La creazione tra Fede e scienza (parte I)
19 Settembre 2009
Una «conversione» inaspettata
Le discussioni nate a margine di due recenti articoli dallo scrivente pubblicati circa la gnosi in Darwin e le sorprese anti-darwiniane della scienza post-moderna (1) offrono l’occasione per riorganizzare le idee nate dal citato dibattito. E’ quanto vogliamo fare nel presente intervento utilizzando anche quanto gli amici utenti, che sono intervenuti a suo tempo nel dibattito, hanno offerto alla nostra attenzione.
Sono però necessarie alcune premesse ed un discorso non breve perché necessariamente articolato.
Nel 2004 Antony Flew, il filosofo-scienziato che è stato il simbolo mondiale dell’ateismo nonché lo sponsor di atei militanti come Richard Dawkins, dichiarò pubblicamente che sulla base della sola ragione scientifica, alla luce delle più recenti scoperte della scienza post-moderna, era giunto alla conclusione dell’esistenza di Dio. Naturalmente la sua non era una conversione alla fede cristiana, o ad altre fedi. Piuttosto era la proclamazione di una posizione che potremmo dire, in un certo senso, «deista». Tuttavia la sua affermazione che è stata la ragione a portarlo verso l’evidenza dell’esistenza di Dio conferma la verità della tesi patristica ed agostiniano-tomista, che la Chiesa ha da sempre sostenuto (ad esempio nella Costituzione dogmatica «Dei Filius» del Vaticano I e nella «Pascendi Dominici gregis» di San Pio X), per la quale la semplice ragione è in grado di riconoscere, partendo dalla creazione, l’esistenza di Dio.
Del resto già il salmista così cantava «I cieli narrano la gloria di Dio, e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento» (Salmo 19); «I cieli cantano le tue meraviglie, Signore,… Tu domini l’orgoglio del mare, tu plachi il tumulto dei suoi flutti,… Tuoi sono i cieli, tua è la terra, tu hai fondato il mondo e quanto contiene; il settentrione e il mezzogiorno tu li hai creati, il Tabor e l’Ermon cantano il tuo nome» (Salmo 89).
Ed ancora «Signore, mio Dio, quanto sei grande! Rivestito di maestà e di splendore, avvolto di luce come di un manto. Tu stendi il cielo come una tenda, costruisci sulle acque la tua dimora, fai delle nubi il tuo carro, cammini sulle ali del vento; fai dei venti i tuoi messaggeri, delle fiamme guizzanti i tuoi ministri. Hai fondato la terra sulle sue basi, mai potrà vacillare (…) Emergono i monti, scendono le valli al luogo che hai loro assegnato. Hai posto un limite alle acque: non lo passeranno, non torneranno a coprire la terra. Fai scaturire le sorgenti nelle valli e scorrono tra i monti; ne bevono tutte la bestie selvatiche e gli ònagri estinguono la loro sete. Al di sopra dimorano gli uccelli del cielo, cantano tra le fronde. Dalle tue alte dimore irrighi i monti, con il frutto delle tue opere sazi la terra (…) Per segnare le stagioni hai fatto la luna e il sole che conosce il suo tramonto (…) Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! Tutto hai fatto con saggezza, la terra è piena delle tue creature. Ecco il mare spazioso e vasto: lì guizzano senza numero animali piccoli e grandi (…) Tutti da te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno. Tu lo provvedi, essi lo raccolgono, tu apri la mano, si saziano di beni. Se nascondi il tuo volto, vengono meno, togli loro il respiro, muoiono e ritornano nella polvere. Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra» (Salmo 104).
La possibilità per l’uomo di conoscere, almeno in parte, il Creatore con la sua sola ragione è sancita anche da San Paolo quando afferma: «... dalla creazione del mondo, in poi, le sue (di Dio) perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da Lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità» (Romani 1, 19-20).
Sant’Agostino commenta: «Interroga la bellezza della terra, del mare, dell’aria rarefatta e dovunque espansa; interroga la bellezza del cielo (…) interroga tutte queste realtà. Tutte ti risponderanno: ‘guardaci pure e osserva come siamo belle’. La loro bellezza è come un loro inno di lode (‘confessio’). Ora, queste creature, così belle ma pur mutevoli, chi le ha fatte se non uno che è bello (‘Pulcher’) in modo immutabile?» (Sermo 241, 2: PL 38, 1134).
Antony Flew ha spiegato i motivi del suo convincimento circa l’esistenza di un Creatore nel libro «There is a God» (Harper Collins, 2007): «La mia scoperta del Divino - ha affermato - è stato un itinerario (pellegrinaggio) della ragione e non della fede» (pagina 93). Per poi concludere: «I now believe there is a God!».
Il Dio scoperto da Flew è ancora, certamente, il Dio di Aristotele. Quello che, dopo aver abbandonato un certo spinozismo giovanile, fu «scoperto» anche da Einstein, quando, contro il suo collega Niel Bohr assertore di una certa interpretazione del principio di indeterminazione che ne faceva non un varco verso il mistero infine insondabile del «quid» che è all’origine di tutte le cose ma verso un nichilismo irrazionalista, affermava «Dio non gioca a dadi».
Flew ci tiene ha ripetere che: «Non ho sentito nessuna voce. E’ stata la stessa evidenza che mi ha condotto a questa conclusione». Nessuna esperienza mistica, dunque, nel suo itinerario ma soltanto esperienze scientifiche, risultati delle più recenti e sofisticate ricerche in biologia, chimica, fisica, cosmologia.
Al cambiamento di prospettiva di Flew ha contribuito un altro noto scienziato. Si tratta di Gerald L. Schroeder, fisico del Massachusetts Institute of Technology, che è anche un raffinato teologo ebreo, al quale si devono notevoli opere di epistemologia nelle quali confronta e dimostra la concordanza e la corrispondenza tra i risultati della scienza post-moderna ed il racconto del Genesi, letto però in chiave sapienziale e non letteralista (il che, sia ben chiaro, non significa negare valore di storicità alla Scrittura; anzi proprio il fatto che la scienza oggi si rivolge spesso alla Scrittura, scoprendo con meraviglia che molte delle sue conclusione sono rintracciabili in quegli antichi Libri, testimonia della storicità, benché non sempre anche della «storiograficità», di essi).
Schroeder è l’autore di un testo il cui titolo già dice tutto «Universo Sapiente». Oltre che dal citato fisico ebreo, Flew è stato aiutato nelle sue conclusioni anche dalle ricerche e dall’opera di divulgazione dello scienziato e giornalista cattolico Roy Abraham Varghese, compendiate nell’opera «The Wonder of the World». Questi ed altri scienziati, ormai da anni, hanno svelato alla ragione umana, che non voglia essere irragionevole ossia ideologica, le evidenti tracce che il Creatore ha lasciato nell’universo.
Creaturalità o divinità del mondo. Tra Big Bang e universo stazionario
L’universo è materia cieca ed inerte, un condensato di energia, ma è non solo regolato ma letteralmente «sorretto», ossia reso possibile, da leggi logico-matematiche che lo ordinano e lo governano, sia nel dominio del macrocosmo che nel dominio del microcosmo. Ora, dire leggi logico-matematiche significa dire Coscienza ed Intelligenza ideatrice di tali leggi. Il sotterfugio, usato ad esempio dai formulatori del «principio antropico forte», per il quale coscienza ed intelligenza sarebbero già insite nell’incosciente e nel non intelligente, ossia nell’impersonale sostanza cosmica, rivela solo il disperato tentativo di ragionare con i dati scientifici odierni, che testimoniano della creaturalità del cosmo, prescindendo dall’ipotesi «Creatore».
Sotterfugio che cade non appena del «principio antropico» si dia una accezione «debole», quella per la quale non da una presunta immanente necessità olista viene fuori la vita intelligente ma da una superiore Intelligenza che, attraverso immissioni, «dall’esterno» del sistema, di sempre maggiore «informazione», pone in essere soltanto le condizioni necessarie alla vita. La quale, poi, per far la sua comparsa, abbisogna di un di più. Di maggior «informazione», per l’appunto.
E’ innegabile che tra il «Fiat lux» del Genesi e la potentissima esplosione di luce, che mediante il «Big Bang» ha fatto esplodere un infinitesimale grumo di pura energia per giungere fino all’universo attuale, vi è un parallelismo impressionante.
La teoria del Big Bang ci dice che tempo, spazio e materia hanno avuto inizio esattamente in quell’istante primordiale, circa 13 miliardi di anni fa. Non esisteva un «prima» per il semplice fatto che il tempo e lo spazio nascono insieme al «Big Bang». E se non esisteva un «prima», non esisteva neanche un «qualcosa», di immanente, che possa aver dato origine al tutto. Sicché la «creatio ex nihilo» non è più soltanto un articolo di fede, ma ha dalla sua ottime ragioni scientifiche (2).
Un attento amico lettore dei nostri epistemologici articoli tra scienza e fede, Pietro G., aggiungeva alle nostre argomentazioni alcune interessanti considerazioni che riportiamo per intero:
«La Scienza, moderna o no, assume la non esistenza di Dio come ipotesi di lavoro, non fosse altro per il fatto che se si assumesse Dio dietro ogni angolo pronto a spiegare ogni cosa non ci sarebbe un gran ché di progresso scientifico. Quando si arriva però al problema dell’origine, o delle condizioni iniziali, si sbatte contro un muro di incomprensione dei concetti fondamentali e di contraddizioni tale che molti cosmologi e astrofisici mettono questo problema tra parentesi e cominciano le loro teorie (dando per scontato l’esistenza delle leggi della Fisica, si capisce) dal tempo 0 + x dove x può essere piccolo a piacere. La teoria del Big Bang, corredata dall’espansione detta ‘inflazionistica’, è solo un teoria che spiega alcune cose ma che fallisce quando si considera l’origine delle grandezze fisiche fondamentali. Un solo esempio: il tempo. Il tempo viene considerato da molti una grandezza fisica emergente perché a livello microscopico la fisica è simmetrica rispetto alla ‘freccia’ temporale. E’ connesso alla legge di crescita dell’entropia (secondo principio della Termodinamica) la quale entropia è a sua volta connessa al grado di ordine nel sistema fisico. Ora risulta che lo stato più probabile è quello di entropia massima corrispondente allo stato di equilibrio. Se l’universo fosse nato spontaneamente avrebbe quindi assunto il massimo di entropia e quindi tutto sarebbe in equilibrio e il tempo non esisterebbe. Dai calcoli risulta però che noi viviamo in uno stato di bassa entropia e che in passato l’entropia era necessariamente ancora minore di quella attuale. Come sia possibile questo grado di ordine all’inizio del tempo è uno dei grandi misteri della teoria cosmologica attuale. Chi parla di situazioni precedenti il tempo 0, a mio modesto parere (sono fisico ma non cosmologo), non sa cosa dice e in queste teorie contraddizioni enormi sono in agguato in ogni paragrafo. I fratelli Bogdanov, ad esempio, sono dei ciarlatani che per un po’ hanno profittato della complicazione e della astrazione matematica della Scienza moderna per portare avanti una teoria che aveva tutte le parole di gergo giuste, ma che non diceva niente, non aveva un briciolo di sostanza scientifica. Il fatto che ci siano voluti molti mesi per scoprirlo è qualcosa che ancora oggi imbarazza non poca gente. La teoria alternativa dell’universo infinito nel tempo e nello spazio è anch’essa piena di contraddizioni perché, ad esempio, essendo la materia/energia infinita avrebbe dovuto collassare per gravità già da tempo e poi, visto il tempo infinito, avrebbe dovuto già raggiungere lo stato di equilibrio, cosa che evidentemente non ha fatto» (3).
Ci permettiamo, però, di far osservare innanzitutto che, in realtà, non è affatto vero che il progresso scientifico sia basato sulla premessa, come ipotesi di lavoro, della non esistenza di Dio. Come ben sanno gli stessi storici della scienza nessuna scienza sarebbe mai stata possibile senza la Rivelazione cristiana che, in un mondo di magia e di panteismo, dunque di inviolabilità (tabù) per la ragione umana della presunta «sacralità immanente» del cosmo, ha «spanteizzato» l’universo mettendone in rilievo la sua creaturalità e rendendolo così aperto all’indagine scientifica. E’ proprio perché nel Genesi è proclamato che il sole e la luna sono soltanto «due luminari», e non deità, che è stato possibile inaugurare la ricerca scientifica.
In realtà, è solo la scienza ideologica che pretende di porre a proprio fondamento l’ipotesi della non esistenza di Dio. E si tratta di quella scienza, scaduta nello «scientismo», che diventa sorgente dello sfruttamento della natura perché si fa schiava dell’utilitarismo e del profitto economico.
Infatti, nel momento stesso in cui il cosmo, con la Rivelazione cristiana, perde il suo carattere «divino» acquista immediatamente, in quanto creatura, un valore altamente «sacrale» benché per derivazione e non per autonomia. Il cosmo, come avrebbe detto San Francesco, «porta significazione dell’Altissimo», ma non è un «dio» immanente. Dunque, la Rivelazione lungi da «desacralizzare», come sostengono «neo-pagani», «nicciani» e «gnostici» di vario tipo, il mondo, ne rivela la sua ordinazione a leggi logico-matematiche che sono però anche, su altro piano, «leggi morali» che l’uomo, chiamato a «custodire l’Eden», non può impunemente violare, come invece pretende lo scientismo prometeico tutto proteso nello sfruttamento anti-ecologico della natura o all’assemblaggio in provetta dell’«homunculus».
Ci permettiamo, inoltre, di osservare con Arno Penzias, premio Nobel per la fisica, scopritore della radiazione cosmica di fondo, che è stata definita «l’eco del Big Bang», che: «Non c’è un ‘prima’ del Big Bang, perché prima non esistevano tempo, spazio e materia».
Un altro utente lettore dei nostri precedenti articoli, Celibano, portavoce della tesi da lui medesimo definita dell’«universo elettrico», contestava la teoria del Big Bang, mettendo in discussione anche il fatto che la scoperta del Penzias, circa la radiazione cosmica di fondo, sia probante, potendo la stessa essere il riverbero di una supposta, ma a sua volta - diciamo noi - non provata, attività auto-genetica dell’universo, il riverbero di una sorta di «centrale elettrica» che muoverebbe l’universo (4).
L’inferenza nella teoria dell’«universo elettrico» è evidentemente quella «neo-platonica», attualmente riproposta dall’«olismo» di tipo «emanazionista» o «panteista», per la quale l’universo si auto-genera sviluppando le sue forme secondo un programma in esso già scritto ab aeterno. Infatti, tesi come queste sono riconducibili a quegli approcci epistemologici che ripropongono l’eternità del mondo. Dunque non la sua creaturalità bensì la sua «divinità». Queste concezioni ci riportano ad un’epoca pre-cristiana perché esse erano proprie della filosofia pagana, ellenistica, prima del suo incontro, finalmente chiarificatore e risolutore, con la Rivelazione ebraico-cristiana.
Le teorie che propugnano l’eternità o l’auto-creazione del mondo sono state riportate in auge, prima della scoperta della radiazione cosmica di fondo, ossia del residuo del Big Bang iniziale, dalla teoria propugnata dall’Hoyle. Secondo tale teoria, altrimenti detta dell’«universo stazionario», la costante perdita di energia riscontrabile nel dinamismo cosmologico, perdita che per la teoria del Big Bang è dovuta all’entropia, sarebbe invece compensata dall’auto-generazione di materia ed energia, causata a livello sub-atomico da «oscillazioni quantistiche». Sicché l’energia che viene persa sarebbe poi integrata dalla produzione spontanea di altra energia e l’universo ne risulterebbe «stazionario», ovvero eterno e non destinato ad aver fine.
Un astrofisico di fama internazionale, già direttore della Specola vaticana, l’osservatorio astronomico voluto dai Papi sin dal XVI secolo, ed oggi centro scientifico mondiale, il gesuita George Coyne ci conferma però che il tempo, lo spazio e le stesse leggi fondamentali del cosmo nascono insieme al Big Bang. Ossia che prima non vi era «nulla», neanche il tempo. In un’intervista concessa a Luigi Dell’Aglio (5) il Coyne ha spiegato che gli astrofisici sono riusciti a determinare l’età esatta dell’universo che è, per la precisione, di 13,7 miliardi di anni. Si tratta dunque, dice Coyne, di un cosmo «giovanissimo», impegnato in un’espansione sempre più veloce e perciò potenzialmente infinita. Questa scoperta è stata possibile attraverso la misurazione della velocità con cui l’universo si espande ossia studiando le stelle e le galassie più lontane. I punti di riferimento per tale misurazione sono state le supernovae di tipo 1A, la cui immensa luminosità è uguale in tutto l’universo. Esse hanno fatto da «candela standard», una specie di unità di misura dell’intensità luminosa. L’esempio è quello del lampione per la strada dal quale, ad una certa distanza, riceviamo una certa energia. Se raddoppiamo la distanza la luce diminuisce di un quarto. Lo stesso accade con le «candela standard». Dalla luminosità della supernova gli scienziati hanno dedotto la grandissima distanza che ci separa da essa arrivando alla conclusione che l’universo non solo si espande ma accelera di continuo la sua espansione.
Questa acquisizione non è un dettaglio secondario perché finora non si sapeva spiegare come mai l’universo, nelle sue zone più remote, è in sempre più in rapida fuga sebbene al suo interno ci sono le galassie, ci siamo noi, cioè c’è una grande quantità di massa che, per la legge di gravità, dovrebbe attirare e non spingere fuori, cioè dovrebbe frenare l’espansione del cosmo. Ora sappiamo, ha spiegato il Coyne, che dato che l’espansione accelera continuamente (immaginate un’auto che da 80 chilometri l’ora accelera a 120 e poi a 180 chilometri l’ora e così via) l’universo continuerà ad espandersi senza collassare su se stesso fino al punto di partenza. Ma poiché ciò che si concentra si riscalda e ciò che si espande si raffredda, il cosmo si espanderà fino al punto di diventare tanto freddo da non contenere più energia. La massima espansione lo porterà a un raffreddamento totale, alla temperatura dello zero assoluto.
Una smentita per la cosmologia classica, dice il Coyne, che ricorda come per Isaac Newton, in virtù della gravitazione universale, l’universo era statico. Anche Albert Einstein, in un primo tempo, la pensava così: l’universo né si espande né si condensa. Per mantenerlo stabile aveva fatto ricorso, anche lui, a una costante, nelle sue equazioni. Poi, nel 1931 l’abate Georges Lemaitre (l’autore della teoria del Big Bang) intuì e spiegò l’allontanamento delle galassie e l’espansione dell’universo. Le scoperte più recenti hanno fornito dunque la prova sperimentale dell’intuizione di Lemaitre e si tratta, secondo padre Coyne, di una conquista che porta con sé risposte fondamentali come, ad esempio, quella per cui l’universo non collasserà. Il Big Crunch, il grande crollo, la contrazione a ritroso fino al punto iniziale del Big Bang, non ci sarà. L’universo è giovanissimo, ha avuto un inizio e «finirà», tra miliardi di anni, non per ricontrazione ma per esaurimento energetico e raffreddamento globale.
Ciò significa, appunto, che prima del Big Bang, in termini teologici prima della «creazione», non c’erano né il tempo né lo spazio. Essi, infatti, sono «parametri» nati con l’universo stesso e tutto è cominciato 13,7 miliardi di anni fa. Prima non c’erano né un «quando» né un «dove». In questo, fa notare sempre il Coyne, scienziato e credente si trovano d’accordo.
Dunque, il nostro universo è giovanissimo. Il che pone seri problemi ai sostenitori del casualismo e del gradualismo darwiniano perché, in base al calcolo delle probabilità, è mancato il tempo necessario, di gran lunga superiore all’età recente dell’universo, affinché il «caso» e la «selezione naturale» potessero dare origine spontanea alla vita dalla prima cellula fino all’uomo. Gli uomini sono comparsi in un universo giovanissimo e in espansione ed alla loro comparsa hanno cooperato molte «opportunità» al fine di consentire la loro l’esistenza. Gli uomini sembrano contingenti rispetto a un universo in evoluzione ma senza di noi l’universo sarebbe stato molto diverso, senza vita e senza intelligenza. Ed il fatto che l’uomo effettivamente esiste all’interno di un universo compatibile con la vita, significa, a giudizio del Coyne, che il principio antropico, nella sua versione «debole», è verificato scientificamente: le costanti della natura sono state sintonizzate fra loro, perché entrasse in scena l’uomo. A questo punto la domanda diventa teologica: Chi è l’Iniziatore, il Sintonizzatore? La fede ci dice che l’uomo è una creatura di Dio posta al centro dell’universo. La scienza oggi conferma l’assunto di fede.
Quanto afferma il Coyne ci porta inevitabilmente ad alcune conclusioni sul piano epistemologico ed anche, se si vuole, teologico. Egli stesso affronta la questione ed alla domanda «In internet tanti chiedono: che cosa c’era prima del Big Bang?» così risponde: «La gente ha sempre chiesto: cosa faceva Dio prima di creare il mondo? Sant’Agostino (provocatoriamente, nda) rispondeva: prima della creazione, Dio creava l’inferno per coloro che fanno domande del genere. Voleva dire che prima della creazione, cioè del Big Bang, non c’erano né il tempo né lo spazio. Sono parametri nati con l’universo».
Il finale raffreddamento globale del cosmo certifica proprio la sua assoluta finitezza, la sua non eternità e quindi la sua non «divinità». Infatti, esso finirà nel momento in cui rimarrà privo di energia. In quel momento esatto l’universo «morirà». Conformemente, del resto, a quanto stabilisce il secondo principio della termodinamica, che è la legge fondamentale della fisica, secondo il quale nell’universo vi è una costante e tendenziale perdita di energia verso la dissoluzione finale. Vi è nell’universo una perdita di ordine contestuale alla controtendenza delle strutture fisiche e biologiche a svilupparsi e soprattutto a conservarsi secondo un ordine, un «progetto».
Il finalismo rivelato dall’ordine esistente nell’universo agisce e si manifesta in controtendenza al secondo principio della termodinamica, benché, da un punto di vista prettamente immanente, l’entropia alla fine sembra comunque prevalere: l’universo ha avuto inizio in un ben preciso momento ed avrà anche fine. Cosa che dimostra, come detto, la non eternità dell’universo.
L’universo non è eterno o increato, come sostenevano gli antichi pagani e pretende di sostenere oggi il pensiero ateo, ma la sua stessa esistenza postula e rinvia ad un Creatore, il quale lo ha creato in un atto d’amore e lo sostiene, assicurandone l’ordine intrinseco in vista della sua trasfigurazione finale.
Il Catechismo della Chiesa cattolica, esprime, sulla base della Rivelazione, una prospettiva incredibilmente simile a quella attestata oggi dalla scienza post-moderna: «… nella sua sapienza e nella sua bontà infinite, Dio ha liberamente voluto creare un mondo ‘in stato di via’ verso la perfezione ultima. Questo divenire, nel disegno di Dio, comporta, con la comparsa di certi esseri, la scomparsa di altri, con il più perfetto anche il meno perfetto, con le costruzioni della natura anche le distruzioni. Quindi, insieme al bene fisico esiste anche il ‘male fisico’, finché la creazione non avrà raggiunto la sua perfezione (confronta San Tommaso d’Aquino, ‘Summa contra gentiles’, 3, 71 (Catechismo della Chiesa cattolica numero 310)» ed ancora: «Alla fine dei tempi, il regno di Dio giungerà alla sua pienezza. Dopo il giudizio universale… lo stesso universo sarà rinnovato (…) Questo misterioso rinnovamento, che trasformerà l’umanità e il mondo, dalla Sacra Scrittura è definito con l’espressione ‘i nuovi cieli e una terra nuova’ (2 Pt 3,13; Ap. 21,1). Sarà la realizzazione definitiva del disegno di Dio di ‘ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra’ (Ef. 1,10) (…). Quanto al cosmo, la Rivelazione afferma la profonda comunione di destino fra il mondo materiale e l’uomo (…). Anche l’universo visibile, dunque, è destinato ad essere trasformato, ‘affinché il mondo stesso, restaurato nel suo stato primitivo, sia, senza più ostacolo, al servizio dei giusti’, partecipando alla loro glorificazione in Gesù Cristo risorto (Catechismo della Chiesa cattolica numeri 1042, 1043, 1046, 1047)».
Di più: la fisica quantistica ha scoperto che l’intima struttura della materia è regolata dal cosiddetto «principio di indeterminazione». Per il quale l’osservatore non può contemporaneamente individuare la posizione e la velocità di una particella sub-atomica. O individua l’una o l’altra, insieme non è possibile. Qualcuno ha creduto di poter desumere da questo una sostanziale caoticità del microcosmo. Eppure l’universo ci si presenta ordinato benché nell’intima struttura subatomica sembri disordinato. Il fatto è che la possibilità di individuare o la posizione o la velocità di una particella non significa, come ritiene una certa impostazione «cartesiano-idealistica» (torneremo su questa inferenza filosofica in un certo tipo di olismo a sfondo panteistico), che sia il soggetto, l’osservatore, a determinare l’«esistenza» della particella sub specie «posizione» o sub specie «velocità», ma soltanto che, individuata la posizione, la velocità, che pure c’è contemporaneamente alla posizione, resta inaccessibile, e viceversa. Questo, lungi dal significare che l’universo sia solo caos illusoriamente organizzato dal soggetto osservatore, significa invece che al fondo dell’universo vi è un «quid» non completamente determinabile da noi osservatori che rimanda ad un «Mistero» parzialmente insondabile.
La legge che domina nell’universo è, come si è visto, l’entropia, la perdita di energia. Eppure in esso nascono e sussistono strutture ordinate e complesse. Anche la vita, massimamente quella dell’uomo, è fenomeno che nel cosmo, considerato nel suo complesso come sistema chiuso (pur essendo il pianeta terra un sistema relativamente aperto), va tendenzialmente controcorrente rispetto al secondo principio della termodinamica, nel senso che essa, la vita, resiste, fino ad un certo punto, alla tendenza disgregativa cui soggiace l’intero cosmo. Tutto ciò postula che affinché sia possibile la comparsa dell’universo come anche il sorgere della vita, ossia, in altri termini, affinché sia possibile un ordine complessivo, benché sempre precario, di strutture ordinate, è necessario un intervento «dal di fuori» del sistema cosmico. E’ necessaria in altre parole l’immissione di sempre maggiore «informazione», da intendersi più in senso qualitativo che quantitativo (l’«informazione» è in altri termini «parola», «verbo»). Detto teologicamente, è necessario, ripetutamente, un atto creativo. Le modalità, poi, di tale atto possono essere oggetto di indagine scientifica ed essere spiegate in termini fisici e/o biologici, ma solo fino ad un certo punto rimanendo l’essenza stessa dell’atto creativo qualcosa di misterioso che sfugge, per se stesso, ad una assoluta e definitiva concettualizzazione razionale.
Si obietterà: perché mai il Creatore, che crea per amore, dà origine ad un universo comunque destinato alla morte? Se Egli è Dio della vita e non della morte, perché non ha creato un universo, ed in esso la vita, eterno? La ragione sta proprio nel fatto che soltanto Dio è eterno, non avendo né inizio né fine, e che pertanto Egli ha creato un cosmo «finito» affinché fosse evidente all’uomo la condizione creaturale dell’universo e dell’uomo medesimo e, quindi, che fosse a lui evidente che è nell’accettazione di questa condizione, che è accettazione dell’atto d’amore creativo del Creatore, che sta la salvezza eterna dell’uomo, unica creatura fatta ad immagine e somiglianza di Dio, ma anche la salvezza dell’intero universo nella sua finale trasfigurazione gloriosa promessa dalla Rivelazione. Infatti, sin dall’inizio (Genesi) è offerta da Dio all’uomo la prospettiva di un destino di immortalità se solo egli avesse accettato (cosa che la creatura umana non ha fatto) l’Alleanza offertagli dal Creatore ossia il Suo Amore ovvero la partecipazione analogica, per grazia, della natura umana alla Natura Divina. Quella stessa prospettiva poi liberamente rinnovatagli dal Verbo di Dio con il Sacrificio salvifico della Croce.
L’ipotesi del «big crunch», quella per la quale ad un certo punto della sua espansione l’universo avrebbe iniziato a ricontrarsi fino a tornare all’origine, al momento del big bang, per poi riesplodere di nuovo, che il Coyne ci ha detto essere definitivamente tramontata, era, se si riflette bene, un’ipotesi che riecheggiava l’idea «induista» della ciclicità immanente del tempo o quella «pagana» del ciclico eterno ritorno (le quattro età del mondo). Non ci sarà, dunque, alcun big crunch: sul piano immanente l’universo è destinato alla continua espansione fino all’esaurimento della sua energia iniziale e quindi all’inerzia glaciale e fredda. L’universo è nato per «morire».
La vita, come detto, è in controtendenza, sfugge, almeno temporaneamente, all’entropia. Ma alla fine, sempre sul piano immanente, cede anch’essa, salvo che ...! Ed è qui che interviene l’Imprevisto e l’Imprevedibile. Il tempo può trovare una tantum, e non per un indefinito o infinito ripetersi ciclico, la sua «curvatura universale» solo in prospettiva «trans-temporale», «trans-storica», trascendente. «Io sono l’alfa e l’omega; il principio e la fine», è scritto nell’Apocalisse (= Rivelazione). Solo un atto d’Amore può portare a compimento la creazione nella perfezione dei «cieli nuovi», «strappando» l’universo al suo naturale destino di morte. L’Incarnazione, che prevista sin dall’origine nel disegno di Dio non dipendeva dal peccato originale, perché dal peccato è dipeso solo il carattere cruento della Passione, è appunto quell’atto d’Amore con il quale la prima creazione viene rinnovata e perfezionata nella seconda creazione, quella dell’«Ottavo Giorno». Un atto d’Amore che, per il peccato del primo Adamo, ha assunto necessariamente anche un carattere redentivo. L’uomo, nell’immanenza, ossia nello spazio/tempo, immagine perfetta del Verbo/Archetipo, è la creatura che è stata creata proprio per porre un ponte tra la Trascendenza e l’immanenza fino a consentire al Verbo di incarnarsi, di farsi Uomo, per offrire in Sacrificio (che, come detto, in origine, senza il peccato originale, doveva essere non cruento) a Dio-Padre l’intera creazione, aprendo ad essa escatologicamente la via dell’eternità, come all’uomo quella dell’immortalità. Da qui la promessa, ed il dono, all’Adamo originario dell’immortalità a condizione che non abbandonasse il culto perfetto all’Altissimo.
Prove scientifiche del principio antropico
Se, dunque, tutto, compreso il tempo, nasce in un preciso istante, l’Origine inafferrabile del tutto non può che essere fuori del tempo, dello spazio, della materia/energia e delle stesse leggi fisiche che regolano l’universo. In altri termini, l’Origine non può che essere trascendente e non «olisticamente» immanente. Ora, il già citato Schroeder ci dice che all’attenta osservazione scientifica la presenza di questa Origine trascendente, di questa Intelligenza infinita e creatrice, è rinvenibile in tutto quel che è seguito al primo istante del Big Bang.
Senza il perfetto equilibrio fra l’energia di espansione e le forze gravitazionali non sarebbe stato possibile l’universo. Laddove, infatti, l’energia sprigionata dal Big Bang fosse stata anche di pochissimo superiore o inferiore a quella che effettivamente è stata, tutto sarebbe collassato.
Secondo Stephen Hawking: «L’intera storia della scienza è stata una graduale presa di coscienza del fatto che gli eventi non accadono in modo arbitrario, ma che riflettono un certo ordine (…). (fra) i numeri fondamentali (vi sono, ad esempio) la grandezza della carica elettrica dell’elettrone e il rapporto della massa del protone a quella dell’elettrone (…). Il fatto degno di nota è che i valori di questi numeri sembrano essere stati esattamente coordinati per rendere possibile lo sviluppo della vita (…). Sarebbe in effetti molto difficile spiegare perché mai l’universo dovrebbe essere cominciato proprio in questo modo, a meno che non si veda nell’origine dell’universo l’atto di un Dio che intendesse creare esseri simili a noi» (6).
La formazione di un pianeta come la terra che, in universo altrove sempre inospitale, possiede incredibilmente tutte le peculiari caratteristiche necessarie, esattamente solo quelle indispensabili (non una di più, non una di meno), alla comparsa della vita è spiegata da Schroeder in questi termini: «E’ come se la Terra fosse stata fabbricata su ordinazione per ospitare la vita» (7).
Sarebbe bastato che il nostro pianeta fosse stato anche solo un poco più vicino al sole o appena poco più lontano e la vita non vi sarebbe stata possibile. Se l’orbita della Terra fosse stata un po’ più ellittica non vi sarebbe la vita. L’orbita di Marte, che è appunto più ellittica di quella della Terra, ha reso quel pianeta inospitale per la vita. L’atmosfera e gli oceani della Terra si sono formati dai gas vulcanici ma è stato il preventivo verificarsi del cosiddetto vento solare della fase T-Tauri a rendere possibile il conservarsi dei mattoni della vita. L’atmosfera della Terra ha uno strato di ozono che ad un tempo protegge le forme vitali da radiazioni letali ma lascia passare luce e calore nella misura dello stretto necessario affinché quella forme vitali possano esistere.
Al centro della Terra si trova una massa di piombo fuso che protegge la vita sul pianeta da altro tipo di radiazioni mortali, formando un vero e proprio «ombrello magnetico» (8).
Newton nel 1666 ha scoperto la costante ε, invisibile, universale ed immutabile. Tale costante è ciò che connette tra loro i valori, variabili, della gravità, della massa e della distanza. Fu così formulata la legge della gravitazione universale, altrimenti nota come «forza debole». Ora se la costante ε fosse stata solo di un poco superiore al suo effettivo valore, che è pari a 6,66 x 10 alla -8, il cosmo sarebbe stato troppo pesante e sarebbe imploso. Al contrario se fosse stata anche di poco inferiore, il cosmo sarebbe stato troppo leggero e si sarebbe dissolto. La costante ε non solo è costante ma deve anche essere precisamente quella che è, altrimenti il cosmo e la vita non esisterebbero.
Così pure se le forze forti e deboli fossero leggermente più intense di quanto effettivamente sono, rispetto all’elettromagnetismo, l’idrogeno non potrebbe esistere e di conseguenza non esiterebbero neanche l’ossigeno ed il carbonio, assolutamente necessari alla vita.
Ecco perché oggi molti scienziati ritengono che l’universo sia stato progettato per ospitare la vita e la vita intelligente. Eppure, tutto quello sopra sinteticamente esposto è stato solo un «lavoro preparatorio» per la comparsa della vita. E se già tutto quel lavorio è troppo «intelligente» per essere miseramente spiegato con il ricorso al «caso» (infatti, sono troppe le «casualità» fortuitamente azzeccate), non può la vita essere comparsa da fortunate reazioni chimiche primordiali come sostengono i darwinisti alla Monod («Il caso e la necessità»).
Gli esperimenti realizzati in laboratorio per far scaturire da un’atmosfera simile a quella primordiale, artificialmente ricostruita, non sono riusciti a far comparire nient’altro che composti di animo-acidi assolutamente precari (bastava una sola piccola alterazione ambientale a farli dissolvere: quindi erano del tutto inadeguati alla vita). Si trattava inoltre di esperimenti inficiati in partenza proprio dalla «premessa» della volontà e dell’intelligenza umana, che ha riprodotto le presunte condizioni atmosferiche originali. Una intelligenza, quella umana, fallibile come si è visto dai risultati, finalizzata al tentativo di ricreare la vita in provetta. Sicché, in tali esperimenti, di tutto può parlarsi tranne che di «caso». In realtà vi era una chiara intenzione di programmazione dell’evento.
Tuttavia in una cosa ha ragione Monod. Quando sostiene che, nonostante tutte le predette condizioni ottimali, la probabilità che la vita comparisse era praticamente nulla. Monod intende in tal modo affermare il casualismo darwiniano. In realtà la sua affermazione deve essere letta in ben altro modo, ossia: la probabilità che la vita comparisse spontaneamente (abiogenesi) era praticamente nulla.
Afferma, infatti, l’astrofisico Marco Bersanelli: «La struttura del mondo fisico, dagli atomi ai pianeti, alle galassie, è strettamente dipendente dal valore numerico che assumono alcune - poche - costanti fondamentali della natura (…). La dinamica dell’intero cosmo fin dai primi momenti appare accuratamente predisposta a generare condizioni favorevoli per accogliere la nostra comparsa ad un certo punto della sua storia» (9).
Le condizioni, dunque, c’erano tutte, e non casualmente come si visto, ma affinché la vita facesse la sua comparsa era necessario qualcos’altro. L’immissione della giusta «informazione». E questa, ossia la giusta «Informazione», il sistema del pianeta Terra non poteva darsela da sé ma doveva provenirle dall’esterno, dove per «esterno» deve intendersi ciò che è oltre l’immanenza.
Attenzione, infatti: affermare che la vita sia comparsa sulla Terra provenendo dallo spazio tramite le comete, oltre a non essere affatto provato, non dice nulla perché in realtà è affermazione che si limita a spostare il problema. Perché quanto si è detto del sistema Terra, ossia la sua natura idoneamente predisposta ad essere ricettiva della vita ma non di essa generativa, può a maggior ragione dirsi per il cosmo intero inteso, come sistema in sé chiuso, benché, come sembra, solo sul nostro pianeta le condizioni ottimali si sono effettivamente verificate.
E’ stato calcolato che affinché il «caso» portasse all’elaborazione di una sola molecola di RNA (acido ribonucleico) sarebbero stati necessari così innumerevoli tentativi da occupare un tempo di almeno anni 1 seguito da 15 zeri ossia un milione di miliardi di anni. Un tempo centomila volte maggiore di quella che è l’età complessiva dell’universo (10).
Persino Fred Hoyle, il celebre scienziato padre della teoria dell’«universo stazionario», altrimenti detta della «creazione continua», che pure era un forte oppositore della teoria del Big Bang, perché accettare che l’universo abbia un tempo di vita finito ossia un inizio implica la necessità di una creazione iniziale e quindi di un Dio creatore, non accettava affatto che la vita sia comparsa per caso. Egli affermava: «Credere che la prima cellula si sia formata per caso è come credere che un tornado infuriando in un deposito di sfasciacarrozze abbia messo insieme un boeing».
Un altro calzante esempio che di solito oggi gli scienziati non casualisti sogliono fare è quello del manoscritto originale della «Divina Commedia» che se fosse rinvenuto in una caverna non potrebbe certamente dare adito all’ipotesi che le lettere del poema si sia per caso allineate, con un definito senso letterario e logico, sotto l’azione di eventi naturali fortuiti. Ciascuno penserebbe ad un Autore dell’opera per il semplice fatto che l’opera in questione è soprattutto «Informazione», senso logico ed ordine razionale sia delle parole che del contenuto che esse esprimono.
Ora, secondo il biologo Bucci dell’Università di Roma, un semplice organismo unicellulare «ha un contenuto di informazioni equivalente a cinque volte l’intera ‘Divina Commedia’» (11). L’incredibile complessità del semplice organismo unicellulare, ma anche quella di una singola cellula umana, non può spiegarsi seriamente come emergente per caso dal caos primordiale. La constatazione che nessun organismo, neppure - si ripete - quello unicellulare che di per sé è già di una complessità inaudita, possa sopravvivere, ossia, in termini filosofici, essere o darsi, senza l’originaria e contestuale presenza, organica, di tutte le sue componenti, ha spinto diversi biologi, non contenti delle spiegazioni casualiste e trasformiste, che nulla in realtà spiegano, a parlare di «progetto intelligente» e, in particolare, di «complessità irriducibile», al fine di evidenziare l’impossibilità per le forme vitali di non essere, neanche in via temporanea, sin dalla loro comparsa quel che in effetti esse sono attualmente. Si tratta di una declinazione particolare del cosiddetto «paradigma olista», certamente suscettibile, quest’ultimo, di una formulazione immanentista ma anche di una formulazione aperta al Trascendente.
Un paradigma scientifico, questo, già affermatosi in astrofisica e nella fisica quantistica, che sempre più si va sostituendo in biologia al vecchio «paradigma meccanicista» cui è legato il darwinismo.
Luigi Copertino
(fine prima parte)
• La creazione tra Fede e scienza (parte II)
• La creazione tra Fede e scienza (parte III)
• La creazione tra Fede e scienza (parte IV)
• La creazione tra Fede e scienza (parte V)
• La creazione tra Fede e scienza (parte VI)
1) Confronta L. Copertino «Darwin e la gnosi» in www.effedieffe.com del 7 luglio 2009 e L. Copertino «Le sorprese della scienza post-moderna» in www.effedieffe.com del 28 luglio 2009. Nel presente contributo ci siamo avvalsi di diverse notizie di carattere scientifico tratte dal prologo del libro di Antonio Socci «Indagine su Gesù», Rizzoli, Milano, 2009. Si tratta di un bel libro per quel che riguarda il mistero divino-umano e storico di Cristo, purtroppo viziato, nel primo capitolo, dall’equivoco della non sufficiente distinzione tra Cristianesimo ed occidente moderno che l’autore, nell’intento del tutto apprezzabile di celebrare apologeticamente la svolta storica che Cristo ha rappresentato anche per la convivenza umana, finisce per adombrare sulla scorta di certa storiografia protestante di marca americana, ben nota agli storici perché in realtà finalizzata al sostegno culturale del progetto neoconservatore. Con questo Socci, senza avvedersene, benché in alcuni passaggi sembri presentirlo, rischia di imputare al Cristianesimo non solo quanto di liberatorio esso ha portato all’umanità ma anche tutto quanto la volontà di potenza dell’Occidente post-cristiano ha riversato sull’umanità, dalle ideologie, compreso il marxismo, ai missili nucleari, dai genocidi alle dittature, dalla democrazia liberale, che è democrazia relativista e «bombarola», ai fasti non solo benefici ma anche di sfruttamento del capitalismo liberista oggi «celebrati» nei disastri della globalizzazione finanziaria e multinazionale. Avremo modo, in un altro intervento, di tornare su questi limiti di Socci.
2) Ci ricordava, in calce al nostro articolo « Darwin e la gnosi», l’amico Reginaldo, attento lettore, che per l’appunto un tempo la «creatio ex nihilo» era assunta anche in teologia come elemento rivelato e non come tesi autonomamente sostenibile anche sul solo piano filosofico. «Curiosamente, - egli scriveva - è proprio la scienza moderna che ha dimostrato in vari modi (termodinamica, astrofisica, cosmologia) che l’universo non esiste da sempre, e che quindi il mondo ha avuto un inizio, in perfetto accordo con la Rivelazione. Ai tempi di San Tommaso ciò era un puro articolo di fede. Il Doctor Angelicus ci tiene a precisarlo con ammirevoli ragionamenti (confronta S.T. I, 46, articolo 2) ‘... Che il mondo non sia sempre esistito si tiene soltanto per fede, e non si può provare con argomenti convincenti: come sopra abbiamo affermato a proposito del mistero della Trinità. E la ragione si è che il cominciamento del mondo non può essere dimostrato partendo dal mondo medesimo. Infatti principio della dimostrazione (deduttiva e apodittica) è l’essenza stessa di una cosa. Ora, quanto all’essenza sua specifica ogni cosa astrae dalle circostanze di luogo e di tempo; e per questo si dice che gli universali sono dovunque e sempre. Quindi non si può dimostrare che l’uomo, il cielo o le pietre non siano sempre esistiti. Parimenti (non si può dimostrare la cosa) neppure partendo dalla causa efficiente, se questa opera per libero arbitrio. Infatti non si può investigare razionalmente quale sia la volontà di Dio, se non a proposito di quelle cose che è assolutamente necessario che lui voglia: ma tale certamente non è quanto egli vuole riguardo alle creature, come si è spiegato. La volontà divina può essere invece manifestata all’uomo per rivelazione, sulla quale appunto si fonda la fede. Quindi che il mondo ha avuto inizio è cosa da credersi, ma non oggetto di dimostrazione o di scienza. E questa è una cosa che bisogna tener presente, perché qualcuno, presumendo di dimostrare ciò che è soltanto di fede, non abbia a portare argomenti che non provano, e offrire così materia di derisione a coloro che non credono, facendo loro supporre che noi si credano le cose di fede per degli argomenti di questo genere...’ ».
3) Confronta commento di Pietro G. in calce a L. Copertino «Darwin e la gnosi», citato.
4) Confronta commento di Celibano in calce a L. Copertino «Le sorprese della scienza post-moderna», citaro. Da parte nostra obbiettavano a Celibano che, per quanto riguarda il Big Bang, è proprio la radiazione cosmica di fondo ad aver avvalorato che l’universo ha avuto un inizio, dunque che esso non è eterno. Interpretare tale radiazione come il bagliore di un non meglio specificato «plasma energetico» è lecito ma a condizione di dichiarare senza nascondersi che, anche in tal caso, si parte da un’impostazione monista, simile a quella neoplatonica, che come vedremo è presente in molti scienziati olisti o che si fanno portavoce di un certo tipo «panteista» di olismo. Impostazione che alla fine è favorevole all’eternità, e non alla creaturalità, dell’universo. Come si vede, quando si arriva al nocciolo della questione fondamentale ogni pretesa scientifica di sperimentalità, osservabilità, verificabilità, cade miseramente e si svela che dietro questa o quella teoria sull’origine del mondo vi è l’inferenza «teologica», o «filosofica», di sempre. Inferenza data dalla domanda: il cosmo esiste da sempre perché eterno oppure ha avuto un inizio perché creato? Tertium non datur (anche il casualismo darwiniano, che vorrebbe spiegare l’autogenesi della vita ed il suo sviluppo selettivo, rientra perfettamente nell’opzione dell’eternità del mondo, semplicemente aggiungendovi, in relazione alla vita, un che di irrazionale). Da parte nostra non abbiamo mai nascosto la nostra opzione per la creaturalità del mondo. Vorremmo che anche gli altri facessero altrettanto senza nascondersi dietro fumose teorie, al momento nient’affatto sperimentalmente dimostrate (ma che una teoria cosmologica, contraria o favorevole al big bang, possa trovare anche in futuro conferma sperimentale è molto improbabile). Rispondevamo, infine, all’obiezione circa il fatto che supporre ripetuti interventi divini nella comparsa e nello sviluppo della vita sarebbe un ricorrere al «miracolismo» che, se deve essere considerato miracoloso l’intervento trascendente nella genesi del cosmo e della vita, sembra molto più «miracolistico» supporre, contro ogni calcolo delle probabilità, che la combinazione esatta e vincente, ossia l’evento del tutto fortuito e casuale che avrebbe dato origine alla vita e l’avrebbe poi conservata selettivamente (Monod pretende di parlare di numero fortunato uscito dalla roulette), si sia potuto verificare innumerevole volte, quante sono le specie passate e presenti e quante sono state e sarebbero le loro trasformazioni, e per giunta che tale ripetitivo e fortunato evento si sia verificato di continuo nello stesso tempo e nello stesso luogo e, per le specie bisessuate, anche contemporaneamente in soggetti di sesso diverso viventi nello, appunto, nello stesso luogo e tempo.
5) Confronta L. Dell’Aglio, «Dal Big Bang all’infinito», Avvenire, 9 novembre 2005.
6) Confronta S. Hawking, «Dal Big Bang ai buchi neri», Rizzoli, 1988, pagine 144-149.
7) Confronta G. L. Schroeder, «Genesi e Big Bang», Interno Giallo, 1991, pagina 152.
8) Confronta G. L. Schroeder, «Genesi …», opera citata, pagina 157-161.
9) Confronta «Tracce», marzo 1997, pagina 51.
10) Confronta Jean Guitton, Igor e Grichka Bogdanov, «Dio e la scienza», Bompiani, 1992, pagina 44. Si tratta di un testo nel quale i dati scientifici sono interpretati dai Bodganov in senso panteista per essere però confutati epistemologicamente in senso trascendente dal filosofo cattolico Guitton.
11) Citato in Eugenio Corti e Giancarlo Cavalleri, «Scienza e fede», Mimep Docete, 1995, pagina 13.
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