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Rothschild lascia l’Europa – Il Guscio Svuotato
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Ora si capisce perchè nemmeno un membro della famiglia Rockefeller non è al Bilderberg, di cui è fondatrice. Aveva di meglio da fare. Da Repubblica: «Rockefeller e Rothschild. Due delle più grandi dinastie industriali al mondo, la prima in America, la seconda in Europa, hanno deciso di unire almeno in parte le loro forze per formare una partnership strategica’».

I giornali italiani trattano la notizia come un fatto di colore. Il Financial Times, in un’intervista in ginocchio a Lord Jacob Rothschild («filantropo, mecenate») almeno fa capire molto di più. La RIT Capital Partners – la holding finanziaria del vecchio Rothschild di Londra, un «trust d’investimento» da 1,9 miliardi di sterline – prende una quota del 37% della Rockefeller Financial Services, la holding d’investimento della storica dinastia americana del petrolio e delle banche: «I due gruppi collaboreranno in acquisizioni e fondi d’investimento terzi».

Il perchè, si degna di spiegarlo Jacob Rothschild al (suo) giornale: «Gli Stati Uniti sono in vantaggio. Avere una forte presenza in USA è di estrema importanza».

Sono in vantaggio (has an edge) sulla vecchia Europa, naturalmente: Gli USA, continua Jacob Rothschild, «hanno avuto la grandissima fortuna di quelle grandi risorse in scisti bituminosi e gas, e possono diventare la nuova Arabia Saudita dei prossimi 50 anni». Perchè il vecchio pensa che l’Europa non possa dare più molto all’alta finanza: «Sappiamo tutti che lEuropa attraverserà un periodo nero per i prossimi cinque-dieci anni». E diciamo pure venti o trenta.

Da qui l’essenziale necessità di avere «una forte testa di ponte» in USA, qualcosa che i suoi antenati non erano riusciti ad ottenere nel 19° secolo. È per questo che il suo RT Capital Partners (che il Rothschild controlla benché ne possieda una quota di minoranza, del 18%) già da tempo aveva una esposizione minima sull’euro, e da un anno ha preso posizione allo scoperto (short) sulla travagliata moneta comune, in pratica puntando a lucrare dal suo crollo.

Anche Londra, sede delle storiche speculazioni, è sostanzialmente abbandonata: «Siamo diventati un gruppo meno britannico, meno provinciale», dice il Rothschild; mentre tanti, anche nella finanza, sono in difficoltà in un Occidente che deve smaltire un enorme indebitamento e una catena d’insolvenze, la finanziaria di lord Rothschild s’è lanciata in una strategia d’espansione globale. Per esempio, ha appena annunciato la creazione di un «private equity fund» insieme con il Creat Group, uno dei più grossi conglomerati finanziari cinesi, che investe in aziende cinesi leader di mercato.

Dunque un classico della storica strategia Rothschild: più le crisi sono gravi, più chi è fornito di capitali farà buoni affari accaparrandosi beni produttivi nell’economia reale per un boccone di pane.

E la RIT ha «capitali propri per 1,7 miliardi di sterline e poco debito», sicchè è nella posizione migliore per profittare della più grande depressione mondiale. Per rafforzare la base di capitale ormai necessaria nel colossale mercato globale, apprendiamo, Jacob Rothschild sta unendo di nuovo i rami sparsi della famiglia: ha appena stabilito una joint-venture «per cooperare in investimenti futuri» con «la banca franco-svizzera Edmond de Rothschild» (sedi a Parigi e a Ginevra), una privatissima (non quotata) banca di gestione di attivi guidata dal barone Benjamin de Rothschild, figlio del fondatore Edmond e parente dell’inglese Jacob. Ed ha anche ripreso i più cordiali accordi con il cugino Sir Evelyn de Rothschild, proprietario dell’Economist (la bibbia del liberismo per tutti i seguaci della dogmatica Adam Smith) ma soprattutto capo della NM Rothschild, la storica finanziaria fondata dal capostipite Nathan Meyer Rotschild, che accumulò la sua colossale fortuna nel 1815, quando comprò a man bassa titoli del debito pubblico britannico, avendo avuto in anticipo dai Rothschild, insediati in Francia e Germania, la notizia della disfatta di Napoleone a Waterloo.
Sir Jacob e sir Evelyn litigarono nel 1980; ora sono tornati in buoni rapporti di alleanza, in vista dei sicuri profitti da super-crisi.

Quel che il Financial Times chiama delicatamente il non riuscito tentativo dei Rothschild di stabilire una «solida testa di ponte in USA nel 19° secolo» va riferito alla Guerra Civile americana, quando i Rothschild di Londra finanziavano il Nord, e i Rothschild di Parigi finanziavano il Sud. A corto di fondi, Lincoln scoprì che la finanza internazionale (Nathan Rothschild era adesso capo della Banca d’Inghilterra) era pronta a prestargli denaro a tassi dal 24% al 36%: si sa, il «rischio-Paese» era alto, lo spread del debito pubblico nordista doveva salire. Come noto, Lincoln fece stampare 450 milioni dollari di Stato, su cui la nazione non pagava interessi ai banchieri.

Da Londra Lord Goschen (di famiglia d’affaristi «d’origine tedesca», direttore della Banca d’Inghilterra: insomma un ventriloquo dei Rothschild) fulminò dal Times: «Se questa malefica politica finanziaria, che ha origine nel Nord America, durerà fino a diventare istituzionale, allora uno Stato si fornirà della propria moneta senza costo. Pagherà il suo debito e vivrà senza debito... Un simile Stato deve essere distrutto, o distruggerà ogni monarchia nel mondo». Lincoln dal canto suo ebbe a dichiarare: «Ho due grandi nemici, la armata del Sud di fronte a me, e i banchieri alle mie spalle. Dei due, i nemici più grandi sono i banchieri». Poi fu ucciso da quella caratteristica figura del folklore americano, che ha nome «the Solitary Assassin» (1).

Resta il fatto che il nome Rothschild ebbe cattiva stampa in USA, e ciò ostacolò lo stabilimento della testa di ponte. Anche perchè i Rockefeller, in grande ascesa con i loro oligopoli (ferrovie, petrolio, banche) badavano a tener lontano dal loro cortile di casa un così pericoloso competitore. Il che non impedì che i due gruppi collaborassero in Paesi terzi per eliminare i concorrenti di entrambi, per esempio nell’Azerbaijan petrolifero prima di Lenin (2).

Sicchè in qualche modo i Rothschild, come l’astro che tutti ci illumina, tornano al punto di partenza avendo completato la loro rivoluzione orbitale: uniscono la famiglia e da «europei» diventano globali facendosi «americani» perchè l’America «has an edge», un vantaggio in più rispetto alla vecchia Europa.

Il Bilderberg, che hanno fondato negli anni della guerra fredda, perde importanza (3): dopotutto, è un consesso «atlantico», e la fusione Rothschild-Rockefeller ha già un piede in Cina. Non c’è più niente da guadagnare, dal vecchio continente. Del resto, lo lasciano nelle mani di persone fidate; non sono i più intellettualmente acuti – come Mario Monti, o Draghi, o gli eurocrati – ma devono solo gestire il declino storico del guscio ormai vuoto, badando che non nasca qualche «dittatura populista».

«The End is nigh», la fine è vicina: così il sito ZeroHedge interpreta la storica fusione (Is The End Nigh: Rockefellers And Rothschilds Merge). Certo è che, loro, sono pronti ad affrontare il nuovo mondo, l’inimmaginabile mondo che resterà dalle macerie dell’Occidente, del suo capitalismo terminale suicida, e perfino della finanza speculativa con la sua forza selvaggia, indomabile. Un mondo diverso da tutto quel che abbiamo conosciuto.

S’è provato a descriverlo Raoul Pal, un creatore di edge funds, in poche tavole. (Former Hedge Funder Presents A Terrifying Vision Of THE END GAME)

LOccidente entra nella seconda recessione nel corso della attuale Depressione; e nessuna delle economie del G20 ha il motore della crescita acceso, tutte sono in stallo contemporaneamente.

I dieci Stati con il più grosso debito pubblico hanno debiti sommati pari al 300% del prodotto interno lordo mondiale.

La storia ci insegna che quando occorre una bancarotta sovrana, altre seguono in effetto-domino.

In Europa, i governi hanno ben poco fiato rimasto persalvarela prima loro banca che fallirà; dunque il primo grande fallimento bancario trascinerà il fallimento del sistema bancario europeo, e infine degli Stati europei. Non ci sono freni per bloccare il processo’.

E la bancarotta degli Stati non è in sè il peggio. Il vero problema è che i 70 trilioni di dollari del debito dei primi dieci Paesi (G-10) servono come collaterale per 700 trilioni di derivati... Pari al 1200% del PIL mondiale.

E come credere che Giappone e Cina non saranno i prossimi? E gli USA sopravviveranno senza danno?

È il Grande Reset.

Il collasso bancario globale significa che non ci sarà credito commerciale, nè finanziamento per i trasporti navali, nè per gli agricoltori, niente leasing, non più mercati dei titoli, niente.

I mercati stanno comprendendo che nè il Quantitive Easing, nè i prestiti all1% alle banche, nè lo EFSF, sono in grado di frenare il collasso. Quando Spagna e Italia dovranno nazionalizzare le banche, mettendo i debiti delle banche a carico del debito pubblico sovrano, saranno chiuse fuori dai mercati. Non avranno più compratori dei loro BTP o Bonos.

Tutto il denaro possibile si rifugerà in titoli pubblici di USA, Germania e inizialmente di Gran Bretagna e di Giappone, a interessi dell1%. Tutte le operazioni shortsaranno vietate, come i CDS e i derivati.

Non resteranno più che il dollaro e loro’.

Ancora sei mesi per proteggersi. Pensate ai rischi delle controparte che non pagherà, ai rischi di custodia, e ai rischi di cassaforte e affidamento dei beni: ‘Ricordatevi che niente e nessuno è fidato. Indosssate lelmetto e acquattatevi fino a quando il nuovo mondo emergerà.

Se sopravviverete, vedrete che i Rothschild e i Rockefeller saranno già lì ad attendervi. Più ricchi di prima.




1) Fatto molto istruttivo per chi soffre oggi la restrizione del credito che aggrava la recessione, anche dopo l’omicidio di Lincoln le banche creditrici imposero una politica di «risanamento del bilancio» pubblico che consistè in una durissima deflazione: il circolante, che in USA nel 1866 ammontava a 50,46 dollari per ogni cittadino americano, nel 1876 non era che di 14,60 dollari pro capite. E nel 1887, era ridotto a 6,6 7 dollari a testa. Risultato, un ventennio di recessione e rigore, miseria, disoccupazione, fallimenti e insolvenze a catena.
2) In Azerbaijan, i fratelli Nobel, svedesi, avevano inaugurato l’era petrolifera nel 1873: l’Azerbaijan era il Paese più ricco del mondo e la sua capiitale Baku, la più prospera. Nel 1883, entrarono in scena le compagnie petrolifere dei Rothschild, subito seguite dalla Standard Oil di Rockefeller. Si fecero una dura concorrenza, finchè Rockefeller disse basta: «La competizione è un peccato!», sancì questo gran sacerdote del libero mercato. Si doveva fare un cartello, altrimenti i prezzi del greggio sarebbero scesi troppo limando i profitti. I Nobel non ci stavano. La situazione fu risolta solo nel 1920 dal compagno Trotzky, notoriamente finanziato da Wall Street (Schiff, Warburg, Morgan); la sua Armata Rossa occupò l’Azerbaijan con immani eccidi dei «capitalisti» locali, e regalò al fortunato Paese il socialismo realizzato (come oggi i neocon espandono la democrazia nei Paesi islamici). I fratelli Nobel persero tutto, e a stento salvarono la vita; le perdite dei Rothschild e dei Rockefeller furono più che compensate dai loro profitti, lucrati altrove, per il rincaro del greggio. Dunque, quando nel 1999 diedero al loro protetto Khodorkovsky i 250 milioni di dollari con cui comprò la Yukos, ossia l’intero conglomeraro petrolifero sovietico, i Rothschild in qualche modo si riprendevano quel tesoro a cui avevano aspirato dal tardo ‘800.
3) Le figure di secondo piano del Bilderberg di quest’anno dicono molto. Il giornalista Jim Tucker, che ha qualche entratura all’interno, ha però riferito che i presenti sono preoccupati da Ron Paul. Un membro non identificato del Bilderberg ha espresso l’augurio seguente: «Mettere Ron Paul e tutti i suoi sostenitori su un aereo con un pilota suicida islamico e tirarli giù tutti». Sono frasi da neocon, può averle dette Richard Perle. Ma le personalità di primo piano non si sarebbero mai abbandonate ad un simile sfogo di odio. Avrebbero agito. (Bilderberg Members Discuss Killing Ron Paul)



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