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La creazione tra Fede e scienza (parte II)
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Dal Big Bang all’ordine. L’inferenza neoplatonica nel paradigma olista

Gli scienziati hanno capito, dopo aver abbandonato l’arrogante dogmatismo scientista, che per poter almeno intuire il «mistero» di tale complessità della vita, sia cosmica che biologica, è necessario un approccio interdisciplinare.

Il secondo principio della termodinamica ci dice che nel tempo l’entropia, ossia l’indice del disordine di un sistema, tende ad aumentare e che dunque la direzione è dal maggior ordine iniziale al minor ordine finale, ossia dal complesso al semplice. Esattamente il contrario dell’ipotesi darwinista che vuole che dal disordine nasca l’ordine e dal semplice il complesso.

Eppure, resta da spiegare perché mai, nonostante il secondo principio della termodinamica, il cosmo passi dal caotico ammasso atomico iniziale, immediatamente successivo al Big Bang, all’ordine e perché mai la vita tende ad organizzarsi ed a resistere all’entropia.

Qualcuno potrebbe pensare ad una sorta di «emersionismo», di «endogenesi», di «capacità auto-organizzatoria» del cosmo e della vita.

E’ questa, in effetti, l’ipotesi alla quale occhieggia un certo pensiero scientifico «olista», chiuso alla Trascendenza, che riattualizza il neo-platonismo (Plotino, Proclo, Scuola di Alessandria), dei primi secoli dopo Cristo, con il quale il Cristianesimo, per mezzo dei Padri della Chiesa, dovette confrontarsi per batterlo sul suo stesso terreno, facendo cioè leva sulle contraddizioni tipicamente tautologiche di un tale pensiero ma anche, d’altro canto, riassumendo, alla luce della Rivelazione, quanto di valido il neoplatonismo aveva saputo, provvidenzialmente e propedeuticamente, esprimere (12).

L’aporia cui soggiace ogni paradigma «olista» che non voglia aprirsi alla Trascendenza rimane, infatti, il medesimo cui già soggiaceva il neoplatonismo ossia la tautologia del dire che le leggi fondamentali l’universo se le da, autonomamente, da sé. Ciascuno è libero di sostenerla, questa aporia. Ci mancherebbe. Tuttavia è inevitabile entrare in contraddizione con l’assunto. Se dicessi che sono un uomo perché mi sono dato da me l’essenza di uomo, o che sono tale perché mi sono auto-generato o auto-costruito, farei un’affermazione evidentemente contraddittoria.

Contraria alla realtà del mio essere. Benché libero di affermarla non potrei però farla passare per scienza esatta, certa, inconfutabile ed assoluta (come pretende un Odifreddi, per fare un esempio). La mia affermazione sarebbe solo una filosofia o una teologia. Ed è qui che si rivela l’inferenza nascosta dietro questo paradigma olista di tipo «panteista», come del resto dietro ogni altro paradigma, anche quello «meccanicista» o quello «progettuale». Quindi nessuno di questi paradigmi ha diritto di denigrare gli altri come anti-scientifici o pseudo-scientifici, proprio perché l’inferenza «teologica» o «filosofica», anche nella sua eventuale forma «anti-teologica» o «antifilosofica», è il carattere previo di ciascuna di esse. Basta giocare a carte scoperte.
La tautologia che soggiace dietro ogni teoria scientifica che pretenda di prescindere a priori dal Trascendente è un’aporia che svela una posizione di tipo solipsistico e prometeico. Ricorda, molto da vicino, la posizione del giovane Evola nel suo saggio «Idealismo magico». Dove cianciava di auto-costruzione dell’uomo immortale. Forse alla base di certi ragionamenti in apparenza scientifici vi è solo una buona dose di «magismo».

E poi di quale «emersionismo» parliamo? L’universo quantico, sub-atomico, è in apparenza un caos (principio di indeterminazione di Heisenberg), benché in realtà esso è solo «misterioso», eppure il macro-universo è ordinato. Dunque da dove viene l’ordine che «informa» l’apparente caos sub-atomico?

Per Sant’Agostino il Verbo, dopo averla creata dal nulla, plasma, ossia dà forma, alla «materia informe» primordiale. Materia informe che non esisteva affatto prima del «fiat» di Dio. L’Ipponate oggi, alla luce delle nuove acquisizioni scientifiche, parlerebbe di «Informazione» esterna al sistema, che, dopo avergli dato inizio, si imprime su di esso per guidarne lo sviluppo secondo leggi universali fondamentali finalizzate a fargli raggiungere l’ordine già stabilito nel Progetto, nell’Idea, trascendente dal quale dipendono in essenza sia il cosmo che tutte le forme fisiche e biologiche che in esso mano a mano compaiono.

La pretesa dei neoplatonici post-moderni è quella di chiudere il tutto in un olismo auto-generativo. Ma l’universo che ne risulterebbe sarebbe sinceramente soffocante! Con la, gravissima, conseguenza che il determinismo cacciato dalla porta rientrerebbe dalla finestra per mezzo della semplice sostituzione all’immanentismo meccanicista ottocentesco del nuovo immanentismo, appunto, olistico, post-meccanicista, post-moderno.

Se quelle dell’olismo neoplatonico fossero conclusioni scientifiche provate (e non lo sono: sono solo epistemologia) il contingente diventerebbe necessario e tutto sarebbe predeterminato. Alla faccia della nostra libertà.

In realtà, è questa la nostra tesi, l’unica soluzione, suggerita (non imposta) dalla stessa scienza odierna, è quella di guardare in Alto, oltre il Tutto.

E’ questa la nostra unica speranza: la trasfigurazione gloriosa di questo universo che non si è auto-costruito ma ci è stato donato per Amore.

«In beginning was the information»

Alla luce delle scoperte più recente, molti scienziati hanno iniziato a postulare una dipendenza della realtà da un «quid» non quantitativo ma qualitativo, riscoprendo alla radice della materia, intendendo per materia anche l’energia, lo Spirito ed alla radice dell’immanente il trascendente.

Essi hanno così formulato la loro conclusione interpretativa imposta dalle evidenze scientifiche che mano a mano sono andate palesandosi, soprattutto negli ultimi decenni del XX secolo: «In beginning was the information».

«In principio era l’informazione» sta a significare che scientificamente parlando la materia/energia da sola non può darsi alcun codice contenente le informazioni necessarie alla sua stessa esistenza. Esempio tipico, sul quale torneremo a breve, il DNA (acido desossiribonucleico) che è alla base della vita.

Riportiamo una citazione da Zeilinger: «Le teorie quantistiche sono qualcosa di diverso dalle teorie fisiche: sono teorie dell’Informazione».

Andrew Steane, università di Oxford: «L’Informazione è il fondamento di tutto. Se riuscissimo a capirne le proprietà fondamentali, avremo una nuova chiave dell’universo».

L'universo, dunque, è Informazione in atto. Questo è uno degli assunti fondamentali della scienza post-moderna. Ora come si può leggere un tale assunto? C’è chi lo legge in chiave olista ma di tipo panteista, o tendenzialmente tale, e chi invece in chiave sì olista ma aperta alla Trascendenza.

In effetti l’idea di un universo come «Informazione in atto» ci riporta molto vicino alla Bibbia. Ma alla Bibbia letta in chiave sapienziale e non, dunque, letteralista, come se essa parlasse di una creazione in sei giorni in senso materialmente temporale (non è questa la lettura cattolica tradizionale della Scrittura, quella apostolica e patristica: il «letteralismo» nasce con Lutero).
Nel Genesi, Dio crea il mondo diffondendo informazione: vale a dire pronunciando il nome delle cose che Egli crea, per l’appunto, in-formando, a successive riprese, la materia primordiale informe creata ex nihilo (come spiegava anche Sant’Agostino che rifiutava l’idea di un mondo che appare all’improvviso tale e quale esso è). «Dio disse: ‘Luce sia’. E Luce fu».

Tradizionalmente, nel «nome vero» delle cose, cioè nell’informazione che le descrive, c’è la cosa stessa, ossia la sua essenza: nel nome della margherita, c’è la margherita.

Ora, si rifletta. Come si traduce in greco ed in latino «informazione»? Il termine che meglio risponde al senso profondo della parola «informazione» è senza dubbio, rispettivamente, «Logos» e  «Verbum».

Forse iniziamo a capire. Il Genesi si apre con l’ebraico «Bereschit» ossia «In Principio». Tale apertura è ripresa nel prologo del Vangelo di San Giovanni: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Tutto si fece per mezzo di Lui. In Lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini. Questa luce splende tra le tenebre, ma le tenebre non la compresero (Giovanni 1, 1-5)».

E San Paolo, riferendosi al Verbo/Logos Incarnato, può cantare: «Egli è l’immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili (…). Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in Lui (Col. 1, 15-17)».

Nel suo discorso di Ratisbona del 12 novembre 2006, Benedetto XVI ha detto: «Modificando il primo versetto del Libro del Genesi, Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le parole: ‘In principio era il logos’ (…) Dio agisce con logos. Logos significa insieme ragione e parola - una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro mèta, trovano la loro sintesi. In principio era il Logos, e il Logos è Dio, ci dice l’evangelista».

Tenendo il cuore aperto al Mistero dell’essere (è infatti un mistero persino il fatto stesso che noi tutti siamo qua, che ci siamo invece che non esserci, perché non stava scritto da nessuna parte che avremmo dovuto esserci) la conflittualità innescata, in età moderna, a partire dalla catastrofe luterana, dai fideismi e dai razionalismi, in opposizione tra essi, evapora come nebbia al sole.

Oggi appare più che mai evidente che il cosmo e noi stessi siamo il frutto di un Progetto d’Amore. Siamo stati voluti perché da Lui, dal «Verbo/Logos/Informazione», siamo amati immensamente. Amati fino all’accettazione della morte di Croce per aprirci il cuore al Mistero Salvifico.

L’informazione e la vita

Il DNA, che è alla base della vita, è nient’altro che un sistema complesso di informazioni. E’ esso che consente la riproduzione delle forme vitali. Scoperto nel 1953 con la sua struttura a doppia elica, non è stato immediatamente compreso, nel suo carattere di «sistema complesso di informazioni», dai suoi scopritori, James Watson e Francis Crick, troppo chiusi nell’asfissiante dogmatica scientista. Essi non videro che un aggregato chimico, magari ordinato ma casuale, di molecole e con questo hanno creduto di aver spiegato per sempre il mistero della vita.

Proprio Flew, dal quale siamo partiti, ha iniziato invece a ripensare il suo ateismo quando si rese conto che il DNA era la «prova» di una «superiore intelligenza creatrice della natura».

Infatti, oggi la scienza sa che il DNA non contiene soltanto una immensa quantità di informazioni ma che, straordinariamente complesso nella sua struttura, contiene informazioni scritte come in un «codice informatico». Un vero e proprio «linguaggio». Ritorna dunque quella misteriosa presenza della Parola, del Verbo, dell’Informazione.

L’uomo tra tutti i viventi è l’unico essere dotato di «parola», di «linguaggio». Qui potremmo infatti scorgere il significato più profondo del biblico «fatto a Sua (del Verbo) immagine».

Ora, gli scienziati sanno benissimo che i soli «codici», i soli «linguaggi», che esistono sono di origine umana e presuppongono una intelligenza che li elabori. Gli altri animali possono sì anch’essi «comunicare», ed in questo si rende evidente il loro «portare significatione» del Verbo, ma non possono farlo mediante quella facoltà in sé misteriosa, e che nessun antropologo o filologo potrà mai veramente spiegare, che è l’uso della «parola».

Quindi la domanda diventa inevitabile: quale Intelligenza avrà mai elaborato il complesso codice, il linguaggio genetico, del DNA? Chi mai avrà posto nella giusta sequenza le informazioni contenute nel DNA?

Lo stupore degli scienziati è diventato totale quando essi si sono resi conto, studiando il DNA, che l’«informazione» era la radice stessa della materia biologica. Questo perché essi hanno scoperto che le informazioni contenute nel DNA devono ritenersi «essenze» distinte dalla sostanza chimica e molecolare del DNA medesimo.

Bill Gates: «Il DNA è come un software, solo molto più complesso». Ma ogni software è il prodotto di una elaborazione.

Il DNA è il libro, la carta e l’inchiostro sono le componenti materiali del libro ma quelle che tali componenti veicolano sono «idee», «concetti», «informazioni».

Torna l’aspetto (neo)platonico della scienza post-moderna che se rettamente inteso ci riporta inevitabilmente al Logos giovanneo.

Michael J. Behe, professore di biochimica presso la Leigh University di Bethlehem (Pennsylvania), è l’autore di «Darwin’s Black Box: the Biochemical Challenge To Evolution» (The free Press, 2003), uno dei libri più sconvolgenti per lo scientismo darwiniano. Non a caso il suo autore ha dovuto subire pesanti attacchi anche sul piano personale.

Così in una intervista egli ha spiegato le conclusioni cui è giunta la sua ricerca biochimica sul DNA cellulare: «Fin dalla sua scoperta i chimici hanno dichiarato esplicitamente che le informazioni contenute nel codice genetico non sono materia o energia, ma qualcos’altro. Il DNA contiene informazioni che trascendono le sue proprietà chimiche o fisiche. Le parti del DNA, chiamate nucleotidi, sono disposte in una stringa. Così come una serie di lettere in una parola, una frase o un paragrafo, queste contengono informazioni intelligenti che indicano alla cellula come formarsi. Pertanto (se le informazioni non sono né materia né energia) diciamo che esiste qualcos’altro nel DNA ovvero la componente dell’intelligenza» (13).

L’immissione nell’Adamo ancora privo di vita dell’anima spirituale, del «ruach» soffiato da Dio nell’uomo fatto di fango, di cui parla il Genesi, non è solo un intervento diretto di Dio successivo a quello iniziale della creazione, intervento diretto che sembra scandalizzare anche molti credenti ammalati di «deismo», ma è soprattutto immissione di maggior «informazione» (14).

Quel che poi appare ancor più evidente agli scienziati post-moderni è il fatto che il materiale genetico tra le specie è, anche quantitativamente, lo stesso. Ciò dimostra che le differenze qualitative, ontologiche e morfologiche tra le specie non sono nel materiale di base usato e neanche nella quantità di tale materiale, ma, appunto, nell’«idea», nell’«informazione», che esso veicola.

Qui spiega molto di più Platone che Darwin.

La scienza post-moderna sta riscoprendo il platonismo (da un punto di vista cattolico tale riscoperta ha luci ed ombre a seconda se si propende per un platonismo cristiano o anti-cristiano). Tornano alla ribalta concetti come «archetipo», «rationes seminales», «informazione». Sicché, quando si vuole comparare teologia e scienza, diventa del tutto legittimo, proprio per la scienza post-moderna, tornare a parlare, sul piano epistemologico, di Verbo e di creazione intesa, come sempre è stato tradizionalmente inteso, alla stregua del passaggio dalla potenza all’atto, dall’ideale al materiale, dal piano archetipico della trascendenza al piano materiale dell’immanenza.

Uno scienziato, un genetista, come Giuseppe Sermonti, sul quale torneremo per esaminare tuttavia i limiti neoplatonici del suo pensiero, legge, ad esempio, la comparsa improvvisa delle specie alla stregua di un progressivo incontrare il piano immanente dell’esistenza da parte dell’Archetipo che presiede all’evoluzione («evoluzione», in tal caso, è parola che significa sviluppo di un progetto, di un’idea e non ha nulla a che fare con il casualismo darwiniano). Sermonti fa l’esempio della pianta la cui radice sotterranea riesce a far emergere al di sopra della superficie terrestre gli spuntoni (un esempio non proprio felice o elegante ma che cerca di rendere l’idea).

L’Adam Kadmon tra Cabala pura e cabalismo spurio


La stessa struttura del DNA, composta di nucleotidi che si comportano come «lettere» poste in sequenza a formare «parole», dando vita ad un complesso denso di significato «logico» (da Logos) come la cellula, e quindi agli organismi pluricellulari, ci rinvia, con stupore, a concetti antichi ben noti alla tradizione cabalista, per la quale, appunto, Dio ha creato il mondo attraverso la composizione e la scomposizione delle lettere fondamentali dell’alfabeto ebraico per comporre le parole di cui è intessuta la sinfonia cosmica e la vita medesima. Una leggenda come quella del Moloch di Praga, che racconta della ΰβρις di un rabbino che mediante l’incisione sulla fronte del mostro delle lettere della vita riesce ad animare il fantoccio per poi perderne però il controllo, è emblematica della verità sottesa alla Sapienza tradizionale circa il fondamento «platonico», «archetipico», dell’essere, ma è anche metafora della protervia di quella scienza attuale che, vendutasi all’utilitarismo economicista, gioca con il fuoco, ossia con l’inaccessibile segreto della vita, nel tentativo, prometeico e luciferino, di riprodurla in provetta per potersene dire padrona. La prima vittima del Moloch, racconta la leggenda, fu il rabbino che pretese di imitare Dio nell’infondere al fantoccio il soffio della vita.

Qui, però, parlando di «cabala» è doverosamente necessaria una precisa puntualizzazione, in quanto dietro questo termine si nascondono realtà dottrinarie assolutamente diverse, riconducibili, a seconda dei casi, ad una versione «pura» del cabalismo oppure ad un’altra versione però «spuria». Rimandiamo in proposito a Julio Meinvielle (15).

Quando si parla di cabala bisogna infatti distinguere. Vi è una cabala conforme alla Rivelazione, potremmo dire una cabala «ebraico-cristiana», ma vi è anche, ed oggi va purtroppo per la maggiore, una cabala gnostica, esoterica, non «ebraico-cristiana».

Nella versione pura della tradizione cabalista non si soggiace all’errore panteista evidente nel cabalismo spurio.

Secondo il Meinvielle, che in proposito cita il magistero di alcuni rabbini depositari della cabala «pura», i quali non a caso hanno finito per convertitisi al Cattolicesimo, riconoscendo la sostanziale omogeneità tra la dottrina cattolica e quella del loro cabalismo puro, la differenza tra cabala ebraico-cristiana e cabalismo giudaico-gnostico è resa evidente proprio dal modo di concepire l’Albero Sephirotico, ossia l’Albero della Vita del Genesi (poi restituitoci nell’«Albero della Croce»), che sarebbe il «codice», l’alfabeto trascendente, dell’intera creazione.

Per la cabala conforme alla Rivelazione ebraico-cristiana vi è una insuperabile «cesura», incolmabile, tra il Sovramondo spirituale, trascendente, che viene chiamato «atzilùtico», al quale appartiene l’Albero Sephirotico, ed il mondo materiale, immanente, che a sua volta è suddiviso in tre livelli, spirituale, psichico e fisico. Nella Divina Luce inaccessibile del Sovramondo «atzilùtico» (per San Paolo, Dio «abita una luce inaccessibile; che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere», 1 Tm 6,16) le prime Tre Sephirot dell’Albero Sephirotico, denominate En Sof (o anche Keter Elyon, ossia Suprema Corona o Infinito), Adam Kadmon (o anche Hak’ma ossia Splendore o Sapienza) e Bina (Intelligenza), tra loro di eguale dignità, costituiscono una unità inscindibile benché, appunto, distinta nelle relazioni ad intra della Mono-Triade. Le prime tre Sephirot sono infatti chiamate anche i Tre Splendori Supremi e sebbene differenti costituiscono una unica Corona, sono cioè Uno, un unico Assoluto. Per questo vengono rappresentati da circoli concentrici oppure da tre Yod (’) disposti in triangolo equilatero e racchiusi in un cerchio, simbolismo che corrisponde all’invocazione liturgica «Qados, Qados, Qados», ossia «Sanctus, Sanctus, Sanctus» in lode del Tre Volte Santo, del Santissimo. Le restanti sette Sephirot, o Splendori, gerarchicamente ordinate, sono soltanto gli attributi di Dio e pertanto non si differenziano da Lui, ossia non sono affatto sue emanazioni (come nel cabalismo spurio). Questi attributi in nulla, infatti, toccano l’assoluta unità e semplicità di Dio. Essi, ciascuno denominato in modo da indicare una «qualità» della sostanza divina trascendente («Grandezza o Benignità», «Forza o Rigore», «Rigorosa Giustizia», «Bellezza o Gioia», «Vittoria o Eternità», «Gloria», «Fondamento o Base», «Bellezza del Regno»), sono l’equivalente degli attributi divini ben noti alla fede cattolica: «giustizia», «misericordia», «paternità», «eternità», etc. (e ben noti anche in ambito islamico: i 99 nomi con cui Dio è lodato).

Ora, è evidente che la Mono-Triade Sephirotica altro non è che la Santissima Trinità del dogma cattolico e le prime Tre Sephirot altro non sono che le Tre Persone Divine nell’Unità della Natura Divina. E questo spiega la conversione alla fede cristiana di quei rabbini citati dal Meinvielle che insegnavano nella sinagoga questo tipo di cabala pura, autentica.

Al contrario, la versione spuria, ossia gnostica, del cabalismo non contempla alcuna «cesura» tra Sovramondo e mondo ma solo una continuità emanazionista. Secondo tale cabalismo spurio le dieci  Sephirot altro non sarebbero che i gradi discendenti, o, a seconda della visuale, ascendenti, per i quali l’unica sostanza universale, l’equivalente dell’ellenistica «anima mundi» o dello gnostico «pleroma», si manifesterebbe. In tale versione del cabalismo, l’«en sof», ossia la prima delle dieci sephirot, lungi dall’essere distinto dal mondo immanente, sarebbe soltanto il Primo Indifferenziato dal quale tutto il resto, anche il mondo materiale, procede per emanazione dalla sua stessa sostanza divina.

Ora, la differenza è qui dirompente, perché la esegesi che pone tra il mondo atzilùtico, al quale appartengono la Mono-Triade delle prime Tre Sephirot e gli attribuiti divini delle restanti sette Sephirot, ed il mondo non atzilùtico, la creazione nei suoi livelli differenziati, una invalicabile cesura altro non esprime, come si è detto, quel che è il contenuto medesimo del dogma cattolico ossia l’alterità/partecipazione, altrimenti detto l’analogia, tra Dio e creazione. La cesura tra il mondo spirituale e quello materiale è poi, in tale concezione pura della cabala, colmata per iniziativa unilaterale e gratuita di Dio con la Rivelazione e, cristianamente, soprattutto con l’Incarnazione. Invece l’esegesi che non pone alcuna cesura tra mondo e sovramondo, e concepisce l’Albero Sephirotico al modo panteista ed emanazionista, è quella gnostica per la quale, essendo unica la sostanza dell’Essere, l’uomo è già di per sé un essere divino, senza bisogno di alcuna elevazione per Grazia. Basta che l’uomo, attualmente non consapevole di tale sua auto-divinità, ne acquisisca la conoscenza «segreta»: ossia la «gnosi». Il serpente del Genesi, simbolo derivante alla Bibbia dai culti pagani della fertilità dell’antico vicino Oriente, sta a simboleggiare proprio la tentazione gnostica dell’auto-deificazione. Esattamente quella fallace promessa di auto-deificazione, mediante l’immersione nel flusso magico della «Vita Cosmica», che quei culti pagani, intrisi di gnosi, promettevano. Questo è il peccato originale e, purtroppo, soprattutto di questi tempi, peccato sempre attuale. Ed è anche il peccato di gran parte dell’Israele post-biblico che è così caduto, a causa del suo rifiuto di Cristo, nel «paganesimo» (16).
Informazione e creazione tra fede e scienza

Dunque se il concetto di «creazione» non viene assunto, ingenuamente, nel senso letteralistico, tipico ad esempio dei protestanti fondamentalisti americani (quelli che, leggendo il racconto del Genesi in senso letterale sicché il mondo sarebbe stato creato, orologio alla mano, esattamente in sei giorni, vanno organizzando, per sponsorizzare il cosiddetto «creazionismo scientifico», decine di musei, tipo «Disneyland», nei quali manichini raffiguranti l’Homo Sapiens ed i dinosauri sono posti tutti insieme, appassionatamente, nello stesso scenario di luogo e tempo, ed in alcuni casi anche sull’arca di Noé), la convergenza tra Rivelazione e scienza post-moderna, che a suo volta ha finalmente abbandonato la sicumera scientista, anch’essa in fondo «fondamentalista», diventa assolutamente palese, pur senza cadere in un altrettanto facile ed ingenuo «concordismo» (e per evitare il facile concordismo non bisogna mai dimenticare di tenere distinti, benché non separati o opposti, i due ambiti: lo scientifico ed il teologico, che possono trovare un punto di mediazione solo attraverso filosofia ed epistemologia).

Da sempre la Chiesa, sin dai tempi apostolici e patristici, ha tradizionalmente assunto l’esegesi biblica in senso sapienziale, e non letteralista, benché al tempo stesso, onde evitare di cadere nell’opposto errore di una lettura disincarnata, esclusivamente spiritualista e simbolica, una lettura cioè tentata dalla gnosi, non ha mai rifiutato la storicità (che è cosa diversa dalla «storiograficità», ossia dalla pretesa di accertamento documentale storiografico) di quanto narrato dal testo sacro.

Anche, infatti, nell’epoca patristica, segnata dall’egemonia della filosofia di Platone ed Aristotele, una lettura letteralista, per la quale il mondo sarebbe stato letteralmente creato in sei giorni, sarebbe apparsa, extra ecclesiam, assurda e ridicola, oltre che ad intra, ossia in ambito ecclesiale, fuorviante rispetto allo stesso Antico Testamento che è composto sia di libri storici che di libri sapienziali.
Riaffermata ancora una volta questa premessa esegetica, laddove per qualcuno, particolarmente duro di orecchi, ve ne fosse ancora bisogno, torniamo a riflettere sulle evidenze scientifiche circa la creaturalità del cosmo e sui tentativi di «ammorbidire» tali evidenze ricorrendo maldestramente ad un mal inteso olismo di tipo panteistico.

Per quanto riguarda, in biologia, la speciazione un dato che spesso viene «dimenticato» è quello della pressoché immodificabilità, pena l’esito sfavorevole alla stessa specie, del DNA. Questo dato, da solo, basta a far ritenere che la speciazione non avviene per «trasformismo» interspecifico, come nell’ipotesi darwiniana.

Come abbiamo già detto, una delle smentite del darwinismo sta proprio nel fatto che, essendo giovane l’universo (non più di poco più di 13 miliardi di anni), è mancato il tempo affinché la combinazione fortuita, inneggiata dai darwinisti, abbia potuto generare la vita. Nonostante però questa ed altre evidenze scientifiche, risulta per molti difficile accettare la «creaturalità» dell’Universo e delle forme vitali.

Una delle obiezioni che generalmente si fanno al modello «biblico» è quella per la quale tale modello implicherebbe una serie di interventi divini, anziché, tutt’al più, soltanto uno ossia quello iniziale. E’ un’obiezione che viene avanzata non solo dai darwinisti ma anche dagli olisti neoplatonici. Dà proprio fastidio questo Dio che si impiccia così tanto, così provvidenzialmente, nella e della creazione. E gli si preferisce, quando proprio gli si vuol dare «cittadinanza» scientifica, il «dio» deista, quello della filosofia illuminista del XVIII secolo, il quale, dopo aver creato l’orologio del mondo, gli avrebbe dato la carica e poi se ne sarebbe completamente disinteressato. Oggi però il «deismo» sembra riaprire agli scienziati, un tempo atei, come il Flew, la strada verso il Dio biblico.

Pur di esorcizzare la «creaturalità» del cosmo e della vita, in astrofisica si è persino ipotizzata l’esistenza del «multiverso» o «pluriverso». Secondo tale ipotesi il nostro universo altro non sarebbe che uno dei tanti universi che, come le bolle che si formano in una pentola d’acqua in ebollizione, sarebbe emerso da un non meglio precisato, e mai dimostrato, «oceano quantico» che racchiuderebbe tutti gli universi, impossibilitati a comunicare fra loro. Sicché la vita potrebbe esserci anche in questi altri universi. Ora, a parte il fatto che una tale ipotesi non esorcizza affatto la Presenza di un Creatore ma solo la rimanda più indietro (Chi ha posto l’«oceano quantico»? Chi ne smuove le fluttuazioni che, come il sasso che provoca le onde nello stagno, originano l’esistente?), resta l’ulteriore fatto che quella del «multiverso» è soltanto una mera ipotesi e tale rimarrà giusto l’argomento, dagli stessi sostenitori di tale teoria riconosciuto, dell’inter-incomunicabilità degli universi.

La verità è che questa teoria è stata elaborata, per ammissione degli stessi suoi sostenitori, allo scopo di non accettare l’evidenza scientifica che l’universo abbia avuto un inizio ex nihilo, come la teoria del Big Bang, ampiamente comprovata, porta a concludere, in conformità con la Rivelazione.

Siamo sempre lì, al punto in cui erano gli antichi filosofi: l’universo è eterno, e pertanto divino, oppure ha avuto un inizio ed è stato dunque creato e non è pertanto, panteisticamente, divino? Lo abbiamo già detto ma ripeterlo giova: la fede cristiana ed oggi, con buone probabilità, anche la scienza post-moderna propendono per la seconda ipotesi.

Per quanto, poi, riguarda, parlando in termini più teologici, il ripetersi di interventi divini nell’immanenza, se ne potrebbero citare a iosa se crede nella potenza di Dio che oltre a creare può anche derogare alle leggi naturali da Lui stesso create. Se si accetta, in altri termini, l’evidenza, come scienziati intellettualmente onesti non hanno timore di fare, della possibilità dei «miracoli», di cui la storia della mistica e della santità sono pieni. Certo, questa è una questione di fede. Tuttavia, bisogna in ultima istanza domandarsi: non è già un miracolo, il primo e più evidente, che ci sia qualcosa, che ci siamo, che ci sia l’essere anziché il «nulla»? Il fatto che nel corso di milioni di anni vi siano state, numerose, improvvise estinzioni ed improvvise apparizioni di forme vitali è, ad esempio, esattamente ciò che ha spinto Stephen Gould, che pur si dichiara ancora darwinista, a gettare alle ortiche il gradualismo darwiniano ed a teorizzare l’«evoluzione per salti» (teoria degli equilibri puntati»). Ma questo rilievo della comparsa improvvisa ed in sequenza «logica» delle forme vitali, a parte il fatto che - come è stato osservato da molti scienziati - si avvicina incredibilmente al modello biblico del Genesi, comporta, se letto da un punto di vista scientifico, l’immissione nel sistema di sempre maggior «informazione». Ossia, in termini teologici, comporta ripetuti interventi dell’Informatore che, per essere davvero tale, trascende il sistema «dall’esterno». Il che esclude che Chi o Cosa sia all’Origine del sistema lo abbia abbandonato una volta avviatolo, come vorrebbe la posizione «deista».

Certo la scienza si sforza di spiegare i meccanismi delle improvvise estinzioni ed apparizioni delle forme vitali. Ed è bene che lo faccia. Ma alla fine ogni spiegazione che rimanga soltanto sul piano immanente si rivela del tutto insoddisfacente.

Il lettore Luca C., in calce al nostro articolo sulle «sorprese della scienza post-moderna», richiamava la nostra attenzione sul fattore «alimentazione» e su quello «ambiente». Ed in effetti si tratta di due fattori di una certa importanza. Ma non sembrano potersi ritenere né esclusivi né fondamentali nello spiegare il succedersi di estinzioni ed apparizioni di forme vitali senza legami di discendenza tra esse. Per quanto riguarda l’alimentazione, la constatazione, avanzata da Luca C., che la dieta vegetariana nei cani aumenti in essi le «facoltà intellettive» non è constatazione che superi il fatto della specie. Le differenze «intellettive» tra un cane vegetariano ed uno carnivoro rimangono tutte intraspecifiche: i due esemplari, pur diversamente alimentati, restano pur sempre cani e quello più vegetariano non diventa un cavallo. Inoltre bisogna fare molta attenzione a non confondere la capacità d’astrazione e di associazione, ossia il pensiero discorsivo, che sembra riscontrarsi in forma molto elementare anche in certi animali, con la spiritualità che è solo dell’uomo. Solo l’uomo adora, solo l’uomo è «religiosus». Senza poi contare il fatto che, stando al Genesi, l’Adamo precedente il peccato originale sembra essere stato, perlomeno prevalentemente se non esclusivamente, vegetariano.

L’esplosione iniziale di vita nel Cambriano, in forma sia unicellulare che pluricellulare, è del tutto indipendente da qualsiasi precedente questione di «dieta». Anche successivamente al Cambriano, pur non negando che le modificazioni ambientali abbiano avuto un loro peso, certe repentine estinzioni ed apparizioni di forme vitali sono troppo «veloci» per spiegarsi con graduali cambiamenti ambientali. Ecco perché alcuni ricorrono alle catastrofi naturali, come nell’esempio classico dell’asteroide che colpendo la terra avrebbe provocato l’estinzione dei sauri.

Ma altri ritengono che tali catastrofi non si siano verificate o che non si sono verificate nelle modalità supposte da coloro che ad esse fanno riferimento per spiegare l’improvvisa estinzione delle forme vitali e l’altrettanto improvvisa apparizione, in luogo delle precedenti, di altre forme vitali. Persino l’ipotesi, molto in voga, dell’asteroide, che avrebbe comportato l’estinzione subitanea dei sauri, è allo stato soltanto, per l’appunto, una ipotesi non provata in modo sufficiente. Infatti, fanno notare i detrattori di tali ipotesi che per provocare un cambiamento climatico sconvolgente come quello necessario a far improvvisamente scomparire, da tutto il pianeta, i sauri, l’asteroide avrebbe dovuto avere dimensioni così grandi da comportare un potenziale collasso gravitazionale dell’intero pianeta e quindi dell’intero sistema solare. A dimensioni più piccole un asteroide avrebbe provocato solo danni parziali in alcune regioni del globo e non in altre: il che non spiega la scomparsa globale dei sauri.

D’altro canto perché non prendere, invece, in considerazione l’altra ipotesi che spiega la momentanea presenza dei sauri come necessaria in una certa fase dello sviluppo del Progetto della Creazione affinché la Terra potesse assumere alcune caratteristiche ambientali, necessarie poi all’uomo, che solo con la loro presenza avrebbe potuto assumere. Sicché una volta svolta questa funzione essi hanno imboccato una via vitale talmente stretta da portarli in breve tempo alla scomparsa?

E’ certamente solo una ipotesi ma, fino a prova contraria, ha eguale cittadinanza dell’ipotesi dell’asteroide.                                                                                      

Luigi Copertino

(fine seconda parte)

• La creazione tra Fede e scienza (parte I)

• La creazione tra Fede e scienza (parte III)
• La creazione tra Fede e scienza (parte IV)
• La creazione tra Fede e scienza (parte V)
• La creazione tra Fede e scienza (parte VI)



12) In una delle sue udienze del mercoledì, Benedetto XVI ha spiegato come un grande Padre della Chiesa, lo Pseudo-Dionigi Aeropagita, abbia saputo affrontare sul suo stesso terreno il neoplatonismo sapendolo volgere in senso cristiano dopo averlo depurato di quanto di spurio in esso vi era. «Nel VI secolo, - ha detto in quell’occasione il regnante Pontefice - cioè in un’epoca in cui il neoplatonismo veniva usato «in senso anticristiano», (Dionigi) osò usare questo pensiero per mostrare la verità di Cristo trasformando l’universo politeistico in un cosmo creato da Dio, caratterizzato dall’armonia: l’immaginario politeistico divenne così un elogio del Creatore e della sua creatura». Caratteristica «essenziale» del pensiero dell’Aeropagita, ebbe a spiegare il Santo Padre, è «anzitutto la lode cosmica: tutta la creazione parla di Dio, è un elogio di Dio. La sua teologia diventa teologia liturgica: Dio si trova lodandolo, pregandolo, non solo riflettendo». In sintesi, quella di Dionigi è «una teologia cosmica, ecclesiale, liturgica, ma anche profondamente personale. Ha creato la prima grande teologia mistica, che con lui acquista un nuovo significato: diventa più personale, più intima, esprime il cammino dell’anima verso Dio». Per Dionigi, che preferì firmarsi con uno pseudonimo perché non cercava la gloria per se stesso, «parlare di Dio - aggiungeva il Papa - è  sempre cantare. La sua teologia cosmica supera la concezione politeistica e ci mostra l’armonia del creato e degli astri». Confronta Gianluca Barile «All’Udienza Generale il Papa invita a prendere esempio da Dionigi l’Areopagita» in www.papanews.it.
13) Confronta l’intervista apparsa su «La Buona Novella» anno XI, numero 3, settembre-dicembre 2006, pagine 7-8.
14) E’, qui, importante sottolineare che la spiritualità dell’uomo, ciò che veramente lo distingue da ogni altra creatura, non è affatto riconducibile ad una funzione utilitarista per la conservazione e la difesa della società, come cercano di far intendere proprio i darwinisti. Queste posizioni che vedono la religione in funzione della società sono una mera riproposizione del funzionalismo di certi sociologi e antropologi culturali. Ma proprio per questo esse appaiono del tutto riduttive. Il fatto religioso è essenzialmente di ordine spirituale con poi conseguenze di ordine anche culturale e sociale. La spiritualità e la moralità sono legate alla capacità di trascendenza dell’uomo e non hanno affatto una determinazione biologica. L’interpretazione naturalistica della religione non tiene conto di una distinzione fondamentale, sulla quale due grandi storici della religione come Mircea Eliade e Julien Ries, maestri dell’antropologia religiosa, hanno richiamato l’attenzione: il fatto cioè che il «sacro» è una dimensione essenziale della coscienza umana. Ossia, in altri termini, che l’uomo è fatto per adorare, è caratterizzato essenzialmente dalla sua capacità di Dio, dalla sua capacità, unico tra le creature, di aprirsi ovvero porsi in contatto con la Trascendenza. L’uomo è essenzialmente e sin dalla sua comparsa Homo religiosus (Ries). Gli studi di antropologia dimostrano che l’uomo si è legato immediatamente, sin dalla sua comparsa, alle domande fondamentali sul senso della sua esistenza, della vita e della morte, ed alla esperienza simbolica di qualcosa che lo sovrasta e che percepisce in alcune manifestazioni della natura. «E’ grazie al simbolismo cosmico che l’uomo ha percepito le ierofanie. Con la volta celeste è necessario tenere conto del simbolismo dell’acqua, dell’albero, della montagna» (Ries). L’apertura essenziale al «sacro» è connaturale all’uomo e si ritrova presso tutti i popoli. Può considerarsi universale. Essa si lega al simbolismo che è antico quanto l’uomo, ma i documenti in cui il senso religioso può essere colto sono relativamente recenti. Un significato religioso viene riconosciuto alla pratica della inumazione. L’uomo che seppellisce i morti dimostra una particolare coscienza della morte e dell’oltretomba. La posizione e la cura dell’inumato, il corredo che può accompagnarlo attestano l’idea di una sopravvivenza a cui si attribuisce un significato religioso. Le prime sepolture sono documentate in Israele circa 90.000 anni fa e sono praticate sia dal Sapiens che dai Neandertaliani. L’attenzione verso i defunti è però sovente legata ad un culto neolitico e protostorico della dea madre («Veneri aurignaziane»), che rappresenta una forma alquanto degradata, «tellurica», di un precedente culto volto invece alla Trascendenza, ma successivamente perduto dal Sapiens (rielaborazione dell’autore di un articolo apparso su «Avvenire»).
15) Confronta il secondo capitolo dell’opera del Meinvielle «Influsso dello gnosticismo ebraico in ambiente cristiano», Sacra Fraternitas Auriganum, Roma, 1995.
16) Il discorso sulle due diverse cabale ci porterebbe ovviamente lontano. Ma un piccolo approfondimento è comunque necessario, riprendendo quanto abbiamo già avuto modo di far osservare al lettore Raf in calce al nostro articolo «Darwin e la gnosi», citato. Infatti la distinzione fondamentale tra la cabala pura e quella spuria, che abbiamo tratto dal Meinvielle, consente anche una disamina importante a proposito della dottrina dello «zim-zum» e del simbolo della stella di Davide. Per quanto riguarda la dottrina dello zim-zum bisogna distinguere il modo di intenderla. Se si assume un modo «emanazionista» si cade nel panteismo, ossia nella cabala gnostica. Se invece si rimarca l’abissale differenza ontologica, che non significa per niente reciproca esclusione, tra la Luce creatrice e la creatura, si rimane nell’ambito di una cabala conforme alla Rivelazione ebraico-cristiana. In tal senso è bene ricordare con Cornelio Fabro,  il più grande studioso del secolo scorso del pensiero dell’Aquinate, che, per meglio definire i concetti di «ad intra» e di «ad extra», gli enti «sono altri, non fuori, dall’Uno» (citato in G. Reale/D. Antiseri «Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi» volume I, Brescia, 1995). Tutti gli enti, anche il «tempo», sono «contenuti ad extra» nell’Eterno. Ed affinché questo sia possibile, l’Eterno, secondo la dottrina dello «zim-zum», fa posto agli enti in Sé, dunque non «contro» o «al di fuori» di Sé, pur rimanendo l’assoluta ma analogica alterità tra l’Eterno e gli enti. Questo è il senso vero della dottrina della «contrazione» di Dio. Infatti quando tale dottrina afferma che all’inizio vi era solo Lui ed il Suo Santo Nome cosa si dice se non che «In principio era il Verbo, ed il Verbo era presso Dio, ed il Verbo era Dio»? Il «Nome» di Dio, per la tradizione cristiana, è il Verbo di Dio. Invece, laddove la «contrazione» di Dio è intesa, come accade nel cabalismo spurio, in senso emanazionista, sicché gli enti sarebbero la degradazione di Dio, concepito oltretutto come sostanza impersonale, e non sarebbero pertanto, per partecipazione analogica, altri dalla Divinità, affiora chiaramente il senso gnostico, ossia l’affermazione del disvalore della materia e della creazione, fino alla radicale opposizione non analogica tra Divinità e mondo, di tale interpretazione spuria della dottrina dello «zim-zum». Quindi bisogna stare molto attenti a come il linguaggio e la concettualità cabalista vengono usati: ossia in che senso, se cioè in senso monista o in senso conforme alla Rivelazione. Così, quando, in ambito cabalista, si parla di Datore di Luce inteso come «sovra-essenza» della Luce infinita ci si trova di fronte alla cabala spuria, quella che fa propria la concezione gnostica del «Dio impersonale», «sovra essenziale», dal quale tutto emana, superiore al «Dio personale», quest’ultimo contenuto nel primo o sua prima «manifestazione». Spesso poi il «Dio personale», nelle concezioni gnostiche, diventa il cattivo demiurgo responsabile della caduta nella materia del superiore «Dio impersonale». Siamo, qui, del tutto lontani dalla Rivelazione ebraico-cristiana. La confusione gnostica gioca sempre su una cattiva interpretazione della «personalità» di Dio, come se con essa si intendesse, con ingenuo antropomorfismo, un Dio limitato e dunque un non-Dio. In realtà, secondo la Rivelazione, il Dio Persona è Infinito pur essendo tutt’altro che impersonale. La teologia negativa sottolinea proprio questo quando afferma che Dio non è nessuna delle cose della creazione: Dio non è limitato da nessuna delle perfezioni creaturali che bisogna, appunto, «negare» per poter intuire qualcosa di Dio. Ma Dio è e resta Persona. Benché Egli sia Persona non come l’uomo che ne è per l’appunto soltanto l’immagine finita e limitata, fatta a Sua somiglianza ma infinitamente non commisurabile alla Sua trascendente Infinità. L’espressione più evidente della gnosi spuria che soggiace al cabalismo impuro è la presenza in esso del concetto, appunto gnostico, del «doppio contrario» che si risolve in un monismo anonimo. In ambito cabalista spurio si argomenta, con evidente assonanza manichea, di due Luci ontologicamente eguali ma dialetticamente contrarie che, contrapposte, discendendo ed ascendendo si incontrano in una superiore unità indifferenziata. E’ proprio questo, del resto, il significato esoterico della stella di Davide, attuale emblema dello Stato di Israele: i due triangoli eguali e contrapposti che si intrecciano uno discendendo, con il vertice verso il basso, e l’altro ascendendo, con il vertice verso l’alto (il vero simbolo tradizionale dell’autentico ebraismo è il candelabro a sette braccia - sette è numero sacro della Trascendenza - raffigurante i sette giorni della creazione: un simbolo poi trapassato anche nel Cristianesimo in certe immagini medioevali della Croce circondata da sette rami d’albero, allusione all’Albero della Vita, o da sette angeli). Nel Corpus Hermeticum dello pseudo-Trimegisto si sostiene una dottrina analoga a quella del doppio contrario cabalista: ciò che è superiore si riflette nell’inferiore e viceversa. Il (presunto) Sigillo di re Salomone, una stella di Davide con i due vertici in effigie di due uomini che si abbracciano, riporta, in latino, lo stesso motto dello pseudo-Trimegisto. Non a caso, in ambito cabalista spurio, si parla di «gradi dell’Essere», esattamente come nell’induismo (si veda di Guénon «Gli stati molteplici dell’essere») intendendosi così un unico, ed anonimo, sostrato ontologico che si «manifesta» per gradi, emanazionisticamente, dal più alto al più basso, dal più spirituale (o angelico) al più materiale. L’albero sephirotico del cabalismo in versione spuria vuol simboleggiare lo stesso emanazionismo e la risalita «iniziatica», per puro atto di volontà cognitiva (gnosis), dei gradi discendenti dell’essere. Al contrario, nella Rivelazione biblica, vedasi il sogno di Giacobbe della scala sulla quale gli angeli scendevano ed ascendevano al Cielo, la comunicazione tra Dio e uomo avviene sempre unilateralmente per Grazia di Dio: la scala è posta da Dio affinché l’uomo che gli voglia aprire il cuore possa, ma con la Sua forza, appunto la grazia, che interviene a soccorrerlo, ascendere al Cielo. Questo perché nella Rivelazione ebraico-cristiana la creatura, pur «contenuta» in Lui, è soltanto partecipe dell’Essere auto-sussistente ossia, in termini teologici, di Dio Persona Infinita, che rimane sempre al di là, trascendente, «altro» dagli enti creati.



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