: nel nostro piccolo, non possiamo far nulla per cambiare le cose, e del resto è difficile che - in ogni caso - peggiorino ancora. Possiamo dunque aspettare a vedere come gli eventi prossimi chiariranno le cose.

Pare che la prova dell’accordo di Fini con Montezemolo verrà in piena luce il 7 ottobre; il pretesto è una «tavola rotonda sulla mobilità sociale» che si terrà a Palazzo Colonna. Interessanti i relatori: Casini, Enrico Letta, e Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, tutti della «democristianeria» che pare pronta ad abbracciare i cosiddetti poteri forti laici e transnazionali (ma non è una novità, chiamare il nemico esterno per battere il nemico interno è uno storico vizio italiota).

Ancora più interessante è la organizzatrice dei lavori: Irene Tinagli, docente della Carnegie Mellon University (un bel think tank, dai nomi dei due defunti miliardari-fondatori, storici sostenitori del Governo Mondiale dei banchieri. Basta ricordare che il «Carnegie Endowment  for International Peace» è uno degli strumenti principali delle rivoluzioni colorate ad Est). Questa Tinagli stava nel Pd, e precisamente nella direzione (e chi ce l’avrà messa?), da cui è uscita accusando i vertici di non averle lasciato modo di «contribuire alla vita e alla riflessione nel partito». Insomma di non avere avuto modo di imporre Carnegie e Mellon. Lorsignori devono aver perso la speranza nel Pd.

Però, coltivano la speranza in Fini?

Scusate, mi pare incredibile. Sarà tutto vero, ma non riesco a crederci. E’ vero ed evidente che Fini esegue quel che gli vien suggerito da quelli; che è diligente e si applica. Ma Fini!? Come si fa a non ricordare che il personaggio è quello che, dopo aver definito il fascismo «male assoluto», e già allora voglioso (o volonteroso nell’applicare i suggerimenti ricevuti), nel 1998 cancella il MSI e la sua insegna, di cui evidentemente si vergognava, e va alle elezioni avendo come simbolo una coccinella? Una coccinella, cioè un nulla, inventato da chissà quale agenzia di PR americana. Un fiasco. Ma un anno dopo Fini ci riprova, e per le elezioni europee porta come simbolo l’Elefante; avendo stretto un patto con Mario Segni. Mario Segni, ossia lo sfigato storico della democrazia italiota, ancorchè benvisto dalla NATO e dalla massoneria anglo-americana (a Sassari). Altro fallimento.

Fini è, irrimediabilmente, uno sfi-ga-to. E questi vorrebbero portare Fini al successo «politico»? No, scusate, non riesco a crederci. Magari è vero, ma non ci credo: fa troppo ridere.

Fini si crede protagonista. Ma vedrete, sarà usato come strumento, magari come foglia di fico, o come ariete momentaneo, e poi buttato nel cestino. Se ci sarà un futuro «dopo» il Salame, non sarà il Kippà.

Mi pare più serio e significativo cercare di capire quel che succede a Mosca tra Putin e Medvedev Persino il Corriere ne parla: stanno emergendo due fazioni nel gruppo di potere (e dunque se ne parla il Corriere, potrebbe essere sotto dettatura Carnegie-Mellon). Ma i fatti sono questi.

Giovedì l’altro, il presidente Dimitri Medvedev si è lanciato in una violenta critica alla Russia: afflitta da un’economia «primitiva», da una «democrazia debole»; un Paese «arretrato e corrotto» che dipende in modo «umiliante dall’esportazione di materie prime», dove la gente beve troppo e manca d’iniziativa. Ciò è stato interpretato come  una critica a Vladimir Putin, ex presidente ed attuale premier, ed al suo gruppo di potere. Putin ha negato, parlando a un parterre di analisti internazionali riuniti dal gruppo Valdai (un gruppo russo semi-ufficiale di contrasto alla disinformazione occidentale): «Nel 2008 c’è stata concorrenza (tra noi)? Nel 2012, non si sarà concorrenza», ha detto Putin: «Secondo la realtà del momento faremo un’analisi e prenderemo una decisione. Ci metteremo d’accordo pèerchè siamo dello stesso sangue e sulla stessa lunghezza d’onda». E poi, provocato da una domanda sul reale potere di Medvedev: «Non abbiamo niente da provare a nessuno. Se qualcuno vive in un sogno, che si svegli, si faccia una doccia e guardi la realtà; se vuole cooperare con la Russia, si sappia che è il presidente alla testa della Russia».

Per qualche motivo, uno dei presenti alla discussione, tale Aleksandr Rahr, direttore del German Council on Foreign Relations (si noti: Fini è stato cooptato in un European Council on Foreign Relations, dove siede accanto alla Bonino), ha ricavato l’impressione, e l’ha spifferato ai media, che «Putin sta pensando di tornare presidente nel 2012», ricandidandosi alle elezioni.
Si ricordi che questo avviene dopo il viaggio-lampo segretissimo di Netanyahu a Mosca. Un viaggio dopo il quale la stampa russa ha scritto che «Netanyahu progetta l’attacco all’Iran».
Di fatto, l’Iran ha appena offerto negoziati «complessivi, a tutto campo e costruttivi» a Washington, su tutto, compreso «il disarmo nucleare globale».

Non è la prima volta che Teheran fa proposte concrete agli Stati Uniti. E tutte le volte, ogni possibilità di dialogo è stata rigettata a causa delle pressioni della lobby ebraica, che è anzi sempre riuscita ad ottenere dal Congresso sempre più dure sanzioni contro l’Iran, in risposta alle aperture.

Come hanno documentato Walt e Maersheimer, nel 1998 l’allora presidente Khatami si espose molto, per (come disse lui) «abbattere quel muro di sfiducia in vista di un cambiamento, di un’opportunità per una nuova situazione». Giunse al punto di non esculdere il riconoscimento dello Stato ebraico, se questi avesse raggiunto un accordo coi palestinesi. La risposta americana, istigata dalla lobby, a sua volta mobilitata dal governo israeliano, fu un rifiuto e un inasprimento delle sanzioni, che indebolirono la posizione di Khatami all’interno e portarono alla sua caduta, e alla sua sostituzione con Ahmadinejad.

Stavolta sta succedendo lo stesso. Tutte le forze disponibili alla lobby, tuti i neocon, sono stati mobilitati per rispondere a questa nuova apertura iraniana con sanzioni che, ha raccomandato l’AIPAC, devono essere «schiaccianti». Un gruppo, chiamato «United Against Nuclear Iran», ha lanciato una costosa campagna di propaganda su tutti i network americani, in cui dice: «Gli USA devono isolare l’Iran economicamente, per impedirgli di sviluppare un’arma nucleare». Vale la pena di notare che il gruppo è stato fondato da Dennis Ross, ebreo e da sempre agente di Israele, che attualmente è capo del National Security Council per l’Iran; e da Richard Holbrooke, attualmente inviato speciale di Obama per lo «AfPak».

Insomma, come ai tempi di Bush, la lobby è al governo; più precisamente, «è» il governo. A Washington rullano i tamburi della guerra all’Iran, come sempre quando l’Iran prova ad aprire il dialogo (1).

Berlusconi, tramite il suo fido Frattini, ha subito obbedito: su ordine americano, ha imposto alle aziende italiane di abbandonare l’Iran e tutti gli affari in corso (che bisogno hanno di Fini?, ci si chiede).

A questo punto, Vladimir Putin ha fatto sapere che l’offerta del regime iraniano è un passo positivo.

Anzi, ha messo in guardia da un attacco bellico contro l’Iran: «Sarebbe molto pericoloso, inaccettabile. Porterebbe a un’esplosione di terrorismo, accrescerebbe l’influenza degli estremisti. E dubito che tali bombardamenti otterrebbero lo scopo dichiarato».

Poi s’è rivolto all’Iran: «Abbiamo detto all’Iran che ha il diritto a un programma nucleare civile, ma deve capire in che regione del mondo si trova. E’ una regione pericolosa, e l’Iran deve mostrare  senso di responsabilità, tenendo conto delle preoccupazioni di Israele, tanto più dopo le inaccettabili dichiarazioni sulla distruzione dello Stato di Israele».

Quest’ultima frase può essere il risultato dell’incontro-lampo con Netanyahu. Non pare una grande concessione. Secondo gli USA, o meglio la lobby, non è probabile che Mosca arrivi al punto di approvare all’ONU le sanzioni più dure contro Teheran.

Forse Putin è indebolito.





1) Jim Lobe, «Iran War Drums Begin Beating in Washington», AntiWar, 12 settembre 2009. «Obama has given Tehran an end-of-September deadline to respond substantively to his offer of diplomatic engagement. But already hawks in the U.S. - backed by hardline pro-Israel organizations - have pressed him to quickly impose ‘crippling’ economic sanctions against Tehran, and some are arguing that he should make preparations for a military attack on Iranian nuclear facilities. The pressure campaign kicked off in earnest this week. On Thursday, hundreds of leaders and activists from the U.S. Jewish community descended on Washington to lobby for harsher sanctions, while widely-publicized media reports suggested that Iran is already nearing the verge of a nuclear capability. Leaders from Jewish groups came for a national "’Advocacy Day on Iran’, during which they met with key Congressional figures. Rep. Howard Berman, a California Democrat who heads the House Foreign Affairs Committee, suggested that the clock ‘has almost run out’ on Iran’s nuclear program, and indicated that he would move ahead next month with a bill imposing sanctions on Iran’s refined petroleum imports "absent some compelling evidence why I should do otherwise».


 
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